ANFORA

Enciclopedia Italiana (1929)

ANFORA

Luciano Laurinsisch

. La forma latina amphora, da cui deriva la nostra, proviene dalla parola greca ἀμϕορεύς che designava il grande vaso a due anse, atto al trasporto e alla conservazione dei liquidi. L'etimologia del nome da ἀμϕί e ϕέρειν, che si può trasportare per mezzo di due anse (v. Ateneo, XI, 501), è sicura perché in Omero troviamo la forma originaria del nome, che era appunto ἀαμχιϕορεύς.

Non sembra che l'anfora sia stata conosciuta prima della tarda età micenea, poiché appena allora appare il tipo da cui si svilupperà l'anfora di età classica. In queste anfore primitive (tombe di Milatos e Paleokastro, Museo di Candia) il corpo ha il diametro massimo spostato molto in alto cosicché le spalle si presentano molto larghe e piatte mentre le pareti sfuggono rapidamente verso il piede. Il collo è tozzo, e molto largo, le anse sono verticali e a largo nastro, il piede a imbuto rovesciato.

Rapida è l'evoluzione del tipo nel breve periodo che separa il miceneo tardo dal geometrico. Dal gran numero di esemplari usciti dalle necropoli di età geometrica, specialmente da quelle di Tera, del cimitero ateniese del Dipylon e delle Cicladi dobbiamo concludere che l'anfora sia stata allora la forma di vaso più in uso. I tipi degli anforoni di Tera e del Dipylon non differiscono fra di loro se non per alcuni particolari secondarî. Il corpo assume una forma ovoidale di solito piuttosto snella, il collo cilindrico è molto lungo, talora quanto l'altezza del corpo stesso. Le anse sono o verticali e a nastro o orizzontali e cilindriche. Il labbro è un po' rilevato e ad anello. Il piede è di solito a largo listello. Nella tav. LV è rappresentato un anforone funerario trovato nel cimitero del Dipylon (Atene, Museo Nazionale) dove, accanto ai motivi geometrici di meandri e reticolati, è una rappresentazione di una scena funeraria. Diversa è la forma delle anfore geometriche delle isole. Il corpo panciuto è munito di due anse orizzontali e s'innalza su un piede a tronco di cono; il collo è largo e tozzo.

Nel periodo orientalizzante, dominato dalle fabbriche corinzie, che prediligevano i piccoli vasi da profumi e fra i recipienti di maggiori dimensioni l'oinochoe, l'anfora non è stata in così grande onore; pure è necessario ricordare gli anforoni melici che per la loro forma derivano dalle anfore geometriche cicladiche ora descritte, le panciute anfore rodio-milesie, di Clazomene e di Fillekura, e l'anfora attica orientalizzante ancora molto vicina per forma alle anfore geometriche del Dipylon. La decorazione di questi tipi è di solito disposta a zone, in cui sono disegnate figure d'animali o di mostri, interrotte da motivi vegetali venuti dall'Oriente, palmette, fiori di loto, ecc. Non manca però la figura umana resa con disegno primitivo, ma in cui già si avverte il desiderio di esprimere scene complesse della vita dell'uomo e della divinità.

Con le anfore calcidesi "pontiche" (ionico-italiche) e protoattiche si stabilisce definitivamente la forma che dominerà nella ceramica di stile attico a figure nere e a figure rosse. Due vasi del Museo Civico di Bologna illustrano la nostra descrizione: nel primo tipo (fig.1, a) il corpo dell'anfora ha spalle assai larghe e diritte e pareti sfuggenti verso il piede, il quale consta di un rilievo anulare sovrapposto a un largo disco piatto. Il collo è a rocchetto abbastanza alto e il labbro molto svasato ha un orlo sottile. Le anse, a sezione cilindrica, uniscono verticalmente la linea mediana del collo con le spalle. Nel secondo tipo (fig.1, b) il corpo ha una forma ovoidale e le pareti si restringono lentamente in alto formando il collo, cosicché fra questo e le spalle non si stabilisce una linea di separazione, come nell'altro tipo. Il labbro molto grosso è formato da un collarino aggettante e il piede è a calotta sferica. Le anse hanno la stessa forma del tipo già descritto. L'anfora portava di solito un coperchio, che s'incastrava nella bocca e recava nella parte superiore un bottone per la presa. Nello stile attico a figure rosse la forma si fa talora più slanciata e si prediligono le anse tortili, ma non cambia essenzialmente.

