ANDROMEDA

Enciclopedia Italiana (1929)

ANDROMEDA ('Ανδρόμέδα, Andromĕda)

Aldo Ferrabino

Figlia di Cefeo e di Cassiopea. Cefeo era re degli Etiopi (o dei Cefeni, secondo versioni meno antiche). Cassiopea aveva offeso, insuperbita della propria bellezza, la divinità (le Nereidi, secondo la forma probabilmente più antica del racconto). Per castigo il dio del mare Posidone aveva mandato contro le spiagge del regno di Cefeo un mostro marino, il κῆτος. Un oracolo consultato da Cefeo rispondeva che per liberare il paese dal mostro bisognava sacrificargli A. e Cefeo, dopo una vana resistenza, s'induceva al sacrificio e esponeva la figlia distesa e avvinta sopra uno scoglio alla riva del mare. La sciagurata A. pareva prossima a morte, quando giunse improvviso a volo per le vie del cielo Perseo; il quale cavalcava l'alato cavallo Pègaso ed era in possesso del capo di Medusa da lui medesimo reciso. La bellezza di A. innamora l'eroe, che decide di liberarla uccidendo il mostro. La vittoria, se non facile, gli è possibile perché il capo di Medusa ha la virtù di pietrificare chi lo veda. In premio ottiene per sposa A., ma prima deve superare in duello il promesso sposo di lei, Fineo, che non l'aveva difesa, ma ora la rivendicava.

Questo mito ci appare per la prima volta nella letteratura greca in Ferecide (Fragmenta Historicorum Graecorum del Mu̇ller, I, p. 76, fr. 26; Die Fragmente der griechischen Historiker del Jacoby, I, p. 62, fr. 12); nel sec. V a. C. fu largamente divulgato specie per opera degli autori drammatici. Celebratissima fu la tragedia Andromeda di Euripide rappresentata nel 412 a. C. Ne possediamo alquanti frammenti (Fragmenta Tragicorum Graecorum del Nauck, 2ª ed., p. 392 segg.); dai quali gli eruditi moderni hanno tentato la ricostruzione del dramma, controversa nei particolari, ma sicura nelle linee essenziali. Euripide diede al mito carattere passionale e svolse con aite molto lodata il motivo dell'amore fra i due giovani ("Straniero! e tu conducimi dove tu vuoi, sia ancella, sia moglie, sia schiava! Abbi pietà di me che soffro tutto!", frammenti 132, 128) e del contrasto opposto alle nozze che dava appiglio a una calda invocazione al dio dell'amore, Eros ("Ma tu, tiranno di uomini e dei, Eros, o non mostrarci belle le cose belle o aiuta benigno gli amanti che penano pene di cui tu sei l'artefice", fr. 136). Dopo Euripide invece il mito s'andò impoverendo; ma trovò ancora nuovi colori e nuove movenze nella poesia di Ovidio (Metamorfosi, IV, v. 665 segg.) e nel XIV dei Dialoghi marini di Luciano. Senza vigoria originale invece riappare nelle Astronomiche di Manilio (V).

Bibl.: Roscher, Andromeda, in Ausführl. Lex. der griech. und röm. Myth., I, Lipsia 1884-86, p. 345 segg.; A. Ferrabino, Kalypso, Torino 1914, pp. 39 segg., 323 segg.; O. Gruppe, Griechische Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, I, p. 168 seg.; A. J. Reinach, in Revue de l'histoire des religions, LXI (1910), p. 219; E. Müll, Die Andromeda des Euripides, in Philologus, LXVI (1907), pag. 48 segg.; Kuhnert, s. v. Perseus, in Roscher, Lexikon, III, ii, p. 1996 segg. Pel rapporto coi vasi dipinti, cfr. J. H. Huddilston, Greek Trag. in the light of vases painting, Londra 1898, pp. 23, 35; con le antichità sceniche, Engelmann, Arch. Stud. zu den Trag., Berlino 1900, p. 63 segg.

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