ANSPERTO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANSPERTO

Margherita Giuliana Bertolini

Documentato dal 20 giugno 857, resse la sede arcivescovile di Milano dal 26 giugno 868. Figlio d'un Albuzio di Biassono (Brianza), apparteneva a una di quelle cospicue famiglie longobarde di campagna, di cui erano frequenti i contatti, gli scambi con la città e che, sopraffatte sul piano politico dalla conquista franca, dovevano tornare a farsi luce nell'ultima età carolingia; di questa società longobarda A. fu tipico esponente, sganciato, come si dimostrò, nella sua azione, dagli ideali che avevano animato la prima età carolingia e ormai non trovavano più una rispondenza nelle mutate circostanze, più vicino invece agli interessi ed alle necessità particolari del territorio su cui esercitò la sua giurisdizione ecclesiastica; nell'ambito di questo territorio, che s'identificava grosso modo con quello del vecchio "regnum" longobardo, ora "italicum", animato da questo spirito, giocò un ruolo di primo piano. Contribuì infatti in modo decisivo, inserendosi in un processo già iniziato da Un suo predecessore, Angilberto II (824-859), a fare dell'arcivescovo di Milano la figura politica preminente dell'Italia settentrionale, il cui atteggiamento sarà essenziale per i candidati alla corona regia e quindi imperiale; che non esiterà a rompere apertamente con Roma quando i suoi interessi si mostreranno divergenti.

Diacono sotto l'episcopato di Angilberto II, A. doveva essere già stimato nell'ambiente ecclesiastico milanese se Angilberto stesso si premurò di perorarne presso l'imperatore Lodovico II, il 20 giugno 857, una causa per il possesso di certi beni contesigli. Questa causa è in relazione ad un fatto di sangue: l'uccisione del fratello di A. da parte d'un certo Ansprando; secondo l'uso longobardo, a soddisfazione del delitto erano stati concessi al diacono milanese beni di proprietà dell'uccisore, che tuttavia doveva aver fatto di tutto per rientrame in possesso. Non è chiaro se questo episodio sia da vedersi come un semplice reato comune o come un delitto politico: certo aveva messo di fronte due grosse famiglie longobarde, segno dei mutarsi dei tempi.

La posizione di A. divenne eminente sotto l'episcopato del successore di Angilberto e suo immediato predecessore, Tadone (863-868): nel gennaio 865 infatti come arcidiacono e vicedotnino della chiesa milanese partecipòad un placito tenuto in Milano a favore del monastero di s. Ambrogio. Data la carica ricoperta, si può pensare che A. abbia affiancato attivamente l'azione di Tadone sia nel campo della vita della chiesa milanese sia in quello più ampio della politica: alcuni studiosi ritengono probabile anzi che il futuro arcivescovo abbia accompagnato Tadone a Roma allorché, come sembra, questi vi si recò per essere mediatore di riconciliazione tra l'imperatore Lodovico II ed il papa Nicolò I (864). Grande doveva essere quindi l'esperienza di A. e tale da giovargli nelle difficili circostanze future, quando da arcidiacono divenne arcivescovo della Chiesa ambrosiana.

Nella prima parte del suo episcopato agì in pieno accordo con la politica del pontefice Giovanni VIII - da questo nell'875 fu incaricato di svolgere insieme ai vescovi Liutfredo di Pavia e Paolo di Piacenza, una delicata indagine su Rodolfo cimperatorius homo" e Bava sua moglie - e non mancò di estendere in qualche modo la sfera d'azione di enti ecclesiastici milanesi: il 24 ott. 874 presiedette infatti a Milano come "missus" di Lodovico II insieme con il conte Bosone, a un placito che riconobbe la giurisdizione del monastero di S. Ambrogio su alcune chiese di Campione e Trevenna, contro il vescovo di Como, Eiberto, suffrganeo di Aquileia.

Dopo la morte dell'imperatore Lodovico II (12 ag. 875), privo di eredi diretti, A. mostrò, in perfetto accordo col pontefice, la preminenza che aveva raggiunto nelle cose dell'Italia settentrionale. Appoggiò infatti il candidato di Giovanni VIII, il carolingio di Francia Carlo il Calvo, contro i Carolingi di Germania, candidati della vedova dell'imperatore, la potente Angelberga, compiendo, come ad avere l'assenso sovrano alla sua scelta, uno degli atti più audaci e politici del suo governo: la presa di possesso del corpo del morto imperatore che il vescovo di Brescia Antonio, fedele ad Angelberga, aveva seppellito nella chiesa di S. Maria a Brescia. Fu lo stesso A. che, visto il diniego apposto dal vescovo bresciano al suo arcidiacono Anselmo, si recò a Brescia il 17 ag. 875, accompagnato dal suo clero e dai suoi vescovi suffraganei Garibaldo di Bergamo e Benedetto di Cremona, e riportò a Milano con magnifico corteo la salma di Lodovico II, che il 19 ag. 875 fu seppellita solennemente, fatto significativo, in S. Ambrogio, accanto agli altri re d'Italia Pipino e Bernardo. L'arcivescovo di Milano diveniva il custode dei re d'Italia e della loro corona; e in pratica della corona imperiale, che era associata per tradizione a quella italiana.

