ANTIOCO III di Siria, detto il Grande

Enciclopedia Italiana (1929)

ANTIOCO III di Siria, detto il Grande ('Α. ὀ Μέγας)

Giuseppe Corradi

Secondogenito di Seleuco II Callinico e di Laodice, figlia di Acheo, nato circa il 242 a. C. Durante il regno del fratello Seleuco III, stette, come governatore delle provincie orientali del regno, a Seleucia o a Babilonia. Proclamato re alla morte del fratello (223 a. C.), diede l'incarico di proseguire la guerra contro il re di Pergamo ad Acheo, il quale sconfisse Attalo e lo ridusse al suo antico territorio, ottenne la sottomissione delle città greche e quasi con poteri sovrani si diede a riordinare l'Asia Minore. Le satrapie orientali furono affidate da A. a due fratelli, Molone e Alessandro, il primo dei quali fu fatto stratego della Media, il secondo della Perside. Succeduto in Egitto a Tolomeo Evergete (primavera 221 a. C.) Tolomeo Filopatore, A. pensò di riprendere la lotta per la conquista della Celesiria e della Fenicia, allora in possesso dell'Egitto. Ma in Oriente Molone e Alessandro si ribellarono, ed A. dovette mandare contro i ribelli prima gli strateghi Zenone e Teodoto, che furono respinti da Molone, e poi l'acheo Xeneta, mentr'egli, stretta alleanza con Mitridate II del Ponto, di cui sposò una figlia Laodice, iniziava la campagna di Celesiria. Dovette però tornare indietro, perché anche Xeneta fu sconfitto da Molone, che prese il titolo di re. Allora A. decise d'intervenire personalmente in Oriente. Varcato l'Eufrate, attese la buona stagione ad Antiochia di Migdonia, donde s'avviò al Tigri, liberò Dura e raggiunse Apollonia. Nel territorio di Apollonia Molone dovette accettare battaglia, e, vinto quasi senza combattere, si uccise (220 a. C.). A., giunto a Seleucia, riorganizzò l'amministrazione delle provincie; diede a Diogene la satrapia della Media, ad Apollodoro la Susiana, e mandò Ticone ad occupare il litorale del mare Eritreo (Golfo Persico); quindi si rivolse contro Artabazane, dinasta della Media Atropatene, che riconobbe l'autorità del re e gli pagò tributo. Intanto, profittando della lontananza di A., si era ribellato anche Acheo nell'Asia Minore ed aveva preso il titolo di re. A., tornato in Siria, mandò al ribelle un messaggio minaccioso, ma si accinse alla guerra contro Tolomeo. Preparato l'esercito ad Apamea e ripresa Seleucia sull'Oronte, che dal 246 a. C. era tenuta dagli Egiziani, mandò Teodoto Emiolio a occupare i passi d'accesso alla Celesiria, ed egli stesso s'affrettò in Celesiria per la valle del Marsia, corse a Tolemaide, prese Tiro, e sottomise altre città della Fenicia e della Celesiria. Sosibio, ministro di Tolomeo, iniziò trattative con A., e questi, stanco dell'assedio di Dora e preoccupato dalla parte di Acheo, concluse una tregua di quattro mesi con Tolomeo, lasciandogli la Palestina. Le trattative di pace continuate poi a Seleucia non approdarono a nulla, perché Tolomeo voleva che fosse compreso nella pace anche Acheo. A. riprese quindi la guerra, sconfisse l'esercito egiziano e ne inseguì gli avanzi fino a Sidone. Ottenuta la sottomissione di Filoteria e di Scitopoli e presa Atabirio, invase la Perea, prese Gadara, entrò nella Galaditide, fece alleanza con gli Arabi, occupò Filadelfia, e affidata ai disertori egiziani Cereas e Ippoloco la Samaria, andò a svernare a Tolemaide (218 a. C.). Per la nuova campagna A. portò il suo esercito a 62.000 fant1, 6000 cavalli e 102 elefanti, a cui Tolomeo contrappose 75.000 uomini e 73 elefanti; ma presso Rafia A. fu sconfitto (217 a: C.), sicché con la pace di Antiochia Tolomeo riotteneva tutti i territorî perduti nelle campagne precedenti, eccetto Seleucia. A. preparò allora la guerra contro Acheo, trattando anzitutto l'alleanza con Attalo; entrò in campagna nel maggio del 216 a. C., favorito dall'isolamento in cui nell'Asia Minore si trovò Acheo, il quale col suo contegno dispotico s'era alienato popolazioni e dinasti. Acheo, dopo lunga resistenza in Sardi, per tradimento di due Cretesi cadde in mano di A. e da un consiglio di guerra fu condannato a morte (213 a. C.). A. ricuperò così l'Asia Minore, e l'affidò, come pare, a Zeusi, dovendo egli occuparsi di una nuova spedizione in oriente. Il re dei Parti Arsace III, stretta alleanza coi dinasti della Battriana e dell'Armenia, aveva invaso la Media. A. intervenne, avanzando per la Commagene e la Cappadocia verso la Sofene, il cui dinasta Serse sposò Antiochide sorella di A. Questi, che aveva associato al potere il suo primogenito, proseguì la conquista della Partiene e della Battriana, occupò Ecatompilo e si spinse a Syrinx capitale dell'Ircania; invase poi la Battriana, il