Antidepressivo

Dizionario di Medicina (2010)

antidepressivo


Farmaco in grado di migliorare la patologia depressiva. I primi passi della terapia antidepressiva nascono dalle osservazioni sull’efficacia di alcuni composti antitubercolari, isoniazide e iproniazide, le cui proprietà si rivelarono efficaci nel trattamento di pazienti depressi. Nel 1952, in base ai risultati ottenuti dall’utilizzo dell’isoniazide nei pazienti depressi, viene coniato per la prima volta il termine antidepressivo. Si ipotizzò che il meccanismo d’azione dell’isoniazide consistesse nell’inibizione dell’enzima MAO-A (monoaminossidasi- A), coinvolto nel catabolismo delle catecolammine. L’iproniazide è considerata la capostipite della prima classe di a., gli inibitori delle MAO (IMAO). Parallelamente, venivano scoperte le proprietà antidepressive dell’imipramina da cui derivarono i triciclici (TAC), così chiamati in base alle caratteristiche della loro struttura molecolare. Con il progresso delle neuroscienze sono state sviluppate altre classi di farmaci antidepressivi.

Una terminologia fuorviante

Il termine antidepressivo è fuorviante, sebbene diffusamente usato anche in campo clinico: si riferisce infatti a sostanze che non producono, come altre impiegate nel campo della medicina (antivirali, antibiotici, antiparassitari), un’azione selettiva su uno specifico substrato fisiopatologico. La psichiatria è disciplina caratterizzata da ampie aree di sovrapposizione tra entità nosografiche, con criteri diagnostici basati più sui sintomi prevalenti che sulle categorie, con patologie ad eziopatogenesi ancora poco conosciute: alcuni farmaci efficaci in un’area della patologia possono dimostrare pari o maggiore attività nella terapia di altri disturbi. Gli a., per es., svolgono anche un’azione di tipo ansiolitico e vengono comunemente utilizzati nelle sindromi ansiose (➔ ansiolitico). Sarebbe pertanto più corretto limitarsi a utilizzare i termini IMAO, triciclico, serotoninergico ecc., a seconda dei sistemi neurotrasmettitoriali principalmente interessati dall’azione di ciascuna di queste molecole o della struttura chimica della molecola di riferimento.

L’ipotesi monoaminergica

Questa ipotesi, formulata nel 1965, suggerisce che la depressione possa essere correlata a un deficit funzionale di monoammine (in partic. noradrenalina e serotonina). Il ruolo della noradrenalina nella depressione venne ipotizzato per la prima volta nel 1964, mentre il coinvolgimento della dopammina nelle sindromi depressive venne ipotizzato successivamente. Esistono alcune evidenze a favore di tale ipotesi: la reserpina (che blocca il trasportatore citoplasmatico di ammine fra cui la noradrenalina, e dunque svolge azione inibitrice della trasmissione simpatica periferica) induce depressione nei pazienti; gli a. aumentano la trasmissione monoaminergica, come chiarito di seguito.

Principali farmaci antidepressivi

Esistono diverse classi di a., classificati in base alla loro struttura chimica e al meccanismo d’azione. L’efficacia è legata alla possibilità di indurre un aumento della disponibilità sinaptica di serotonina, noradrenalina e dopammina attraverso il blocco della ricaptazione neuronale dei neurotrasmettitori, la riduzione del catabolismo (inibizione MAO) o la rimozione del tono inibitorio sul rilascio o sull’attività neuronale. La risposta terapeutica si manifesta almeno dopo due settimane dall’inizio del trattamento, suggerendo che possa essere legata al neuroadattamento recettoriale e cellulare. Gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), attualmente molto più diffusi in quanto più maneggevoli e meglio tollerati, vengono utilizzati nelle sindromi depressive di lieve e moderata gravità, nonché nella maggior parte delle sindromi ansiose (➔ ansiolitico). Possono provocare effetti collaterali, che si manifestano in genere nei primi giorni dall’assunzione e che, diversamente dai disturbi sessuali, in genere stabili per tutta la durata della somministrazione, sono di assai modesta entità: ansia, sensazione di confusione, disturbi gastroenterici (sensazioni di nausea e vomito legati all’inibizione dei recettori 5-HT3), ipertensione, palpitazioni, fotofobia. I TCA sono farmaci meno maneggevoli e sono indicati nelle sindromi depressive più gravi. Gli effetti collaterali legati al loro utilizzo possono essere di natura anticolinergica (secchezza delle fauci, stipsi, tachicardia, ritenzione urinaria, disturbi visivi; disturbi cognitivi), adrenolitica (ipotensione ortostatica, vertigini, tachicardia, tremore, sudorazione, eiaculazione ritardata), antistaminica (aumento ponderale, sonnolenza, ipotensione, aumento dell’appetito, aumento del peso, alterazione dell’attività psicomotoria). Di più recente introduzione nella pratica clinica sono gli SNRI (farmaci a doppia azione serotoninergica e noradrenergica), i NASSA (a. serotoninergici specifici e α-2 noradrenergici), gli NDRI (inibitori della ricaptazione della dopammina e deboli inibitori della noradrenalina). Questi a., grazie al loro profilo d’azione più specifico e alla minore incidenza di effetti collaterali, costituiscono un’opzione terapeutica di grande interesse.

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