MAGNANI, Anna

Enciclopedia del Cinema (2003)

Magnani, Anna

Francesco Costa

Attrice teatrale e cinematografica, nata a Roma il 7 marzo 1908 e morta ivi il 26 settembre 1973. Tra le poche attrici dell'intera storia del cinema (certamente la prima tra le italiane) a essere celebrata in tutto il mondo come un autentico mito, un talento unico, una personalità di straripante carica vitale e un incomparabile modello d'umanità, il cui ricordo rimane vivido nonostante il trascorrere dei decenni. Come tutti gli artisti dotati in misura straordinaria, e per questo difficilmente classificabili, faticò ad affermarsi nel mondo dello spettacolo. Considerata inadatta al cinema dei telefoni bianchi (che esaltava un modello di donna fatuo e levigato) per i tratti marcati del suo viso, la popolaresca esuberanza e l'espressione eccessivamente intensa, divenne un'artista di fama internazionale soltanto alla vigilia dei quarant'anni. Grazie al film Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, in cui seppe aderire con struggente vitalità al personaggio di Pina, abbattuta dai nazisti con una raffica di mitra mentre rincorre il camion su cui è stato appena caricato il suo uomo, divenne il simbolo dell'Italia dell'immediato dopoguerra. Capace di passare senza alcuna difficoltà dalle più esilaranti caratterizzazioni comiche a sublimi interpretazioni tragiche, si rivelò un personaggio assolutamente inedito sia nel cinema italiano sia in quello di altri Paesi, proponendo un tipo di donna di grande carisma, capace di unire in sé i più irriducibili opposti, apparendo allo stesso tempo plebea e aristocratica, umile e sfrontata, passionale e introversa. Fu la prima attrice italiana a vincere il premio Oscar, che le venne conferito nel 1956 per The rose tattoo (1955; La rosa tatuata) di Daniel Mann, e ottenne inoltre una nomination al prestigioso riconoscimento con Wild is the wind (1957; Selvaggio è il vento) di George Cukor, che le valse anche l'Orso d'argento al Festival di Berlino del 1958.