cui re Eutidemo dopo lungo assedio a Zariaspa sua capitale fu riconosciuto come re, e attraverso il Paropamiso si avviò verso l'India (206 a. C.). Qui rinnovò l'amicizia col re Sofagaseno, che pagò tributo di denaro e di elefanti; poi passò nell'Aracosia, nella Drangiana, nella Carmania e giunse alle rive del golfo Persico; ritornato di qui a Seleucia sul Tigri, fece una diversione a Gerre sulla costa araba, toccò l'isola di Tilo e ritornò a Seleucia e quindi in Siria (205-4 a. C.). Questa spedizione, con la quale A. parve rinnovare la gesta di Alessandro, gli valse i titoli di Nicatore e di Gran Re. Frattanto in Egitto al Filopatore succedeva Tolomeo V Epifane (205-4 a. C.), e A. riprese la lotta per la Celesiria, accordandosi con Filippo V di Macedonia: il primo si sarebbe ripresa la Celesiria e la Fenicia, il secondo si riservava l'egemonia dell'Egeo, con la Caria e Samo. Ambasciatori di Tolomeo furono spediti ad A. e a Filippo, ed anche in Grecia e a Roma. Ma Filippo si affrettò ad occupare le città della Tracia e della Bitinia; A. invase la Celesiria (201 a. C.) e s'avanzò fino a Gaza che fu assediata e presa. Questi avvenimenti provocarono l'intervento dei Romani. L'ambasceria romana che portò l'ultimatum a Filippo doveva anche occuparsi della contesa fra A. e Tolomeo. Ora l'intervento romano decise Attalo, già attaccato da Filippo, a schierarsi dalla parte dei Romani e A. ne invase il regno (199 a. C.). Ma interveniva anche l'Egitto, il cui esercito condotto da Scopa invase la Celesiria, e A., invitato dai Romani a non guerreggiare contro Attalo, ripassò il Tauro e sconfisse l'esercito egiziano a Panion, assicurandosi definitivamente il possesso della Celesiria (198 a. C.). Sicuro dell'Egitto, e impegnato Filippo nella guerra contro i Romani, A. esigette la sottomissione delle città dell'Asia Minore e della Tracia che erano state sotto Tolomeo, mandò l'esercito sotto Ardis e Mitridate a Sardi e fece avanzare la flotta lungo le coste della Cilicia; a Coracesio sulle coste della Panfilia un'ambasceria rodia minacciò l'ostilità dei Rodî e dei Romani se la flotta avesse avanzato oltre. Giunta ora la notizia della sconfitta di Filippo a Cinocefale (197 a. C.), i Rodî assunsero la difesa delle città già soggette a Tolomeo; ma A. continuò la sottomissione delle città del litorale, svernò ad Efeso, poi si rivolse all'Ellesponto e passò a Lisimachia. Qui si recò L. Cornelio Scipione a ordinargli in nome del senato di restituire tutto quello che aveva occupato contro Tolomeo e contro Filippo, e di non intervenire nelle città greche. T. Quinzio Flaminino al congresso sull'istmo aveva proclamato libere le città della Grecia e dell'Asia. Alla falsa voce della morte di Tolomeo, A. ritornò ad Antiochia, e riordinata la flotta e celebrate le nozze tra i suoi figli Antioco e Laodice, ripartì per la Tracia; ad Efeso accolse con deferenza Annibale esule dalla sua patria, ma dette poco ascolto ai suoi consigli. Mentre continuavano le ambascerie e le trattative coi Romani, A. risolveva la questione con l'Egitto sposando a Rafia sua figlia Cleopatra con Tolomeo; poco prima aveva sposato la figlia Antiochide con Ariarate IV di Cappadocia, e ora offriva un'altra figlia a Eumene di Pergamo, che rifiutò. Lasciato in Siria suo figlio, A. tornò ad Efeso e andò contro i Pisidî, ed intanto giungeva l'ambasciatore romano P. Villio che s'incontrò con lui ad Apamea Ciboto. Le discussioni di Apamea furono interrotte dalla notizia della morte del primogenito di A., e furono poi riprese da Minnio, incaricato di A., e Villio ad Efeso, senza nulla concludere. Ormai la guerra con Roma, per la quale non mancavano gl'incitamenti ad A., era inevitabile. Gli Etoli precipitarono gli avvenimenti, mandarono Toante ad Efeso ad annunziare ad A. che la lega etolica l'aveva scelto quale stratego autocrate, e Antioco promise che sarebbe intervenuto a liberare i Greci; poi con un colpo di mano s'impadronirono di Demetriade in Tessaglia e sollecitarono il pronto intervento di A., il quale, non disponendo allora di un esercito preparato alla guerra, passò in Grecia con poche forze (inverno 192 a. C.), e approdato a Demetriade si recò a Lamia, dove la dieta degli Etoli lo nominò generale supremo e gli diede 30 apocleti per consiglio di guerra. Ma lo sperato movimento dei Greci in suo favore mancò; Calcide gli resistette e solo più tardi fu occupata; la lega achea restò fedele a Roma, e solo quando A. s' impadronì dell'Eubea, gli Elei e i Beoti passarono dalla sua parte. Ma mentre Annibale insisteva sull'utilità dell'alleanza con Filippo di Macedonia, A. agì in modo che Filippo si strinse ai