ANGELO di Michele, detto il Montorsoli

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANGELO di Michele, detto il Montorsoli (in religione Giovanni Angelo)

Stefano Bottari

Nacque a Montorsoli (Firenze) nel 1507, e fece il tirocinio, attento principalmente alle forme di Iacopo Sansovino, nella bottega del fiesolano Andrea Ferrucci, ma sulla sua formazione e sul suo orientamento ebbero un notevole peso ed una decisa influenza il soggiorno a Roma e successivamente l'attività svolta, su suggerimento di Michelangelo, come restauratore delle sculture antiche del Belvedere.

Nel 1524 il Ferrucci venne incaricato di lavori nella Libreria e nella Sacrestia di S. Lorenzo a Firenze, lavori interrotti nel 1527 per la guerra e la peste e poi non più ripresi per la morte dello stesso Ferrucci. Fu in occasione di tali lavori che il Montorsoli si fece apprezzare da Michelangelo, che nel 1532 lo chiamò a Roma per collaborare all'esecuzione della tomba di Giulio II e, l'anno successivo, lo incaricò del compimento delle statue di Giuliano e di Lorenzo de, Medici nelle sepolture di S. Lorenzo e lo nominò pure "soprastante a la sepoltura doppia de la sacrestia". Tra l'inizio e il compimento dei lavori fiorentini cade pure la crisi, determinata dalla non facile situazione in cui a un certo punto venne a trovarsi (senza assistenza, lavoro e maestro), che, dopo incertezze e perplessità, portò il Montorsoli ad entrare nell'Ordine dei servi dell'Annunziata (7 ott. 1530), assumendo il nome di Giovanni Angelo, e a cantare la sua prima messa "con molta pompa ed onore". Tra le opere di questo primo momento un punto ben fermo è costituito dal S. Cosimo di S. Lorenzo, in cui l'apertura plastica di ispirazione michelangiolesca è volta ad intendimenti scopertamente manieristici, e poi dalle due enfatiche statue in stucco (Mosè e S. Paolo), ora nella cappella dei Pittori all'Annunziata (Firenze); ma è probabile che già prima abbia eseguito il busto di Tommaso Cavalcanti (Firenze, S. Spirito), che si caratterizza per una ferma incisività di ascendenza sansovinesca, e tra un momento e l'altro, mettendo a profitto quella che ormai può dirsi la sua duplice esperienza, la tomba del generale dei serviti Angelo Aretino, nella chiesa di S. Pietro di Arezzo, tomba che sarà poi riecheggiata, ma in forme più complesse e organiche, in quella di Mauro Maffei nel duomo di Volterra (1536-37), e successivamente in quella del Sannazzaro nella chiesa di S. Maria del Parto in Napoli eseguita, dal 1538 al 1540, tra Carrara e Genova. Per questa il Montorsoli ideò la intelaiatura architettonica e scolpì, oltre il S. Iacopo in una nicchia della parete, il busto del poeta e i due puttini che lo fiancheggiano. Le due luminose statue allegoriche sul basamento e la figura di S. Nazario sono dell'Ammannati, chiamato dal Montorsoli a coRaborare all'impresa: ed è probabile, come è stato ora proposto, che allo stesso Ammannati si debba la base del monumento, che ha nel centro un cartiglio tra due putti splendidamente snodati. Il rilievo della parte centrale con la scena dell'Arcadia, di una grazia tenue, inquieta e flessuosa, se fosse del Montorsoli (per esso si fa ora il nome di Silvio Cosini) potrebbe convalidare l'attribuzione del Fauno sdraiato di palazzo Barberini: ma non si vede come l'uno e l'altro possano inserirsi nel percorso montorsoliano e conciliarsi con le esperienze dell'artista. Se si aggiungono alle opere e agli avvenimenti, via via ricordati, un breve viaggio in Francia al seguito del cardinale Turone, la partecipazione a Firenze agli apparati trionfali in onore di Carlo V (1536), il gruppo di Ercole e Anteo per la fontana grande della Villa di Castello, si ha un quadro pressoché completo, almeno per quanto si conosce, dell'attività varia del Montorsoli avanti il momento genovese che, con quello messinese, è più noto e documentato.

