Anfione

Enciclopedia Dantesca (1970)

Anfione

Giorgio Padoan

Figlio di Giove e di Antiope; questa, in seguito alla violenza subita ad opera di Giove (secondo altri, di Epafo) essendo stata ripudiata dal marito Lico, re di Tebe, partorì sul monte Citerone due gemelli, A. e Zeto (Omero nomina un terzo, Calato), i quali furono raccolti e allevati dai pastori. Divenuti adulti, i due fratelli vendicarono la madre uccidendo Lico e facendo strascinare la sua nuova moglie Dirce legata a un toro (cfr. Myth Vat. Lat. I 97). Impadronitisi del regno tebano e A. eletto re, egli volle cingere Tebe di mura; e in ciò si avvalse di una cetra ottenuta in dono da Mercurio per la sua valentìa di cantore e di musico: col suono di quella egli trascinò giù dal monte Citerone le pietre che andarono da sé a collocarsi in modo da formare il cerchio delle mura (Orazio Ars Poet. 394-396; Stazio Theb. VIII 232-233, X 873-877, e passim). A. sposò quindi Niobe, figlia di Tantalo, e si uccise disperato quando Apollo e Diana, irritati per la superbia di Niobe, fecero morire tutti i suoi figli (Ovid. Met. VI 165-312).

In lf XXXII 11 D. invoca l'aiuto delle Muse, ch'aiutaro Anfione a chiuder Tebe: in ciò accogliendo forse uno spunto della protasi della Tebaide (I 3-10 " unde iubetis / ire, deae? ... sequar quo carmine muris / iusserit Amphion Tyrios accedere montis ").

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