Romani e invitò il propretore M. Bebio a liberare la Tessaglia. A. si ritirò a Calcide, ove diede convegno agli alleati per la primavera seguente. Ivi sposò una figlia di Cleoptolemo, Eubea. I Romani intanto, fatti serî preparativi di guerra, ne affidarono il comando al console M. Acilio Glabrione. A. fece una scorreria nella Grecia centrale avanzando verso il golfo di Ambracia; ma quando seppe che Acilio era sbarcato ad Apollonia nell'Illiria, ripiegò rapidamente a Calcide. Il console, congiunte le sue forze con quelle di Bebio, si diresse verso il golfo Maliaco. A. attendeva i rinforzi dell'Asia e i contingenti promesgi dai Greci; poche truppe vennero dall'Asia, e la lega etolica radunò solo 4000 uomini. In attesa degli altri contingenti asiatici, A. tentò di arrestare l'avanzata dei Romani, che scendevano per la valle dello Sperchio, occupando le Termopili. Acilio fece aggirare le posizioni di A. da due distaccamenti, l'uno sotto L. Valerio Flacco, l'altro sotto M. Porcio Catone; questi riuscì alle spalle dell'esercito siriaco, che andò in piena rotta. A. non raccolse ad Elatea se non 500 uomini, coi quali riparò in Calcide e poi ad Efeso (191 a. C.). Incitato da Annibale, passò in Tracia, a rafforzarvi le guarnigioni di Sesto e di Lisimachia, ma di lì tornò rapidamente alla notizia che la flotta romana sotto C. Livio Salinatore era già a Delo e mirava a congiungersi con quella di Pergamo nel golfo di Elea. L'ammiraglio seleucide Polissenida tentò di impedire questo congiungimento, ma fu battuto al capo Corico e riparò ad Efeso. A. cercò di rafforzare la flotta mandando Annibale a raccogliere navi fenicie, arrolò mercenarî tra i Galli e richiamò suo figlio Seleuco dalla Tracia. Intanto L. Cornelio Scipione succeduto a M. Acilio, accompagnato dal fratello Publio, poté senza difficoltà passare in Asia. A. volle trattare la pace; ma poiché Scipione chiedeva la resa senza condizioni, preferì tentare la sorte delle armi. La battaglia di Magnesia fu un disastro per A., che fuggì con pochi superstiti a Sardi e di qui ad Apamea (190 a. C.). P. Scipione ai messi di A. dettò in Sardi le condizioni dell'armistizio: A. doveva abbandonare l'Asia a nord del Tauro; pagare un'indennità di guerra di 15.000 talenti in diverse rate, e versarne 400 a Eumene; come garanzia dare 20 ostaggi, e consegnare i nemici particolari di Roma, come Annibale. Una cormmissione romana comunicò poi in Apamea Ciboto agl'inviati di A. le decisioni del senato, per cui i patti di Scipione erano aggravati dalla consegna degli elefanti, dalla riduzione della flotta a sole 10 navi, e da una serie di clausole che impedivano ad A. qualsiasi iniziativa (estate 188 a. C.). Le città greche che erano state per i Romani furono dichiarate libere ed esenti da tributo, quelle che erano rimaste fedeli ad A. divennero tributarie del re di Pergamo, a cui furono assegnati quasi tutti i territorî dell'Asia Minore tolti ad Antioco; Rodi ebbe la Licia e la Caria fino al Meandro, eccetto Telmesso rimasta ad Eumene. Così ridotto, il regno di Siria non aveva più possibilità di prospera esistenza, data la forza degli elementi disgregatori che vi agivano. E una conseguenza della sconfitta fu la ribellione di due strateghi, Atassia e Zariadri, che si proclamarono re l'uno della Grande Armenia, l'altro della Sofene; la Perside forse allora si proclamò indipendente con la Susiana; la Drangiana, la Gedrosia e l'Aracosia abbandonate a sé stesse probabilmente furono annesse al regno della Battriana. A., il quale fino alla conclusione della pace di Apamea era rimasto ad Antiochia, tentò d'impedire lo sfacelo del regno con una spedizione in Oriente. Fatto coreggente il figlio Seleuco, per la via di Babilonia s'avviò verso l'Elimaide ove si trovava il tempio di Belo con ingenti ricchezze delle quali tentò di impadronirsi; qui fu ucciso dagli abitanti accorsi a difesa del tempio (187-6 a. C.). Finiva così il regno forse più importante e più lungo della dinastia seleucide. A. fu talvolta debole ed incerto, ma in momenti difficili diede anche prova di calcolata prudenza, di una attività e di una energia mirabili, nonostante i rimproveri fattigli da antichi e moderni. Per un momento aveva potuto ricostituire l'unità dell'impero e riunire sotto il suo dominio tutta la Siria, il che non era riuscito ad alcun altro della sua famiglia; e seppe conferire al suo regno anche un certo splendore artistico e letterario, ampliando ed abbellendo la capitale e fondandovi una biblioteca di cui ebbe la direzione il poeta Euforione. A. morendo lasciava il regno di Siria mutilato e in difficili condizioni a suo figlio Seleuco Filopatore.

