Anestesia

Universo del Corpo (1999)

Anestesia

Alessandro Gasparetto
Giovanni Fierro

L'anestesia, dal greco ἀν-, privativo, e αἴσθησις, "sensazione", è uno stato di insensibilità determinato da cause organiche o indotto artificialmente. Una distruzione di vie o centri della sensibilità produce un'anestesia organica di vario tipo, in base al livello della lesione nervosa (corticale, sottocorticale, talamica ecc.). Nell'uso medico corrente, l'anestesia viene praticata al fine di evitare al paziente il dolore legato a un intervento chirurgico o ad altra condizione di sofferenza. In base alle tecniche usate, si distinguono un'anestesia generale, con perdita totale della coscienza, e un'anestesia locale, ristretta alla zona interessata. La sensibilità può essere soppressa transitoriamente, mediante somministrazione di farmaci anestetici di varia natura o anche con metodi non convenzionali, quali l'ipnosi o l'agopuntura, oppure in via definitiva, mediante interruzione chirurgica delle vie sensitive.

Definizione e classificazione

Il termine 'anestesia', già impiegato dai filosofi greci per indicare uno stato di insensibilità e indifferenza, con mancanza di sensazioni, fu ripreso, nel 19° secolo, per definire lo stato di insensibilità prodotto dalla somministrazione di etere, in seguito alla prima dimostrazione pubblica dell'efficacia di tale sostanza, eseguita da W.T.G. Morton il 16 ottobre 1846 al Massachusetts General Hospital di Boston. Nell'accezione corrente, per 'anestesia' si intende uno stato reversibile di insensibilità, indotto farmacologicamente, che può interessare l'intero organismo, con perdita della coscienza da parte del paziente (anestesia generale), o soltanto una parte di esso, con mantenimento dello stato di veglia (anestesia regionale o loco-regionale). In entrambi i casi è possibile effettuare interventi chirurgici senza che il paziente avverta dolore o manifesti reazioni riflesse di tipo motorio e neuroendocrino. L'anestesia generale può essere considerata costituita da quattro diverse componenti: la perdita della coscienza, l'analgesia, l'iporeflettività, il rilasciamento muscolare. La perdita della coscienza, elemento caratterizzante dell'anestesia generale, è una componente solo in apparenza accessoria rispetto all'analgesia e all'iporeflettività, ma costituisce per il paziente un elemento essenziale, in quanto garantisce il distacco dagli eventi intraoperatori e la loro amnesia.

L'analgesia è la perdita della sensibilità dolorifica indotta da farmaci che agiscono specificamente sulle vie nervose, attraverso cui l'impulso dolorifico si trasmette dalla periferia a centri sempre più alti del sistema nervoso centrale, fino a giungere ad aree corticali ove viene percepito, analizzato e memorizzato. La riduzione delle risposte neuroendocrine prodotte dalla stimolazione dolorifica costituisce il terzo elemento dell'anestesia, indicato come iporeflettività o protezione neurovegetativa. Occorre ricordare che uno stimolo che genera stress provoca una risposta neuroendocrina, che si traduce in stimolazione del sistema nervoso autonomo, con conseguente iperproduzione di neurotrasmettitori, quali adrenalina e noradrenalina, e del sistema endocrino, con increzione dei cosiddetti ormoni dello stress, come l'ormone adrenocorticotropo (ACTH), l'ormone della crescita (GH), il cortisolo, l'ormone antidiuretico (ADH), la renina e la vasopressina.Il rilasciamento muscolare, che rappresenta il quarto elemento dell'anestesia, pur non potendo essere considerato essenziale come l'analgesia o la iporeflettività, è necessario per facilitare le manovre chirurgiche e consentire l'intubazione tracheale e la ventilazione artificiale (v. oltre).

