DIANA, Antonino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DIANA, Antonino

Paolo Portone

Nacque a Palermo nel 1585 da nobile famiglia. Fin dalla gioventù si dimostrò assai portato alle lettere, dando saggio delle sue doti con alcune canzoni in lingua vernacola. Il 30 sett. 1614 fu ammesso nell'Ordine dei chierici regolari o teatini nella casa di S. Giuseppe di Palermo: il periodo di noviziato si concluse il 2 febbr. 1616 con la solenne professione. Nonostante le sue condizioni fisiche gli impedissero di farsi carico dei compiti richiesti dalla Congregazione teatina, vi fu comunque ammesso con privilegio speciale nel capitolo generale del 23 apr. 1630.

Il D. si dedicò massimamente allo studio della teologia morale, da lui ritenuta lo strumento più utile alla società umana, indispensabile per quanti professavano un istituto atto a reggere le coscienze altrui e a regolare le azioni degli uomini. Fertile scrittore, produsse in breve tempo un'enorme mole di scritti riguardanti i più svariati casi di coscienza, che raccolse in una specie di miscellanea intitolata Resolutionum moralium. Tuttavia, solo in seguito alle pressioni dei suoi amici, decise di darne alle stampe le prime due parti. Sotto il titolo Resolutionum moralium pars prima et secunda furono edite a Palermo una prima volta nel 1628 e una seconda nel 1634. L'interesse suscitato dall'opera indusse il D. a continuare la sua miscellanea: le parti dalla terza alla nona furono pubblicate a Lione tra il 1635 ed il 1650; la decima e l'undicesima a Venezia nel 1652 e nel 1655 (quest'ultima comprendeva anche un Tractatus de adoratione Romani pontificis et de infallibilitate suorum decretorum circa fidem extra concilium); la dodicesima, pubblicata a Roma nel 1656, conteneva anche due trattati, il De consacratione episcoporum e il De collocutionibus et scriptionibus prohibitis tempore conclavis. Del D. è anche il trattato De primato d. Petri disceptationis apologeticae, edito a Roma nel 1647.

Nell'arco di un trentennio la sua fama si accrebbe vertiginosamente; dai paesi più lontani, compresi quelli del nuovo mondo, giungevano lettere al teologo palermitano, che veniva consultato come l'oracolo della teologia morale. La Congregazione dei teatini gli conferì la prepositura di S. Giuseppe di Palermo e per tre volte il grado di consultore del vicario generale, nel 1639, nel 1650 e nel 1655. Nel 1645 fu insignito del grado di consultore del S. Offizio.

Giunto a Roma nel 1637 sulla scia del successo delle sue opere, occupò la carica di esaminatore dei vescovi sotto i pontificati di Urbano VIII, Innocenzo X e Alessandro VII; da quest'ultimo fu anche nommato esaminatore del clero romano e incaricato di esaminare le proposizioni di Giansenio.

Morì a Roma il 20 luglio del 1663 e fu seppellito nella chiesa di S. Silvestro a Monte Cavallo.

Le sue opere con 6595 risoluzioni intorno a ventimila casi di coscienza, spesso tra i più rari e difficili, rappresentano una tappa fondamentale nell'affermazione del lassismo in Italia e all'estero. Testimonianza ne sono le molte edizioni (le prime sette parti delle Risoluzioni furono in meno di cinque anni ristampate due volte a Palermo, due volte a Lione e tre volte in Spagna) e i numerosi compendi che vennero pubblicati nell'intento di dare un ordine razionale alla poderosa opera del teatino palermitano. Tra questi, degni di nota sono la Summa Diana del p. A. Cottone, stampata ad Anversa nel 1656, il Coordinatus seu omnes resolutiones morales eius ipsissimis verbis ad propria loca, et materias fideliter dispositae ac distribuitae..., del monaco della real certosa detta dei paulari, Martino di Alcolea, edita a Lione nel 1667. Infine le due opere del teatino spagnolo C. Morales, il Diana dommaticos, pubblicato a Napoli nel 1697, e il Diana vindicatus, stampato nello stesso anno a Madrid, nel quale l'autore dimostra come il D. non asserì quelle proposizioni che furono poi condannate dai sommi pontefici.

