ANTISEPSI e Asepsi

Enciclopedia Italiana (1929)

ANTISEPSI e Asepsi (dal gr. ἀντί "contro" e σῆψις "putrefazione")

Luigi Torraca

La parola antisettico si trova già usata nelle opere dei chirurghi inglesi Alexander e Pringle per indicare alcune sostanze ritenute capaci d'impedire la putrefazione. Poiché a quest'ultima, per grandissimo tempo, furono attribuite le manifestazioni dell'infezione delle ferite, di questi antisettici, tra i quali erano compresi il vino, l'aceto, l'alcool, la trementina, l'olio di garofani, la mirra, il mastice, la canfora, il salnitro, ecc., si faceva nel sec. XVIII largo uso in chirurgia e con risultati non disprezzabili, giacché il Bilguer, generale medico di Federico II di Prussia, riferiva di aver avuto sui feriti della guerra dei sette anni, trattati con la chirurgia conservatrice e l'applicazione delle dette sostanze, una mortalità inferiore al 10 per cento. Ritenendosi però che la putrefazione fosse una conseguenza dell'azione dell'aria sui tessuti, non pochi chirurghi proclamarono invece la necessità d'impedire, o di rendere almeno minimo, il contatto dell'aria con le ferite, e per questo fu sostenuta l'utilità delle medicature rare già proposte da Cesare Magati, agli albori del sec. XVII e rapidamente eseguite, onde il Belloste, nel suo Chirurgien d'hôpital (1708), raccomandava di medicare doucement, promptement et rarement. Per la stessa ragione il Mayor consigliava di operare sotto uno strato d'acqua, e il Vacca immaginò di applicare ai monconi di amputazione, dopo averli rivestiti di un involucro di cuoio, una campana di vetro a tenuta pneumatica, per ridurre al minimo la quantità d'aria che poteva venire a contatto con la ferita. Sempre per evitare l'entrata dell'aria nelle ferite, sorse, sul principio del sec. XIX, la cosiddetta "chirurgia sottocutanea" (Delpech, 1816), che prese subito un grande sviluppo per opera, specialmente, dello Stromeyer e del Dieffenbach.

Anche nella concezione sulla quale fondarono il Lister il "trattamento antisettico" (1867) e Alfonso Guérin la "medicatura ovattata" (1869), la parte essenziale, nel meccanismo dell'infezione delle ferite, rimaneva all'aria; non più certo per i suoi componenti chimici, come si era creduto sino allora, ma per i principî viventi della fermentazione e della putrefazione che essa, come avevano dimostrato le immortali esperienze del Pasteur, poteva trasportare. Precisamente sugli esperimenti, con i quali quest'ultimo aveva dimostrato esser possibile, filtrando l'aria attraverso il cotone idrofilo, eliminare i germi in essa sospesi, il Lister fondò il suo ragionamento, quando pensò di mettere le ferite al riparo dai microrganismi, distruggendo questi con una soluzione fenicata, a mano a mano che si depositavano sul campo operatorio, sulle mani del chirurgo, sui materiali di medicatura, o addirittura, mediante un apposito spruzzatore (spray), mentre si trovavano ancora in aria. Per evitare che i detti germi potessero poi arrivare a contatto delle raccolte calde o fredde, al momento dell'incisione, questa veniva praticata attraverso un pannolino imbevuto di olio fenicato; e, sempre allo stesso scopo, il Lister da principio consigliò di proteggere le ferite, ricoprendole con un impasto di carbonato di calcio e di olio di lino fenicato, al quale, in seguito, sostituì una fasciatura occlusiva di sette strati di ovatta fenicata (medicatura alla Lister).

Poiché l'acido fenico risultava irritante per i tessuti, questi, nella medicatura, erano riparati dal cosiddetto "protettore serico" (silk protective), costituito da una pezzuola di taffetà oliato, verniciato di copale. L'antisettico perciò, nel sistema listeriano, non era destinato ad agire sui germi che potevano trovarsi nella ferita, ma serviva a impedire che microbî, provenienti dall'esterno, potessero arrivare a contatto con i tessuti; insomma, per dirla con le parole stesse del Lister, "un antisettico per escludere la putrefazione e un protettore per escludere l'antisettico, sommando le rispettive azioni, proteggeranno la ferita dagli stimoli anormali".

