Antipsichiatria

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Movimento di contestazione sorto all’interno della psichiatria e della psicanalisi anglosassoni a partire dal 1965 (sperimentazione delle Free Clinics, centri collettivi controculturali di vita e terapia) e affermatosi in Europa dal 1970. Le sue origini vanno tuttavia individuate nel recupero di istanze esistenzialistiche e in suggestioni provenienti dagli studi di M. Foucault, in particolare Histoire de la folie à l’age classique (1961) che ricostruiva le forme della repressione psichiatrica messe in atto a partire dal sec. 17° a fronte della tolleranza verso il malato di mente nel Medioevo. Il movimento ha criticato radicalmente il concetto di malattia mentale, considerandola come una scelta dell’individuo in risposta a contraddizioni sociali e non risultato di disfunzioni e disturbi. Secondo i teorici dell’a., la terapia deve prescindere dal ricorso a istituti manicomiali, da ogni forma di segregazione e dal tentativo di criticare razionalmente le costruzioni deliranti del paziente; il malato di mente deve essere invece sostenuto dal terapeuta, mentre l’istituzione psichiatrica deve presentarsi come semplice struttura sociopolitica aperta. Particolare sviluppo ha ricevuto tale ultimo aspetto in Italia all’interno del movimento Psichiatria democratica, che ha contestato alla psichiatria tradizionale e ai nosocomi psichiatrici un ruolo di conservazione sociale e politica. Si sono segnalati F. Basaglia, E. Cotti e R. Vigevani, la cui azione ha influito sulla l. 180/13 maggio 1978 di riforma psichiatrica.

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