Il soggiorno del Montorsoli a Genova - se si toglie la breve corsa a Napoli, tra il '42 e il '43, per mettere a sesto la tomba sannazzariana - va dal 1539 al 1547. Nella prima parte del soggiorno portò a termine e, non senza contrasti, sistemò la gigantesca statua in onore di A. Doria (abbattuta nel 1797), della quale si vede un troncone nel cortile del palazzo ducale, ed insieme la statua di S. Giovanni Evangelista nell'abside del duomo, che si fa ammirare per la scattante torsione; nella seconda parte del soggiorno troviamo invece l'artista e i suoi collaboratori impegnati, sempre per conto dei Doria, in opere più complesse e di maggior respiro: l'omamentazione del presbiterio e della cripta di S. Matteo, la trasformazione in villa dell'antico Palazzo del Principe a Fassolo.

La decorazione del presbiterio di S. Matteo riecheggia idee michelangiolesche, ma in maniera piatta e statica, anche se ad avvivarla interviene il colore. Per le sculture disposte attorno all'abside o nelle fiancate del presbiterio, il Montorsoli si rifà ancora una volta al suo modello preferito (valga il caso della Pietà nel centro dell'abside) o accoglie stimoli e suggerimenti dagli scultorí che avevano ideato ed eseguito le statue per l'abside della cattedrale (Della Porta, Sansovino, ecc.), o cede al fascino (sculture del pulpito) del raffaellismo genovese orientato dall'opera di Perin del Vaga; nella parte invece che gli spetta nella trasformazione del Palazzo del Principe, e particolarmente nella sistemazione dei giardini superiori, mise a profitto i risultati piu efficienti dell'architettura del momento, e slargò. il respiro del palazzo in quello della natura, con gallerie aperte sui giardini o inserite in essi, che adornò pure di prestigiose fontane, delle quali ancora si vede quella del Tritone con movenze che anticipano le sculture di Messina.

Nel 1547, ultimati i lavori a Genova, il Montorsoli tornò a Roma, e qui trovò modo di mettersi in contatto con i rappresentanti del Senato messinese, venuti alla ricerca di un artista per la fontana celebrativa del nuovo acquedotto, che convogliava nella città le acque del Camaro. Il Montorsoli seppe cogliere l'occasione, e nel settembre dello stesso anno era già in Messina, ove iniziava un fervido decennio di attività (1547-1557), durante il quale, sulla base delle sue ormai maturate e complesse esperienze, realizzò alcune delle sue opere più alte; decennio di attività che fortemente incise sulla cultura locali, cambiandone l'orientamento in senso rinascimentale, ed ebbe anche un seguito in tutto l'ambiente siciliano. L'opera alla quale subito si applicò fu la grande fontana di Orione sistemata nella piazza del duomo, che lo tenne impegnato dal 1547 al 1551; nel 1550, nominato capomastro e scultore della città, diede inizio all'Apostolato del duomo, cioè alla decorazione interna delle fiancate, per la quale previde una duplice fila di sei cappelle entro la quale trovarono posto - a partire dal S. Pietro da lui stesso scolpito - le statue degli Apostoli; nel 1552 ideò la chiesa di S. Lorenzo, distrutta dal terremoto del 1783, che per un fianco s'affacciava sulla piazza; successivamente altri monumenti ed altre opere come la torre di S. Raineri, e finalmente, prima di lasciare la città, l'altra grande fontana, quella di Nettuno in vista del mare, fontana tuttora conservata, anche se non più nel suo sito originario e non più con tutto il corredo delle sculture autografe (la Scilla e il Nettuno sono infatti al Museo, e nella fontana sostituite da copie).