Questa schematica suddivisione dell'anestesia in quattro componenti giustifica l'attuale tendenza all'abbandono dell'anestesia con un solo farmaco, a favore dell'impiego di più farmaci, ciascuno dei quali agisce con meccanismo specifico su una componente dell'anestesia. Appare nel contempo evidente come i termini 'anestetico' o 'anestetico generale' vadano riservati a quelle sostanze che, impiegate da sole, determinano anestesia perché in grado di agire su tutte le componenti sopraindicate.

Anestetici generali per inalazione

Anestetici generali quali l'etere dietilico e il protossido di azoto (N₂O) sono stati impiegati nell'anestesia generale fin dalla metà del 19° secolo, anche se non ne è stato ancora del tutto chiarito il meccanismo d'azione. Sono sostanze volatili o gassose, che si somministrano per via inalatoria e passano facilmente nel torrente sanguigno, per essere distribuite ai vari organi e tessuti. L'effetto anestetico è il risultato della loro azione sul sistema nervoso centrale, che avviene a livello della componente lipidica delle membrane lipoproteiche.

La via di somministrazione inalatoria è l'elemento che caratterizza la maggior parte degli anestetici generali. L'ampia superficie di scambio rappresentata dagli alveoli polmonari consente un loro rapido passaggio nel torrente circolatorio e un'altrettanto rapida eliminazione dall'organismo quando se ne sospende l'erogazione. Se poi la sostanza impiegata è l'N₂O o un alogenato di ultima generazione, come l'isoflurano, di cui nell'organismo viene metabolizzato meno dell'1% e che pertanto non produce metaboliti tossici e non impegna fegato e reni, si comprende come un anestetico inalatorio debba trovare ancor oggi una precisa collocazione nell'ambito di un'anestesia generale.

Per la sua scarsa potenza, l'N₂O non può essere utilizzato come unico anestetico, ma, alle concentrazioni abituali (60-70%, con il 30-40% di O₂), gli viene riservato il ruolo di mantenimento dell'ipnosi indotta con altri farmaci e di potenziamento della loro azione. Gli altri anestetici generali appartenenti alla famiglia degli alogenati (alotano, enflurano, isoflurano, desflurano, sevoflurano) sono dotati di potente azione anestetica, determinando abolizione della coscienza, analgesia, controllo dei riflessi e rilasciamento muscolare; essi hanno però il proprio limite nel fatto che l'induzione dell'anestesia richiede alcuni minuti di somministrazione con una maschera, e praticamente non è realizzabile nell'adulto, a causa dell'odore irritante e del senso di soffocamento che provoca.

Gli anestetici somministrabili per via inalatoria si distinguono, dal punto di vista fisico, in gas e vapori: il gas è una sostanza che, a temperatura e pressione ambiente, si trova esclusivamente allo stato gassoso (per es., O₂, N₂O). Il termine vapore indica invece lo stato gassoso di una sostanza (per es., etere, anestetici alogenati) che, a temperatura e pressione ambiente, esiste anche allo stato liquido, dal quale passa alla fase aerea grazie a particolari accorgimenti tecnici; per la somministrazione al paziente è quindi necessario disporre di un sistema di erogazione e di un sistema di anestesia. Il sistema di erogazione è costituito, per i gas, dalle bombole in cui questi vengono conservati sotto pressione, dai relativi manometri, indicanti la pressione all'interno del contenitore, dai riduttori di pressione e dai misuratori di flusso, che permettono di erogarne nel tempo la quantità voluta. Per utilizzare i vapori è invece necessario disporre di appositi apparecchi (vaporizzatori), all'interno dei quali il fenomeno dell'evaporazione degli anestetici volatili avviene in misura controllata e attraverso cui viene fatto fluire il gas veicolo (O₂ o la miscela di N₂O-O₂). All'estremità del sistema di erogazione si dispone pertanto di un flusso prestabilito di gas (O₂, O₂ più aria, O₂ più N₂O) e di una concentrazione conosciuta di vapore anestetico.