Il successo delle opere del D., non solo tra i lassisti, derivò dalla capacità dell'autore di rendere probabili le posizioni morali acquisite dalla tradizione cattolica, comprese quelle più conclamate. Il nucleo del suo sistema era costituito dal mettere a confronto su di un medesimo problema l'autorità, pro e contro, dei più illustri teologi cattolici, rendendo così la soluzione probabile sia in un senso sia nell'altro ed affidando interamente l'ultima parola all'interessato. Per il D. questo era l'unico modo per rendere sicura la risposta del cattolico di fronte ai quesiti posti dalla vita, ed indirettamente per limitare la possibilità di incorrere nel peccato, cosa quest'ultima che gli valse l'appellativo di "Agnus Dei qui tollit peccata mundi".

Tutte le risposte fornite dal D. corrispondono a questa impostazione di fondo, anche quelle relative ai casi più gravi. Così ad esempio alla domanda se sia lecito, per evitare il pericolo di vita e d'infamia ad una donna incinta, procurare l'aborto essendo il feto ancora inanimato, sosteneva che si poteva praticarlo qualora la donna avesse mostrato l'intenzione di uccidersi (Res. moralium, VI, p. 298). Sull'usura, il D. riteneva che il lucro cessante e il danno emergente scusavano il creditore da questo reato (Res. moralium, XI, p. 380); inoltre si dichiarava favorevole al contratto stocco, ossia al nuovo prestito che il creditore faceva al debitore per estinguere il primo cambio (Res. moralium, I, pp. 116 ss.). Spesso il D. si mostrava incline a posizioni al limite della liceità, ammettendo ad esempio la possibilità di equivocazioni nel giuramento e la mancanza di una completa sincerità spirituale nell'uso del sacramento, infine non negando l'assoluzione anche a chi era manifestamente recidivo (Res. moralium, III, p. 260). Invece, su questioni marginali come l'uso da parte dei religiosi delle maschere in tempo di carnevale, si mostrava singolarmente intransigente, giudicando peccato mortale questa pratica.

Il D. fu anche tra gli autori italiani che nel XVII secolo trattarono specificatamente della tortura. Nella parte quarta delle Resolutionum, l'intero VI trattato è dedicato a tale questione. Tuttavia, a differenza di altri problemi trattati dal teologo teatino con maggiore larghezza di vedute, in questo caso la sua posizione si inseriva nell'alveo della tradizione. La tortura dell'imputato non confesso era ammessa soltanto in due casi: o che non rispondesse affatto alle interrogazioni degli inquirenti o che ribadisse la propria innocenza. Nella prima ipotesi l'autore suggeriva il ricorso alla tortura anche se non v'erano indizi a carico dell'imputato (Res. moralium, IV, p. 34). E l'eventuale ritrattazione dell'imputato, una volta terminata la tortura, era a giudizio del D. un elemento che confermava la colpevolezza del reo. Ad ogni modo, di fronte a giudici e teologi che non avevano alcuno scrupolo a torturare un reo convinto ma che ne avevano tanti a mandarlo assolto in caso di negativa, il D. si manteneva in una via di mezzo, sostenendo che dopo la tortura si doveva infliggere al reo confesso una pena minore, poiché colla perseveranza sotto i tormenti aveva parzialmente infirmato le prove.

