EMO, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

EMO, Angelo

Renata Targhetta

Nacque a Venezia il 9 sett. 1666 da Pietro di Gabriele, dei ramo a S. Maria dei servi nel sestiere di Cannaregio, e da Fiordiligi Valmarana di Prospero. Fu il secondo di quattro maschi (documentata anche la presenza di una sorella, Eugenia, andata sposa nel 1690 a Giovan Battista Zen), in una famiglia di modeste fortune: la redecima del 1740 gli avrebbe infatti assegnato, in unione all'unico fratello superstite, Giovanni, un'entrata netta di poco inferiore ai 4.000 ducati annui.

L'endemico stato di guerra contro il Turco, che caratterizzò quasi interamente la seconda metà del XVII secolo, forni all'E. l'occasione di avviarsi alla carriera militare, che avrebbe poi segnato tutta la sua vita in un incessante susseguirsi di sempre più prestigiosi incarichi, sia nella flotta sia nei reggimenti del Levante e, in seguito, della Terraferma.

Il 16 sett. 1690 fu nominato governatore di galeazza: la guerra della Lega santa proseguiva scandita dai continui successi delle armi venete, che già si erano impadronite della Morea e da poco avevano sconfitto la flotta avversaria a Mitilene; il giovane E. si trovò coinvolto nel clima di entusiasmo che la "crociata" suscitava nelle menti e negli animi dei contemporanei e quando, il 2 maggio 1693, fu eletto nobile in Armata, poté assistere di persona all'ultima campagna del vecchio doge Francesco Morosini, che per la quarta volta ricopriva l'incarico di capitano generale da Mar: l'impressione che ne trasse risulta con evidenza nella cominossa rievocazione delle gesta dell'"eroe del suo secolo", che molti anni dopo egli avrebbe inserito nella relazione del proprio generalato in Morea, e - ma soprattutto - nello spirito di dedizione al servizio pubblico cui sarebbe rimasto sinceramente fedele nel corso di una lunga carriera.

Tornato in patria, l'8 giugno 1696 entrò a far parte dei provveditori di Comun, ma non portò a termine il mandato dal momento che il 14 luglio dell'anno successivo preferi optare per l'incarico di commissario pagatore in Armata, che lo avrebbe portato in Morea, a vivere l'ultima fase della guerra fra le truppe e in mezzo agli apprestamenti militari.

Della missione ci restano trentasette dispacci, compresi tra il 14 febbr. 1698 e il 30 maggio 1701, e sono documenti ancor oggi di indubbio interesse per chi voglia conoscere la struttura e la consistenza della flotta e delle truppe venete impegnate in Levante. Nel corso della campagna del '98 segui le operazioni inilitari spostandosi da Porto Poro ad Imbro, a Porto Castri, sollecitando costantemente dal Senato nuove sovvenzioni per le ciurme "estenuate", denunciando le prevaricazioni dei capi, tentando di prevenire violenze tra i rematori.

Infine, quando poi "la beatitudine della pace" aveva ormai chiuso il "travaglioso periodo", l'E. chiese il rimpatrio, al quale però il Maggior Consiglio rispose notificandogli l'elezione a provveditore e capitano a Corfù, con l'invito a recarsi immediatamente nell'isola. Qui l'E. rimase due anni, fino all'estate del 1703, occupandosi soprattutto di rafforzare le fortificazioni militari e di garantire il vettovagliamento della flotta. Ottenuto finalmente il rientro, di li a qualche mese dovette nuovamente lasciare la sua città: il 10 maggio 1704 fu infatti nominato capitano straordinario in golfo, a motivo della neutralità armata proclamata dalla Serenissima nel corso della guerra di successione spagnola, e successivamente (7 marzo 1705) provveditore generale in Morea.

Tornava dunque nel regno da poco strappato ad una secolare dominazione turca, in una terra povera e spopolata, fra genti dominate dalla corruzione e dalla violenza, dove la Repubblica tentava di porre in atto provvedimenti volti a risollevare l'economia e la pace sociale della regione.

In Morea l'E. si fermò tre anni (il primo dispaccio, da Venezia, è del 17 sett. 1705, l'ultimo, da Modone, del 15 ott. 1708), sforzandosi di risolvere molteplici e complessi problemi. Di questa sua attività ci restano due notevoli testimonianze: un'Instruzione alsuccessore Antonio Loredan (ottobre 1708) e la relazione presentata alla Signoria il 9 genn. 1709.