La miscela così preparata viene somministrata al paziente attraverso quello che viene definito 'sistema di anestesia', che nella sua forma più elementare è costituito da un tubo, da un pallone di riserva, in cui si accumula la miscela di gas e vapori, e da una valvola destinata a convogliare nell'ambiente esterno sia i gas espirati dal paziente, sia quelli in eccesso nel sistema.

Attualmente, il sistema di anestesia è costituito da un'apparecchiatura complessa, dotata anche di un respiratore automatico, per mezzo del quale si sopperisce completamente alle funzioni ventilatorie del paziente. I gas espirati possono essere depurati dell'anidride carbonica ed essere riutilizzati dal paziente stesso (sistema di anestesia a circuito chiuso), oppure convogliati verso un sistema anti-inquinamento che li elimina all'esterno della sala operatoria (sistema di anestesia a circuito aperto e sistema antipolluzione).

A seconda del sistema adottato, l'anestesia risulterà praticata in respirazione spontanea, quando il paziente mantiene la propria attività respiratoria, o in respirazione controllata, quando la funzione respiratoria è vicariata dall'apparecchio. La respirazione controllata si rende necessaria quando si impiegano i miorilassanti, cioè i farmaci che bloccano la muscolatura volontaria striata (v. oltre), o i morfinici ad alti dosaggi, che deprimono i centri respiratori; tale procedura rappresenta quasi la regola nell'anestesia moderna.Il collegamento tra sistema di anestesia e paziente può avvenire attraverso una maschera di gomma, che viene fatta aderire alla faccia del paziente (maschera facciale) o introdotta in laringe (maschera laringea), oppure, più frequentemente, attraverso un tubo che viene inserito nella trachea del paziente, evidenziata mediante uno strumento, il laringoscopio, munito di una fonte di luce. La manovra di intubazione, che si effettua abitualmente attraverso la bocca o il naso, può presentare difficoltà talora imprevedibili e insormontabili in soggetti con anchilosi temporomandibolare, artrosi, micrognatismo, deformità ecc. In questi casi, il paziente si trova esposto al grave rischio di non poter essere adeguatamente ventilato o di inalare accidentalmente il contenuto acido refluito dallo stomaco, con successiva sindrome da sofferenza respiratoria (sindrome di Mendelson).

Nelle intubazioni difficili, un ausilio prezioso è dato dall'impiego di sottili endoscopi a fibre ottiche, che, introdotti in trachea sotto visione mediata, costituiscono una guida sicura sulla quale far poi scorrere il tubo tracheale.

Anestetici generali per via endovenosa

Appartengono a questa categoria di agenti gli ipnotici, gli analgesici oppioidi, i neurolettici, oltre ai miorilassanti.

a) Ipnotici. Sono i farmaci utilizzati specificamente per indurre sonno e amnesia. I più utilizzati oggi sono i barbiturici, in particolare quelli ad azione brevissima, come il tiopentale sodico (pentothal). Si tratta di sostanze che presentano grande interesse, a causa della rapidità con cui inducono il sonno senza dar luogo a sensazioni spiacevoli, mentre la depressione cardiocircolatoria che determinano è comunque facilmente controllabile, poiché dipende strettamente dal dosaggio. Il risveglio rapido (5-10 min) dopo una dose ipnotica iniziale, che caratterizza l'impiego del tiopentale, ne costituisce al tempo stesso il limite, in quanto richiede, per il mantenimento dell'ipnosi, il ricorso ad altri farmaci (abitualmente l'NO₂ a concentrazioni subanestetiche). La somministrazione dei barbiturici in boli successivi o in infusione continua non è infatti consigliabile, poiché questi composti hanno lunghi tempi di eliminazione.

