ANTIMACO

Enciclopedia Italiana (1929)

ANTIMACO ('Αντίμαχος; Antimăchus)

Ettore Romagnoli

Nacque a Colofone, durante la guerra del Peloponneso. La sua fama fu raccomandata a un poema epico, la Tebaide, e ad un carme elegiaco, la Lyde.

La Tebaide, lunghissima (un antico commentatore d'Orazio dice che soltanto dopo il 23° libro i sette duci arrivavano sotto Tebe), fu variamente giudicata dagli antichi. Molti grammatici la ponevano subito dopo Omero, e l'imperatore Adriano, se dobbiamo credere a Dione Cassio (LXIX, 4), la preferiva allo stesso Omero. Quintiliano, al contrario, afferma che era difettosa, sia quanto agli affetti, sia quanto alla composizione, e, in genere, all'arte: sicché, concludeva, "si vede chiaro quanto ci corra fra l'esser secondo e l'essere vicino". Però lo stesso Quintiliano riconosce ad Antimaco efficacia, gravità, e non volgare eloquenza.

La Lyde era un poema in distici elegiaci, scritto per la morte d'una donna amata. Per consolarsi della perdita, Antimaco - dice Plutarco - enumerò una quantità di sciagure capitate ad eroi. E l'elegiaco Ermesianatte ci assicura che vi riuscì perfettamente: "di gemiti empiendo - le sacre carte, sciolto d'ogni cordoglio fu".

Se per la Tebaide fu giudicato emulo d'Omero, per la Lyde Antimaco fu proclamato senz'altro collaboratore delle muse: almeno da Asclepiade, che così faceva parlare l'eroina del poema:

Lyda sono io, di stirpe, di nome. Fra quante da Codro - nacquero, io son, mercè d'Antimaco, la prima.

Chi mai non m'ha cantato, chi mai non ha letta la Lyde, - opra che insieme scrissero Antimaco e le Muse?

Soggiungiamo che non tutti partecipavano a tanto entusiasmo. Callimaco - che però era un rivale - biasimava la Lyde come opera pesante e non levigata (παχὺ γράμμα καὶ οὐ τορόν), e Catullo chiamava in genere tutta la poesia d'Antimaco roba da popolaccio: at populus tumido gaudeat Antimacho.

Fra tanti dispareri, non è facile formarsi un giusto criterio del valore di Antimaco. La critica moderna tenderebbe ad assegnargli un'eminente posizione, sia perché raccolse leggende erotiche, sia perché fondò "un genere di narrazione lirica o di lirica narrata che recisamente contrastava col puro epos del tempo antico, e fu coltivato con zelo dai poeti alessandrini, per acquistare, nei nuovi tempi, un primato quasi unico nella poesia" (Rohde).

Però v'è da obiettare, che non è sicuro né che raccogliesse esclusivamente leggende erotiche, né che le trattasse in forma lirica. Ad ogni modo, poi, non avrebbe fatto cosa nuova; poiché Stesicoro aveva già cantati gli amori di Dafni, di Calica, di Rodina; e molti dei carmi suoi, come di Alcmane, d'Ibico, di Corinna, di Saffo, di Bacchilide, furono appunto, "narrazioni liriche" o "liriche narrate".

E poi, questi meriti d'Antimaco sarebbero affatto esterni, e i frammenti son troppo pochi e troppo miseri perché possano dar vera luce intorno al carattere della sua poesia. Certo, però, non presentano né la gonfiezza deplorata da alcuni giudici antichi, né l'oscurità che, se vi fu, dové risultare dalla materia. Sono chiari e semplici, ma anche lontani da qualsiasi ispirazione o vaghezza poetica. Sicché è probabile che più d'ogni altro fosse vicino al vero il giudizio di Quintiliano.

I frammenti della Tebaide sono pubblicati in G. Kinkel, Epicorum græcorum fragmenta, Lipsia 1877, pp. 273-308, quelli della Lyde, in E. Diehl, Anthologia lyrica, I, Lipsia 1925, p. 86.

Bibl.: E. Romagnoli, Piccole e grandi storie del mondo antico, Firenze 1925.

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