Caratteristica è l'anfora di un ceramista dello stile attico a figure nere, Nicostene, imitata più tardi da Panfaio, vasaio dello stile severo a figure rosse. Nella fig.1, c è riprodotto uno degli esemplari firmati (Bologna Museo Civico); il corpo ovoidale poggia su un alto piede a tromba. Il collo lunghissimo è fortemente svasato alla bocca. Le anse molto larghe si staccano come una piastra dall'orlo unendosi alle spalle. La forma di esse e i numerosi anelli plastici che dividono il corpo in tanti segmenti dimostrano che l'artista ha avuto presente dei modelli metallici nell'ideazione di questo tipo singolare.

Una dasse a parte delle anfore attiche è quella delle anfore panatenaiche, che, riempite dell'olio estratto dagli ulivi sacri dell'Accademia, venivano date in premio ai vincitori nelle gare istituite da Pisistrato l'anno 556 a. C. a ornamento della grande festa religiosa in onore di Atena. Ci sono pervenute in numero di 130, non solo da Atene ma anche dalla Cirenaica, dal Chersoneso Taurico, e specialmente da tombe etrusche. Negli esemplari più antichi, la forma non è molto diversa da quella delle altre anfore a figure nere, e soltanto più ventricolosa ed appuntita. La decorazione scenica, come nella maggior parte delle anfore attiche, è divisa in due riquadri. Nella anteriore (v. tav. LV) è rappresentata la figura di Atena promachos, cioè con elmo, scudo ed egida nell'atto di vibrare la lancia. Ai lati su due colonnine vi sono i simboli della dea. Accanto ad una di esse vi è la formula τῶν 'Αϑήνεϑεν ἄϑλων. Nella parte posteriore v'è un accenno alla gara per cui l'anfora fu data in premio (bighe, corsa a piedi, giavellotto, ecc.). Nulla sappiamo del momento in cui ebbe termine l'uso delle anfore panatenaiche; è possibile che alla scomparsa delle ceramiche attiche a figure rosse sieno subentrate alle anfore di argilla dei vasi di bronzo di ugual forma. Sappiamo invece che con l'anno 373-372 le anfore panatenaiche incominciano ad essere datate, poiché accanto alla formula tradizionale portano il nome dell'arconte eponimo. Anche in questi ultimi esemplari per una ragione conservatrice d'ordine religioso si perpetua la tecnica a figure nere, ma la figura arcaica della dea si muta in un tipo arcaizzante in cui ogni elemento è stilizzato. Elegantissima è la loro forma. Il collo sottilissimo si allunga sollevandosi rapidamente dalle spalle. La bocca svasata, quasi a forma di calice, è chiusa talora da un coperchio conico, sormontato da un alto bottone appuntito. Le anse sono alte e sinuose e il piede è unito al resto del vasti per mezzo di un esile collo.

Questa forma così elegante si ritrova anche nelle anfore apule (figura 2, Bologna, Museo Civico), che, sebbene lontane dalla grandezza artistica dei vasi dei secoli VI e V a. C., pure nella ricchezza degli ornati e nella vivezza dei colori appaiono ai nostri occhi come oggetti lussuosi e di buon gusto degni di ammirazione.

Gli esemplari esaminati fin qui rientrano tutti nella classe dei vasi dipinti, ma non v'è dubbio che anche prima del massimo fiorire del commercio greco, cioè prima dell'età ellenistica, fossero di largo uso per il trasporto dei vini e degli olî le anfore di argilla non decorate. È perciò con l'età ellenistica e romana che esse acquistano la più larga diffusione. I centri principali delle anfore da trasporto erano Rodi, Cnido, Taso e Chio. Per forma non differivano molto fra di loro, erano tutte puntute ed avevano delle anse verticali. Nell'anfora rodiota il diametro massimo del corpo anziché essere sulla linea delle spalle era portato verso il fondo. La provenienza delle anfore greche era segnata da un bollo impresso su una delle due anse.