Nell'assemblea immediatamente successiva di Pavia i fedeli di A. equivalsero quelli di Angelberga tanto che due furono gli inviti da questa diramati: uno a Carlo il Calvo, l'altro a Lodovico il Germanico. Ma nell'assemblea pavese del febbraio 876, successiva alla incoronazione imperiale (25 dic. 875), assemblea assai importante perché è la prima che si occupò d'una successione al trono non disposta da un sovrano, A., cadute tutte le opposizioni, risulta in primissimo piano come primate dei "proceres" laici ed ecclesiastici.

L'atteggiamento di A. non dovette essere senza opposizioni nell'ambito della Chiesa milanese: probabilmente l'abate del monastero di S. Ambrogio, abbazia regia, di recente posta sotto il mundeburdio dei sovrani, rimase fedele ad Angelberga. In relazione a tale circostanza è probabilmente da porre il suo allontanamento dal monastero predisposto da A.; di questo allontanamento dà notizia una lettera del pontefice Giovanni VIII del 27 febbr. 877, nella quale pregava A. di riporre l'abate al suo posto. Indiscusso è il prestigio raggiunto da A. sotto Carlo il Calvo: nel marzo 877 era pregato dall'imperatrice vedova Angelberga, momentaneamente riconciliatasi col nuovo imperatore, di sottoscrivere a una sua donazione "pro anima", detta impropriamente "testamento", per dare all'atto maggiore solennità. Accanto ad A. sottoscrissero anche l'abate Ugo, cugino di Carlo il Calvo, ed il conte Riccardo, facente funzioni di luogotenente per l'Italia al posto del fratello Bosone. All'arcivescovo A. inoltre Angelberga affidò la consacrazione della badessa del chiostro di S. Sisto nel Piaceùtino, fondato con questa donazione, e il disbrigo di eventuali controversie interne del medesimo monastero.

Nell'agosto 877, convocatovi dal papa il 25 maggio, A. partecipò al concilio di Ravenna, che doveva ribadire il sostegno a Carlo il Calvo, il cui ritorno in Italia era ardentemente sperato dal papa in vista delle difficoltà che egli aveva con l'Italia meridionale.

La morte di Carlo il Calvo (ottobre 877) e il problema della sua successione provocarono una grave e significativa crisi nei rapporti tra A. e Giovanni VIII, che pose in evidenza come ormai la politica del papa e quella dell'arcivescovo si svolgessero su due piani diversi: la prima legata agli ideali dell'impero universale, la seconda ben consapevole della realtà del momento e delle soluzioni più adatte per tutelare gli interessi della Chiesa. La politica del papa faul, ed il suo fawmento, che va anche addebitato al mancato appoggio del metropolita milanese, fu una nuova dimostrazione dell'importanza e del potere assunto dall'arcivescovo di Milano.

Giovanni VIII infatti rivolse la sua azione politica verso la Francia, prima sollecitando il figlio di Carlo il Calvo, Lodovico il Balbo, poi Bosone, marito d'una figlia di Lodovico II; A., convinto dell'inutilità di rivolgersi ad una Francia priva di forze, lontana ormai da interessi per la corona imperiale, invece che ad una Germania più viva e comunque più minacciosa per il "regnum", s'orientò decisamente per il carolingio di Germania, Carlomanno. Il dissidio tra la Chiesa di Milano e Roma s'iniziò apertamente nell'878 allorché A. nulla fece, per quanto richiesto (inizi dell'aprile 878), per venire incontro alle difficoltà del pontefice sottoposto alle angherie degli Spoletini - questi giunsero ad occupare Roma esigendo un atto di fedeltà del papa verso Carlomanno (primavera 878) - e durò fino al concilio di Ravenna del gennaio 880, quando cioè, fallita la sua politica verso i Franchi, Giovanni VIII stesso, costretto per forza di cose a rivolgersi ai Carolingi tedeschi, eliminando così il maggior motivo di discordia con A., incoronò re d'Italia Carlo il Grosso. La sicurezza e gli interessi locali, quindi, spinsero l'arcivescovo milanese a rimanere sordo alle reiterate proposte ed ingiunzioni papali, e inutilmente il papa credette di poter sostituire l'autorítà del presule lombardo con quella del vescovo di Pavia, Giovanni, nominato vicario papale per l'Italia stttentrionale e incaricato di convocare concili. A. non partecipò al concilio di Troyes (agosto 878) ove era stato invitato (aprileinizi maggio 878), concilio che nelle intenzioni papali doveva riunire i maggiori interessati alla questione della successione di Carlo il Calvo per approvare le candidature papali, ma che di fatto non vide altro che la presenza dei clero e del laicato di Francia ed il fallimento quindi delle speranze papali. Non sappiamo se effettivamente A. fu intermediario tra il papa e Carlomanno come era nelle intenzioni papali espresse in un'epistola del luglio 878; certo il nostro arcivescovo non andò incontro a Giovanni VIII, reduce dalla Francia, al Cenisio, né fu presente al concilio celebratosi a Pavia il 2 dic. 878, da Giovanni VIII destinato a far riconoscere la candidatura di Bosone come re; né andò a Roma il 1° maggio 879, nonostante una minacciosa lettera di convocazione inviata da Giovanni VIII nel marzo-aprile dello stesso anno.

