BENTIVOGLIO, Annibale

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BENTIVOGLIO, Annibale

Gaspare De Caro

Nacque a Bologna nel 1469, primogenito di Giovanni II e di Ginevra Sforza. Nel gennaio del 1474 il Senato bolognese richiese ed ottenne per il B. da Sisto IV il diritto a succedere al padre, dopo la morte di lui, nel primato cittadino, oltre a vari privilegi connessi a tale posizione politica, come il diritto di legittimare bastardi e la conferma del dazio delle "carteselle". Il 26 marzo dello stesso anno il B. fu creato cavaliere da Cristiano di Norvegia, durante un soggiorno del re a Bologna. Nel quadro dell'accorta politica di matrimoni condotta dal padre per sancire e stabilire amicizie ed alleanze con i maggiori signori italiani, nell'aprile dell'anno 1478 furono concluse le nozze del B. con Lucrezia d'Este, la quale era figlia naturale di Ercole, signore di Ferrara.

Il matrimonio fu celebrato a Bologna il 28 genn. 1487 e venne lungamente ricordato per lo sfarzo spiegato dai Bentivoglio, assumendo la cerimonia il significato di una esibizione della straordinaria opulenza della famiglia, nonché dell'influenza politica di Giovanni Bentivoglio: in suo omaggio infatti presero parte ai festeggiamenti, oltre ad Ercole d'Este e ad altri familiari della sposa, tra i quali il marchese di Mantova Francesco Gonzaga, anche le rappresentanze dei maggiori signori italiani, dal re di Napoli al papa, dal duca di Milano alla Repubblica di Venezia, dal duca di Calabria al duca di Urbino, a Lorenzo de' Medici, ai signori di Rimini, Pesaro, Camerino, Forlì.

Nello stesso anno i Fiorentini assoldarono il B. affidandogli il comando di 100uomini darme e di 1000 fanti, perché partecipasse nell'esercito del conte di Pitigliano, Niccolò Orsini, alla campagna contro i Genovesi. Il B. ebbe in essa una parte importante, contribuendo inmodo decisivo alla conquista di Sarzana ed acquistandosi così, giovanissimo, un'ottima reputazione di condottiero.

Nel luglio dell'anno successivo il B: partecipò con il padre al convegno di Parma nel quale venne confermata l'alleanza tra Bologna, il duca di Milano, Ercole d'Este e Francesco Gonzaga, e in questa occasione Giangaleazzo Sforza gli attribuì una condotta di 300 cavalli.

Scoperta nel 1488 la congiura dei Malvezzi contro Giovanni Bentivoglio, Annibale partecipò con tutti i suoi familiari alla spietata repressione degli avversari, ristabilendo rapidamente con fredda determinatezza la calma nella città.

Il 1° nov. 1489 Giovanni Bentivoglio imponeva ai concittadini la nomina del suo primogenito alla carica di gonfaloniere di giustizia: tale elezione contravveniva alle norme, giacché il B. noi) aveva l'età richiesta e nonfaceva parte del magistrato dei Riformatori; con simile misura, e con altre analoghe che derogavano dalle consuetudini e dalle leggi cittadine, Giovanni Bentivoglio intendeva confermare con la forza, dopo la congiura dei Malvezzi, il proprio primato avviato ormai a caratterizzarsi come una vera signoria personale ed ereditaria.

Non si potrebbero meglio definire la personalità ed il ruolo esercitato dal primogenito di Giovanni Bentivoglio, di quanto non facesse l'emblema personale adottato dallo stesso B.: un falco uscente dal nido con l'orgoglioso motto "nunc mihi". Destinato sin dai suoi primi anni alla successione del padre nella signoria di Bologna, col consenso della cittadinanza e l'approvazione sempre rinnovata dei pontefici, il B. fu, finché durarono le fortune della sua casa, lo splendido protagonista della vita bolognese, nella quale un trionfante gusto rinascimentale si affermava sulle ancor vive tradizioni dell'arte e del costume gotici. Così pure gli toccò rappresentare la signoria bolognese nelle corti amiche, in occasione di nozze e di altre cerimonie ufficiali; nel dicembre del 1488 fu a Milano per il matrimonio di Giangaleazzo Sforza con Isabella, figlia del duca di Calabria; nel 1490 a Mantova, alle nozze di Francesco Gonzaga con Isabella d'Este; nuovamente a Milano nel 1491, alle nozze di Lodovico Sforza con Beatrice d'Este e, nello stesso anno, insieme con il padre ed il fratello Alessandro, a Ferrara per il matrimonio di Alfonso d'Este con Anna Sforza.