Il rapido risveglio che si verifica dopo la dose iniziale non è dovuto alla pronta eliminazione del farmaco dall'organismo, bensì alla sua ridistribuzione, previo distacco dai siti d'azione encefalici ove viene inizialmente convogliato.Il mantenimento dell'ipnosi mediante infusione endovenosa continua è oggi attuabile con un diverso induttore, il propofol (derivato fenolico a eliminazione rapida), che consente di evitare l'uso di N₂O e di realizzare un'anestesia generale unicamente per via endovenosa, oltretutto con il vantaggio di una riduzione dell'inquinamento ambientale da gas anestetici. Tuttavia, le ripercussioni cardiocircolatorie del propofol sono maggiori di quelle del tiopentale.

Come induttori dell'anestesia, in quanto capaci di effetti ipnotici, ansiolitici e amnesizzanti, oltre che moderatamente miorilassanti, possono essere impiegate anche le benzodiazepine. Queste sostanze deprimono il sistema cardiocircolatorio in maniera quasi trascurabile e sono molto utili nei pazienti con patologia coronarica o ipertensione polmonare, in quanto mantengono costante il rapporto tra consumo di O₂ e suo apporto coronarico e riducono le resistenze vascolari polmonari. Poiché agiscono su recettori specifici del neurotrasmettitore GABA (acido gamma-amino-butirrico), i loro effetti possono essere regolati da un antagonista specifico, il flumazenil.

b) Analgesici oppioidi. I farmaci ad azione morfinosimile forniscono la componente analgesica nelle moderne anestesie polifarmacologiche. Sono caratterizzati da grande potenza analgesica e scarsa o nulla depressione cardiocircolatoria, ma comportano il rischio costante di depressione respiratoria e di effetti collaterali minori (vomito, aumento del tono vagale, rigidità toracica). Anche questi composti agiscono su recettori specifici ed è quindi possibile regolarne gli effetti con antagonisti specifici. La morfina non è molto utilizzata in anestesia, mentre lo sono abitualmente i derivati fenilpiperidinici, più potenti della morfina e dotati di azione più breve.

c) Neurolettici. Sono farmaci che, in associazione agli analgesici maggiori, consentono di ottenere il blocco della risposta neuroendocrina al dolore. I cocktail litici con neurolettici forti come la cloropromazina, la prometazina e l'hydergina non sono più impiegati, ma la loro utilizzazione, proposta fin dagli anni Cinquanta, ha avuto un'importanza determinante nello sviluppo dell'anestesia moderna. Il neurolettico oggi più comunemente impiegato è il deidrobenzoperidolo, che esercita una potente azione depressiva sul sistema nervoso centrale, con notevole sedazione, immobilità catalettica, apparente grande calma ed effetti alfa-litici e antiemetici.

d) Miorilassanti. Il rilasciamento muscolare, come già si è detto, è il quarto elemento di cui si compone una anestesia generale; esso, ottenibile anche con gli anestetici inalatori, ma in maniera incompleta e insufficiente, si realizza compiutamente impiegando farmaci specifici, i miorilassanti, comunemente noti con il nome di 'curari'. Tali sostanze bloccano la trasmissione dell'impulso nervoso dal nervo motore al muscolo, agendo sugli specifici recettori acetilcolinici, localizzati a livello della giunzione neuromuscolare o placca motrice.

Tecniche di anestesia generale

I farmaci descritti possono essere utilizzati in vario modo, realizzando diverse tecniche di anestesia. L'anestesia inalatoria pura è raramente impiegata nell'adulto, a causa della sua lenta induzione, mentre lo è frequentemente nel bambino, nel quale l'induzione è assolutamente indolore e non richiede una preventiva azione per via endovenosa. Nell'anestesia inalatoria con induzione endovenosa, l'inconveniente della lentezza è ovviato dalla somministrazione endovena di un farmaco induttore.

L'anestesia endovenosa con ipnotico induttore e analgesico (anestesia analgesica) consente una protezione neurovegetativa incompleta e solo con dosaggi molto elevati di morfinici, che comportano prolungata depressione respiratoria postoperatoria e frequente comparsa di vomito.