Il Guérin invece, accumulando sulle ferite e sui monconi di amputazione gli spessi strati della sua "medicatura ovattata", non aveva in vista che la filtrazione meccanica dell'aria atmosferica con la quale credeva possibile eliminare qualsiasi contaminazione delle ferite.

È facile comprendere che tanto il sistema listeriano quanto la medicatura del Guérin erano fondati sopra una premessa inesatta, quella cioè ehe l'infezione fosse portata esclusivamente dai microbî sospesi nell'aria; ciò nonostante, i risultati ottenuti dal Lister furono mirabili, perché, trattando preventivamente con l'acido fenico le mani dell'operatore, il campo operatorio, gli strumenti chirurgici e il materiale di medicatura, egli finiva con l'effettuare una vera condizione di asepsi. Come pure i risultati ottenuti dal Guérin, meno buoni di quelli del Lister, ma tuttavia notevoli anch'essi, sono ugualmente da attribuirsi alle abbondanti lavande di acqua fenicata, con cui erano detersi la cute e i tessuti prima dell'applicazione dell'apparecchio ovattato.

L'antisettico scelto dal Lister fu l'acido fenico, che il Lemaire aveva proposto, nel 1861, quale disinfettante e che il Bottini (1866) aveva già utilmente usato per la medicatura delle ferite infette e cancrenose. All'acido fenico, però, vennero presto rimproverati gravi difetti, quali la tossicità, l'irritazione della cute dell'ammalato e delle mani del chirurgo, la volatilità, l'odore sgradevole, e si cercarono quindi diligentemente altre sostanze che rappresentassero l'antisettico ideale, come l'acido salicilico (Thiersch), il timolo (Ranke), l'acido benzoico (Volkmann), il solfofenato di zinco (Bottini), il sublimato corrosivo (Bergmann), ecc.; nel complesso però i risultati non furono superiori a quelli ottenuti dal Lister.

I chirurghi tuttavia non tardarono ad avvedersi che, fra tutte le cause d'infezione delle ferite, il trasporto dei germi da parte dell'aria era la meno pericolosa, mentre, come aveva già in parte intravisto il geniale e infelice Semmelweis, sempre più grande si rivelò l'importanza delle mani del chirurgo, degl'istrumenti, delle medicature, quali veicoli dell'infezione, per non parlare degli agenti causali delle lesioni accidentali. Queste osservazioni portarono anzitutto all'abbandono dello spray, dopo una vivace campagna che culminò con il celebre articolo del Bruns, intitolato appunto Basta con lo spray! (Fort mit dem Spray!). Nello stesso periodo di tempo fu osservato che l'azione degli antisettici non garentiva affatto la perfetta sterilizzazione degl'istrumenti chirurgici e del materiale di medicazione, mentre il Koch e la sua scuola scoprivano che il mezzo più sicuro d'uccidere i germi e le spore di essi, è il calore. Tali osservazioni, il progredire delle conoscenze batteriologiche da un lato e dall'altro i miglioramenti della tecnica della disinfezione termica (Bergmann, Schimmelbusch) orientarono rapidamente la mente dei chirurghi verso la persuasione che, invece di tentare la distruzione dei germi sul campo operatorio, era preferibile eliminarli in precedenza.

Al concetto dell'antisepsi si sostituì quindi quello dell'asepsi, che può essere definita come il sistema che si propone di tener lontani dalle ferite i germi patogeni; dati poi i metodi seguiti per ottener tale scopo, non è male tener presente che, per molti chirurghi, il termine asepsi è quasi un sinonimo di "disinfezione con mezzi fisici", essendo l'espressione "antisepsi" riservata alla disinfezione chimica.

La chirurgia operatoria è oggi essenzialmente asettica, cioè comprende una serie di provvidenze, per le quali a contatto dei tessuti dell'organismo non vengono portati che oggetti e sostanze sterili, cioè privati di qualsiasi contenuto batterico. Una tale condizione si ottiene con facilità, per tutti i materiali che resistono alle alte temperature, mediante l'esposizione al calore secco o umido, a pressione ordinaria o sotto pressione (autoclave). Degli oggetti occorrenti per le operazioni chirurgiche, i ferri, i guanti, i drenaggi, i cateteri di gomma elastica, alcuni materiali di sutura (seta, crine di Firenze, fili metallici) vengono a preferenza sterilizzati con l'ebollizione, ma gli strumenti metallici possono anche essere sterilizzati a secco (stufa del Poupinel) e i guanti di gomma nell'autoclave, al quale poi esclusivamente si ricorre per la garza, il cotone idrofilo e la biancheria operatoria.

