BALDOVINETTI, Antonino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BALDOVINETTI, Antonino (A. Maria Niccolò)

Mario Rosa

Nacque a Firenze il 22 genn. 1745 da Giovanni e Caterina Maria Canal. Ventenne, ricevette gli ordini minori; nel 1770 divenne canonico coadiutore della metropolitana fiorentina; nel 1771 si addottorò a Pisa in utroque iure. Solo nel 1773 raggiunse il sacerdozio. Contemporaneamente l'arcivescovo di Firenze F. G. Incontri lo richiede quale vicario generale, ma il B., anche per consiglio di S. de' Ricci, cui appare già legato dalle discussioni di un cenacolo di giovani ecclesiastici "(la piccola accademiola, dove qualche volta avete favorito anco voi": Ricci al B., 23 febbr. 1773; cfr. Rodolico, p. 42), rifiuta, e si trasferisce a Roma per perfezionare gli studi. Non documentati, ma probabili, in questo breve periodo, suoi rapporti con il circolo dell'"Archetto".

Nel 1774 il B. diviene vicario generale dell'Incontri, ma il 17 nov. 1775 il granduca Pietro Leopoldo lo designa alla prepositura di Livorno. A Firenze gli succede il Ricci. Nel maggio del 1776 il B. assume la nuova carica ecclesiastica. Buoni, inizialmente, i rapporti con l'arcivescovo di Pisa F. Guidi (Livomo, non ancora diocesi autonoma, dipendeva ecclesiasticamente da Pisa); contrastati quelli con il successore di lui, A. Franceschi.

Caratterizza il governo del B. più che un impegno dottrinale, che sarà piuttosto del Ricci nel governo delle diocesi di Pistoia e Prato, ispirato agli orientamenti rigoristi e giansenistici, una spiccata ansia pastorale, seppure non sia affatto estranea al B., anzi profonda, la partecipazione alla propaganda giansenistica e alle elaborazioni del riformismo leopoldino. Un carteggio intenso con i principali giansenisti italiani e stranieri (ora in Arch. di Stato di Firenze, Fondo Bigazzi),noto solo in minima parte, e che annovera i nomi di P. Tamburini, di E. Degola, conosciuto personalmente a Livorno nel 1791 e dal B. posto in contatto con la Chiesa di Utrecht, di F. de Vecchi, del de Gros, di G. de Bellegarde (che sperò nel 1775 di ottenere dall'Incontri, tramite il B., una lettera di comunione per la Chiesa di Utrecht), di J.-B. Mouton, direttore dell'edizione utrettina delle Nouvelles ecclésiastiques,di V. Palmieri, di G. B. Molinelli, di P. M. Del Mare; contatti diretti con gli amici della "sana dottrina"; la diffusione di opere e di opuscoli italiani e stranieri (M. Natali, p. Tamburini, p. Quesnel, F. Fitzjames, A. de Montazet, E. Guibaud) tra i simpatizzanti di Lombardia, Napoli, Liguria, Francia e Paesi Bassi (e in questo il B. si giova delle possibilità offerte da una città aperta al traffico marittimo quale è Livorno); il fervore delle discussioni sul piano disciplinare configurano lo sfondo delle iniziative di riforma che il B. affrontò nell'ambito della prepositura livornese, in parte aderendo agli orientamenti ricciani, in parte distaccandosene.

Un primo passo in questa direzione è compiuto dal B. con la istituzione del convitto ecclesiastico di S. Leopoldo, che ripete gli schemi del convitto pistoiese e che si realizza (30 nov. 1783) dopo colloqui e scambi di lettere tra il B. e il sovrano. Il tono "giansenistico" della fondazione, dipendente strettamente dal B. per la scelta degli insegnanti e dei libri, è adombrato simbolicamente nella richiesta espressa dal B. al Ricci (ma non realizzata) di ritratti dei "padri di Porto Reale" da far "dipingere sopra le porte di diverse stanze a chiaro scuro" (cfr. Cazzaniga, p. 131).

Ma già il principio del 1783 il B. viene incaricato dal segretario Seratti, a nome del granduca, di presentare un piano complessivo di riforma del clero livornese. Il B. stende allora un Nuovo piano di Religione in quattordici articoli, che sottopone a Pietro Leopoldo nel corso del 1784.