La neuroleptoanestesia prevede l'impiego, oltre che dell'ipnotico induttore e dell'analgesico morfinosimile, anche del neurolettico, che completa la protezione fornita dall'analgesico e agisce da antagonista nei riguardi di alcuni suoi effetti. Nella diazoanalgesia, le benzodiazepine agiscono come induttori dell'anestesia e completano la protezione fornita dagli analgesici morfinosimili.

Nell'anestesia bilanciata, infine, l'ipnotico induttore e l'analgesico endovenoso sono integrati da un anestetico inalatorio, che potenzia l'analgesia, completa la protezione e determina l'ipnosi e l'amnesia. In tutte queste tecniche, sono di solito associati anche i miorilassanti, per le azioni specifiche da essi svolte.

Anestesia loco-regionale

Per questo tipo di anestesia, vanno considerati i farmaci utilizzabili, i loro effetti collaterali e le tecniche di impiego.

a) Farmaci anestetici locali. Gli anestetici locali sono sostanze schematicamente costituite da una amina terziaria e un anello aromatico insaturo, separati da una catena intermedia contenente un legame esterico o amidico. Si possono quindi classificare come aminoesteri e aminoamidi. Il meccanismo d'azione di questi farmaci è rappresentato dal blocco della trasmissione dell'impulso nervoso lungo l'assone di un nervo. La trasmissione consiste in una variazione di cariche elettriche tra l'interno e l'esterno della membrana assonica (depolarizzazione), che si propaga come un'onda lungo il nervo stesso.

Gli anestetici locali, posti in prossimità del nervo, bloccano i canali ionici del sodio e impediscono le variazioni di potenziale. Il blocco da anestetici locali è inversamente proporzionale al diametro delle fibre nervose interessate, ed è pertanto di maggiore intensità, più rapido e più prolungato nelle fibre di piccolo diametro che sono al servizio della sensazione dolorifica, tattile e termica, e nelle fibre simpatiche postgangliari. Sulle fibre motrici, invece, il blocco compare solo per concentrazioni elevate di anestetico e più tardivamente, e ha, inoltre, minore durata, per cui è possibile, a concentrazioni opportune, ottenere un'azione antidolorifica non accompagnata da blocco motorio.I diversi anestetici locali si differenziano per caratteristiche chimiche: liposolubilità e forma non ionizzata sono fattori essenziali per la diffusibilità attraverso i tessuti e le membrane nervose, mentre la forma ionizzata, idrosolubile, è quella attiva.

Qualsiasi evento in grado di modificare il rapporto tra le due forme influenza le caratteristiche dell'anestetico: l'aggiunta di un alcalinizzante, per es., ne migliora la diffusibilità, rendendo più rapida l'azione del farmaco; un ambiente acido, viceversa, ne ostacola la diffusione, e ciò spiega il mancato effetto degli anestetici locali iniettati in un focolaio di infezione, come, per es., le gengive infiammate. In corso di infezione, un altro importante fattore è l'aumentato afflusso sanguigno, che accelera il riassorbimento dell'anestetico e quindi l'esaurirsi del suo effetto. Il riassorbimento viene talora ritardato utilizzando un vasocostrittore (adrenalina) a concentrazioni molto basse.

b) Accidenti da anestetici locali. Gli anestetici locali hanno ingiustamente una cattiva fama, poiché il loro impiego più frequente è nel settore odontoiatrico, dove la paura del paziente è spesso all'origine di sindromi vagali del tutto benigne e transitorie. L'assorbimento dell'adrenalina, inoltre, è particolarmente rapido a livello della mucosa orale. Veri fenomeni anafilattici sono molto rari, mentre è possibile un sovradosaggio assoluto o relativo (accidentale iniezione endovasale, assorbimento più rapido, minore legame proteico ecc.), che può comportare sintomi iniziali quali logorrea, disturbi della visione e dell'udito, euforia, difficoltà ad articolare le parole, tremori muscolari e, infine, convulsioni generalizzate e coma. Tale sintomatologia, riconoscibile già al suo esordio, è peraltro facilmente controllabile con farmaci come le benzodiazepine e con le comuni manovre di rianimazione.