Ma soprattutto il ruolo del B. fu quello di condottiero. Le alleanze politiche strette da Giovanni con i Fiorentini, con i Veneziani, con il duca di Milano, con il papa, si concretavano nella forma usuale della condotta militare; ma Giovanni era uomo troppo pacifico per esercitare in prima persona il mestiere delle armi e preferì sempre lasciare ai figli le fatiche della guerra mercenaria. Il B. assolse questo compito passando ininterrottamente da un signore all'altro, con l'indifferenza tipica dei soldati del tempo.

Nel 1492, dopo l'uccisione di Galeotto Malatesta, il B. fu inviato dal padre a Rimini, con 50 uomini d'arme, per prestare soccorso a Pandolfo Malatesta. Nell'aprile del 1493 tornò al soldo dei Fiorentini, partecipando alla guerra di Pisa, ed alle dipendenze di Piero de' Medici si trovava nel 1494 allorché, nell'imminenza della spedizione di Carlo VIII e poi nel corso di essa, i Fiorentini, gli Aragonesi e Alessandro VI non risparmiarono i tentativi per guadagnare Giovanni Bentivoglio alla lega antisforzesca ed antifrancese.

Il B. divenne allora uno strumento di pressione sul padre, così come il fratello Antongaleazzo, per il quale il pontefice prometteva il cappello cardinalizio in cambio dell'appoggio politico e militare dei Bentivoglio. Allo stesso B. i Fiorentini lasciarono sperare un aumento della condotta se suo padre si fosse impegnato con loro, sicché egli non risparmiò gli sforzi per convincere Giovanni. Durante la campagna nelle Romagne, poi, i Fiorentini inviarono al campo del duca di Calabria Ferdinando d'Aragona un solo condottiero e questo fu appunto il B., con l'evidente intenzione di compromettere il signore di Bologna agli occhi di Lodovico il Moro e di Carlo VIII. Tutti i tentativi riuscirono inutili, poiché Giovanni Bentivoglio rimase fermo nella via prescelta della neutralità.

Il B., per proprio conto, durante una sosta a Bologna, insieme al fratello Antongaleazzo respinse con milizie raccogliticce gli sforzeschi da Molinella, ma ne fu fieramente rampognato da Giovanni, il quale minacciò i due figli di dichiararli ribelli se avessero ripetuto simili iniziative. Del resto non appena il duca di.Calabria si fu allontanato dalla Romagna il B. fu pronto a lasciare l'esercito ducale e a fare ritorno a Bologna, donde scrivere al Moro assicurandolo della propria personale devozione: così si rompeva l'ultimo legame che aveva unito Giovanni Bentivoglio alla lega antisforzesca.

Nel 1494 il B. riceveva insieme al padre ed ai fratelli vari privilegi dall'imperatore Massimiliano: essi furono tutti "creati nobili et membri del Sacro Romano Imperio, con potestà et facoltà di fare et far fare moneta di ogni metallo in Bologna et altrove, ove a loro piacerà, della lor stampa e cunio nella zecca per loro ordinata ad essaltazione della sua famiglia Bentivoglio", ed inoltre "aggregati nel numero delli consiglieri del Sacro Imperio, domestici, familiari et comensali continui di Sua maestà" (Ghirardacci, p. 279), ed autorizzati a fregiare lo stemma di famiglia con l'aquila imperiale. In particolare, come primogenito del signore di Bologna e suo successore designato, il B. otteneva insieme al padre il diritto di "creare cavallieri et dottori in qualunque facoltà".

Nell'aprile del 1495 il B. fu inviato a Milano a rappresentare il padre all'incoronazione di Ludovico Sforza; nel maggio seguente era ancora nella capitale lombarda al comando dei soccorsi bolognesi al Moro, minacciato dal duca d'Orléans, ed era poi incaricato dallo Sforza e dai Veneziani di reclutare armati nel territorio bolognese contro Carlo VIII, partecipando quindi alla battaglia di Fornovo al comando di 200 uomini d'arme.