Nata da una diciottenne nubile, che si trasferì in Egitto per evitare lo scandalo (da qui le ricorrenti voci che vollero la M. nata ad Alessandria d'Egitto), l'attrice non seppe mai chi era suo padre e fu allevata dalla nonna e da cinque zie nubili. Nel 1926 s'iscrisse alla Reale scuola di recitazione Eleonora Duse (che contava tra gli allievi Paolo Stoppa), imponendosi all'attenzione di Silvio D'Amico, insegnante di storia del teatro drammatico, per l'impeto con cui riuscì ad affrontare, al saggio del primo corso, testi di G. Verga e C. Goldoni. Scritturata come generica dalla compagnia drammatica di Dario Niccodemi, lasciò la scuola a metà del secondo anno, e partì per Montevideo per poi debuttare al teatro Odeon di Buenos Aires. Le furono affidati ruoli microscopici, spesso di una sola battuta, ma quando lasciò la compagnia nel 1930 era già stata notata da alcuni critici teatrali particolarmente attenti. Nel 1931 recitò nella compagnia di Antonio Gandusio e, successivamente, con i fratelli De Rege, antesignani dell'umorismo demenziale, sovvertitore d'ogni logica, accanto ai quali colse un successo personale nel 1935 con Casanova, non sei più tu!. Si affermò, poi, come attrice drammatica in La foresta pietrificata di R.E. Sherwood, e soprattutto in Anna Christie di E. O'Neill, rappresentati entrambi al Teatro delle Arti di Roma, rispettivamente nel 1938 e nel 1939. Aveva già esordito nel cinema in La cieca di Sorrento (1934) di Nunzio Malasomma, ma poté rivelare il suo talento comico soltanto nel successivo Tempo massimo (1934) di Mario Mattoli, interpretando un'ardita cameriera, Emilia, che insidia un intimidito professore (Vittorio De Sica). Apparve poi accanto ad Amedeo Nazzari nel film Cavalleria (1936) di Goffredo Alessandrini, ma nel ruolo marginale della canzonettista Fanny, poiché il regista (che aveva sposato l'attrice nel 1935) la riteneva, come altri, inadatta al cinema. Solo molti anni dopo, nel 1952, le avrebbe offerto un ruolo intenso e affine al suo temperamento, quello di Anita Garibaldi in Camicie rosse ‒ Anita Garibaldi, anche se sul set non mancarono comunque tra loro aspri contrasti.Mentre il cinema tardava a valorizzarla, ottenne invece grande successo sulle scene accanto a Totò, con il quale recitò in quattro spettacoli di rivista, rimasti leggendari: Quando meno te l'aspetti (1940), Volumineide (1942), Che ti sei messo in testa? (1944) e Con un palmo di naso (1944), scritti e diretti da Michele Galdieri. Per il cinema aveva nel frattempo interpretato con immediatezza ed effetti di grande godibilità, un altro personaggio di canzonettista in Teresa Venerdì (1941) di Vittorio De Sica, e s'era fatta notare successivamente in Campo de' Fiori (1943) di Mario Bonnard, nel ruolo della fruttivendola Elide, innamorata non corrisposta del pescivendolo Peppino (Aldo Fabrizi). Con Fabrizi fece di nuovo coppia in L'ultima carrozzella (1943) di Mario Mattoli, in cui interpretò un ennesimo personaggio di canzonettista, la bizzosa Mary Dunchetti. La guerra volgeva al termine e Roma era occupata dalle truppe tedesche. Per evitare di essere richiamati a Salò, molti artisti romani inventarono impegni che li costringessero nella capitale: la M. recitò così (doppiata da Tina Lattanzi) nel bizzarro Quartetto pazzo (1945) di Guido Salvini, con Rina Morelli e il suo vecchio compagno di scuola Paolo Stoppa. Il film successivo, Roma città aperta, tra le più alte espressioni del Neorealismo, ancora accanto ad Aldo Fabrizi, impose finalmente il suo nome in tutto il mondo, oltre a farle vincere un Nastro d'argento come migliore attrice non protagonista, ma soprattutto le fece incontrare Rossellini, con il quale visse un febbrile sodalizio artistico e sentimentale. La sua attività divenne frenetica: nel 1945 tornò al teatro per interpretare Scampolo di D. Niccodemi, e per riprendere Anna Christie, ma ottenne ottime proposte anche dal cinema. Nel 1946, infatti, fu accanto ad Amedeo Nazzari in Il bandito di Alberto Lattuada, in cui diede vita a un personaggio fosco, quello dell'avventuriera Lydia, e riscosse un buon successo di pubblico con il ruolo comico di una fruttivendola arricchita in Abbasso la ricchezza! di Gennaro Righelli, accanto a Vittorio De Sica. Continuando ad alternare interpretazioni brillanti a ruoli tragici, s'impose in L'onorevole Angelina (1947) di Luigi Zampa, in cui è una popolana che rivendica il diritto dei borgatari a una vita dignitosa, e in Assunta Spina (1948) di Mattoli, dal dramma omonimo di S. Di Giacomo, già portato sullo schermo da Francesca Bertini nel 1915. Vinse quindi un Nastro d'argento come migliore attrice protagonista per L'amore (1948) di Rossellini, composto di due episodi, uno dei quali era il monologo teatrale La voix humaine di J. Cocteau e l'altro un soggetto di Federico Fellini intitolato Il miracolo in cui una povera demente viene sedotta da un vagabondo che lei crede San Giuseppe (impersonato dallo stesso Fellini). Fu la fine del suo connubio con Rossellini che, innamorato di Ingrid Bergman, volle dirigere l'attrice svedese nel film Stromboli ‒ Terra di Dio (1950). Impulsivamente, quasi a mettersi in gara con la rivale, la M. accettò di recitare in Vulcano (1950) di William Dieterle, dando vita a quella che la stampa chiamò la 'guerra dei vulcani', ma il film risultò un fiacco melodramma che non poté competere con il capolavoro di Rossellini, pur se entrambi furono clamorosi insuccessi al botteghino. Con Bellissima (1951) di Luchino Visconti, la M. offrì una delle sue più toccanti interpretazioni, disegnando, nel ruolo di una popolana che si batte perché la figlia diventi attrice cinematografica, un vero inno all'amore