PALLADIO, Andrea

Enciclopedia Italiana (1935)

PALLADIO, Andrea

Gustavo GIOVANNONI

Architetto, nato a Padova il 30 novembre 1508, morto a Vicenza il 19 agosto 1580. Nel P., dopo il Brunelleschi e il Bramante, si può veramente dire impersonato il pensiero dell'architettura del Rinascimento, anche se la sua vasta produzione architettonica non ha opere di alta monumentalità paragonabili a quelle dei maggiori; ché forse nessun'altra delle insigni figure di tale meraviglioso periodo italiano lo supera nella religione dell'antichità e nell'intendimento costante di applicarne le forme ai nuovi temi, nella salda continuità della concezione e nella sicura rispondenza tra la preparazione teorica e l'opera concreta. La vita del P. si svolse fortunata, dapprima negli studî umanistici e artistici, poi nell'intensa attività che si può dire professionale, per usare un'espressione moderna che solo si può cominciare ad applicare agli architetti del suo tempo; si svolse colma di lavoro e di onori, specialmente in Vicenza e nella regione circostante, dove, in un periodo di prosperità e di fervore costruttivo, le maggiori famiglie fecero a gara nell'affidargli l'opera di palazzi e di ville lasciandogli ampia libertà, assai rara per gli architetti, di seguire i proprî concetti estetici, anche se talvolta ne risultavano sacrificate le pratiche esigenze della comodità e dell'economia.

Come riferiscono i tardi biografi del P., il Temanza e il Bertotti Scamozzi, a lui fu mecenate Gian Giorgio Trissino (v.), il quale nel giovanissimo scalpellino Andrea di Pietro che lavorava nel suo palazzo intravvide il genio; lo educò negli studî, gli dette il nome di Palladio e lo condusse tre volte a Roma, dove, seguendo il costante metodo di formazione degli architetti del Rinascimento, il giovane s'applicò col massimo zelo al rilievo degli antichi monumenti. Di questi studî, tanto più preziosi per noi in quanto ci documentano lo stato degli antichi edifizî in un tempo in cui la loro conservazione era maggiore che non ora, alcuni disegni ancora rimangono, conservati agli Uffizî, e tra essi sono da notare alcuni, tratti dalle allora recenti costruzioni del Bramante; e certo tale giovanile lavoro, completato poi con lo studio diretto o indiretto dei monumenti di altre parti d'Italia, costituì il fondamento della pubblicazione del primo e del quarto dei suoi Quattro libri dell'Architettura, nonché di quella, postuma, sulle Terme romane i cui disegni furono trovati da lord Burlington a Maser (ora nella collezione del duca di Devonshire).

Aveva il P. di poco superato i trent'anni quando gli fu affidata a Vicenza l'opera monumentale della Basilica, o per meglio dire, della costruzione di un duplice portico posto a racchiudere per tre lati la grande sala medievale della Ragione. La composizione (v. tav. XXXV), pur vincolata dai necessarî raccordi con la fabbrica preesistente, è di una severa ed organica grandiosità e ha una mirabile proporzione nella linea, in cui si ripete ritmicamente il motivo della "serliana", inquadrato, come nella sansovinesca Libreria di S. Marco a Venezia, dagli ordini architettonici, dorico nel piano inferiore, ionico nel superiore. Il lavoro della costruzione, tutta in pietra da taglio, deve aver proceduto con grande lentezza se ancora nel 1580 era terminato solo per poche campate, ma certo è stato proseguito fedelmente secondo il suo disegno, pubblicato nel terzo dei Quattro libri; e ha esercitato non piccola influenza sull'arte di architetti contemporanei e del periodo successivo quali l'Aleotti e l'Avanzini.

Tra i pubblici edifici totalmente o parzialmente architettati dal P. sono da citare il Palazzo pubblico di Udine, detto il Castello, la Loggia del Capitanato in Vicenza, rimasta incompleta, e il Teatro Olimpico di Vicenza, costruito dopo la morte dell'artista (v. tavola XXXVIII, in basso). È questo un interessante tentativo di adattamento dello schema del teatro antico, che conserva la forma curva della cavea e la stabile inquadratura architettonica della scena, ma che è coperto e assume forma di sala, ed è principale esempio delle numerose opere analoghe, il più spesso di costruzione provvisoria, che ovunque furono eseguite nel Cinquecento. Ma nella produzione palladiana il posto di gran lunga più importante per numero e varietà di manifestazioni è preso dagli edifici privati, palazzi, case e ville.