Le due fontane di Orione e di Nettuno, tra le opere conservate, son quelle alle quali principalmente s'affida la fama del Montorsoli, e tra le opere del genere prendono posto tra le più alte di questo momento. Quella di Orione sorge su un complesso piano dodecagonale, tutto sporgenze e rientranze, e ospita sui lati bassorilievi con scene allegoriche e mitologiche, e sui bordi statue di Fiumi. Lo stelo centrale, con le due grandi tazze concentriche culminate da un gruppo di putti a sostegno della mitica figura di Orione, è tutta una fiorita architettura di gruppi statuari, che riecheggiano, nelle loro ritmiche sequenze. il vivace movimento della gran vasca basamentale. A sostegno della prima tazza è un gruppo di quattro tritoni, sul tipo di quello genovese già ricordato, ritmicamente annodati; a sostegno della seconda tazza è il gruppo delle naiadi, sciolto e fluido al pari delle immagini di estrazione raffaellesca, dalle quali deriva. Più contenuto il movimento nella seconda fontana, al centro della quale, su alta base, si leva la gigantesca figura di Nettuno, alquanto atona e vacua come tutte le statue di grandi dimensioni realizzate dal Montorsoli. Il dio marino, questo gigante di grandi dimensioni ma senza grandezza alcuna, èfiancheggiato dalle due figure di Scilla e Cariddi: i due mostri in seducenti e insidiose forme umane, ma ormai fermamente incatenati. Esemplate su antichi modelli, queste due figure sono le più alte del complesso, e prendono posto tra i capolavori del manierismo italiano.

L'intelaiatura architettonica dell'Apostolato - una serie di-arconi inquadrati da pilastri compositi, cornice agli altari, di struttura mossa e vivace, che racchiudono entro edicole Ie statue degli Apostoli - è di origine toscana e michelangiolesca, come di origine toscana è, tra i piedritti e gli altari, la decorazione geometrica di marmi policromi, che troverà in Sicilia un vistoso ed esuberante svolgimento (Boscarino).

Nel 1557 il Montorsoli, che già s'era "sfratato", dovette ritornare, in obbedienza all'ordine di Paolo IV, alla disciplina del convento: lo ritroviamo quindi a Roma e a Firenze, e dal 1559 al 1561 a Bologna, impegnato nell'esecuzione dell'altare principale della chiesa dei Servi. La vena del manierismo più atono e disincantato, che pure attraversa la sua attività, restando però, nei momenti più felici, sommersa dal festoso impegno decorativo e da un aggancio convinto alle forme classiche, ora riaffiora cupa, anonima, senza più slanci e ardore di fantasia. Le molte sculture dell'altare dei Servi, aride e compassate, definiscono questo momento, che è di involuzione e di decadenza. Né un'idea più alta danno le più tarde opere fiorentine, del momento in cui, con altri, attende pure a rimettere in funzione l'Accademia del Disegno. Morì a Firenze il 31 ag. 1563.

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le Vite... con nuove annotaz. e commenti di G. Milanesi, VI ,Firenze 1881, pp. 629-660; M. Buonarroti, Le Lettere... a cura di G. Milanesi, Firenze 1875, passim; G. P. Lomazzo, Trattato dell'Arte della pittura, scultura ed architettura, Roma 1844, III, p. 217; R. Borghini, Il Riposo, Firenze 1584, pp. 163, 495-498; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno.... VI, Firenze 1820, pp. 221-246; J. Doria, La chiesa di San Matteo in Genova, Genova 1860, pp. 10-14; G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI. Memorie storiche e documenti, I, Palermo 1880, pp. 761, 769-780; II, ibid. 1883, p. 288; S. Bottari, G. A. Montorsoli a Messina, in L'Arte, XXXI(1928), pp. 234-244; A. Venturi, Storia dell'Arte italiana, X, 2, Milano 1936, pp. 88, 107-153 (con bibl.); A. M. Gabrielli, Su B. Ammannati, in La Critica d'arte, II (1937), p. 89; F. Basile, Studi sull'architettura di Sicilia - La corrente michelangiolesca, Roma 1942, pp. 35-56; S. Boscarino, L'opera di Giovanni Angelo Montorsoli a Messina, Roma 1957 (con larghi riferimenti bibl.); C. Manara, Montorsoli e la sua opera genovese, Genova, 1959 (con bibl.); M. G. Ciardi Dupré, La prima attività dell'Ammannati scultore, in Paragone (1961), n. 135, pp. 3-28.

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