c) Tecniche di anestesia loco-regionale. Gli anestetici locali possono essere somministrati secondo varie tecniche. Seguendo uno schema che, dalla periferia dell'organismo al centro, segue le vie del dolore e che comprende aree tributarie sempre più ampie, si possono avere i seguenti tipi di anestesia: topica, o per contatto; per infiltrazione; endovenosa regionale; mediante blocco nervoso periferico o centrale (perimidollare). La più comune anestesia per contatto è quella che si realizza a livello della cornea mediante colliri anestetici e che consente manovre quali la tonometria oculare. L'anestesia topica è praticabile anche a livello delle mucose, in particolare delle vie aeree, mediante nebulizzazione, in corso di broncoscopia o della stessa intubazione tracheale. Recentemente è stata realizzata una pomata anestetica, l'EMLA (Eutectic mixture of local anesthetics), che, grazie al bilanciamento di componenti idrofili e lipofili, è in grado di agire anche sulla cute integra, se applicata per un'ora mediante bendaggio occlusivo.L'anestesia per infiltrazione si ottiene iniettando l'anestetico nel tessuto sottocutaneo e determinando un blocco delle terminazioni nervose libere e dei più piccoli rami dei nervi afferenti per le sensazioni dolorifiche.

L'anestesia regionale endovenosa, tecnica oggi raramente impiegata, consiste nell'iniezione endovenosa di una notevole quantità di anestetico locale in un arto, la cui circolazione sanguigna è stata bloccata per mezzo di una fascia pneumatica. Dal letto vasale l'anestetico diffonde nei tessuti limitrofi, in particolare verso i nervi che abitualmente accompagnano i vasi venosi (fascio vascolo-nervoso). Nel blocco nervoso periferico, l'anestetico viene iniettato in vicinanza del nervo (per es., mediano, ulnare, sciatico) o del plesso nervoso (per es. il plesso brachiale) da bloccare. Il blocco del plesso brachiale, che si può realizzare a livello del cavo ascellare o al disopra della clavicola (via sopraclaveare), consente di effettuare interventi chirurgici su tutto l'arto superiore.Si parla di blocco nervoso perimidollare quando l'anestetico viene posto nelle immediate vicinanze del midollo spinale. Questo blocco si può attuare mediante due tipi di anestesia: la subaracnoidea e l'epidurale. La prima si realizza iniettando l'anestetico nello spazio subaracnoideo del canale vertebrale, occupato dal liquor cefalo-rachidiano. Nella seconda, invece, l'anestetico è posto nello spazio virtuale esistente tra la dura madre e il legamento giallo contenuto nel canale vertebrale; da tale spazio l'anestetico diffonde lentamente verso il liquor e il midollo spinale e, soprattutto, verso le radici nervose, attraverso i forami vertebrali. Le due tecniche, apparentemente simili, ma in realtà molto diverse, presentano ciascuna indicazioni e controindicazioni proprie. L'anestesia subaracnoidea si caratterizza per una più facile esecuzione (il reperimento dello spazio è confermato dal reflusso del liquor attraverso l'ago), per la maggiore rapidità d'azione, per l'impiego di una minore quantità di farmaco, per la facilitata diffusione dell'anestesia e, in particolare, per la possibilità di localizzarla a livelli prescelti, utilizzando soluzioni di anestetico più pesanti (iperbariche) o meno pesanti (ipobariche) rispetto al liquor, e ponendo il paziente in posizioni opportune.