materno ferito e vilipeso, ma anche ostinato e fiero, che le valse un altro Nastro d'argento. Visconti aveva già pensato a lei per il suo film d'esordio, Ossessione (1943) ‒ ma l'attrice aveva dovuto rinunciare alla parte perché in attesa di un figlio (l'amatissimo Luca avuto dall'attore Massimo Serato) ‒ e avrebbe dovuto dirigerla anche in La carrozza d'oro (1952) che fu realizzato invece da Jean Renoir, sulla base di un testo di P. Mérimée. La M. vi interpretò la teatrante Camilla che all'amore preferisce l'arte, ma la freddezza accademica del film lasciò perplessi i critici. Chiamata a Hollywood, affiancò Burt Lancaster in The rose tattoo, da un dramma di T. Williams, nel ruolo di una vedova italiana emigrata in Florida, ottenendo con l'Oscar la definitiva consacrazione a livello internazionale. Quindi delusa dall'insuccesso del film italiano Suor Letizia (1956) di Mario Camerini, in cui è una monaca che reprime in sé il richiamo della maternità, tornò a Hollywood per recitare in Wild is the wind accanto ad Anthony Quinn. Il successivo Nella città l'inferno (1959) di Renato Castellani, in cui impersonò un'aggressiva e corrotta detenuta, le causò qualche amarezza per la malignità della stampa italiana che la contrapponeva come esponente della 'vecchia generazione' a Giulietta Masina, altra interprete del film. Negli Stati Uniti recitò invece in The fugitive kind (1960; Pelle di serpente) di Sidney Lumet, ancora da un dramma di T. Williams, in cui formò con Marlon Brando una coppia di forte impatto erotico, ma i critici stroncarono il film; non riscosse alcun successo neanche Risate di gioia (1960) di Mario Monicelli, in cui ritrovò Totò, l'amatissimo partner dei tempi dell'avanspettacolo. Come accade comunemente ad artisti di eccezionale temperamento, la M. era sempre più grande dei suoi film, talvolta irrisolti o convenzionali. Fu Pier Paolo Pasolini a offrirle un personaggio forte, indimenticabile, tagliato sulla sua statura mitica, quello di una matura prostituta che tenta di cambiar vita in Mamma Roma (1962). L'insuccesso di un modesto film francese, Le magot de Josefa (1963; La pila della Peppa) di Claude Autant-Lara, in cui è la proprietaria di un'osteria, la convinse a lasciare il cinema e a tornare al teatro, dove trionfò nel 1965 con La lupa di G. Verga, per la regia di Franco Zeffirelli. Più tiepidi consensi riscosse invece nel 1966, diretta da Giancarlo Menotti, in Medea di J. Anouilh. Per il cinema recitò ancora in Made in Italy (1965) di Nanni Loy, e impersonò la moglie di un oste (Anthony Quinn) in The secret of Santa Vittoria (1969; Il segreto di Santa Vittoria) di Stanley Kramer, un'incoerente commedia hollywoodiana, ambientata nel Piemonte del periodo bellico, ma curiosamente girata in Ciociaria. Definitivamente delusa dal cinema, si lasciò convincere dal produttore, sceneggiatore e regista Alfredo Giannetti ad affrontare nel 1971 quattro film per la televisione, imperniati su altrettante figure di donna in varie epoche della storia d'Italia. Elaborando personaggi non dissimili dai tanti già interpretati per il grande schermo, la M. ripercorse le tappe della sua carriera in un mirabile compendio, che ebbe quasi la valenza di un testamento morale, e offrì ancora eccellenti prove d'attrice. Nell'episodio La sciantosa sembrò ricordarsi degli innumerevoli personaggi di canzonettista affrontati ai suoi esordi, nel dar vita a una diva del café chantant che, durante la Prima guerra mondiale, canta per i soldati al fronte e perde la vita sotto un bombardamento per salvare un soldatino (interpretato da Massimo Ranieri), da lei prima tormentato con i suoi capricci di primadonna. Un'eco di Roma città aperta si riesce ad avvertire in 1943: un incontro, nel quale un'infermiera va alla ricerca di viveri insieme a un uomo (Enrico Maria Salerno) che verrà deportato in Germania, mentre richiama la protagonista di Mamma Roma la matura mondana, 'Contessa', che in L'automobile vede svanire nel peggiore dei modi il suo sogno di possedere una vettura. L'unico episodio a fruire di una programmazione nelle sale cinematografiche fu …Correva l'anno di grazia 1870, in cui la M. è la popolana Teresa che, alla vigilia dell'annessione di Roma all'Italia, vede spirare tra le sue braccia il marito (Marcello Mastroianni), cospiratore antipapalino. Per chiudere degnamente il suo Roma (1972), Federico Fellini insistette per averla, come simbolo stesso della Città eterna, in una fulminea, notturna apparizione, a conclusione della quale con un emozionante "Nun me fido…" la M. si congeda dal suo pubblico, prima di sparire nel buio, dietro il portone di un antico palazzo. Fu questa la sua ultima, grande prova.

A dieci anni dalla sua scomparsa Giannetti realizzò per Rai Tre un programma in quattro puntate, Anna Magnani: l'attrice, la donna, il mito, scritto da Anna Scriboni, in cui la grande attrice viene ricordata con commozione e affetto da decine di artisti.

Bibliografia

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H. Bianciotti, Hommage: la Magnani, l'intensité de la passion, in "Cinéma", decembre 1973.

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P. Carrano, La Magnani, Milano 1982.

T. Mitchell, The construction and reception of Anna Magnani in Italy and English-speaking world, in "Film criticism", Fall 1989.

Anna Magnani, a cura di P. Pistagnesi, Roma 1989.

D. Chase, Anna Magnani: miracle worker, in "Film comment", November-December 1993.

"Iskusstvo kino", Ijul′ 1995, pp. 65-79.

A. Anile, La guerra dei vulcani: storia di cinema e d'amore, Recco 2000.

M. Hochkofler, Anna Magnani, Roma 2000².

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