Nel 1496 fu inviato dal padre a Carpi per comporre le contese faziose tra i partigiani di Giberto Pio e del cugino di lui Alberto Pio. Nello stesso anno fu mandato dalla Repubblica di Venezia, al comando di 150 uomini d'arme e di 100 cavalli leggeri, a soccorrere Pisa contro i Fiorentini. Nel febbraio del 1497, al soldo insieme del duca di Milano e della Repubblica di Venezia, prese parte alla campagna di Lombardia contro Giangiacomo Trivulzio: per poco però, perché pochi mesi dopo era nuovamente a Bologna, coerentemente alla politica del padre, che non volle spingere la sua solidarietà col duca di Milano sino a compromettere la propria stessa signoria, come aveva motivo di temere dal risentimento di Luigi XII. Nell'estate successiva il B. poteva così tornare al servizio di Firenze, ancora per la guerra di Pisa ed ancora una volta cambiando campo.

L'anno seguente, naturalmente, era ancora con i Veneziani, con l'incarico di sostenere il tentativo di Piero e Giuliano de' Medici di rientrare in Firenze, distinguendosi nella campagna del Casentino e contribuendo alla conquista di Bibbiena. Entrato Luigi XII in Milano, nel settembre del 1499 si recava a rendergli omaggio in nome del padre. Nei due anni successivi, mentre si addensava su Bologna la minaccia del Valentino, il B. si prodigò negli omaggi ai Borgia, sperando, col padre, di sventare con gli accordi il pericolo. Così nel novembre del 1499, mentre il duca di Romagna muoveva contro Imola e Forlì, fu ad incontrarlo e lo ospitò in Bologna; sul finire dei 1501 accompagnò a Roma il cardinale Ippolito d'Este che si recava a prendervi Lucrezia Borgia per condurla a Ferrara in sposa al fratello Alfonso.

Quando però più pressante si fece la minaccia di Cesare, il B. fiancheggiò validamente il padre nell'organizzare la resistenza. Nell'agosto del 1502 si recò col fratello Alessandro a Milano, per chiedere la protezione di Luigi XII: ma nemmeno con i ricchi doni che offrirono al re i due Bentivoglio riuscirono ad ottenere quanto desideravano. Non rimaneva che contare su una strenua difesa militare ed il B., tornato a Bologna, si prodigò nel raccogliere gli armati necessari per tener testa a Cesare. Fu fortuna dei Bentivoglio, in questa occasione, il timore che i Bolognesi avevano del Borgia: volontariamente i cittadini offrirono ai loro signori tutta la loro solidarietà ed il B., capitano del quartiere di S. Pietro, vi raccolse senza difficoltà armati e denaro.

Dopo l'accordo stabilito nell'ottobre del 1502 alla Magione dal fratello Ermes con i capitani ribelli del Valentino, il B., a capo delle milizie bolognesi, costituite da 1.200 cavalli, 6.000 fanti e da 6 pezzi di artiglieria, si spinse sino a Castel San Pietro mentre Vitellozzo Vitelli, gli Orsini e gli altri confederati stringevano da Fossombrone il Valentino. Il Borgia usciva dal pericoloso passo con un accordo separato con i Bentivoglio, nel quale tra l'altro per il primogenito del B., Costanzo, veniva stabilito il matrimonio con una nipote del pontefice. Il B. si ritirava quindi con il proprio esercito a Bologna, essendosi lasciato sfuggire, insieme ai capitani ducali ribelli suoi alleati, un'ottima occasione per cogliere il Valentino indifeso e sbarazzarsene: del che però il Vitelli ed i suoi compagni pagarono un ben più alto prezzo. L'inerzia armata dei Bentivoglio ottenne invece il successo, giacché il tempo lavorava contro il Valentino.