Il fatto che un gran numero di germi è depositato sulla cute, e nello spessore di essa, rappresenta uno dei limiti dei puri metodi asettici, intesi nell'accezione di sterilizzazione fisica, in quanto che tali batterî non possono essere distrutti col calore, e l'allontanamento meccanico di essi rappresenta egualmente un ideale irraggiungibile. Anche per la sterilizzazione di materiali, che le alte temperature deteriorerebbero, la disinfezione termica è inapplicabile, e occorre ricorrere ad altri mezzi, che poi si riducono ad azioni chimiche, cioè antisettiche. E così il catgut viene sterilizzato con processi speciali, in cui hanno gran parte i disinfettanti chimici; gli oggetti di gomma, che non possono essere sottoposti all'ebollizione, si sterilizzano con vapori di formaldeide; alcuni apparecchi da esplorazione, contenenti lenti e lampadine elettriche (p. es. cistoscopî), con l'immersione in soluzioni antisettiche, ecc. Per la sterilizzazione chirurgica l'applicazione dei mezzi fisici quindi non basta, e dev'essere integrata dalla disinfezione chimica.

Per quello che riguarda la cute, sia dell'operando sia delle mani del chirurgo, di sterilizzazione assoluta non è possibile parlare, e bisogna contentarsi d'uno stato di asepsi relativa, che però può raggiungere un grado abbastanza elevato e perfettamente sufficiente ad evitare l'infezione operatoria. Dell'utilità di allontanare meccanicamente il più gran numero possibile dei batterî che si annidano negli strati più superficiali dell'epidermide (il che si ottiene, meglio che con ogni altro mezzo, detergendo le mani con acqua e sapone o con spirito saponato), la maggioranza dei chirurghi è ancora pienamente persuasa; sennonché non sono i germi depositati sulla cute i più pericolosi, bensì quelli che si annidano nella profondità dell'epidermide e nei dotti escretorî delle glandole cutanee, e per questi è inutile pensare alla possibilità di un'eliminazione meccanica. Nella possibilità di uccidere, o per lo meno di rendere innocui tali germi, abbassandone la virulenza e la capacità di sviluppo, per mezzo di soluzioni antisettiche vi è chi ancora ha fede, e chi invece di essa dubita. Per alcuni antisettici, di uso ormai diffusissimo, quali l'alcool (Braatz, Reinicke, 1874) e la tintura di iodio, alcuni pensano infatti ad una vera azione battericida; altri invece credono ch'essi agiscano in modo prevalentemente meccanico, cioè producendo un indurimento, o "concia" che dir si voglia, della pelle, per cui i batterî rimangono bloccati nelle cripte e nelle ghiandole cutanee, senza potersene più allontanare. Per questa ragione ha trovato utile uso in chirurgia operatoria anche l'acido picrico, e da qualcuno viene magnificato il tannino, mentre non pochi chirurghi, rinunziando definitivamente a qualsiasi idea di uccidere i germi, hanno proposto, come perfettamente sufficiente, la semplice fissazione dei batterî alla cute per mezzo di sostanze adesive, quali la vernice da quadri (Mariau), la paraffina (Menge), la guttaperca (Haegler), il caucciù (Wederhake), la resina (chirosoter del Klapp e del Dönitz), ma, in verità, con poco successo. D'uso ormai generale sono invece i guanti di gomma, con i quali i chirurghi proteggono i tessuti del campo operatorio nelle operazioni asettiche e le proprie mani in quelle settiche; vi sono anzi operatori che usano i guanti di gomma solo in quest'ultimo caso, mentre per gl'interventi asettici si contentano dei guanti di filo, introdotti nella pratica dal Mikulicz.

Anche per il trattamento delle ferite accidentali sospette d'infezione si può seguire un criterio rigidamente asettico (Bergmann, Friedrich, Donati), che consiste nell'asportazione dei corpi estranei, dei tessuti necrotici o soltanto malconci e dei coaguli sanguigni, seguita dalla sutura, se quest'asportazione riesce completa e tale da garantire l'asepsi, o, in caso contrario, dal trattamento aperto, ed eventualmente con gli opportuni sbrigliamenti e drenaggi, ma senza l'uso di sostanze battericide (soluzioni ipertoniche, siero di sangue di cavallo). Questo trattamento asettico si affida, per combattere l'infezione, ai naturali poteri di difesa dell'organismo, limitandosi a mettere questo nelle migliori condizioni di lotta contro la minacciante infezione (citofilassia del Delbet).

