ZANARDINI, Angelo Vincenzo Giovanni Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

ZANARDINI, Angelo Vincenzo Giovanni Maria

Émilien Rouvier

ZANARDINI, Angelo Vincenzo Giovanni Maria. – Nacque a Venezia il 9 aprile 1820 da Stefano, computista nella ragioneria centrale dell’amministrazione austriaca, e da Paolina Pitozzi, originaria di Brescia. Cittadini insediati a Venezia dal Seicento, gli Zanardini erano facoltosi possidenti terrieri nel basso Friuli.

Avviato dalla famiglia a studi di giurisprudenza (uno degli zii paterni, Antonio Maria, era giudice a Venezia, un altro, Michele, segretario in tribunale), Angelo si dedicò in parallelo al pianoforte, esibendosi già nel 1838 in un’accademia al teatro Nuovo di Padova. Compiuti gli studi di legge nell’ateneo padovano (1842), studiò composizione con Placido Mandanici e viaggiò all’estero, in particolare in Francia e Germania.

Durante un soggiorno a Firenze (1847) una sua opera fu accettata al teatro della Pergola su raccomandazione del principe Giuseppe Poniatowski. Le trattative con l’impresario Alessandro Lanari si arenarono però a gennaio 1848 per il rifiuto di Zanardini di concorrere alle spese con 4000 lire.

Sono perduti i cinque atti di questa Caterina Howard, di cui aveva scritto sia il libretto sia la musica; dal carteggio con l’impresario (Fondo Lanari nella Biblioteca nazionale di Firenze) emerge se non altro il dichiarato interesse di Zanardini per il gusto operistico francese e per uno stile musicale di stampo declamatorio («nei momenti drammatici», scriveva il 20 novembre 1847 per motivare la lunghezza del libretto, «io non faccio mai ripetere le parole», Firenze, Biblioteca nazionale, Carteggi vari, 417, 34).

Con il tramite dell’amico Giacomo Nani, ch’era stato con lui a Firenze, entrò a far parte del governo provvisorio della neorepubblica di Venezia nei primi mesi del 1848. Il nobiluomo, patriota e medico magnetizzatore, aveva in cura la figlia di Daniele Manin. Unitamente a Nani, Zanardini fu inviato in aprile 1848 a Parigi e Londra per negoziare con i ministri degli Affari esteri di Francia e Inghilterra l’acquisto di duecentomila fucili e di un piroscafo. Fu un insuccesso (ottennero, con ritardo, soltanto seimila fucili), per il rifiuto dichiarato di lord Palmerston e le tergiversazioni di Alphonse de Lamartine, in accordo sottobanco con l’Austria. Durante l’assedio di Venezia, Zanardini fece da staffetta con il governo insurrezionale di Milano, attraversando quattro volte le linee di blocco austriache.

Dapprima esule a Torino, approfittò dell’amnistia generale per andare a vivere da settembre 1849 nel podere friulano dello zio Antonio Maria, a Cordovado. Lì si dedicò alla composizione su testi propri. L’unica sua opera rappresentata, Amleto, andò in scena nella primavera del 1854 a Venezia nel teatro Gallo a S. Benedetto. In ragione della mole dell’opera, «sì piena e gravida di roba da non ci bastare una prima rappresentazione», e delle «molte fatiche» del librettista e musicista principiante, che «una volontà capricciosa e feroce» (austriaca?) aveva deprivato di un allestimento alla Fenice, il cronista della Gazzetta ufficiale di Venezia (1° giugno 1854) sospese il giudizio, registrando però il successo di pubblico e la «quantità sterminata dei cori». Quest’indicazione e il sottotitolo del libretto a stampa («Tragedia lirica in quattro atti») lasciano intuire che anche Amleto, la cui musica è perduta, doveva rifarsi alla tradizione francese.

Nel 1856 Zanardini sposò Isolina Freschi, figlia del castellano di Cordovado, conte Sigismondo di Cuccanea, e sorella del violinista virtuoso Antonio. L’anno dopo nacque una figlia (ebbero in tutto otto figli), costringendo Zanardini ad accantonare le proprie ambizioni artistiche. Si fece nominare avvocato a Treviso nel 1857, a Milano nel 1861. L’impegno patriottico gli valse la protezione di Cesare Correnti, che lo aiutò ad accedere alla carriera amministrativa. Ricoprì cariche di consigliere nelle prefetture di Napoli (1861), Piacenza (1862), Siena (1863-65), Bergamo (1866), Verona (1866-71) e Treviso (1872-73).

