Anteo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Anteo

Giorgio Padoan

Gigante mitologico, figlio della Terra (e, secondo alcuni mitografi, di Nettuno). Abitava in Tunisia, nella valle del Bagrada, presso Zama; sulla scorta di Phars. IV 590 (" Antaei... regna ") vari mitografi medievali lo dichiarano re di quella regione (Myth. Vat. Lat. I 55; II 164; e cfr. Guido da Pisa Fiore d'Italia CV), aggiungendo, ad attestarne la ferocia, che egli soleva ornare la casa con le teste degli avversari a vanto della propria forza fisica, ritenuta da tutti invincibile: ogni volta infatti che A. veniva atterrato risorgeva più forte di prima, poiché la madre gli infondeva nuovo vigore, sicché di fronte ad avversari particolarmente resistenti egli usava l'accortezza di lasciarsi andare a terra. Fu infine affrontato da Ercole (la lotta con A. costituisce una delle famose ‛ fatiche ' dell'eroe); e dopo aver opposto fiera resistenza ed essere più volte ricorso all'aiuto della madre, fu sollevato dalle potenti braccia di Ercole, il quale si era accorto di quella prerogativa, e quindi stritolato.

D., come del resto gran parte della cultura medievale, ritenne questo episodio storicamente avvenuto (inutile ricordare che per D. Ercole, i Giganti, i Centauri, ecc. sono personaggi storici). Il primo accenno dantesco, che è alquanto disteso, ricorre in Cv III III 7-8 dove il poeta dichiara anche le proprie fonti: si legge ne le storie d'Ercule, e ne l'Ovidio Maggiore e in Lucano e in altri poeti, che combattendo con lo gigante che si chiamava Anteo, tutte volte che lo gigante era stanco, e elli ponea lo suo corpo sopra la terra disteso o per sua volontà o per forza d'Ercule, forza e vigore interamente de la terra in lui resurgea, ne la quale e de la quale era esso generato. Di che accorgendosi Ercule, a la fine prese lui; e stringendo quello e levatolo da la terra, tanto lo tenne sanza lasciarlo a la terra ricongiugnere, che lo vinse per coperchio e uccise. E questa battaglia fu in Africa, secondo le testimonianze de le scritture. Generalmente si ritiene, con larga probabilità di cogliere nel vero, che le storie d'Ercule sia indicazione generica di argomento, poi precisata (nelle Metamorfosi, nella Farsalia e in altri poeti); non è possibile tuttavia escludere risolutamente che D. intendesse invece indicare un'operetta di compilazione che narrasse appunto le imprese dell'eroe. Comunque, più che in altri poeti e nelle stesse Metamorfosi (IX 183-184, dove in realtà si trova solo un rapido accenno: " saevoque alimenta parentis / Antaeo eripui "), D. leggeva ampio e dettagliato racconto di questa impresa di Ercole in Lucano (Phars. IV 593-660), di cui il passo del Convivio è un fedele sunto. Lucano sottolinea la ferocia e la terribilità di A. e afferma che per fortuna del Cielo egli non poté partecipare alla battaglia di Flegra (ricordata in If XIV 58), combattuta dai suoi fratelli maggiori, i Giganti, contro Giove: da qui D. ricava che A. era un essere mostruoso, nemico agli uomini e a Dio. Ancora alla narrazione lucanea (benché si citino ancora anche le Metamorfosi) rinviano gli accenni di Mn II VII 10 e IX 11, dove la lotta tra Ercole e A. è addotta come esempio della manifestazione del giudizio divino attraverso il duello: Ercole è designato come il combattente sostenuto da Dio e che pertanto non può soggiacere all'avversario (per converso, A. è implicitamente illuminato di luce negativa, in quanto campione del male), mentre la lotta tra i due è accostata al duello tra Davide e Golia, in uno di quei paralleli tra mondo biblico e mitologia pagana che costituiscono uno dei punti nodali (e più ardui a capire alla mentalità e alla cultura moderne) del pensiero dantesco. Già da questi elementi risulta che A. non può non essere tra i dannati: e infatti D. lo incontra nel cosiddetto pozzo dei Giganti, all'inizio del nono cerchio (If XXXI 112-145). Anche in questo episodio i versi danteschi riecheggiano assai da presso Lucano, nel ricordo della fortunata valle dove Scipione vinse Annibale (vv. 115-117; cfr. Phars. IV 656-660), nell'essere stato A. cacciatore di leoni (If XXXI 118; Phars. IV 602) e nella non partecipazione - ma solo per ragioni cronologiche - all'assalto del Cielo, laddove il suo aiuto avrebbe potuto risultare decisivo a favore dei Giganti (If XXXI 119-121; cfr. Phars. IV 595-597): si noti però come D. smorzi l'affermazione di Lucano circa l'eventualità di tale vittoria (ancor par che si creda), poiché per il poeta cristiano in nessun caso gli avversari di Dio avrebbero potuto risultare vincitori. Infine deriva dalla Farsalia anche l'accostamento a Tizio e a Tifo e a Briareo, nominato precedentemente (If XXXI 124; 97-105) e del quale si sottolinea l'aspetto feroce (Phars. IV 595-596 " Typhon aut Tityos Briareusque ferox ").

Secondo D., il solo busto di A. misurerebbe, senza la testa, ben cinque alle (If XXXI 113), circa dodici braccia e mezzo, sicché la statura complessiva verrebbe a essere di sessanta braccia, circa 25 metri, come quella di Nembròt e - a quel che è lecito dedurre - degli altri Giganti. Al contrario di Fialte e Briareo, A., non avendo partecipato al tentativo della scalata al Cielo, non ha le braccia incatenate; aggiunge poi il poeta - la precisazione è da porre in relazione antitetica alle parole inintelligibili di Nembròt - che A. parla (v. 101). Più che un demone vero e proprio, A. pare dunque essere egli stesso un dannato; Virgilio si rivolge a lui non in tono imperioso e in nome di colui che tutto può, come ha fatto più volte con i guardiani dei vari cerchi, bensì ne lusinga la vanità nel ricordare la sua possente forza e le sue imprese terrene e nell'annunciargli che D. avrebbe potuto rinfrescare la sua fama tra i vivi (come appunto desiderano i dannati); e quanto A. sia sensibile a questa promessa rivela la sua pronta obbedienza: in fretta / le man distese (vv. 130-131). Di statura enorme, di forza possente, A., come gli altri Giganti, è un bruto: l'intelligenza, per cui è partecipe dell'umana natura, si è espressa in lui solo nel mal volere (cfr. vv. 49-57), che fu piena adesione all'istinto malvagio, fino a credere di poter superare persino il potere divino. In quelle membra terribilmente enormi l'ottusità mentale riceve ancor più violenta sottolineatura.

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