Sua principale preoccupazione è quella di eliminare abusi nella disciplina ecclesiastica e di assorbire la gran massa di sacerdoti senza cura d'anime, provvisti però di benefici e destinati spesso per obbligo di lasciti a celebrare in cappelle e oratori privati feste e funzioni che "consistono per ordinario in moccoli accesi, e canti latini, onde sono di piccolissimo o niun vantaggio del popolo..." (cfr. Cazzaniga, p. 253). Di qui l'esigenza di fare delle parrocchie il centro della vita religiosa della città, e il progetto di una nuova ripartizione parrocchiale di Livorno, attraverso la istituzione, oltre la prepositura, delle due parrocchie di S. Giovanni e di S. Caterina, sottratte rispettivamente all'officiatura di agostiniani e domenicani; di qui la determinazione di mansioni e di emolumenti dei parroci e la proibizione di elemosine per messe.

Suggerimenti particolari riguardano le minoranze greco-unita e armena della città; il pauperismo, che il B. mira ad alleviare con l'imposizione di una tassa sulle mercanzie da pagarsi alla dogana e da ripartirsi proporzionalmente fra i non abbienti delle tre parrocchie; e l'istruzione primaria che il B. vorrebbe potenziata convertendo in una "Cassa ecclesiastica" (ispirata a quello che già si configurava come "Patrimonio ecclesiastico" leopoldino) i patrimoni di vari conventi, oratori, confraternite, cappellanie, patronati, ecc., da sopprimere.

Un elemento originale, invece, che non ha riscontro nelle riforme vagheggiate o realizzate dal tardo giansenismo italiano, pur venato da tante aspirazioni arcaizzanti, è costituito dalla nuova forma da dare al diaconato con l'istituzione di dodici diaconi per la collegiata e due per ciascuna parrocchia incaricati di battezzare e portare il viatico "che giusta l'antica disciplina è di loro proprio ufficio" (cfr. Cazzaniga, p. 258). È questo il punto (come l'altro riguardante il sovvertimento dell'esistente struttura beneficiaria) che il riformismo leopoldino, quasi giunto al suo acme, non seppe imporre di fronte alle resistenze e alle proteste dell'arcivescovo di Pisa (1785), pur venendo il Piano generalmente approvato il 25 sett. 1786.

Nello stesso 1784 il B. appare tra i più ascoltati consiglieri di Pietro Leopoldo e si pronunzia con il Ricci e F. de Vecchi sul documento leopoldino più significativo di questi anni, noto come i "Cinquantasette punti ecclesiastici". La risposta del B. è del 30 genn. 1784.

Poiché in questo torno di tempo il B. elabora e presenta il suo Piano,andrebbero valutate le reciproche influenze tra il Piano, lo schema leopoldino, per quanto riguarda le materie comuni, e la risposta del B.: tanto più che da una lettera del de Vecchi (senza dest., Roma 27 nov. 1784, in Il giansenismo toscano....,II, p. 113) desumiamo che la posizione del B. e del Ricci si diversificò da quella più moderata del de Vecchi appunto sulla radicale riforma del sistema beneficiario.

Pur non partecipando all'Assemblea degli arcivescovi e vescovi della Toscana (1787), il B. continua a fiancheggiare l'opera ricciano-leopoldina: collabora agli Annali ecclesiastici di Firenze con Del Mare, Fontana, de Vecchi, Molinelli, Palmieri, A. Longinelli, Zola, Tamburini; anzi, stando ad una lettera del Degola al Grégoire (Gênes, 30 ott. 1806, in Carteggi..., III, p. 440), il B. "n'a tenu sa plume tout seul que l'année 1792"; e al B. il gesuitico e curiale Giornale ecclesiastico di Roma (20 e 27 luglio 1793) attribuisce una Lettera di A. B. al Sig. arciprete di... [Silvano Adorno] contenente alcune riflessioni sopra i di lui sentimenti intorno alle questioni che di presente agitansi nella Chiesa,inserita nella ricciana Raccolta di Opuscoli interessanti la Religione, XVII, Pistoia 1790.