Fonti principali: Eus., Chron., I, p. 253 Schöne; Polyb., V, 40 segg. v. Indici; Liv., XXXI, 14, ecc., v. Indici; Appian., Maced., 4, Syr., 1, 4, 6, ecc.; Diod., XXVIII, 3; XXIX, 5, 10, 15; XXX, 19, 7; Iustin., XXX, 1 segg., XXXI, 1 seg.; XLI, 5, 7; Trog., Prol., 30.

Bibl.: Droysen, Hist. de l'Hellén. (trad. franc.), III, pp. 64 segg., 440 segg., 563 segg.; Niese, Gesch. der griech. und mak. Staaten, II, pp. 364 segg., 577 segg.; III, p. 87 segg.; Bevan, The House of Seleucus, I, Londra 1902, p. 300 segg.; Bouché-Leclercq, Hist. des Lagides, I, Parigi 1903, p. 293 segg.; id., Hist. des Séleucides, Parigi 1913-14, p. 123 segg.; J. Beloch, Griech. Gesch., 2ª ed., IV, i, p. 690 segg.; IV, ii, p. 193 segg.; Kromayer, Hannibal und Antiochos der Grosse, in Neue Jahrb., 1907, p. 687 segg.; Ghione, I comuni del regno di Pergamo, in Memorie Accad. di Torino, LV (1903-04), p. 67 segg.; G. Cardinali, Il regno di Pergamo, Roma 1906, pp. 96 segg. e 218 segg.; id., Ancora per i confini nella pace di Antioco, in Klio, X (1910), p. 249 segg.; Colin, Rome et la Grèce de 200 à 146 a. C., p. 173 segg.; Clinton, Fasti Hellenici, II, p. 64 segg.; Th. Mommsen, Storia di Roma Antica, (trad. ital.), Torino 1925, I, ii, p. 230 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, IV, i, Torino 1923, p. 116 segg.; Dittenberger, Or. Gr. Inscr., I, Lipsia 1903, n. 331 segg.; Babelon, Les rois de Syrie, Parigi 1890, pp. lxxvii segg., 45 segg.; Head, Hist. Num., 2ª ed., Oxford 1911, p. 761 segg.

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