A. fu scomunicato in questo sinodo romano, ma non per questo recedette dal suo atteggiamento, anzi si rifiutò di far entrare in città i legati papali Giovanni vescovo di Pavia e Walperto di Porto, incaricati probabilmente di notificargli la scomunica,e continuò nell'esercizio del suo "ministerium" consacrando il vescovo di Vercelli, Giuseppe; imprigionò forse in questo tomo di tempo due monaci tedeschi Rodoaldo e Waleno di ritorno da Roma ove s'erano recati anche per ragioni politiche (la loro liberazione sarà poi richiesta dal papa, ormai riconciliato, nel novembre 880). La tensione giunse al culmine il 15 ott. 879, allorché nel sinodo romano tenuto in quest'anno Giovanni VIII depose A. ed invitò il clero milanese ad eleggere un altro arcivescovo, col consiglio dei vescovi Giovanni di Pavia e Waldone di Rimini.

Al placarsi del conflitto contribuirono, oltreché le mutate condizioni politiche, anche gli interventi dell'imperatrice Angelberga e di Carlo il Grosso, cui Carlomanno nell'autunno 879 aveva ceduto il posto di aspirante alla corona imperiale, Non tutti a Milano furono concordi con il grande arcivescovo nella sua opposizione al pontefice romano: certo Anselmo, l'arcidiacono della Chiesa milanese e successore di A., fu fedelissimo a Roma e molto probabilmente dovette lasciare la città: se vi fu un'elezione per sostituire il ribelle arcivescovo, Anselmo poté esserne il candidato se non addirittura l'eletto. Anselmo persisté nel suo atteggiamento ostile ad A. anche dopo la riconciliazione di questo col papa, come risulta da una lettera di Giovanni VIII del febbraio 881, in cui viene minacciato di scomunica se non rientra immediatamente nel seno della Chiesa milanese. Anche Attone, forse conte del Seprio, fu un altro avversario dell'arcivescovo ai danni della cui Chiesa s'impossessò di molti beni, tanto da essere, scomunicato da A., scomunica confermata dal pontefice il 15 febbr. 881. Chi ebbe con ogni probabilità grande merito nel ritorno alla normalità della vita milanese, fu l'abate dei due monasteri di S. Gervasio e Protaso e di S. Simpliciano accanto a cui era sorto anche lo xenodochio di S. Cosma e Damiano; l'abate si recò a Roma nell'inverno 881, fors'anche in relazione all'eventuale successione di Ansperto. L'ultima lettera di Giovanni VIII al metropolita milanese (15 febbr. 881), lettera che porta il consenso apostolico per l'elezione a vescovo di Asti di Giuseppe, è di tono assai cordiale. A. morì il 7 dic. 881.

A. esplicò altresì un'attività di carattere strettamente religioso, come la fondazione di parecchie chiese, ricordata nella sua epigrafe funebre, dello xenodochio di S. Satiro e la costruzione dell'atrio della basilica di S. Ambrogio. Fonti tarde gli attribuiscono anchela fondazione della canonica di S. Pietro di Agliate a Biassono. Numerose anche le opere d'utilità cittadina come quella, molto significativa,della ricostruzione delle mura. P, assai probabile che questa opera sia da mettere in relazione con timori che l'arcivescovo dovette avere di attacchi armati alla città al momento in cui Giovanni VIII tornò dalla Francia accompagnato da Bosone (878 circa). Alle stesse ragioni politiche è da far risalire la fortificazione del monastero di S. Ambrogio.

Stretti furono i rapporti di A. con il paese d'origine, come dimostrano le compere che vi effettuò e l'attenta cura per i membri della fanúglia, in particolare per un suo proriipote, il diacono Asprando, come ci attesta il testamento da A. redatto l'11 nov. 879. Non mancò di pensare al suo patrimonio personale che aumentò nell'ambito della sua zona originaria facendosi investire il 3 dic. 873 dei beni acquistati in precedenza a Cavenago Brianza, e il 26 febbr. 876 di altri beni già dei conti di Pavia, ancora in Cavenago ed in Ornago.

L'appoggio costante e fedele che A. diede ai Carolingi di Gerinania, non fu senza ricompense: èda attribuire infatti a Carlo il Grosso, con ogni probabilità', la concessione del privilegio di non dover ospitare l'imperatore entro la cerchia delle mura cittadine, privilegio che rafforzava l'autonomia della città di Milano e della sua massima autorità, l'arcivescovo.

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