Morto Alessandro VI e svanito il pericolo dei Borgia, i signori di Bologna potevano credere di aver affrontato vittoriosamente la prova decisiva del loro potere. All'elezione del nuovo pontefice Pio III, nell'ottobre del 1503, il B. si recò a Roma per rendergli omaggio in nome del padre. Poi ritornò al mestiere dei condottiero, essendo assoldato nel 1505 dai Fiorentini contro i Pisani. Agli ordirti del congiuntoErcole Bentivoglio, governatore generale delle milizie fiorentine, il 17 luglio di quell'anno affrontò con 60 uomini d'arme, alla Torre di S. Vincenzo, Bartolomeo d'alviano che tentava di avvicinarsi a Pisa e di congiungersi con Giampaolo Bagláoni; nella battaglia il B. ebbe un ruolo decisivo (Nardi, I, p. 304)Un nuovo scontro, anche questa volta vittorioso, il B. ebbe con le genti di Bartolomeo d'alviano il 6 ottobre successivo a Campigliano.

Furono probabilmente le voci di una imminente impresa di Giulio II contro Bologna ad indurre il B. a lasciare il servizio fiorentino. Rifiutò, con il padre ed i fratelli, di recarsi a Roma per discolparsi dalle accuse che i fuorusciti bolognesi muovevano ai Bentivoglio. E, mentre Giulio II con il suo esercito marciava su Bologna, tentò di organizzare l'ultima resistenza. Come sul padre e sui fratelli, anche sul B. si riversò l'ira del pontefice: il 10 ott. 1506 Giulio II emanava a Forlì una bolla che lo dichiarava, con gli altri Bentivoglio, ribelle della Chiesa; su di lui veniva posta una taglia di 6.000 ducati se catturato vivo, di 3.000 se morto; veniva concessa l'indulgenza plenaria a chi lo avesse ucciso, i suoi beni decretati buona preda.

Non furono però queste misure a fiaccare la resistenza del B. e dei suoi familiari, ma piuttosto la notizia recata in Bologna dall'ambasciatore inviato a Luigi XII, Cristoforo da Poggio, che il re, lungi dal prendere sotto la propria protezione i Bentivogláo contro il papa, inviava a sostegno di quest'ultimo un esercito al comando dello Chaumont. Questo fatto segnò la fine della signoria bentivogliesca in Bologna: rinunziando all'ultima resistenza, del resto vana e per la città prevedibilmente disastrosa, i Bentivoglio patteggiarono la loro uscita da Bologna, ottenendo salva la vita ed i beni.

Così il B. fece parte del mesto corteo del signore di Bologna, quando questi, la notte tra il 1 e il 2 novembre, abbandonò la città con tutti i propri farnifiari. Ma se Giovanni era piuttosto inchne alla rassegnazione, non così il B. ed i suoi fratelli. Uno di questi, Alessandro, recatosi a Genova dove in quel momento si tratteneva Luigi XII, riferì che il re non si mostrava contrario ad un tentativo dei Bentivoglio di tornare a Bologna. Questa assicurazione, malgrado, a quanto pare, il contrario parere di Giovanni, sembrò sufficiente al B. ed ai fratelli Ermes e Antongaleazzo: radunati circa 2.000 uomini nei territori di Parma, Reggio e Mantova, con vari aiuti di Ginevra Sforza, la quale non si stancava di sospingere i figli alla riconquista dello Stato, e dei parenti Pio e Rangoni, marciarono su Bologna nel maggio del 1507, conquistando lungo la strada Bazzano, Crespellano e MonteVeglio. Ma il tentativo fallì a Casalecchio, dove i Bentivoglio furono sconfitti da un esercito pontificio. Nuovamente i Bentivoglio tentarono di impadronirsi della città l'anno successivo, chiamati dall'ancor forte fazione bentivogliesca. Anche questa volta però senza successo, ché il legato pontificio, il cardinale Francesco Alidosi, tolse loro ogni speranza d'aiuto dall'interno della città mandando a morte i principali sostenitori degli antichi signori, i senatori Innocenzo Ringhieri, Sallustio Guidotti e Alberto Castelli e il nobile Bartolomeo Magnani. Il B. riprese allora "il suo mestiere di soldato, passando al soldo dei Veneziani contro la lega di Cambrai e fu preposto alla difesa di Ravenna. Quando però Giulio II, dopo la battaglia di Agradrllo, ruppe la solidarietà con i Francesi e si riaccostò ai Veneziani, i Rentivoglio trovarono nuovamente credito presso Luigi XII: un altro tentativo contro Bologna fu sostenuto dall'esercito francese dello Chaumont nel 1510; esso non ebbe alcun risultato, ma le feroci repressioni alle quali si abbandonò il legato pontificio contro i bentivoglieschi tornarono ad inclinare l'animo della cittadinanza verso i figli di Giovanni II. Così nel maggio del 1511 i Bolognesi, mentre il legato si allontanava clandestinamente, aprirono le porte della città ai Bentivoglio che, sosteiruti dai Francesi di Giangiacomo Trivulzio, avevano costretto l'esercito ecclesiastico agli ordini del duca d'Urbino Francesco Maria Della Rovere ad abbandonare il campo.