Non mancano però chirurghi che sono pienamente convinti dell'efficacia della disinfezione chimica nelle ferite infette. Presupposto essenziale di questa disinfezione sarebbe che l'antisettico, pur essendo tanto energico da uccidere rapidamente i batterî, riuscisse invece innocuo per i tessuti dell'organismo, un tale antisettico però non solo non è stato ancora trovato, ma probabilmente non sarà mai, perché un disinfettante, capace di alterare il plasma batterico, altera a più forte ragione il protoplasma, maggiormente differenziato, delle cellule dell'organismo. A ciò si deve aggiungere che i germi, nei tessuti infetti, non si trovano soltanto alla superficie o presso di essa, ma anche ad una profondità a cui non tutti gli antisettici possono giungere, mentre d'altra parte l'ambiente colloidale-albuminoideo, rappresentato dai tessuti e dai liquidi organici, ostacola l'azione battericida delle sostanze chimiche, specialmente se queste coagulano le albumine. Per questa ragione alcuni antisettici, come il sublimato e l'acido fenico, pur essendo energicamente battericidi, nella cura delle ferite sono stati abbandonati, perché troppo dannosi per i tessuti; lo iodio stesso, tanto utile per la disinfezione della cute, pur essendo molto diffusibile e fortemente battericida, danneggia le cellule e non è indicato per la disinfezione dei tessuti profondi. Il nitrato d'argento trova applicazione solo in casi ben determinati (lavande vescicali, istillazioni congiuntivali), e così pure altri sali d'argento, il permanganato di potassio, il cloruro di zinco, ecc. Rimanendo però nel campo delle ferite infette, con alcuni derivati del cloro (ipocloriti, clorammine), della chinina (isoctilidrocupreina, Vuzin), dello iodoformio (acido iodochinolinsulfonico, Yatren), dell'anilina (blu di metilene, violetto di metile) e dell'acridina (tripaflavina, rivanol), si ottengono risultati realmente soddisfacenti. Condizione necessaria di questa disinfezione chimica delle ferite, già affermata dal Thiersch e ampiamente sviluppata dal Carrel, è che, decomponendosi l'antisettico, più o meno rapidamente, a contatto dei tessuti, esso dev'essere opportunamente rinnovato acciocché i germi si trovino sempre in presenza di una sufficiente dose di sostanza battericida (irrigazione continua).

Con alcuni dei predetti antisettici (vuzin, tripaflavin, rivanol), a scopo tanto profilattico quanto terapeutico, si è tentata la cosiddetta antisepsi profonda, cioè l'aggressione dei batteri nella profondità dei tessuti, mediante iniezioni nello spessore di questi, di soluzioni variamente titolate, ma i risultati ottenuti non permettono ancora giudizî definitivi in proposito. (v. antisettici).

Bibl.: C. Magati, De rara medicatione vulnerum, ecc., Venezia 1616; G. Pringle, Observations on the diseases of the Army, Londra 1753 (trad. ital., Napoli 1757); Alexander, On the external application of antiseptics in putrid diseasers, Londra 1778; A. Vaccà, Liber de inflammationis morbosae quae in humano corpore fit, natura, causis, curatione (trad. ital., Firenze 1839); J. Ph. Semmelweis, Die Ätiologie, der Begriff und die Prophylaxie des Kindbettfieber, Budapest, e Vienna 1861; E. Bottini, Dell'acido fenico nella chirurgia pratica e nella tassidermica, in Annali univ. di med. e di chir., 1866; J. Lister, On a new Method of treating compound Fractures, Abcess, ecc., with Observations on the condition of Suppuration, in The Lancet, 1867; A. Guérin, Les pansement modernes, Parigi 1889; P. von Bruns, Fort mit dem Spray, in Berl. klin. Wochenschr., 1880; Poupinel, La stérilisation par la chaleur en chirurgie, in Rev. de chir., 1886; Schimmelbusch, Anleitung zur aseptischen Wundbehandlung, Berlino 1892; A. Grossich, Eine neue Sterilisierungsmethode der Haut bei Operationen, in Zentralbl. für Chir., 1908; A. Carrel, Le traitement des plaies infectées, Parigi 1917; C. Brunner, Das Problem der prophylaktischen Tiefenantisepsis, in der Wundbehandlung, in Klin. Wochenschrift, 1924.

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