Collaborò al giornale patriottico La Perseveranza, fondato nel 1859 da Correnti. Divenne in seguito collaboratore, sotto vari pseudonimi (non identificati), della Gazzetta musicale di Milano.

Per l’editore milanese Lucca pubblicò negli anni Sessanta composizioni per canto e pianoforte, Bozzetti popolari (sei pezzi), Foglie d’autunno (otto), e poche altre melodie: Elegia, Preghiera campestre, L’abbandono e Sors du nuage, su versi francesi di Victor Hugo (s.d.), nonché la ballata Etella per pianoforte a quattro mani (s.d.). Da Ricordi pubblicò il notturno Le due margherite (1868). Le musiche di Zanardini a stampa si limitano a queste poche composizioni e, pure stampati da Lucca, ai recitativi per la versione italiana dell’opéra-comique di Daniel-François-Esprit Auber Il domino nero (1876).

Ritiratosi dall’amministrazione provinciale nel 1873, mise a profitto la sua conoscenza della musica e delle lingue straniere per tradurre libretti (in Italia gli allestimenti in lingua originale sono rimasti una rarità fino al secondo Novecento), a partire da Feramor di Anton Rubinštejn per l’editore Lucca (1874). Quest’attività prese davvero slancio dopo il successo torinese del Re di Lahore di Jules Massenet (Carnevale 1877-78), la cui traduzione valse a Zanardini commenti encomiastici dai critici Filippo Filippi, Gustavo Minelli e Francesco D’Arcais. La critica lodò la sua abilità nel produrre versi piuttosto corretti e sensati, nonostante la gran difficoltà di far corrispondere gli accenti tonici italiani con i tempi forti di una musica composta su versi francesi.

Questo esito diede anche avvio alla carriera di librettista in proprio di Zanardini, che iniziò con Il lago delle fate (musica di Cesare Dominiceti, primavera 1878). Seguirono Preziosa (Antonio Smareglia, 1879), Le donne curiose (Emilio Usiglio, 1879), Il figliuol prodigo (Amilcare Ponchielli, 1880), Le nozze in prigione (Usiglio, 1881), L’ereditiera (Dominiceti, 1881), Margherita (Ciro Pinsuti, 1882), Dejanice (forse su canovaccio di Arrigo Boito, musica di Alfredo Catalani, 1883), Amazilia (Antonino Palminteri, 1883), Isora di Provenza (Luigi Mancinelli, 1884), Leonora (Gian Raimondo Serponti, 1885), Salammbò (Nicolò Massa, 1886), Il gondoliero (Ida Correr, 1886), William Ratcliff (Emilio Pizzi, 1889), La Tilda (sotto lo pseudonimo Anneldo Graziani, musica di Francesco Cilea, 1892), Giovanni Huss (Angelo Tessaro, 1892), Janko (in collaborazione con Enrico Panzacchi, musica di Primo Bandini, 1897, postuma), nonché il rifacimento dell’Elda di Catalani (libretto di Carlo d’Ormeville) che con il nuovo titolo Loreley (1890) costituì il successo più duraturo di questo lungo elenco.

La produzione di Zanardini per il melodramma è rappresentativa di un gusto tardoromantico, scapigliato, in un momento di transizione verso una librettistica dal linguaggio e dalle tematiche più moderni; «trasandata e sciatta», a detta di uno storico del melodramma italiano fin de siècle, soffrirebbe di un linguaggio poetico «inquinato dal dilettantesco indulgere dei modi classici, e viziato da un’avventurosa articolazione sintattica» (Morini, 1962, col. 2088).

Di fatto il nome di Zanardini conserva una sua importanza soprattutto per le traduzioni di opere liriche francesi e tedesche. Collaboratore fidato dei principali editori di musica milanesi, Ricordi, Lucca e Sonzogno, dal 1878 alla morte occupò una posizione di quasi monopolio sulle nuove traduzioni dal francese e dal tedesco (operette escluse), estromettendo dal campo il precedente traduttore di riferimento, il napoletano Achille de Lauzières. Giulio Ricordi, in una lettera a Giuseppe Verdi (26 dicembre 1882), dichiarò di aver trovato in Zanardini un «traduttore cento volte migliore» (Carteggio, 1994).