Le più dirette testimonianze di tali opere si hanno dal Palladio stesso, che nel secondo dei citati Quattro libri ne dà i disegni e le precise indicazioni. Di case e palazzi in Vicenza egli menziona quelli del conte Valerio Chiericati, del conte Iseppo De Porti, dei conti Marcantonio e Ottavio Thiene, dei conti Valmarana, del conte Montano Barbarano, del cavaliere Giulio Capra; fuori di Vicenza quelli di Floriano Antonini in Udine, del conte G. B. della Torre (non finito) in Verona, il convento dei canonici regolari in Venezia. E quanto alle ville, ricorda e illustra quelle dei conti Pisani in Bagnolo presso Lonigo, di Francesco Badoer alla Fratta nel Polesine, di Marco Zeno alla Motta nel Trevigiano, di Nicolò e Alvise Foscari (la cosiddetta Villa della Malcontenta) alle Gambaraie sopra la Brenta, la villa Maser presso Asolo di monsignor Barbaro (l'insigne umanista) e di suo fratello; quella non finita del signor Francesco a Montagnana (fig. 2), la villa Cornaro presso Castelfranco (fig. 3), la Mocenigo (detta Marocco) sulla via da Venezia a Treviso (fig. 4), la Emo a Fanzolo, quella del conte Marco Antonio Sarego a S. Sofia presso Verona; e, nel territorio vicentino, la celebre "Rotonda" costruita sul Monte Berico per monsignor Paolo Almerico (poi terminata dallo Scamozzi per la famiglia Capra), la villa Ragona alle Ghizzole, la Valmarana a Lisiero, la Sarego a Collogno "in un luogo detto la Miga", la Saraceni "in un luogo detto il Finale", la Trissino a Meledo, la Repeta a Campiglia, la Pogliana a Pogliana, la Thiene a Cicogna, la Angarani ad Angarano, ed infine quella di Girolamo de Godi a Lonedo, e quella del conte Ottavio Thiene a Quinto (fig. 1).

A questa così lunga serie altre opere sono da aggiungere, o minori o di età posteriore a quella della prima edizione dei Quattro libri (1570), ma meno certa è la loro assegnazione al maestro; così il palazzo Bonin-Thiene (1572) e il Caldogni (1575) a Vicenza, l'inizio del grandioso edificio del Seminario, e la cosiddetta casa privata del Palladio, piccolo edificio che sembra esser stato da lui costruito per un tale Pietro Cogolo.

I costanti caratteri stilistici di tale enorme produzione nel campo dell'architettura civile sono i seguenti: nelle piante, studio dello schema con un senso di armonica regolarità e di simmetria perfetta rispetto a uno, e talvolta a due assi, quasi che il disegno planimetrico dovesse essere un'opera d'arte per sé stessa, con una precisa distribuzione modulare degli assi dei muri e dei vani di porte e finestre, delle ampiezze degli ambienti, delle scale, degl'intercolunnî; nei prospetti, vasta unità di composizione, da cui l'elemento decorativo quasi sempre è escluso per lasciar trionfare la perfetta proporzione del motivo ripartito e talvolta la semplice parete nuda. L'adozione degli ordini architettonici in tali facciate è costante, frequente quella del bugnato nella zona basamentale, e di un attico, che, trasportato dagli archi trionfali, è qui utilizzato come piano d'abitazione con finestre regolarmente disposte nelle rientranze tra i pilastri sottili.

Il problema principale risolto in questi prospetti che si affacciano sulle vie della "città di Palladio" è appunto quello dell'applicazione di tali elementi classici nati per uno scopo ben diverso da quello di essere tradotti in stucco (ché per il Palladio la forma è quasi indipendente dal materiale) e di venire addossati a un edificio a più piani per accentuarne le divisioni. Fino dal tempo dell'Alberti erano apparse le difficoltà della soluzione nella meschinità delle altezze dei varî piani sovrapposti e nella difficoltà di proporzionare la cornice di coronamento a tutto l'edificio; ed ecco il P. affrontarla con un'ingegnosità di mezzi ancora maggiore di quella del suo quasi contemporaneo, Sanmicheli. Modelli diretti gli sono stati forniti dalla casa eretta in Roma dal Bramante per Raffaello, dal trattato del Serlio, dalle opere di Giulio Romano a Mantova; ma egli vi si è riannodato con originalità e con un sentimento della linea e della proporzione reso ancor più evidente dalla voluta severità schematica della composizione.

