QUERINI, Angelo Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

QUERINI, Angelo Maria

Giuseppe Trebbi

QUERINI, Angelo Maria (al secolo Girolamo). – Nacque a Venezia il 30 marzo 1680 e fu battezzato nella parrocchia di S. Maria Formosa con il nome di Girolamo. Era il figlio secondogenito di Paolo di Girolamo Querini e di Cecilia Giustinian, di Girolamo. Le due famiglie appartenevano al patriziato più potente e ricco: il padre, uno zio paterno e il nonno materno di Querini ebbero la dignità di procuratori di S. Marco; nel 1716 essa sarebbe toccata anche ai due fratelli di Querini, il primogenito Giovan Francesco, nato nel 1677, e Giovanni, nato nel 1681.

Nel 1687 Querini e il fratello Giovan Francesco (seguiti l’anno dopo da Giovanni) furono ammessi nel collegio bresciano dei gesuiti, uno dei più importanti collegi per nobili dell’Italia centrosettentrionale. Querini vi rimase nove anni, seguendo per intero il curriculum di grammatica, retorica e filosofia; studiò anche il francese. I gesuiti l’avrebbero voluto nel loro Ordine, ma Girolamo, rientrato a Venezia nell’ottobre del 1696, scelse di abbracciare la vita regolare nella Congregazione benedettina cassinese, che gli pareva più adatta per chi, come lui, aspirava a coltivare gli studi eruditi.

A seguito della riforma dell’Ordine benedettino voluta da papa Innocenzo XII il noviziato non avrebbe potuto svolgersi nel Dominio veneto, ma solo a Firenze o a Cesena. Querini scelse Firenze: nel novembre del 1696 arrivò nella capitale del Granducato, dove assunse tra i benedettini il nome di Angelo Maria. Durante il periodo di prova, che precedette la solenne professione dei voti (avvenuta il 1° gennaio 1698), il prestigio del casato patrizio gli consentì di incontrare il granduca Cosimo III, i suoi figli Ferdinando e Gian Gastone e il cardinale Francesco Maria Medici (molto legato ad Antonio Magliabechi e protettore dei bollandisti). Nei due anni seguenti approfondì gli studi del greco e dell’ebraico, incoraggiato dalla presenza come ospite nel suo monastero del religioso maronita Pietro Benedetti. Che l’abbazia benedettina di Firenze, diretta dall’abate Angelo Nincio, fosse allora un ambiente propizio agli studi fu riconosciuto dal celebre erudito maurino Bernard de Montfaucon, che vi fu ospite per due mesi nel 1700. Il ventenne Querini colse quest’occasione per conoscere i letterati che frequentavano Montfaucon, come il bibliotecario Antonio Magliabechi, il grecista Anton Maria Salvini, l’erudito archeologo Filippo Buonarroti.

Nel primo decennio del Settecento Querini soggiornò prevalentemente a Firenze, dove si laureò in diritto canonico. Fu però anche a Perugia, nel 1702, per discutere tesi teologiche davanti al capitolo generale della Congregazione cassinese; e trascorse un breve periodo a Venezia tra il 1704 e il 1705. Nel 1706, per desiderio dell’abate Nincio, insegnò per alcuni mesi lettere greche ai benedettini di Cesena. In precedenza Nincio aveva fatto pubblicare la Oratio de Mosaicae historiae praestantia (Caesenae 1705), che costituiva la prolusione alle lezioni di Sacra Scrittura affidate a Querini nell’abbazia benedettina di Firenze. In quest’opera Querini cercò di liberare il libro della Genesi dalle insidiose dispute cronologiche, per additarne il significato più propriamente religioso.

Ormai trentenne, Querini si sentiva pronto per incontrare gli uomini più dotti d’Europa, cattolici e protestanti, di cui conosceva e apprezzava le opere. Si accordò con il fratello Giovanni e nel settembre del 1710 partì da Firenze per raggiungerlo a Verona: il loro itinerario prevedeva un rapido attraversamento del Tirolo e della Baviera per poi puntare verso i Paesi Bassi. All’Aia Querini fu ospite dell’ambasciatore veneto Sebastiano Foscarini e conobbe autorevoli personaggi, fra cui l’abate Domenico Passionei, legato papale, il diplomatico imperiale Philipp Ludwig Wenzel von Sinzendorf e lo stesso duca di Marlborough. Importanti anche i contatti intellettuali: ad Amsterdam conobbe Jean Le Clerc, che espresse sul giovane Querini giudizi assai positivi, e il giansenista Pasquier Quesnel. Nel gennaio del 1711 raggiunse l’Inghilterra, dove incontrò molti dotti, fra cui lo storico della Riforma Gilbert Burnet e Isaac Newton. Fu accolto onorevolmente dall’Università di Oxford; a Londra visitò il Parlamento e poté assistere a riti religiosi anglicani e quaccheri. Ritornato nei Paesi Bassi alla fine del marzo 1711, si recò a Leida per visitare quella importante Università e a Rotterdam, dove vide il monumento a Erasmo e incontrò il celebre calvinista francese Pierre Jurieu. Nei Paesi Bassi, ad Anversa, volle conoscere i bollandisti impegnati nella redazione degli Acta Sanctorum, fra cui Daniel Papebroch. A Cambrai riuscì appena a intravedere François Fénelon, con cui entrò però in rapporto epistolare. Rimase in Francia per tre anni: fu presentato a corte e conobbe grandi personaggi come il cardinale Louis-Antoine de Noailles e André-Hercule de Fleury, vescovo di Fréjus e futuro cardinale. Nel soggiorno parigino rivide Montfaucon e incontrò altri eruditi maurini. Conobbe anche il celebre filosofo e teologo Nicolas Malebranche, il gesuita padre Gabriel Daniel, lo storico ecclesiastico Claude Fleury e lo storico dei Concili Étienne Baluze. Nel novembre del 1713 intraprese il viaggio di ritorno, visitando Lione, Ginevra e Avignone, passando poi per Marsiglia e Tolone e rientrando a Genova alla fine di aprile del 1714.

In quello stesso anno il capitolo generale della Congregazione cassinese, tenuto a Padova, affidò a Querini il compito di scrivere la storia del monachesimo benedettino in Italia. Ciò gli dette l’occasione di recarsi a Roma dove giunse nel dicembre del 1714. Vi conobbe vari eruditi, fra cui Giusto Fontanini e Prospero Lambertini (il futuro Benedetto XIV); si portò poi nel Regno di Napoli, dove condusse ampie ricerche archivistiche. Nell’aprile del 1717 poté quindi pubblicare a Roma la dissertazione preliminare, De monastica Italiae historia conscribenda, mentre già era pronto il primo volume del Monasticon Italicum contenente il codice diplomatico farfense; ma papa Clemente XI ne sospese la pubblicazione, per il timore che le carte di Farfa potessero recare pregiudizio alla S. Sede nella disputa su Comacchio con l’Impero.

Un nuovo campo di studi eruditi si aprì a Querini con l’incarico di consultore nella congregazione della Correzione dei libri liturgici orientali, dove conobbe l’abate Giuseppe Simonio Assemani ed ebbe di nuovo al suo fianco il maronita Benedetti. Querini curò l’edizione dei riti liturgici della Chiesa greca, ma suscitò l’indignazione del segretario della congregazione, Francesco Antonio de Simeonibus, pubblicando sotto il proprio nome il primo volume del Quadragesimale vetus Graeciae orthodoxae, presentato nel marzo del 1721 al nuovo pontefice Innocenzo XIII. Gli fu perciò intimato di non pubblicare la seconda parte, finché la congregazione non avesse concluso i suoi lavori. Querini preferì lasciare Roma, ritirandosi prima nei monasteri di Subiaco e Farfa, e poi a Venezia in famiglia.

In questo momento delicato della sua biografia giunse quindi opportuna la nomina nel 1723 ad arcivescovo di Corfù: l’illustre nascita veneziana, la profonda erudizione greca e la disponibilità al dialogo interconfessionale gli consentirono di stabilire buoni rapporti con il maggiore dignitario ecclesiastico greco dell’isola, il gran protopapa Spiridiòn Vulgari I. Si collega all’interesse di Querini per il mondo greco il suo studio, presentato a Benedetto XIII, sui Primordia Corcyrae (Lycii 1725). E fu proprio papa Benedetto XIII a mostrarsi singolarmente benevolo verso Querini, scegliendolo nel 1726 come cardinale in pectore e nominandolo vescovo di Brescia il 30 luglio 1727.

Dopo la nomina cardinalizia del 26 novembre dello stesso anno, poté sembrare che le ambizioni di Querini, divenuto nel frattempo abate commendatario delle abbazie della Vangadizza e di S. Andrea di Busco, si volgessero decisamente verso Roma. Pare in effetti che egli volesse lasciare Brescia, dopo essere stato nominato bibliotecario della Vaticana dal nuovo pontefice Clemente XII nel settembre del 1730. Ma poi Querini esitò, quando comprese che avrebbe potuto conservare un tenore di vita consono a un cardinale solamente imponendo una pesante pensione al vescovato di Brescia (V. Peri, Querini e la Vaticana, in Cultura religione e politica, 1982, pp. 44-49). Scelse perciò di ritornare a Brescia (dove disponeva di una rendita annua di circa 5000 scudi, tra la mensa vescovile e le abbazie in commenda); ma non lasciò la carica di bibliotecario della Vaticana. Il principale impegno scientifico della Biblioteca sotto la direzione di Querini fu la controversa edizione delle opere di s. Efrem Siro, condotta da Assemani e da Benedetti.

A Roma Querini ritornava con frequenza, come avvenne tra l’ottobre del 1732 e il maggio del 1733 durante la delicata mediazione da lui compiuta per conto della Serenissima presso la S. Sede per ristabilire le relazioni diplomatiche interrotte a causa dell’uccisione di un servitore dell’ambasciatore veneto Nicolò da Canale.

Nel 1740, quando morì papa Clemente XII, l’annosa questione dell’incompatibilità fra il vescovato di Brescia e la prefettura della Vaticana era ancora pendente. Il nuovo pontefice Benedetto XIV avrebbe voluto Querini a Roma, alla testa della congregazione dell’Indice; ma il cardinale vi rinunciò. Allora Benedetto XIV risolse a suo modo la questione della direzione della Biblioteca Vaticana con la nomina nel 1741 a probibliotecario del cardinale Passionei. Già in quest’occasione si vide come l’antica conoscenza fra il papa e Querini non valesse a impedire la nascita fra loro di varie incomprensioni, che si aggravarono con gli anni. Nel 1742-43 Querini sperò di poter diventare vescovo di Padova, ma alla fine il papa nominò Carlo Rezzonico, il futuro Clemente XIII. Altri contrasti dipesero dal forte spirito di indipendenza con cui Querini intese ed esercitò il suo ruolo di membro del collegio cardinalizio, non sempre ossequiente alle direttive papali. Ciò si rese palese riguardo ai rapporti di Querini con i protestanti.

Già a partire dal 1737 Querini aveva avviato un intenso dialogo con l’erudito protestante tedesco Johann Georg Schelhorn intorno alla figura del cardinale inglese Reginald Pole, legato pontificio al Concilio di Trento. Querini si rivolse progressivamente allo studio delle grandi personalità religiose della prima metà del Cinquecento, e in particolare di quei cardinali che, come Gasparo Contarini e Pole, avevano tentato di tenere aperto il dialogo con i protestanti. Questa ricerca, che diede importanti risultati filologici, come l’edizione dell’epistolario di Pole (Epistolarum Reginaldi Poli S.R.E. cardinalis et aliorum ad ipsum, in cinque volumi, pubblicati a Brescia tra il 1744 e il 1757, il quinto postumo), rispondeva assai bene a quello spirito ecumenico e unionistico che già durante il giovanile tour europeo di Querini aveva animato i suoi contatti con i letterati protestanti, conosciuti e apprezzati in uno spirito di «sodalità culturale nell’ambito della repubblica delle lettere» (Rosa, 1999, p. 193). Nello sforzo di presentare ai suoi interlocutori protestanti, soprattutto tedeschi, un quadro positivo della Chiesa del Cinquecento, Querini celebrò gli sforzi riformatori di Paolo III in un’opera (Imago optimi sapientissimique pontificis expressa in gestis Pauli III. Farnesii ad primos tantum quinque annos ejus pontificatus spectantibus…, Brixiae 1745) subito criticata da Benedetto XIV, il quale rimproverò a Querini di avere offerto un quadro troppo roseo di quel pontificato gravemente macchiato dal nepotismo. In realtà il pontefice non condivideva le speranze irenistiche di Querini. A Roma si temeva infatti che il cardinale, poco diplomatico e facilmente trasportato dalla sua vanità di letterato, potesse assumere nel dibattito con i luterani posizioni compromettenti per la S. Sede. Perciò il papa prese ufficiosamente le distanze dalle sue iniziative e non accettò se non parzialmente l’invito di Querini a cogliere l’occasione dell’anno santo 1750 per rivolgere ai protestanti un invito alla riconciliazione con Roma.

Del resto, gli sforzi di Querini, compreso il suo viaggio in Germania del 1748, se gli garantirono la stima di letterati e teologi protestanti come Schelhorn, non portarono, come egli sperava, a una loro conversione. Né ebbero seguito i contatti con il re di Prussia Federico II, che pure suscitarono qualche clamore. Restò però memorabile la singolare apertura manifestata da Querini in direzione di un dibattito interconfessionale non condizionato da rigide chiusure teologiche, ma fondato sulla ricostruzione di un particolare clima storico cinquecentesco pervaso da aspirazioni irenistiche.

Querini diede prova di disponibilità al dialogo anche nei confronti del pensiero religioso più audacemente eterodosso: durante il soggiorno inglese avrebbe voluto incontrare John Toland; e mantenne rapporti con il filosofo e teologo tedesco Hermann Samuel Reimarus. Analoga apertura dimostrò anche nei confronti della cultura illuministica: intrattenne un’amichevole corrispondenza con Voltaire; e ancora durante l’ultimo soggiorno romano del 1750-51 egli avrebbe compiuto un generoso e sfortunato tentativo di evitare la condanna all’Indice dell’Esprit des lois di Montesquieu.

Invece Querini assunse nel 1746-47 un atteggiamento di chiusura tradizionalista e conservatrice nella disputa sulla riduzione delle feste di precetto, un provvedimento riformatore cautamente proposto da Benedetto XIV e vigorosamente sostenuto da Ludovico Antonio Muratori e dall’arcivescovo di Fermo, Alessandro Borgia. Querini indirizzò due polemiche lettere al vescovo di Fano e una a Bernhard Frank von Frankenberg, abate di Disentis, particolarmente rivolta contro Muratori (che a sua volta pubblicò gli interventi di Querini, per confutarli, nella Raccolta di scritture concernenti la diminuzione delle feste di precetto, Lucca 1748, pp. 52-67, 144-151). Querini attribuì un valore dogmatico all’elenco delle festività fissato da Urbano VIII, considerandolo definitivo; inoltre l’abolizione di alcune festività non avrebbe migliorato, a suo giudizio, le condizione di vita degli artigiani, che soffrivano piuttosto per la scarsità del lavoro. Muratori avrebbe voluto replicare aspramente; perciò papa Lambertini intervenne d’autorità, alla fine del 1748, imponendo il silenzio a entrambe le parti.

Nel 1750 un nuovo fronte di contrasti fra Querini e Benedetto XIV si aprì intorno alla questione del Patriarcato di Aquileia, poiché il pontefice si mostrò chiaramente orientato ad accogliere le richieste dell’imperatrice Maria Teresa per il distacco della parte austriaca della diocesi. All’interno del patriziato veneziano si creò una divisione sulla linea da seguire: l’oligarchia più potente e ricca si mosse con prudenza; ma nel febbraio del 1750 essa cedette alla richiesta del Senato di inviare a Roma Querini perché affiancasse l’altro cardinale veneziano Carlo Rezzonico nel tentativo di persuadere il pontefice a non procedere alla nomina di un vicario apostolico a Gorizia. Querini portò subito la disputa sul piano storico e dottrinale: non si limitò a difendere le prerogative della Serenissima e del patriarca di Aquileia Daniele Delfino, ma risollevò anche il secolare problema dei diritti del concistoro cardinalizio di fronte al papato e dei vescovi rispetto alla S. Sede (specialmente nell’opuscolo De vinculo quo adstringuntur episcopi ad defendenda ecclesiarum suarum jura liber unicus ad tuendum patriarchatum Aquilejensem evulgatus, Brixiae 1750), esacerbando l’animo di Benedetto XIV. La frattura si aggravò quando la Repubblica reagì alla nomina del vicario apostolico Carlo Michele d’Attems richiamando il proprio ambasciatore a Roma. Nemmeno la testarda fermezza di Querini poté però impedire il successo di una mediazione francese, avviata fra il novembre del 1750 e il gennaio del 1751, che mise in luce il totale isolamento diplomatico veneziano. La Repubblica dovette quindi rassegnarsi alla soppressione del Patriarcato, decretata da Benedetto XIV il 6 luglio 1751: Querini, frattanto, aveva già lasciato Roma, in rottura con il pontefice, alla metà di marzo. Non vi sarebbe più ritornato: il progetto di trascorrere a Roma l’inverno 1751-52 dovette infatti essere abbandonato per ordine del papa.

L’anziano cardinale trascorse l’ultimo quadriennio della sua vita a Brescia. Del resto egli aveva sempre seguito con attenzione i problemi della cura pastorale della sua diocesi: aveva avviato fin dal 1729 le visite pastorali, continuate a più riprese fino al 1738; aveva promosso lo sviluppo del seminario, che durante il suo episcopato passò da 100 a 150 convittori, pur senza poter ancora alloggiare al suo interno tutti i chierici che lo frequentavano, e aveva dato un forte impulso ai lavori per l’erezione del Duomo nuovo. Animò inoltre la vita culturale cittadina, in cui brillava la figura del conte Giammaria Mazzuchelli, con cui pure ebbe qualche contrasto. Sul piano della storiografia erudita, Querini celebrò le glorie letterarie ed editoriali della città di Brescia nella sua notevole opera De Brixiana literatura, il cui titolo più completo è Specimen variae literaturae quae in urbe Brixia ejusque ditione paulo post typographiae incunabula florebat… (Brixiae 1739). Ma soprattutto egli volle lasciare alla città la ricca Biblioteca pubblica, istituita nel 1747 e aperta nel 1750, che dotò dei codici originariamente donati alla Biblioteca Vaticana, da lui ricomperati con l’esborso di 1000 scudi.

Morì a Brescia il 6 gennaio 1755 e fu sepolto nel presbiterio del Duomo nuovo, davanti all’altare maggiore.

Opere. Per le opere di Querini, si rinvia allo studio fondamentale di A. Baudrillart, De cardinalis Quirini vita et operibus, Lutetiae Parisiorum 1899. Autobiografia ed epistolario: Commentarii de rebus pertinentibus ad Ang. Mar. S.R.E. cardinalem Quirinum, parti I-II, Brixiae 1749, continuati da F. Sanvitale, Commentarii de rebus pertinentibus ad Ang. Mar. cardinalem Quirinum. Continuatio ab anno 1741 usque ad eius obitum, Brixiae 1761; Decas epistolarum quas sub proelo sudante Francisci Barbari epistolarum collectione harum editor, et illustrator in lucem emisit, Brixiae 1742 (la seconda decade fu pubblicata a Roma, 1743; le decadi dalla terza alla decima a Brescia, 1744-1754). Oltre ai lavori già citati si segnalano: Pauli II Veneti pont. max. vita, Romae 1740; Diatriba praeliminaris in duas partes divisa ad Francisci Barbari et aliorum ad ipsum epistolas ab anno Chr. MCCCCXXV ad an. MCCCCLIII…, Brixiae 1741; Francisci Barbari et aliorum ad ipsum Epistolæ ab anno Chr. 1425 ad annum 1453, Brixiae 1743; Cure sagre e letterarie dell’eminentissimo e reverendissimo signor cardinale A.M. Q. vescovo di Brescia rendute palesi nella presente raccolta pubblicata dall’abate d. Antonio Sambuca, Brescia 1746; Triumphus Catholicae veritatis…, Kempten 1748; Tiara et purpura Veneta, Romae 1750; Lettera postuma dell’eminentissimo e reverendissimo signor cardinale A.M. Q. al chiarissimo signor Francesco Maria Zanotti [], pubblicata dall’abate Antonio Sambuca, s.n.t [1755].

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