La prima costituisce una sorta di dettagliata esposizione delle difficoltà incontrate e dei mezzi prescelti per venirne a capo: è un documento di ampio respiro, dal taglio concreto; lo stile non è privo di eleganza, pur badando soprattutto alla chiarezza da alla sobrietà. Due i punti presi in esame: l'economia e la milizia; "odiosa materia", la prima, per un pubblico rappresentante che volesse coniugare la tutela degli interessi dello Stato con il rispetto delle fondamentali esigenze di contadini miserabili e vessati da esattori infidi e avidi; migliore la situazione dell'apparato militare, peraltro volto più a reprimere l'endemico brigantaggio, specie degli abitanti della Laconia, che a provvedere alla difesa esterna. Intere vallate, grosse Comunità erano infatti dedite al latrocinio ed al saccheggio: impossibile venire a capo di tanti pregiudizi; impensabile il tentativo di far valere i principi della giustizia e del diritto: alla violenza era necessario rispondere con la violenza, questo l'implicito suggerimento rivolto dall'E. al successore attraverso la rievocazione della propria condotta: "Mi sono l'anno caduto ridotto ad un violento rimedio, con l'incendio totale della villa di Garanza, nel territorio di Caritena, upa delle più grosse e contumaci …". Quanto alla relazione, G. Cozzi ebbe modo di definirla "di straordinaria ampiezza, densità, lucidità: una delle più belle, certamente delle più coraggiose e vigorose, che sia dato trovare negli archivi veneziani". In essa la trattazione trascende la dimensione del ricordo individuale per assumere la scansione ed il respiro dell'analisi scientifica; di intensa suggestione la pagina iniziale, con la rievocazione della passata grandezza del Peloponneso, ma deludente il successivo bilancio di un ventennio di dominazione veneta: falliti i tentativi di organizzare una catastazione dei terreni, di ripopolare il paese, di far vivere il commercio, di introdurre leggi e codici. Sconsolante la conclusione, priva di suggerimenti o proposte, ma ad un tempo umanissima: "Se uno spirito di carità non regola le menti di chi governa quel paese nello stato in cui si trova ridotto, non v'è luogo per esso a salute".

Tornato a Venezia, il 1º febbr. 1710 fu eletto consigliere ducale per il sestiere di Cannaregio e qualche mese più tardi, il 7 giugno, accettava l'incarico di provveditore straordinario in Terraferma, che sostenne sino al termine della guerra di successione spagnola. Passò quasi tre anni nelle piazzeforti di Verona e Brescia, badando soprattutto ad impedire sconfinamenti delle truppe imperiali che scendevano giù dal Tirolo per raggiungere il Mantovano e a tenere sotto controllo gli immancabili focolai di epidemie che accompagnavano la marcia degli eserciti.

Utrecht aveva da poco regalato la pace all'occidente d'Europa, che già ad oriente nuove minacce si levavano 1 per la Repubblica; il 6 maggio 1713 l'E. era eletto provveditore generale in Dalmazia ed Albania.

L'ultima guerra contro il Turco - che nel giro di pochi mesi avrebbe visto la caduta della Morea - lo condusse dunque ad operare in una regione sino ad allora sconosciuta, lungo un fronte vastissimo, a cimentarsi con problemi nuovi e gravidi di pericolose implicazioni. Rimase colà. dividendosi tra Spalato e Cattaro, dal luglio 1714 al maggio del '17: angustie gli derivarono sia dalle popolazioni di confine soggette ai Turchi, desiderose "di passar al pubblico dominio", sia dai mercenari tedeschi inviati alla difesa di Corfú: pure seppe fare scudo efficacemente a Signo ed infliggere una decisiva sconfitta al pascià di Bosnia.

L'E. si trovava ancora nel mezzo della guerra, allorché gli pervenne notizia della sua elezione a podestà di Padova (29 nov. 1716). Rifiutò. Gliene mancavano la volontà, i mezzi, le energie. Nei suoi confronti scattò quindi la pena del bando, contro la quale ricorse (con successo) l'autorevole fratello Giovanni. Cosi, dopo qualche tempo, la misura fu revocata, ma per alcuni anni il suo nome non comparve più tra gli elenchi del Segretario alle Voci; soltanto il 7 nov. 1722 gli fu affidata un'altra carica, quella di provveditore all'Armar, subito seguita dalla nomina a deputato al Militar (9 sett. 1723-24 marzo '24): fra il '23 ed il '24 fu anche aggiunto ai riformatori dello Studio di Padova, depositario del Bancogiro, inquisitore sopra l'Università degli ebrei ed infine provveditore alla Sanità in Istria, dove rimase tra l'aprile ed il giugno 1724, badando soprattutto a controllare le imbarcazioni provenienti dai porti ottomani, dove serpeggiava la peste, e ad impedire infiltrazioni dalla parte di terra, che avrebbero potuto fomentare disordini. I timori del contagio svanirono però ben presto, e alla fine della primavera vennero tolti i posti di blocco e ripristinate le normali comunicazioni tra i territori austriaci e quelli veneti. L'anno seguente l'E. fu sopraprovveditore alla Sanità e membro del Collegio delle miniere; quindi regolatore alla Scrittura (dal 26 ag. 1726 al 14 genn. '28, allorché optò per il saviato alle Acque), e ancora inquisitore sopra le Scuole Grandi, e provveditore all'Arsenale; il 7 luglio 1728 venne poi nominato provveditore alla Sanità, questa volta ad Adria, nel Polesine, dove si fermò due mesi a comandare alcune compagnie di schiavoni alle quali era stato delegato il compito di impedire le comunicazioni con lo Stato pontificio, ed in particolare con i mercanti che si recavano alla fiera di Senigallia, sospettata di essere un focolaio di contagio.

L'incarico più prestigioso della sua carriera (ma certo non il più impegnativo) gli venne affidato l'11 sett. 1729: si trattava del bailaggio a Costantinopoli, al quale era stato eletto Francesco Donà, la cui partenza da Venezia era però stata sospesa a motivo di un grosso debito contratto da quest'ultimo nel corso di una precedente ambasceria a Vienna; l'E. accettò la nomina "inattesamente conferitagli", ed un anno più tardi giungeva sulle rive del Bosforo, dove trovava ad attenderlo il segretario Orazio Bartolini, rimasto a sostenere il peso della legazione dopo l'improvvisa morte (22 sett. 1729) del bailo Daniele (III) Dolfin.

Partito il Bartolini, l'E. trascorse a Costantinopoli quattro anni tutto sommato tranquilli, limitandosi ad inviare al Senato notizie relative al commercio dei legni veneti e a registrare le incessanti tensioni che opponevano la Porta alle mire espansionistiche russe; nel dicembre del '32 fece il suo ingresso ufficiale come ambasciatore straordinario presso il nuovo sultano Mahmud, insediato dai giannizzeri al posto dell'avido ed imbelle Ahmed, e nel marzo 1735 era nuovamente a Venezia.

Membro del Consiglio dei dieci e inquisitore di Stato dal 1º ott. 1735 al 30 sett. '36, venne successivamene nominato deputato alle Valli di Montona, sopraprovveditore alla Giustizia nuova, inquisitore sopra i Fucili, provveditore agli Ogli, savio alle Acque, deputato al Militar: cariche che esercitò tutte per pochissimo tempo, giacché preferi sempre optare per la successiva; eletto podestà a Brescia il 27 maggio 1738, rifiutò, ma due mesi più tardi dovette accettare la nomina a capitano di Padova, presto accompagnata da quella di vicepodestà.

Nella città euganea l'E. si trattenne per oltre diciotto mesi, nella stringata relazione, presentata in Senato il 24 sett. 1740, egli rammentava i due principali punti ai quali aveva rivolto la propria attenzione: la riforma delle scuole laiche della città e del territorio ed i provvedimenti con i quali era riuscito a soddisfare alle esigenze annonarie dei suoi amministrati, "anche tra le calamità d'una stagione la più scarsa, e miserabile de prodotti".

Tra il '40 e il '41 l'E. fu provveditore alle Fortezze e poi alle Beccarie, infine il 5 ag. 1741 venne eletto provveditore generale in Terraferma, in occasione della guerra di successione austriaca. Aveva quasi settantacinque anni, buona parte dei quali trascorsi nella flotta o al comando delle truppe; rifiutò, ed al suo posto furono successivamente nominati Andrea Comer e Simone Contarini, ma l'uno e l'altro ottennero la dispensa, e cosi, quando il 18 novembre l'E. venne nuovamente invitato ad assumere la carica, decise di accettare: in fondo, quale miglior modo per suggellare una vita spesa al servizio dello Stato?.

Tra la fine del '41 e l'estate del '44, l'E. risiedette a Verona, pur conducendo frequenti ispezioni alle fortificazioni di Legnago e Orzinuovi, in compagnia dell'antico compagno d'armi, il maresciallo J. M. von der Schulenburg. Non incontrò grosse difficoltà: agli inizi dovette affrontare il diffondersi di un'epidemia tra le cernide, quindi si limitò a sorvegliarre il transito dei reggimenti austriaci che scendevano dal Tirolo; ma la Terraferma veneta non fu teatro di scontri, perché gli Spagnoli del duca di Montemar non oltrepassarono la linea del Po.

Al termine del mandato l'E., ormai ottuagenario, ricopri l'ufficio di provveditore all'Arsenale (10 dic. 1744-9 dic. '46); fu il suo ultimo incarico: tormentatato dalla podagra, mori "da febbre acuta", il 13 giugno 1750, a Venezia.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii…, III, p. 400; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 24, c. 16; reg. 25, cc. 4 ss., 155, 218, 253; reg. 26, c. 219; reg. 27, cc. 155, 202; Ibid. Elezioni dei Pregadi, reg. 20, cc. 163, 167; reg. 21, cc. 117, 127, 160, 171; reg. 22, cc. 40 s., 44, 51, 59, 64, 68, 78, 83, 92, 1215 s., 166, 172, 174, 176; reg. 23, c. 39; Ibid., Miscell. codici. Elezioni del Consiglio dei dieci, reg. 67, ad annos 1725, 1727, 1735, 1736; Ibid., Dieci savi alle decime. Redecima 1740, b. 326/478; Ibid., Provveditori alla sanità. Necrologi, reg. 938, sub die 13 giugno 1750. Numerose le fonti e i documenti relativi alla intensa carriera politico-militare dell'E.: sul commissariato in Armata, Ibid., Provveditori da Terra e da Mar, b. 1255; sul generalato in Morea, Ibid., Ibid., bb. 838, 853; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 2365: Instruzione del n.h. Anzolo Emo al successore. 1708; la relazione in Arch. di Stato di Venezia, Collegio. Relazioni, b. 86 (edita a cura di S. P. Lampros, Δελτίον τῆς ὶστρικῆς καῖ έθνολογιχῆς ᾶταυρείας τῆς ᾿Ελλάδος, V/20, ᾿Αθῆναι 1900. pp. 644-706); per il generalato in Terraferma del 1710-13, Ibid., Inquisitori di Stato, b. 415: Dispacci del provveditore straordinario in Terraferma, sub 11nov. 1710 e 9 genn. 1711; su quello in Dalmazia, Ibid., Provveditori da Terra e da Mar, bb. 555-558; per i provveditorati alla Sanità in Istria e in Polesine, Ibid., b. 324; sul bailaggio, Ibid., Senato Dispacci Costantinopoli, ff. 183-186 (la relazione dell'ingresso è stata pubbl. da V. Emo, Relazione dell'ingresso in Costantinopoli del n.h. Anzolo Emo bailo…, Treviso 1883); Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 1367/III: Relaz. Del bailo Anzolo Emo sul detronamento di Achmed sultano. 1730, e relazione delle deliberazioni prese dal nuovo sultano; Arch. di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, b. 431: Lettere di baili a Costantinopoli, ad annos 1732-33; Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3542/X: Capitolazioni di pace fra la Turchia e la Repubblica di Venezia consegnate al bailo A. E. 1733; sul capitanato di Padova, Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 919 (= 9010): Registro delle lettere ufficiali di Anzolo Emo vice-podestà di Padova, 1739-40; Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 108; Ibid., Inquisitori di Stato. Lettere ai rettori, b. 62, nn. 415, 419, 421; Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3178/11: Ordini del capitano Anzolo Emo per le Scuole laiche della città e territorio di Padova. 1740; la relazione è stata edita in Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, IV, Podestaria e capitanato di Padova, a cura di A. Tagliaferri, Milano 1975, pp. 517 s.; per il generalato in Terraferma del 1741-44, infine, Arch. di Stato di Venezia, Provveditori da Terra e da Mar, bb. 151-153: Provveditor generale in Terraferma A. E.; Ibid., Inquisitori di Stato, b. 144: Lettere al provveditore generale in Terraferma, nn. 209-240; per la relazione, Ibid., Collegio. Relazioni, b. 53. Ulteriori notizie, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 2135 (= 8564): Bailo Emo (il codice è preceduto da tre lettere al principe, con cui si invoca la revoca del bando comminato nel 1716): Si vedano inoltre: E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, p. 169; P. Del Negro, Politica e cultura nella Venezia di metà Settecento: la "poesia barona" di G. Baffo "quarantiotto", in Comunità, CLXXXIV (1982), p. 384; G. Cozzi, La Repubblica di Venezia in Morea: un diritto per il nuovo regno (1687-1715), in L'età dei lumi. Studi storici sul Settecento europeo in onore di Franco Venturi, Napoli 1985, pp. 739 ss., 772 s., 788 s.; S. Rumor, Storia breve degli Emo, Vicenza 1910, pp. 95 s.

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