Per contro, la possibilità che l'anestetico diffonda troppo in direzione del cranio dà origine a un indesiderato blocco a livello del sistema simpatico lombare, con conseguenti vasodilatazione e ipotensione; in caso di sovradosaggio, il blocco può giungere addirittura ai centri bulbari (anestesia spinale totale), interessando i muscoli respiratori, per cui si rende necessario intubare e ventilare il paziente, e inibendo totalmente la reattività simpatica, con la conseguenza di una vasodilatazione massiva. Simili eventualità sono molto rare e riconducibili a errori di esecuzione, mentre molto frequente è una complicanza minore, la cefalea postoperatoria, legata alla puntura della dura madre e alla fuoriuscita di quantità anche minime di liquor - rischio che può essere ridotto usando aghi molto sottili -. L'impiego di soluzioni molto concentrate (5-10%) potrebbe essere all'origine dei rarissimi casi descritti di lesione nervosa permanente.

L'anestesia epidurale è di esecuzione più complessa, perché lo spazio in oggetto è del tutto virtuale, il che richiede all'anestesista grande sensibilità nell'avvertire la perdita di resistenza che si ha superando il legamento giallo e grande prontezza nel bloccare la progressione dell'ago. La diffusione degli anestetici nello spazio peridurale è limitata, cosicché è meno frequente che essa avvenga in direzione del cranio e dia luogo a ipotensione. La cefalea non si verifica mai, in quanto non si ha puntura della dura madre. Tanto l'anestesia subaracnoidea che quella epidurale possono essere protratte nel tempo, mediante l'introduzione di piccoli cateteri che consentano di reiterare l'iniezione dei farmaci (anestesie continue).

L'indicazione per un'anestesia perimidollare può venire dal tipo di intervento o dal tipo di malato. Gli interventi chirurgici per i quali si possono impiegare tali anestesie (con differenze marginali tra epidurale e subaracnoidea, tra le quali ogni anestesista sceglie soprattutto in base alla propria personale esperienza) sono prevalentemente quelli di natura ortopedica agli arti inferiori, urologica, ginecologica e vascolare.

Riguardo al tipo di paziente, le anestesie perimidollari, come tutte le anestesie loco-regionali, comportano, rispetto a quella generale, una minore compromissione delle funzioni cardiorespiratoria e vascolare, oltre che un minore impegno per gli organi deputati all'eliminazione degli anestetici. Nei pazienti bronchitici cronici, asmatici, insufficienti epatici e renali, e negli anziani in generale, esistono indicazioni formali. Nei cardiopatici, le anestesie perimidollari sono indicate per ridurre un sovraccarico ventricolare sinistro da ipertensione arteriosa, da rigurgito aortico o mitralico, a condizione che non si verifichi riduzione del ritorno venoso; al contrario, esse sono controindicate nella stenosi aortica o mitralica. Indicazioni particolari per l'epidurale continua sono l'analgesia nel travaglio di parto e quella postoperatoria. Attualmente, il campo di applicazione delle anestesie epidurali si va ulteriormente estendendo con la pratica di associare a queste una narcosi superficiale e il rilasciamento muscolare. In tal modo, è possibile effettuare anestesie peridurali che coprono anche la parte alta dell'addome o addirittura il torace, il che comporta una riduzione della ventilazione spontanea.

Controindicazioni alle anestesie perimidollari, oltre al rifiuto o all'impossibilità di cooperazione da parte del paziente, possono essere rappresentate da una ridotta quantità di sangue a disposizione, una cardiopatia scompensata, un'ipertensione non stabilizzata, un'infezione nella sede dell'iniezione e una ipocoagulabilità ematica, sia spontanea, sia indotta farmacologicamente.

Bibliografia

Anesthesia, ed. R.D. Miller, New York, Churchill Livingstone, 19903.

Opioids in anesthesia II, ed. F.G. Estafanous, Stoneham, Butterworth-Heineman, 1991.

Principles and practice of mechanical ventilation, ed. M.J. Tobin, New York, Mc Graw-Hill, 1994.

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