Intanto l'attività riformatrice del B. non manca di incontrare opposizioni. Il convitto ecclesiastico ha vita difficile dal punto di vista finanziario; difficile anche il reperimento di buoni insegnanti, taluni ostacolati dall'arcivescovo pisano, come G. Pagni, lettore di umanità, sospetto di leggere ad alta voce, com'era consuetudine giansenistica, le segrete e il canone della messa; e S. Capra, amico del Tamburini, lettore di filosofia, denunziato al granduca tra il 1785-86 per un gruppo di tesi de anima sempre ad opera dello zelante arcivescovo Franceschi. Non chiari i motivi per cui il granduca al principio del 1788 presentò il B. come candidato al vescovato di Pontremoli, eretto canonicamente da Pio VI il 5 luglio 1787: se per allontanarlo da Livorno o per confermargli l'antico favore. Ma il pontefice, che già aveva respinto la designazione di G. Bernardini, vicario generale di G. Pannilini vescovo di Chiusi, rifiutò la convalida. Il pericolo di una rottura tra Firenze e Roma, cui spingevano i più decisi ricciani, la ventata episcopalista, auspice il Pannilini, che propose di "riprendere la disciplina antica di far consacrare i vescovi dalla Provincia" (cfr. Cazzaniga, p. 271), si ridussero alla soppressione del tribunale della nunziatura da parte del granduca (20 sett. 1788). Politica più cauta che sembra di lontano anticipare il brusco revirement dovuto alla reazione antiricciana e antileopoldina dei primi del 1790.

A Livorno, come contraccolpo della ribellione pistoiese, il moto si configura quale ripristino delle forme tradizionali di devozione, gravemente colpite dal rigorismo del B. (riapertura, il 31 maggio, della confraternita di S. Giulia, soppressa con le altre confraternite dalla legge del 22 marzo 1785) e quale restaurazione dei privilegi economici cittadini espressi dall'Annona, livellati dall'opera di Pietro Leopoldo ("Fu chiesta l'abolizione del commercio libero, ed il ristabilimento della Grascia" : L. Baroni al B., 2 giugno 1790; cfr. Cazzaniga, p. 282; "Il popolo insiste sulla Grascia e domanda i prezzi dei generi di prima necessità": lo stesso al B., Pisa 3 giugno, ibid., p. 283). Il B., mentre il progovernatore Pierallini è incapace di controllare la rivolta che assume anche toni antiebraici, tenta una mediazione. La piega degli avvenimenti però lo costringe ad abbandonare, nella notte tra il 31 maggio e il 1º giugno, la città. La sua opera è rapidamente liquidata dagli sforzi congiunti del Franceschi e del Seratti, divenuto, da segretario del granduca, governatore di Livorno e paladino dei fermenti antileopoldini. Il convitto, ormai vuoto, viene soppresso il 7 nov. 1791; vengono ricostituite alcune delle antiche confraternite; i regolari rioccupano le sedi perdute. Ma già il B. aveva dato le dimissioni dalla prepositura il 22 sett. 1791.

Nella propria villa di Marti presso Castelfranco, nel Valdarno superiore, il B. inizia, come il confratello Ricci, una vita di meditazione confortata dal carteggio con gli amici e dall'attenzione rivolta ai problemi ecclesiastici e politici del periodo rivoluzionario. Particolarmente importante in questi anni il carteggio che egli prosegue con il Ricci e quello che inizia con il Degola, dal quale è sollecitato a collaborare, nel 1797, agli Annali politico-ecclesiastici,"primo frutto della Genovese democrazia", e dal quale riceve notizie sulla situazione italiana e francese, lettere di presentazione di amici perseguitati (in genere ecclesiastici francesi "refrattari"), sfoghi amari sulla defezione di altri, opuscoli e libri, anche a carattere millenaristico, cui il Degola in questi anni (e non più tardi) sembra essersi accostato.

Superata l'esperienza rivoluzionaria (ma dal 1798 in poi del B. abbiamo scarse notizie, lacuna che soltanto una più ampia analisi delle lettere potrebbe colmare), la vita del B. si conclude nella villa di Marti il 18 luglio 1808.