L'opera del D., sebbene non sia stata mai condannata complessivamente dalla Chiesa, fu attaccata da più parti in più riprese. Il primo grande accusatore fu il gesuita M. De Elizalde. Così scriveva alludendo alle Risoluzioni: "Io ho letto una Summa morale di più volumi, ho cercato in essa Cristo e non l'ho trovato .... Ho cercato in cotesti libri il Vangelo, e non vi è. Se tu leggerai le Epistole di S. Paolo e di qualunque Padre, troverai dottrina affatto contraria riferita a Cristo di carità e di umiltà". Per questo motivo, sosteneva il gesuita, come i lassisti tralasciano il Vangelo, "a maggior ragione essi debbono esser trascurati". Sulla scia del De Elizalde vennero molti critici, tra i quali fa spicco nel XVIII secolo la figura del domenicano italiano D. Concina. Egli con singolare ragionamento riteneva che "Secondo la comune estimazione di tutti i dotti la dimostrazione probabilistica è falsa e deridevole ... poiché in virtù del suo stesso sistema, il probabilismo è probabile". Inoltre era dell'avviso del De Elizalde, che il parere di teologi quali il D. non avesse alcuna autorità perché in contrasto con i dettami evangelici.

Del D. sono conservate nella Bibl. ap. Vaticana le seguenti opere: Vat. lat. 10446: Carteggio Caramuele - Diana, ff. 272 ss.; Barb. lat. 981: An Pragmatica super chartam vulgo dictam Papel Sellado violet ecclesiasticam immunitatem (autografo); Barb. lat. 1297: De omni moda clericorum exemptione eiusque origine apologetica disceptatio (8 dic. 1642, autografo), Barb. lat. 1329: Apologetica desceptatio adversus Franciscum Salgado, de illicita bullarum apostolicarum per regios magistratus examinatione (autografo); Barb. lat. 6463: Una lettera al card. Francesco Barberini del 30 genn. 1647, f. 44; Chigi A. V. 160: Propugnaculum pontificiae adorationis in quo de licita adoratione qua Catholici summum pontificem venerantur, adversus haereticos dilucide pertractatur (10 febbr. 1654); Chigi C. VI. 190: De illicita bullarum apostolicarum per laicos magistratus examinatione et retentione, Chigi O. II. 24: Tractatus de adoratione qua summus pontifex a Catholicis veneratur, ff. 404-489.

Fonti e Bibl.: G. Caramuel, Theologia moralis fundamentalis, Romae 1656, risol. 343, 496, 521, 569, 653, 730, 1451, 1463, 1540, 1542, 1549, 1724, 1726, 1746, 1839, 1855, 2011; M. De Elizalde, De recta doctrina morum, I, Friburgi 1684, pp. 137, 150;G. Silos, Historiarum clericorum regularium, III, Panormi 1666, pp. 533 s.; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula sive de scriptoribus Siculis..., I, Panormi 1708, pp. 455 s.; J. Pontas, Dictionarium casuum conscientiae seu praecipuarum difficultatum circa moralem, ac disciplinam ecclesiasticam, I, Venetiis 1738, p. LX; G. Dal Portico, L'uso delle maschere ne' sacerdoti in tempo del carnevale, Lucca 1738, p. 161; D. Concina, Della storia del probabilismo e del rigorismo, dissertazioni teologiche, morali e critiche, Lucca 1743, I, pp. 25-28, 47 s., 260-266, 427, 602 s. II, p. 124 s., 151, 153, 202 s., 388, 390 s.; Gerarchia ecclesiastica teatina, Brescia 1743, pp. s., 74; Nomi e cognomi de' padri e fratelli professi della Congregazione de' chierici regolari, Roma 1747, p. 30; F. Vezzosi, Iscrittori de' chierici regolari detti teatini, I, Roma 1780, pp. 301-313; I. Döllinger-H. Reusch, Geschichte der Moralstreitigkeitenin der römisch-katholischen Kirche, I, Nordlingen 1889, pp. 30 s., 53, 113; L. von Pastor, Storia dei papi, XI, 1, Roma 1932, p. 493; M. Petrocchi, Il problema del lassismo nel sec. XVII, Roma 1953, pp. 27, 32, 40-44, 54; P. Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, I, Varese 1953, pp. 158, 222, 240, 286, 288 s., 294; II, ibid. 1954, pp. 6, 55 s., 122 s., 128, 133, 140, 171; G. Martina, Una testimonianza sul clero italiano nel Settecento, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XV (1961), 2, pp. 472 s.; H. Hurter, Nomenclator literarius theologiae catholicae, III, Oeniponīe 1907, p. 1191.

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