Esaminiamo tali soluzioni nelle opere più significative. Nel palazzo Chiericati (1551-57) si ha una sovrapposizione di due ampî portici a colonne, dorico l'uno e ionico l'altro, ispirata forse al Settizonio romano, che lascia solo una massiccia zona pseudoperiptera nel centro dell'ordine superiore. Nel palazzo Porto (1552; fig. 6), si ha una zona basamentale bugnata e un sovrastante ordine ionico di mezze colonne, prive di piedistallo per aumentarne l'altezza, che inquadrano le finestre del piano nobile aventi ciascuna un balconcino a balaustre; sopra la trabeazione, il piano attico. Non molto dissimile da questa come ordinamento la facciata del palazzo di Marcantonio Thiene (1556-58), ma insolitamente più ricca di ornati, sporgenze, membrature, fino ad avere la finestra a tabernacolo con colonne di ordine rustico e la piattabanda bugnata che ne sormonta la trabeazione. Invece nel palazzo Valmarana (1556; tav. XXXVII a sinistra), e nell'inizio di quello del Seminario si giunge alla soluzione estrema, di grandiosità forse sproporzionata a un'opera di privata architettura, consistente nell'adozione di un ordine gigantesco che entro le linee corrispondenti al piedistallo, al fusto, al fregio, all'attico contiene le finestre dei singoli piani.

Analoga tendenza a raggiungere effetti di grande ampiezza, analoga ispirazione ad antichi edifizî monumentali, come i fori, le basiliche, gli archi di trionfo, di ordine ben più vasto di quello di una casa o di un palazzo, si riscontrano nella composizione dei cortili, talvolta ad arcate sovrapposte, come nel detto palazzo Thiene, ma talvolta con maestoso ordine architettonico architravato altitudinibus perpetuus (secondo l'espressione usata da Vitruvio nel descrivere la basilica di Fano): così nel palazzo Porto, o nel convento della Carità a Venezia, o nella villa Sarego a S. Sofia, dove le colonne sono di ordine rustico.

Delle ville, la più nota e tipica è la Rotonda (1550-53 fig. 7; tavola XXXVI), conosciuta sotto il nome di villa Capra: costruzione centrale perfettamente simmetrica con una sala circolare coperta a cupola nel centro e quattro frontoni ionici, così conformata "perché gode da ogni parte bellissime viste". Nelle altre prevale un grande concetto scenografico che accentua l'edificio centrale spesso collocandolo più in alto e lo fiancheggia con ampie ali a portico, le quali racchiudono gli edifici secondarî e inquadrano il giardino all'italiana, composto di terrazze e di ninfei, di aiuole e di siepi di bosso; nella parte retrostante sono il bosco o i campi. Quasi contemporaneamente alle ville di Pesaro e di Bagnaia, sono queste le dirette interpretazioni delle ville romane di Cicerone o di Plinio, ma sono insieme frutto dell'immediata comprensione dell'ambiente naturale.

Soffermiamoci ad alcuni esempî: la villa di Maser (a cui hanno lavorato col P. il Vittoria e Paolo Veronese) mostra il corpo centrale a foggia di tempio e le ali a semplici arcate; nella villa della Malcontenta il portico dell'edificio principale acquista la solennità d'un vasto pronao; nella villa Badoer le gallerie laterali, a ordini architravati, si svolgono in curva a formare un'esedra; nella villa Trissino ancor più complessa è la composizione che, elevandosi a varî livelli, ha nel punto alto il padiglione principale, non dissimile dalla Rotonda.

Anche in opere d'architettura religiosa il P. lasciò la sua orma secondo concetti non dissimili da quelle dell'architettura civile. Si trovano esse quasi solo a Venezia e le più notevoli sono San Giorgio Maggiore (1560), la facciata di S. Francesco dellaVigna (1568), il Redentore alla Giudecca (1576; fig. 8; tav. XXXVIII in alto). Invece della comune soluzione della facciata a due ordini architettonici, che tante applicazioni ebbe poi nelle chiese della Controriforma il P., seguendo il modello del S. Andrea di Mantova dell'Alberti, adottò il partito dell'ordine unico che assomiglia la chiesa a un tempio antico; e talora l'interseca, non felicemente con un ordine minore che corrisponde all'altezza delle cappelle laterali.

La chiesa del Redentore è tra tutte il capolavoro, con la facciata a forte rilievo, adatto a vedersi da lontano, con l'interno a una nave soltanto, a vigorose proporzioni dell'unico ordine, a semplice e severa conformazione di pareti e di vòlte, senza ornati e senza dorature. Interessanti sono altresì le quattro "inventioni" del P. per la facciata di S. Petronio di Bologna.