Oltre l'epistolario, un gruppo di scritti inediti del B., in parte elaborati, in parte allo stato di appunti o di schemi di discorso (per lo più autografi, in Bibl. Marucelliana, Firenze, mss. C. 394, 395, I e II parte, 396, 397), ci introduce, di là dai caratteri esterni della sua azione, improntata al lealismo dinastico e a componenti accentuatamente regalistiche, in quella che fu la sua pietà personale e il carattere della sua opera pastorale. Nutrito, anche per consiglio del Ricci (v. lett. del 1º febbr. 1773: cfr. Rodolico, p. 41), di letture di G.-G. Duguet, di s. Agostino, di Z.-B. van Espen, e ancora di Sacy, Gourlin, P. Nicole e della pubblicistica "appellante", ma con un "genio ingenuo e dolcissimo" che fu notato dal Degola (al B., Genova, 30 luglio 1791, in Carteggi..., III, p. 105), e che lo rende diverso dal più aspro temperamento ricciano, anche nelle forme tradizionali della pratica religiosa il B. immette gli ideali ascetici e penitenziali (conobbe tra l'altro i Gémissements d'une âme pénitente dell'oratoriano Guibaud), il rigorismo etico e liturgico, gli orientamenti teologici propri dell'ultimo giansenismo europeo. Così (C. 394) nella Novena in onore di s. Anna è introdotto il tema della grazia ex se operante; in quella in onore di s. Gaetano sono sviluppati temi ascetici e di impegno pastorale; in quella in onore di S. Francesco di Paola viene enucleato il contrasto tra carne e spirito nell'insistenza su temi penitenziali, mentre nella Novena sull'Eucarestia, come nell'altra "del Corpo del Signore", ricca di "elevazioni" secondo i moduli affettivi della predicazione oratoriana, è celebrata l'importanza dell'adorazione del Sacramento. La Novena del S. Natale è densa di suggestioni sul tema della predestinazione e della grazia. Centro della predicazione del B. (a parte motivi occasionali, come è per il discorso di apertura del convitto di S. Leopoldo, in C. 394, cc. 102r-103r e 105r-v) è la spiegazione del catechismo agli adulti (cfr. C. 395, I e II parte) che egli di persona, in tempi diversi, adempì nei pomeriggi domenicali. L'ispirazione da s. Agostino, dal commento biblico del Sacy, da Nicole e dai catechismi giansenisti di Mésenguy e Pouget, è esplicita. Particolarmente belli il discorso sulla Chiesa (C. 395, parte I, cc. 228v e ss.), i Sermoni su Cristo (C. 397, cc, 4r e ss.), e le meditazioni (a commento del Credo) sull'economia della grazia (ibid., cc. 156v e ss.) e sul giudizio particolare e universale (ibid., cc. 115r e ss.).

Schemi e appunti di diritto canonico sono nel ms. C. 396. Un elenco dei libri posseduti dal B. è in Archivio di Stato di Livorno, filza 5246.

Fonti e Bibl.: Un profilo complessivo del B. documentato, ma inficiato da valutazioni polemiche, è offerto da G. Cazzaniga, Un giansenista toscano: A. B. Proposto di Livorno,in Bollett. stor. livornese, III (1939), pp. 115-142 e 241-300. Lettere di corrispondenti del B., frammenti di lettere del B., notizie varie e precisazioni sono in Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, I-III, Firenze 1941-42, passim,in partic. I, p. 199 n. 5; III, pp. 105 ss. (lettere del Degola al B.), e in Il giansenismo toscano nel carteggio di Fabio de Vecchi,a cura di E. Codignola, I e II, Firenze 1944, passim. Per i rapporti con il Ricci, cfr. S. de' Ricci, Memorie,a cura di A. GeHi' Firenze 1865, Passim. Qualche altra notizia in N. Rodolico, Gli amici e i tempi di Scipione dei Ricci,Firenze 1920, pp. 31 n. 1, 40, 41, 42 s., 44, 45, 46 s., 56s., 79, 117-118, 128, 135, 151, 155, 208-210; in B. Matteucci, Scipione de' Ricci,Brescia 1941, pp. 40, 41, 119, 133, 172, 231, 239; E. Passerin, L'ambiente culturale pisano nell'ultimo Settecento : il trionfo e la crisi del riformismo anticuriale in alcuni carteggi di colti pisani,in Boll. stor. pisano, XXII-XXIII (1953-54), pp. 59-60, 61, 64 n. 22, 70 n. 29, 71, 99, 112, 113, 117 n. 3 (docc.).

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE