NICOLATO, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NICOLATO, Angelo

Marina Tesoro

NICOLATO, Angelo. – Nacque a Milano il 29 ottobre 1888, primogenito di Antonio, farmacista, e di Luigia Cartieri.

Dalla famiglia, di condizione agiata, ricevette una educazione severa, improntata ai valori della religione cattolica. Conclusi gli studi classici al liceo Manzoni, nel 1907 si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Pavia. Laureato con il massimo dei voti nel luglio 1913, frequentò da assistente volontario la clinica oculistica. Arruolato il 15 marzo 1915 come sottotenente medico nella 159ª compagnia del 5° reggimento alpini operante nella zona del monte Adamello, rimase al fronte per tutta la durata del conflitto e fu decorato con una croce di guerra e una medaglia di bronzo al valor militare. L’esperienza bellica risultò determinante nell’orientare le successive scelte politiche, alimentando accesi sentimenti antisocialisti.

Congedato alla fine del 1919, tornò a Pavia per occuparsi soltanto della carriera medica e universitaria. Pubblicò i primi lavori scientifici, che gli valsero la nomina ad assistente e poi aiuto presso la clinica oculistica (dicembre 1921). Ma presto, mentre nella provincia ‘rossa’ divampavano aspri conflitti sociali, si lasciò coinvolgere dalla politica. Il 3 marzo 1921 si iscrisse al fascio di combattimento di Pavia, iniziando a collaborare al Popolo, che ne era l’organo portavoce. I suoi articoli, firmati con lo pseudonimo Brandinus, influenzarono l’uso di quel linguaggio aggressivo e irriverente che contribuì a legittimare l’esercizio sistematico della violenza politica. Sulla scia del segretario federale Cesare Forni, il quale, rampollo di una potente dinastia di agrari e dotato di eccezionale carisma, in breve tempo trasformò la Lomellina in un «grande accampamento delle squadre d’azione» (Lombardi, 1998, p. 168), si affermò tra i leader locali del movimento insieme a Maso Bisi, comandante di compagnia nel suo stesso reggimento di alpini. «Il saldo binomio Bisi-Nicolato» (Bianchi, 1929, p. 267) operò in sintonia durante la «seconda ondata» squadrista, tra luglio e settembre 1922. Nel corso dell’operazione che condusse alla conquista di palazzo Marino e all’incendio dell’Avanti! (3-6 agosto 1922), guidò le camicie nere pavesi nella ‘battaglia di Binasco’, lungo la strada verso Milano. Questa impresa persuase Forni a conferirgli il titolo di console generale delle Legioni della provincia in vista della progettata marcia su Pavia, che Nicolato organizzò e capeggiò il 28 ottobre 1922. Il proclama inneggiante alla vittoria fascista, da lui firmato, si concludeva con un fermo invito alla normalizzazione. Si resero così evidenti due tratti caratterizzanti della sua personalità politica: il tempismo nell’intuire e assecondare le tendenze in atto e la lucida determinazione nell’adottare comportamenti conseguenti.

Nicolato pose subito una distanza tra sé e l’irruente e impolitico Forni. La guerra contro il dissidentismo forniano, pretesa da Benito Mussolini, che Nicolato condusse senza esclusione di colpi nei tre anni successivi, rese ben visibile la partita in atto anche nella provincia di Pavia tra il fascismo agrario e il fascismo urbano. Sconfitto definitivamente Forni, emarginato Bisi, Nicolato si impose come capo indiscusso del fascismo pavese. Eletto segretario federale (6 giugno 1924), non si discostò dai metodi del predecessore nell’epurazione interna e rispolverò il linguaggio e il comportamento da squadrista contro «l’intellettualità rancida» (Brandinus, Habemus pontifices, in Popolo, 28 giugno 1924) dei nemici esterni, che avevano momentaneamente ripreso vigore durante la crisi Matteotti. Schierato con gli intransigenti, dopo il 3 gennaio 1925 seppe tuttavia applicare il programma di epurazione e di fascistizzazione integrale del segretario Roberto Farinacci con abilità e accortezza, facendo ricorso, a seconda dei casi, all’autorità e alla popolarità di fascista della prima ora e capo squadrista oppure alla rispettabilità borghese e allo status sociale raggiunto: professionista affermato e libero docente universitario (1924), presto direttore di clinica (1926) e professore ordinario (1930), sposato dal 1925 con Giuseppina Varasi e padre di quattro figli, nati nell’arco di un decennio.

Postosi al centro di un’ampia e fitta rete di relazioni politiche, accademiche e professionali, evitando i rischi del dualismo partito-Stato, selezionando accuratamente le nuove leve fasciste e al contempo ricercando l’integrazione delle vecchie élites, costruì intorno a sè una «oligarchia provinciale stabile» (Signori, 2007, p. 437), fidelizzata a lui medesimo, oltre che al regime. Mostrò notevole intelligenza politica quando puntò le sue carte politiche sull’Università e sull’ospedale S. Matteo, le due istituzioni che meglio definivano la cifra identitaria di Pavia e che incidevano sugli assetti sociali e economici della città.

Tra la fine del 1922 e il 1926 rimase in prima fila nella campagna, lanciata già nell’anteguerra da Camillo Golgi, in difesa dell’antico Ateneo, che subiva la concorrenza di Milano, in procinto di avere la sua Università. Se non può ascriversi completamente a suo merito il varo della nuova facoltà di scienze politiche a Pavia (gennaio 1926), gli va certamente riconosciuto un ruolo risolutivo nella ripresa dei lavori di costruzione del moderno ospedale, iniziati nel 1914 e interrotti dalla guerra. Visse la sua apoteosi il 30 ottobre 1932, quando il nuovo policlinico S. Matteo fu inaugurato alla presenza di Mussolini. Sempre in primo piano al fianco del duce e del segretario Achille Starace, imboccò quel giorno il percorso della rimonta, dopo un biennio di apparente declino.

Essendosi prontamente allineato con il nuovo segretario del partito Augusto Turati dopo la defenestrazione di Farinacci, aveva dovuto rinunciare alla carica di segretario federale (10 aprile 1929) per incompatibilità con la condizione di deputato nella XXVIII Legislatura (riconfermato fino alla XXX). Oltre all’obiettivo declassamento di ruolo politico, aveva finito per subire anche gli effetti della sua stretta vicinanza a Turati, quando questi cadde in disgrazia nell’ottobre 1930, e fu messo sotto tiro durante la breve segreteria di Giovanni Giuriati. In realtà, se si tiene conto del fatto che fino al 1934 poté manovrare a piacimento il successore nella segreteria federale, Attilio Spizzi, suo assistente nella clinica oculistica, e se si considera che, pur in conflitto con i giovani segretari federali succedutisi delle seconda metà degli anni Trenta, di fatto non cessò mai di esercitare il suo «incontrastato potere» (Guderzo, 2002, p. 431), si può vedere in lui un esempio paradigmatico di come durante il Ventennio «la vischiosità dei sistemi politici locali» (Lupo, 2000, p. 24) riuscisse talvolta a depotenziare gli effetti delle scelte adottate al centro, comprese quelle di natura epurativa.

Il 18 ottobre 1933 fu nominato podestà di Pavia e tale rimase fino alla metà di agosto 1943, quando il governo Badoglio ne decretò la sostituzione. Interpretò questo incarico in chiave presenzialista, decisionista e efficientista. Subito avviò «di [sua propria] iniziativa, un piano regolatore provvisorio» (Cenni sull’amministrazione, 1943, p. 3), prima di veder applicato nel 1941 quello definitivo, del quale si discuteva da decenni. Adottò scelte in linea con gli indirizzi modernizzanti del fascismo in campo architettonico e urbanistico, ma limitò i danni di un possibile stravolgimento della fisionomia cittadina.

Uomo di forte personalità, volitivo e autoritario e al contempo flessibile e abile nella mediazione, nel 1940 ricevette la sciarpa littorio, massima onorificenza del regime. Come accademico si rese patrono, e spesso arbitro, delle carriere e delle nomine in Università, compresa quella rettorale; come chirurgo si conquistò fama nazionale, adottando e anche inventando tecniche innovative e eseguendo negli anni Quaranta, unico in Italia, pionieristici interventi di cheratoplastica perforante (trapianto della cornea). L’insieme di questi motivi spiega come mai, nella storia della classe politica fascista, rappresenti un caso di «straordinaria longevità» (Signori, 1989, p. 73).

Con eccezionale prontezza, sgombrò il campo poco prima dell’8 settembre, facendo in modo di essere richiamato come tenente colonnello medico presso l’ospedale di riserva di Salsomaggiore, dove restò dal 23 agosto al 30 settembre 1943. Non aderì alla Repubblica sociale italiana e si mimetizzò, ma un minaccioso articolo del Popolo repubblicano (Gerarca dove sei?, 30 agosto) lo indusse a rifugiarsi nella casa di famiglia a Valeggio sul Mincio, dove peraltro continuò a svolgere la sua attività medica. Il 25 giugno 1945 la Commissione di epurazione dell’Università di Pavia lo sospese dal servizio, una volta valutati i capi di imputazione a suo carico: «manifestazioni di apologia fascista», «faziosità e malcostume fascista» (Archivio storico dell’Università di Pavia, Fasc. pers. docenti, ad nomen). Il giudizio fu confermato dal Comando militare alleato (7 luglio) e dalla Commissione ministeriale di epurazione, davanti alla quale Nicolato presentò una dettagliata memoria difensiva (gennaio 1946). Con Decreto luogotenenziale 22 gennaio 1946 venne collocato a riposo. Intraprese allora una tenace battaglia legale fino a quando, in un clima politico assai mutato, il Consiglio di Stato annullò il provvedimento (25 luglio 1948). Superata, a forza di ricorsi, la resistenza del ministero della Pubblica Istruzione, che aveva accompagnato l’ordine di riammissione in ruolo con l’esonero ex officio dalla docenza, ottenne infine il provvedimento di completa reintegrazione (12 luglio 1950) e dall’anno accademico 1950-51 riprese le sue funzioni nell’Ateneo, come professore di ruolo della facoltà di medicina e successivamente come fuori ruolo, sempre mantenendo la direzione della clinica oculistica.

Evitò di ricomparire sulla scena politica locale, ma nel 1958 accettò di presentarsi candidato alle elezioni politiche sotto il simbolo del Movimento sociale italiano. Non fu eletto, ma a Pavia e provincia riportò un buon successo personale, raccogliendo 4626 voti di preferenza.

Morì a Pavia il 19 maggio 1961.

Opere:Di alcuni tentativi di cheratoplastica, in Bollettino di oculistica, 1942-43 (Clinica oculistica della R. Università di Pavia); Cenni sulla ammi-nistrazione comunale di Pavia durante il periodo novembre 1933 - luglio 1933, Pavia 1943.

Fonti e Bibl.: Nell’Archivio privato, conservato dalla famiglia a Pavia, si trovano pochi documenti, tra i quali una ampia memoria manoscritta inedita, in vista del giudizio della Commissione ministeriale di epurazione, interessante per i particolari biografici. Nell’Archivio storico dell’Università di Pavia si trovano documenti nei Fascicoli personali studenti e Fascicoli personali docenti, ad nomen. L’Archivio storico civico di Pavia possiede un ricco materiale, distribuito per categorie, relativo al periodo podestarile, ancora da studiare. Su questo si trovano carte a Roma nell’Archivio centrale dello Stato, Fondo amministrazione civile. Comune di Pavia, b. 232. Non esiste alcuno studio critico sul personaggio. Riferimenti si trovano in: A. Bianchi, A noi! Storia del fascismo pavese, Pavia 1929 (ed. anast., Pavia 2004), ad ind.; E. Signori, Il partito nazionale fascista a Pavia, in Storia in Lombardia, 1989, n. 1-2, pp. 65-105; P. Lombardi, Il ras e il dissidente. Cesare Forni e il fascismo pavese dallo squadrismo alla dissidenza, Roma 1998, ad ind.; S. Lupo, Il Fascismo. La politica in un regime totalitario, Roma 2000, ad ind., E. Signori, Minerva a Pavia. L’Ateneo e la città tra guerre e fascismo, Milano 2002, ad ind.; G. Guderzo, L’altra guerra, Bologna 2002, ad ind.; E. Signori, Classe dirigente fascista, poteri locali e ceto accademico in una realtà universitaria: il caso di Pavia, in Fascismo e antifascismo nella Valle padana, a cura di P. Dogliani, Bologna 2007, pp. 427-442.

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