Il B. ed i suoi fratelli, rientrando in città, si affrettarono a distruggere i segni più evidenti del potere pontificio: lasciarono che il popolo abbattesse la torre recentemente innanzata dal papa e la sua statua, opera di Michelangelo, sciolsero il magistrato dei Quaranta istituito da Giulio II, e ristabilirono l'antico consiglio dei XVI, dove il B. riacquistò quel posto eminente che era già stato suo. In sostanza però i Bentivoglio cercarono di fondare il loro recuperato potere su una politica moderata che, facendo leva sui sentimenti autonomistici della città, riguadagnasse alla famiglia le antiche simpatie; nel contempo alcuni esponenti del partito pontificio venivano chiamati a far parte dei XVI, probabilmente per preparare il terreno ad un futuro accordo con Giulio II. Ma furono gli avversari dei Bentivoglio a provocare una nuova crisi: tra essi Galeazzo Marescotti, uno dei pochi superstiti dell'eccidio dei suoi, il quale stabilì nel luglio del 1511 un accordo con i pontifici, tramite il cardinale Sigismondo Gonzaga, per restaurare nella città il potere papale. Con l'aiuto dei Francesi il tentativo venne sventato e l'episodio si concluse con una nuova strage degli avversari dei Bentivoglio. Ermeso il più feroce dei fratelli, fece uccidere il Marescotti e due altri sospetti di congiurare con gli ecclesiastici, Francesco Maletti e Girolamo Ludovisi. Così il proposito di mantenere il potere con il consenso dei cittadini e con la moderazione non ebbe a. ttuazione: quanti in città avevano ragione di temere l'odio dei Bentivoglio e le sanguinose collere di Ermes abbandonarono nascostamente Bologna e si rifugiarono nelle città vicine, ad Imola e Carpi. Veniva così nuovamente a mancare ai Bentivoglio la solidarietà dei Bolognesi; di lì a poco sarebbe loro mancato anche ogni appoggio esterno. Essi riuscirono dapprima a respingere un attacco portato a Bologna dai pontifici inviati dal cardinale Gonzaga; quando il papa inviò contro la città gli Spagnoli di Raimondo di Cardona riuscirono ancora a resistere con l'aiuto dei Francesi di Gastone di Foix. Ma dopo la battaglia di Ravenna, alla quale anche il B. partecipò, la discesa sul Milanese di Massimiliano Sforza con 20.000 Svizzeri obbligò i Francesi a rinunziare a difendere Bologna. Il B. comprese allora che senza un appoggio incondizionato dei concittadini e senza più la speranza di un aiuto esterno non avrebbe potuto resistere ad una nuova offensiva pontificia: decise perciò, insieme ai fratelli, di uscire dalla città e si rifugiò nuovamente a Ferrara, presso il duca Alfonso d'Este.

Il B. tuttavia non perdette le speranze di ritornare a Bologna. Alla morte di Giulio II e dopo l'elezione al pontificato di Leone X egli sperò che gli antichi legami di amicizia tra la sua famiglia ed i signori di Firenze potessero indurre il nuovro pontefice a riammetterlo nella signoria della città.

Nell'aprile del 1513 otteneva da Alfonso d'Este di essere inviato in suo nome a Roma per rendere omaggio al papa, insieme al fratello Ermes. Approfittando di questa occasione chiese al Medici di riammettere i Bentivoglio in Bologna: il contegno di Leone X fu assai ambiguo; senza dare alcuna assicurazione al B. decretò che nel consiglio dei Quaranta ristabilito in Bologna fosse riservato un posto libero; in Bologna si pensò con qualche ragione che il papa vi destinasse il Bentivoglio. Ma Leone X non cercava che di stabilire se il partito bentivogliesco fosse ancora abbastanza forte e se continuasse immutato il favore francese verso gli antichi signori di Bologna; quando vide che né dall'una né dall'altra parte veniva al B. alcun effettivo sostegno gli tolse definitivamente ogni speranza, mostrando che ad una sua riammissione in Bologna si opponevano i cittadini. Del resto l'atteggiamento dei Medici appare perfettamente coerente alla politica di rafforzamento dello Stato ecclesiastico e di eliminazione delle signorie particolari che aveva ereditato dai Borgia e da Giulio II.

Eletto Adriano VI, nell'aprile del 1522 il B., d'accordo con il governatore pontificio di Bologna, il vescovo Bernardo Rossi, con Annibale Rangoni, con Francesco Maria Della Rovere e con il cardinale bolognese Achille Grassi, che aveva proposto durante l'interregno al Sacro Collegio - senza successo però - di riammettere i Bentivoglio in Bologna, raccolse milizie nel Ferrarese e cercò di introdursi nella città. Ma i Bolognesi, guidati dai Malvezzi, dai Pepoli e dai Gozzadini, rafforzarono le difese cittadine e respinsero il giorno di Pasqua, 20 apr. 1522, gli assalti del B. e quando questo desistette dall'impresa lo inseguirono nella ritirata e catturarono parte delle artiglierie.

Un'ultima volta il B. tentò la sorte nel 1527, dopo il Sacco di Roma: pensando di poter approfittare dello sfacelo dello Stato pontificio, allacciò segrete trattative con alcuni Bolognesi per un colpo di mano sulla città. Il complotto però fu scoperto e i partigiani del B. furono espulsi da Bologna: il B. dovette rassegnarsi al proprio destino rinunziando definitivamente ad ogni altro tentativo. Visse da allora, senza più dare segno di sé, alla corte estense, e a Ferrara morì il 24 giugno 1540.

Fonti e Bibl.: C. Ghirardacci, Della historia di Bologna parte terza, in Rerum Italic. Script., 2 ed., XXXIII, 1, a c. di A. Sorbelli, passim;S.De Conti, Le storie de' suoi tempi dal 1475 al1510, II, Roma 1883, passim; P.De Grassi, Le due spedizioni milit. di Giulio II, a c. di L. Frati, I, Bologna 1886, passim;I.Nardi, Istorie della città di Firenze, Firenze 1888, I, pp. 85, 290, 299, 306, 323; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di G. Panigada, Bari 1929, I, pp. 60, 165, 262, 369; II, pp. 57, 200, 213. 232; IV, p. 164; N. Machiavelli, Il Principe e i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, a cura di S. Bertelli, Milano 1960, p. 77; Id., Arte della guerra e scritti politici minori, a cura di S. Bertelli, Milano 1961, pp. 6, 161; Id., Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, Milano 1964, I, pp. 391, 467, 546; II, p. 1080; G. Gozzadini, Memorie per la vita di Giovanni II Bentivoglio, Bologna 1839, passim; Id., Di alcuni avvenimenti in Bologna e nell'Emilia dal 1506 al 1511e dei cardinali legati A. Ferrerio e F. Alidosi, in Atti e Mem. d. R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 3, IV (1886), pp. 67-176; VII (1889) pp. 161-267; L. Frati, Il card. Francesco Alidosi e Francesco Maria Della Rovere, in Arch. stor. ital., s.5, XLVII (1911), pp. 148-158; G. B. Picotti, La neutralità bolognese nella discesa di Carlo VIII, in Atti e Memorie d. R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, IX (1919), pp. 165-246; E. Rodocanachi, Histoire de Rome. Le Pontificat de Jules II (1503-1521), Paris 1931, pp. 42, 48, 53; Id., Histoire de Rome. Les pontificats d'adrien VI et de Clément VII, Paris 1933, p. 32; C. M. Ady, The Bentivoglio of Bologna. A study in despotism, London 1937, passim;R. Patrizi Sacchetti, La caduta dei Bentivoglio e il ritorno di Bologna al dominio della Chiesa, in Atti e Mem. d. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, n. s., II (1950-1951), pp. 109-156; P. Litta, Famiglie celebri ital., Bentivoglio, tav. V.

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