Fu questa l’epoca della massima presenza di opere straniere sulle scene italiane: quantunque dovuto in larga parte al durevole successo di opere tradotte da altri, prima del 1878 (Carmen di Georges Bizet, Faust di Charles Gounod, i grands opéra di Giacomo Meyerbeer, Mignon e Hamlet di Ambroise Thomas, Lohengrin di Richard Wagner), il quindicennio 1878-93 registrò un afflusso quantitativamente ineguagliato di nuove traduzioni.

Il catalogo di Zanardini include sia novità sia recuperi storici, segno dell’affermarsi di un repertorio a livello ormai internazionale. Dal francese tradusse opere di Auber (Il domino nero, 1876), Bizet (La bella fanciulla di Perth, 1883; I pescatori di perle, 1885), Léo Delibes (Gian di Nivella, 1881; Lakmé, 1884), Gaetano Donizetti (Il duca d’Alba, 1881), Christoph Willibald Gluck (Alceste nella versione francese, 1884 circa; Armida, 1889), Gounod (Il tributo di Zamora, 1881; La redenzione, 1883 circa; Filemone e Bauci, 1891), Fromental Halévy (La regina di Cipro, 1880; Il Lampo, 1884; Carlo VI, 1887), Ferdinand Hérold (Zampa, 1889), Victorin de Joncières (Giovanni di Lorena [Le chevalier Jean], 1887), Édouard Lalo (Il re d’Ys, 1890), Victor Massé (Una notte di Cleopatra, 1888; Le nozze di Giannetta, 1896, postuma), Massenet (Il re di Lahore, 1878; Il Cid, 1889; Manon, 1893), Jacques Offenbach (I racconti di Hoffman, 1881), Ferdinando Paer (Il maestro di cappella, 1895, postuma), Émile Paladilhe (Patria!, 1889), Ernest Reyer (La statua, 1890 circa), Camille Saint-Saëns (Sansone e Dalila, 1892), Gaspare Spontini (Fernando Cortez, 1877), Thomas (Il sogno di una notte d’estate, 1890), John Urich (Flora Mc-Donald, 1882) e Verdi (Don Carlo nella seconda versione, 1884, la prima essendo stata tradotta da Lauzières). Un posto particolare in questa produzione tiene Hérodiade di Massenet, frutto di una collaborazione tra Zanardini, il compositore e gli editori Ricordi e Hartmann, sulla scia del successo del Re di Lahore. L’opera, architettata da Zanardini (che da librettista nutrì una propensione particolare per l’esotismo antiquario mediorientale), fu versificata in francese da Paul Milliet e Georges Hartmann stesso, poi voltata in italiano da Zanardini: l’accordo prevedeva un lancio simultaneo dell’opera a Parigi e Milano, ma la direzione dell’Opéra Garnier infine la rifiutò; la prima assoluta ebbe quindi luogo a Bruxelles (dicembre 1881) e la prima milanese slittò al 1882. Un analogo progetto congiunto, che coinvolse Ricordi, Zanardini e Saint-Saëns (Macédone), si arenò nel luglio 1879.

Dal tedesco, Zanardini tradusse opere di Ignaz Brüll (La croce d’oro, 1879 circa), Karl Goldmark (La regina di Saba, 1878; Merlino, 1887), Martin Röder (Vera, 1883), Carl Maria von Weber (Euriante, 1902, postuma), e soprattutto Wagner con Parsifal (1882, dapprima con il titolo Parcival), I maestri cantori (1883) e l’intera tetralogia (1883-84). Ebbe mano nella traduzione di Tristano e Isotta a opera di Boito (1876), il suo nome comparendo però solo nell’edizione del 1888. Gli amanti di Teruel di Tomás Bretón fu forse tradotto direttamente dallo spagnolo, nel 1893. I ritmi di produzione sfrenati di Zanardini furono forse dettati da cogente necessità economica (nel 1878, per debiti, fu espropriato della tenuta friulana ereditata dallo zio).