Presso i Romani l'anfora era il recipiente più in uso per la conservazione e il trasporto dell'olio e del vino (amphora vinaria e amphora olearia), sì che innumerevoli sono gli esemplari giunti sino a noi, uguali per forma all'anfora greca da trasporto. Le anfore venivano chiuse con tappi di sughero o d'argilla ricoperti di gesso o di pece (operculum gypsare) e portavano l'indicazione della qualità del vino, della sua età, del nome del produttore e del commerciante, disegnata sul corpo con tratti di pece o di colore oppure scritta su delle etichette (superinscriptio, nota, titulus, tessera, pittacium). Le anfore, non potendo reggersi a causa della loro forma puntuta, venvano appoggiate alla parete della cantina o conficcate nella sabbia. Quando se ne richiedeva l'uso venivano portate nel triclinio e messe con la punta in un supporto apposito (gr. ἀγγοϑήκη; lat. incitega). Oltre all'argilla, varî altri materiali erano impiegati nella fabbricazione delle anfore: il bronzo, l'argento, l'alabastro, il vetro e, a detta di Omero (Il., XXIII, 92; Od., XXIV, 74), anche l'oro. Il bronzo era, s'intende, il materiale più usato dopo l'argilla. Esemplari magnifici, riccamente decorati specialmente sulle spalle e ai peducci delle anse, sono usciti da mani di artefici etruschi, toreuti eccellenti.

L'anfora a vaso ansato continuò ad appartenere nel Medioevo e nel Rinascimento alla suppellettile domestica. Scomparsa, ma non del tutto - come prova il grande vaso musulmano del Museo di Palermo (fig. 3) - l'anfora ingombrante, da posare in terra, fu più usata quella portatile munita di una o due anse e di piede. In terracotta si usa pur sempre per portare acqua; in metallo, a tenere l'acqua ed il vino per la mensa. Assai tardi, e diventata piccola e leggiera, prese posto sulla mensa stessa, anziché esser lasciata su qualche credenza. Serviva inoltre l'anfora ad acqua - o acquereccia - per le abluzioni (e si accompagnava perciò con un bacile), come si vede nel lavabo del Buggiano nel duomo di Firenze. La forma variò all'infinito: rotonde, ovali, esagonali; prevale l'anfora a corpo cilindrico; molto diffusa nel Medioevo è l'anfora a forma di animale. Si usarono anfore di piccole dimensioni e di materia preziosa. Comune è il caso di vasi antichi trasformati in anfore nel Medioevo, come quelli del Louvre, già appartenenti al Tesoro di Saint-Denis: uno è in cristallo di rocca, uno in sardonica ed uno in porfido; la trasformazione è del sec. XII. Gli inventarî principeschi del tardo Medioevo mostrano che si amava avere a decine le anfore d'oro, d'argento, di rame, per esporle in occasione delle feste per battesimi e nozze sulle credenze come ornamento e manifestazione di ricchezza. Si continuano a fabbricare anfore ancora nel Rinascimento, sia in argento lavorato, sia in ceramica. L'anfora compare ancora nel sec. XVII: nel 1685 il doge di Genova offre a Luigi XIV un'anfora d'oro con bacili. Poi fu spodestata dall'uso delle bottiglie di vetro; rimase solo l'anfora ornamentale di lusso, specie nel neoclassicismo del sec. XIX, o si conservi l'uso del metallo o si faccia in terracotta; verniciata secondo la moda in azzurro con delicate ornamentazioni in oro. Come elemento decorativo l'anfora fu riadoperata nel Rinascimento, soprattutto da Donatello e dai suoi seguaci.

Metrologia. - In Atene l'ἀμϕορεύς fu misura di capacità del valore di un μετρητής (l. 38, 88); presso i Romani l'amphora corrispondeva a 48 sextarii (l. 26, 196).

Bibl.: O. Krause, Angeiologie, Halle 1854, p. 249; Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecques et rom., I, Parigi 1877, p. 248; W. Smith, A dict. of Greek a. Rom. Antiq., Londra 1890, p. 115; Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., I, col. 1969 segg.; R. Forrer, Reallex. d. praehist., klass. u. fruâchristl. Altert., Berlino 1907, pp. 28, 285; H. B. Walters, Hist. of ancient pottery, Londra 1905, p. 153; M. Herford, A handbook of Greek vase painting, Manchester 1909, p. 36; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung d. Griechen, Monaco 1923. Per le anfore panatenaiche, v. P. Ducati, Storia della ceramica greca, Firenze 1921, pp. 255, 259, 435, 439; E. Pfuhl, op. cit. Per i sigilli greci apposti alle anfore, v. bibl. in Hermann-Blümner, Griechische Privataltertümer, III, p. 230, 4; Corpus Inscr. Grec., XII. Per i bolli romani, Cor. Inscr. Lat., XV, ii, suppl. al vol. VI; R. Forrer, op. cit., p. 831.

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