La figura architettonica del P. ci appare così piena e compatta: esteta nel più largo senso e preoccupato nelle sue composizioni non delle ragioni pratiche o della rispondenza delle linee alla struttura, ma delle pure proporzioni astratte, dei canoni delle leggi modulari tratte dallo studio dell'antico, dell'effetto plastico dell'opera architettonica. Tra le varie correnti del Rinascimento, egli si ricollega al grande teorico Leon Battista Alberti, forse attraverso il Bramante. Tra le varie applicazioni di stabili rapporti geometrici in cui varî studiosi moderni (v. architettura, IV, p. 74 e; rinascimento) hanno cercato la spiegazione dell'arte architettonica, serenamente ritmica, del Cinquecento, gli esempî più completi sono appunto forniti dalle fabbriche del P. Essi si mantengono costantemente aderenti a questi principî pur in un'epoca ormai tarda, quando l'architettura di maestri come Michelangelo, il Vignola, l'Alessi si avvia verso il barocco con la complessità delle composizioni e con l'esuberante novità dell'ornato. Solo contribuiscono all'evoluzione dei tempi con l'adozione dei grandi ordinamenti nelle facciate e coi mossi aggruppamenti nelle ville, e il secolo seguente, nella ricerca affannosa del vasto e del meraviglioso, non mancherà di utilizzarne le conquiste; sicché si può dire che anche il barocco italiano in quello che è inquadramento formale si rannodi al Palladio.

Senza soffermarsi a trattare del P. quale teorico dell'architettura, come ci appare nel primo dei Quattro libri, che la immensa diffusione dei Cinque ordini di Iacopo Barozzi da Vignola (v.) ha di molto superato, rimane da considerare la traccia da lui lasciata con le sue opere, che a veder bene è di un'importanza grandiosa. Il legittimo orgoglio con cui Vicenza e il Veneto hanno conservato il ricordo del P. è stato loro di garanzia contro gli eccessi del barocco; e sarebbe interessante approfondire lo studio di questo stile palladiano conservatosi quasi intatto per due secoli, non solo per opera di architetti illustri come lo Scamozzi, il Temanza, il Pinter, il Riccati, il Borella, il Bertotti Scamozzi, ma anche per quella di umili costruttori di case e di ville modeste che ancora abbelliscono le città del Veneto.

Ma ancora di maggior significato è la diffusione del concetto palladiano all'estero. Dall'arte sua trae l'ossatura generale il barocco francese sotto Luigi XIV e Luigi XV; ma soprattutto è interamente palladiana l'architettura inglese di tutto il Seicento e di tutto il Settecento, palladiani i tanti trattati dello Shulte, del Delorme, dei Blondel su cui si fonda il nuovo insegnamento; e dall'estero quest'arte ritorna nel Settecento tra noi incontrandosi con la reazione contro le degenerazioni barocche e con lo studio archeologico dei monumenti greci e romani. Così il P. è non soltanto il lontano avo, ma il vero modello di quel nuovo periodo di ricerca dell'antico che va sotto il nome di neoclassico, il quale tuttavia forse perché ormai troppo riflesso, rigido e lontano da un'ispirazione diretta, non ha saputo raggiungerne l'elevatezza.

Ancora oggi, nel continuo e irrequieto fluttuare delle tendenze architettoniche, il P. è più vivo che mai, perché la sobria semplicità della sua espressione, la ricerca di effetti di masse ampie e forti anziché di ornati e linee frastagliate risponde al sentimento moderno. E forse a esso può ancora proseguire a riannodarsi la grande tradizione italiana.

V., inoltre, bugnato, VIII, p. 61; loggia, XXI, tav. LXXIV; maser, XXII, p. 497.

Bibl.: A. Palladio, I quattro libri dell'architettura, Venezia 1570; C. Camerun, Descr. des bains des Romains, enrichie des plans de P., Londra 1772; G. Temanza, A. P., Venezia 1762; O. Bertotti Scamozzi, Le fabbriche e i disegni di A. P., Vicenza 1776-83; F. Milizia, Memorie degli architetti, in Opere complete, V, Bologna 1827; V. Barighella, Bibl. palladiana, Lonigo 1880; G. Zanella, Vita di A. P., Milano 1880; S. Rumor, Bibl. st. della città e prov. di Vicenza, Vicenza 1916; J. Burkhardt, Geschichte der Renaissance, Stoccarda 1904; J. Durm, Die Baukunst d. Renaissance in Italien, in Handb. d. Arch., II, v. Lipsia 1914, p. 7; O. Schmidt, Vicenza, Vienna 1902; F. Banister Fletcher, P., his life and works, Londra 1903; F. Burger, Die Villen des A. P., Lipsia 1909; G. Pettinà, Vicenza (coll. "Italia artistica"), Bergamo 1905; A. Bartoli, I monum. antichi di Roma nei dis. degli Uffizi, Roma 1914-20; C. Gurlitt, Palladio, Berlino 1920; G. Loukomsky, A. P., Monaco 1923; id., Les villas des doges de Venise, Parigi s. a.; R. Marino, Le influenze del P. su le origini dell'arch. neoclassica, Roma s. a.; H. Willich, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVI, Lipsia 1932; A. Melani, Palladio, Milano 1928; G. Fiocco, A. P. Padovano, Padova 1932.

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