Le traduzioni ottocentesche pubblicate nei libretti a stampa, spesso sforbiciate dall’editore, risultano in ampia misura diverse da quelle degli spartiti. Tale discrepanza risponde a due esigenze inconciliabili: da un lato occorre rispettare il ritmo delle frasi musicali composte su versi stranieri, in misure versali, spesso eterometriche, assai diverse dalle italiane; dall’altro occorre conformare il testo poetico del dramma in una forma riconoscibile per il lettore italiano, imbastita sull’alternanza di strofe liriche isometriche e di passi dialogici intessuti in versi sciolti (endecasillabi, settenari, all’occasione qualche quinario). Tendenzialmente il traduttore volgeva il poema in italiano e affidava a un addetto della casa editrice l’adattamento alle note; Zanardini invece lavorò direttamente sugli spartiti stranieri, donde un notevole vantaggio in termini di produttività: le traduzioni che si leggono nei libretti zanardiniani non sono quindi testi pregressi bensì elaborazioni simultanee o seconde rispetto alla traduzione musicale.

Oltre ai melodrammi Zanardini tradusse numerose mélodies francesi e Lieder tedeschi, principalmente di Franz Schubert (l’integrale delle Melodie per una voce con accompagnamento di pianoforte in 12 volumi è stata pubblicata da Ricordi nel 1883), Robert Schumann, Felix Mendelssohn, Gounod e Massenet.

È stato osservato come la semplicità pastorale dei Lieder di Schubert venga aulicizzata nell’italiano di Zanardini (Fava, 2007); d’altro canto nella traduzione del Re di Lahore si assiste a un’esasperazione della sensualità esotica (Brumana, 2004), mentre le tematiche wagneriane subiscono una certa qual cristianizzazione (Annen, 1943). Di sicuro queste traduzioni vanno valutate nel quadro di una civiltà musicale che, diversamente da oggi, non erigeva il rispetto dell’originale al rango di un imperativo. Questo filtraggio italianizzante consentì comunque al pubblico di accostarsi alle opere straniere e, indirettamente, fecondò l’aspirazione a una successiva riscoperta filologicamente più avvertita.

Morì di cancro il 9 marzo 1893 a Milano, dove visse stabilmente dal 1875. Ateo, scelse la cremazione; le sue ceneri furono deposte nel cimitero Monumentale.

Vi è notizia di due libretti inediti, Cavalier nero e Fernando (Schmidl, 1929), di cui non resta traccia.

Fonti e Bibl.: Per le notizie anagrafiche: Archivi di Stato di Venezia, Pordenone e Milano; Archivio patriarcale di Venezia; Archivi comunali di Venezia e Milano. Alcune notizie biografiche sono ricavate da lettere conservate presso l’Archivio storico Ricordi (Milano), il Fondo Correnti del Museo del Risorgimento di Milano, l’Archivio del teatro alla Scala, il Fondo Lanari e quello Carteggi vari della Biblioteca nazionale di Firenze, il Fonds Saint-Saëns della Médiathèque Jean Renoir di Dieppe.

V. Marchesi, Storia documentata della rivoluzione e della difesa di Venezia negli anni 1848-49, Venezia 1913, pp. 218-224; C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, II, Milano 1929, p. 445; J. Annen, Le versioni italiane rappresentate delle opere di Riccardo Wagner, Muralto-Locarno 1943, pp. 34-121; M. Morini, Z., A., in Enciclopedia dello spettacolo, IX, Roma 1962, coll. 2087 s.; A. Cassi Ramelli, Libretti e librettisti, Milano 1977, pp. 259-262; Carteggio Verdi-Ricordi: 1882-1885, a cura di F. Cella - M. Ricordi - M. Di Gregorio Casati, Parma 1994, p. 62; A. Boito, Ero e Leandro: tragedia lirica in due atti, a cura di E. d’Angelo, Bari 2004, p. 15; B. Brumana, La traduzione e la fortuna italiana de “Le Roi de Lahore” di Massenet, in La traduction des livrets. Actes du Colloque international... 2000, a cura di G.R. Marschall, Paris 2004, pp. 303-323; B. Cortázar et al., Contributo per un catalogo dei librettisti scapigliati, in Scapigliatura & fin de siècle: libretti d’opera italiani dall’Unità al primo Novecento, a cura di J. Streicher - S. Teramo - R. Travaglini, Roma 2004, pp. 122-128; E. Fava, Liederisti e traduttori: Z. legge Schubert, in Das österreichische Lied und seine Ausstrahlung in Europa, a cura di P. Béhar - H. Schneider, Hildesheim 2007, pp. 125-144; P. Faustini, La cucina dello spettacolo. Forme drammatico-musicali di transizione nei libretti dell’opera italiana postunitaria, tesi di dottorato, Università di Ferrara, 2007, pp. 89-108.

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