anima Nell’accezione più generica, come del resto nella coscienza comune, è il principio vitale dell’uomo, di cui costituisce la parte immateriale, che è origine e centro del pensiero, del sentimento, della volontà, della stessa coscienza morale.
I termini con cui l’a. è designata appaiono quasi universalmente collegati con l’idea della respirazione (gr. ψυχή e ϑυμός [cfr. lat. fumus] e πνεῦμα; lat. animus, anima [cfr. gr. ἄνεμος, «vento»] e spiritus; sanscr. asa,
L’elaborazione del concetto dell’a. come soffio vitale è contemporanea allo svolgersi della riflessione filosofica greca. Anassimene considera l’aria quale principio del cosmo proprio in quanto la concepisce come soffio vitale che tiene insieme il corpo del mondo. Parallelamente la tradizione orfico-pitagorica asserisce decisamente il principio della sopravvivenza dell’a. al corpo e del suo passaggio dall’uno all’altro corpo in rinnovate esistenze (metempsicosi). A questa concezione si oppone l’atomismo democriteo che considera anche l’a. come un aggregato di atomi, più piccoli, lisci e mobili degli altri, destinato a dissolversi dopo la morte. Questa dottrina è in seguito ripresa da Epicuro e dagli epicurei, i quali vedono in essa il più sicuro argomento per affrancarsi da ogni timore circa il destino oltremondano dell’anima. La fede orfico-pitagorica nella sopravvivenza dell’a. e nella metempsicosi è poi nuovamente affermata e approfondita da Platone, di cui è caratteristico il collegamento del problema dell’immortalità con quello gnoseologico: l’a. può conoscere le idee, forme ideali di assoluta realtà, solo per reminiscenza. Dal punto di vista della struttura interna, Platone considera l’a. divisa in una parte razionale e in una irrazionale, a sua volta scissa in a. irascibile e in a. concupiscente: tripartizione alla quale corrisponde poi quella delle classi nello Stato tratteggiata nella Repubblica. Altrove (per es. nel Fedone) Platone tende ad attribuire tutto l’elemento irrazionale e passionale al corpo, considerando l’a. come puramente razionale, quando dal corpo si stacchi o comunque lo domini escludendo ogni sua influenza. Il nesso dell’a. col corpo è invece ritenuto essenziale da Aristotele, che lo riconduce a quello della ‘forma’ e della ‘materia’ nella ‘sostanza’ e quindi nega la sussistenza dell’a. indipendente dal corpo. L’a. dispiega la sua attività in certe proprietà corrispondenti ai gradi dello sviluppo vitale e da queste si denomina: le nutritive nelle piante (a. vegetativa), le sensitive e motrici negli animali (a. sensitiva), le intellettive nell’uomo (a. intellettiva); queste proprietà non sono separate tra di loro, le più complesse includendo le più semplici. Dalla concezione aristotelica dell’a. come forma del corpo deriva la grande difficoltà cui si trovò di fronte il pensiero cristiano quando verso la metà del sec. 13° accolse in sé l’aristotelismo. Il grande sforzo di s. Tommaso d’Aquino fu allora di interpretare i testi aristotelici in modo da conciliarli con la dottrina cristiana dell’a. immortale. Il problema dell’a. nel suo rapporto con il corpo viene posto in nuova forma nella filosofia cartesiana: dedotta dal cogito – e dalla sua autonomia rispetto a ogni attività sensibile – l’esistenza di una res cogitans di cui il pensiero è manifestazione, questa si pone come sostanza, caratterizzata quale nettamente distinta e contrapposta alla res extensa in cui il corpo è fatto rigorosamente rientrare. Tutto lo sviluppo del pensiero posteriore, che, attraverso l’occasionalismo e l’empirismo, culmina da un lato in G.W. Leibniz e dall’altro in G. Berkeley, viene a risolvere l’universo in una molteplicità di a., per ciascuna delle quali la totalità delle cose si identifica con la rappresentazione che essa ne ha. D. Hume rivolge la stessa analisi soggettitivistica ed empiristica che già aveva condotto alla risoluzione della res extensa dimostrando come neppure questo tipo di sostanza sia pensabile quale entità permanente e distinta dall’infinito variare delle sensazioni e degli stati di coscienza. Il concetto dell’a. si dissolve con ciò completamente in quello della coscienza soggettivisticamente considerata, cioè dell’‘io’. Concezione questa che sostanzialmente si ritrova nelle filosofie idealistiche, dai postkantiani in poi. I. Kant invece seguita a considerare l’a. e la sua immortalità, concepita in senso tradizionale, come uno dei postulati che la ragione pratica deve presupporre, pur senza poterli dimostrare, ai fini dell’accordo oltremondano tra virtù e felicità. Nel pensiero contemporaneo – nelle correnti che ancora accettano una problematica dell’a. – si hanno soluzioni ed esiti diversi, mentre altri orientamenti speculativi negano la stessa proponibilità del problema.
A. del mondo Concetto filosofico già presente nelle filosofie presocratiche, è sviluppato propriamente nel
Nell’Antico Testamento i termini più frequentemente usati (oltre nĕshāmāh «soffio») alludono anch’essi alla respirazione. La «carne» (bāśār) è animata dalla nefesh, che è il respiro (reso in greco con ψυχή e quindi «anima»), ma che significa piuttosto la vita, tanto da essere usato in luogo di pronome personale o riflessivo. Ruaḥ, reso in greco con πνεῦμα e quindi con «spirito», indica esso pure l’alito vitale, comunicato agli uomini da Dio; sotto l’influsso della cultura greca, nei libri dei Maccabei e della Sapienza, πνεῦμα diventa lo spirito divino e ψυχή l’elemento superiore nell’uomo, che nella Sapienza è detto immortale. Anteriormente al libro della Sapienza non si trova nell’Antico Testamento una dottrina dell’immortalità dell’a.: i testi parlano solo di una certa sopravvivenza dell’uomo, senza alcuna idea di premi o castighi. Nel Nuovo Testamento la terminologia greca, riproduce, in sostanza, quella dell’Antico Testamento; ma πνεῦμα, dove non designa lo Spirito divino, indica le attività propriamente spirituali. Sorge il problema se
La Chiesa cattolica non si è preoccupata tanto di far propria una determinata dottrina, quanto di tener fermi alcuni principi essenziali, quali la natura spirituale e immortale dell’a. individuale, creata da Dio, e il diverso destino di ciascuna dopo la morte, in base ai meriti acquistati in vita. Perciò ha ripudiato dottrine contrarie a tali principi: l’emanatismo (di gnostici e tardi priscillianisti), per il quale l’a. è parte della sostanza divina, quindi increata; la preesistenza dell’a., la sua identità di natura con gli angeli e la sua unione con il corpo conseguenza di un decadimento (dottrina di