BRESCIANI BORSA, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BRESCIANI BORSA, Antonio

Anna Coviello Leuzzi

Nacque ad Ala (Trento) il 24 luglio 1798 da Leonardo, discendente dei Bresciani di Verona e dei Borsa conti palatini stabilitisi nel Tirolo, dalla Lombardia, sul finire del sec. XVII, e da Vittoria dei nobili Alberti di Verona. Fanciullo, assisté agli sconvolgimenti dell'epoca napoleonica, che non giovarono alla già dissestata situazione della famiglia. Nel 1814 questa si trasferiva a Verona, dove nel ginnasio di S. Sebastiano, alla scuola di retorica dell'abate Giuseppe Monterossi, il B. fu iniziato al gusto e all'amore per i classici e i trecentisti, e in questo orientamento, definitivo e fondamentale per lui, fu ancor più radicato dalla consuetudine alle prediche di A. Cesari. Nel 1818, come chierico e provvisto di un beneficio ecclesiastico, prese a frequentare i corsi di teologia presso il seminario di Verona, e contemporaneamente fu precettore in casa Belviglieri. Nel 1821, a Bressanone, ricevette l'ordinazione sacerdotale e l'anno seguente successe a F. Villardi, nemico del Cesari, sulla cattedra di retorica del regio liceo. Non è difficile capire in qual senso egli abbia indirizzato il suo insegnamento, dal momento che fin dal 1820 si era legato d'amicizia con Paride Zajotti, che nella Biblioteca italiana (XXVI[1822], p. 359) dava pubblica testimonianza della sua stima per il B. accennando ai giovanili componimenti poetici (sermoni, anacreontiche, ecc.), rimasti poi sempre inediti ma indice di una velleità non più coltivata. Intanto, ad onta dell'opposizione paterna, si chiariva nell'animo del B. la vocazione religiosa, per la quale non esitò, nell'autunno del 1824, a fuggire, in circostanze romanzesche, da Verona e dagli Stati austriaci. Raggiunta Roma col proposito di entrare nella Compagnia di Gesù, fu ammesso nel noviziato di S. Andrea. Fatto richiamare dal padre attraverso le autorità religiose e civili, dopo lunghe e vane resistenze dovette cedere. Lasciò quindi il noviziato il 5 apr. 1826, ma fermo nel suo proposito, anziché ritornare a Verona, si rifugiò a Firenze presso Pietro Leopoldo Ricasoli. Facendo il precettore del figlio minore di questo, rimase nascosto ai suoi circa due anni, particolarmente fruttuosi per il futuro gesuita-letterato, poiché nel Ricasoli egli trovò un protettore e una guida, e in Firenze la sua madrepatria linguistica. Il Ricasoli, che aveva curato a Firenze una società dell'Amicizia cristiana (cfr. G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, Bari 1966, I, 9 pp. 22 s.), lo introdusse alla conoscenza degli scritti e dell'attività di N. Diessbach, che orienterà tutta l'opera del B., come egli stesso nota in una lettera al Ricasoli del 19 sett. 1840 (cfr. Opere, XVI, p. 159).

Frutto specifico del soggiorno sarà il Saggio di alcune voci toscane (Modena 1839), ma tutti i suoi scritti hanno nella "preparazione letteraria" di questi anni la "chiave della... passione dello scrittore per le descrizioni assai abbondanti e minute" (C. Testore, p. 524), per quel gusto della parola che egli andò cercando sulla bocca dei popolani fiorentini, per inserirla poi in un periodare lontano dall'uso e anzi aulico, dando così vita ad "uno stile non spontaneo" e "spesso solennemente classico" (R. I. Raccosta, p. 52).

Il 15 maggio 328 finalmente, grazie all'intervento del Ricasoli che l'aiutò a corrispondere alle pretese finanziarie del padre, il B. poté pronunziare i suoi primi voti religiosi nella casa del noviziato di Chieri e ben presto dovette assumere le prime responsabilità nell'educazione della gioventù alfidata alla Compagnia. Dopo una breve esperienza nel convitto del Carmine di Torino, era mandato a Genova nel convitto-accademia di S. Girolamo dell'università, fino alla sua definitiva chiusura.

Sono indicativi, per intuire le direttive della sua attività in quello studentato, i suggerimenti ricevuti dal padre provinciale V. Pavani (cfr. in A. Monti, La Comp. di Gesù..., IV, p. 59). In opposizione agli articoli fervidamente romantici che il Mazzini andava pubblicando in quegli anni sugli Indicatori e sull'Antologia, il B. faceva leggere nell'Accademia dell'università i suoi articoli sul romanticismo italiano, pubblicati solo nel 1839, intesi a dimostrare che il romanticismo "non è naturale in se stesso", che "non è naturale al gusto italiano", che "è dannoso alla religione cristiana, alla buona politica e alla morale"(Opere, II, pp. 339, 348, 356).Il successo del B. fa più apparente che reale (cfr. G. Faldella, I fratelliRuffini, Torino 1896, IV, pp. 350-351). Infatti nel '30 il collegio fu chiuso per l'assoluta sfiducia del padre generale J. P. Roothaan in istituzioni come i pensionati studenteschi (cfr. Monti, IV, pp. 59 s.). Dopo una breve permanenza al Carmine di Torino. il 24 ott. 1832 il B. era di nuovo a Genova, come rettore della casa di S. Ambrogio, ormai in piena decadenza. Il B., che aveva già mostrato, come consultore della provincia, d'aver penetrato tale situazione, era. inviato proprio "per balzare presso la cittadinanza specialmente nobile e signorile, il prestigio della Compagnia" e insieme per rendere la casa adatta ad ospitare lo studentato di teologia morale. Come rettore il B. si mostrò particolarmente aperto nelraiutare i confratelli esuli dalla Francia e destinati ad imbarcarsi per il Portogallo, superando in spirito di carità le difficoltà economiche frapposte dal suo predecessore (cfr. Monti, IV, pp. 64-66). Nonostante le gravi preoccupazioni suscitate in lui, dai moti mazziniani del'33 (ibid., pp. 73-75), vivace fu il suo ministero sia verso la nobiltà e la classe dirigente sia verso il popolo facendo dell'apostolato presso i più miseri una bandiera contro le accuse degli avversari della Compagnia (cfr. lett. ad A. De Taddei del 5 apr. '33, in Opere, XVI, p. 32). Nel settembre del '34 il B. fu inviato di nuovo, ma questa volta come rettore, al collegio del Carmine di Torino.

Sulla linea di quanto aveva già fatto a Genova, fu ben lieto di stringere rapporti con la nobiltà, la corte e la stessa famiglia reale: fu confessore dei principi di Carignano e confidente della regina Maria Teresa (ma il 29 ag. 1835il padre generale gli scriveva una lettera manifestandogli disapprovazione al riguardo). Quanto al collegio, non ebbe modo di operare alcun mutamento, coincidendo questo suo anno di permanenza a Torino con le gravi epidemie del 1835.Prodigandosi nell'assistenza ai convittori colpiti, contrasse egli stesso il male che gli causò una infermità permanente.

Lasciato l'incarico nell'ottobre del '35, raggiunse Roma per un periodo di riposo, nel quale iniziò propriamente la sua attività di scrittore, dedicandosi'alla libera traduzione di opere dal latino (L'arte di goder sempre, del p. Alfonso di Sarasa, Roma 1836; Esercizi spirituali secondo il metodo di S. Ignazio, del p., L. Bellecio, Torino 1842) e dal francese (Dell'arte di ben governare, di S. Binet, Modena 1839). Ripreso il suo ministero come direttore spirituale degli allievi di Propaganda Fide, per loro scrisse, avendone rintracciato le fonti nella biblioteca del collegio, la Vita di Abulcher Bisciarah (Roma 1837), giovane egiziano alunno di Propaganda (1731-1738), nella cui introduzione manifestò la sua ammirazione per J. de Maistre (cfr. Opere, I, p. 8).

Nel '37, dati gli ultimi voti religiosi, andò come rettore a Modena nel collegio di S. Bartolomeo. Il triennio modenese permise al B. di accostarsi al gruppo cattolico di tendenze ultramontane che raccoglieva M. A. Parenti, G. Lugli, P. e C. Cavedoni, B. Veratti e altri intorno alle Memorie di religione,di morale,e letteratura e alla Voce della verità - Gazzetta dell'Italia centrale, e formava un circolo di eruditi e dotti che si riuniva presso l'astronomo G. Bianchi (cfr. Opere, XVI, p. 446) e si batteva per un concetto di patria imperniato sul binomio religione e famiglia, per la funzione pedagogica dell'arte e per la subordinazione degli ordinamenti civili ai principi religiosi. L'attività pubblicistica del B. fu quindi incoraggiata nelle tendenze che si erano venute radicando in lui anche per la precedente conoscenza dei fogli modenesi (cfr. le lett. al Ricasoli del 22 giugno e del 13 luglio 1828, ibid., pp. 100 s.) e i contatti con l'ambiente dell'Amicizia cattolica a Genova e a Torino dove aveva frequentato il teologo L. F. Guala, Cesare e Cristina d'Azeglio e Rodolphe de Maistre (cfr. le lett. al Ricasoli del 20 apr. '29, del 10 dic. '30, ibid., pp. 107 e 120 ss.). Escono così nel '38 a Modena gli Ammonimenti di Tionide (Tionide Nemesiano era il B. tra gli arcadi) destinati a larga fortuna: numerosissime infatti furono le edizioni in breve tempo, ed ebbero diffusione anche nel Lombardo-Veneto superando l'ostacolo della censura austriaca.

In sessantacinque capitoli l'autore dà consigli al giovane conte di Leone su come mantenere i frutti dell'educazione una volta lasciato il collegio. Tratta dunque delle compagnie, degli svaghi, delle letture, dei viaggi, ecc. mettendo in guardia contro le insidie della carboneria che, avvicinando i giovani con mezzi subdoli, li fa poi gettare "ad una politica rea, sovvertitrice d'ogni ordine umano e divino, la quale gli attizza in petto una rabbia di libertà", che li rende sdegnosi "d'ogni sommessione alla santa autorità delle leggi" (Opere, II, p. 167); alle società segrete è espressamente dedicato l'ultimo capitolo. I romanzi sentimentali di Goethe, Schiller, Foscolo, ecc. sono considerati negativamente ed anzi i giovani sono richiamati all'osservanza dell'Indice deilibri proibiti, in nome dell'obbedienza ai decreti della Chiesa. Gravi limiti il B. trova nella cultura d'ispirazione anglosassone e in quella dei paesi protestanti in genere. Il tono precettistico dell'opera vuol essere smorzato dall'amabilità della forma, dalle descrizioni abbondanti e minuziose, dagli aneddoti esemplificatori, dal tono scherzoso ed anzi ironico, in più punti di chiaro ricordo pariniano (si vedano i capp. 25-31 e 62-63). Vi si trova in sostanza il paradigma dei futuri romanzi.

Facevano seguito, partendo dalla stessa ispirazione, gli Avvisi a chi vuol pigliar moglie (Modena 1839), opera indirizzata non più solo ai giovani, ma anche alle fanciulle e ai loro genitori. Mentre gli echi pariniani si facevano ancora più evidenti (l'episodio della "Vergine cuccia" vi era praticamente trasposto in prosa, cfr. ibid., p. 304), il manzoniano coro della morte di Ermengarda veniva citato come un esempio di nobile ispirazione romantica (cfr. ibid., pp. 301 s.). Il successo di questi volumi valse all'autore la collaborazione alle Memorie di religione, che iniziò con la pubblicazione, in stesura definitiva, dei quattro capitoli Del Romanticismo italiano,rispetto alle lettere,alla religione,alla politica,alla morale, che risalivano al primo periodo genovese (VII, 1839, p. 61). Completa è la condanna della cultura romantica, preoccupato com'è il B. di salvare dal liberalismo e da ogni sovvertimento la gerarchia religiosa e politica.

Inaccettabili sono il costume stesso dei romantici e i loro canoni stilistici (eccezioni sono il Manzoni, la ma sa di Saluzzo e pochi altri, la cui opera "sarà sempre l'onore della religione, delle lettere e dell'Italia", Opere, II, p. 364), cui contrappone i classicisti settecenteschi e il loro uso della mitologia, facendo un fascio di Maffei, Metastasio, Gozzi e Varano, Parini e Alfieri, Pindemonte e Monti. Il vero fine della "setta" romantica è distogliere la gioventù dallo studio dei classici, sicuro strumento di formazione in ordine alle istituzioni religiose, politiche e morali (ibid., p. 350).

Implicito era l'intento apologetico della Compagnia (cfr. la cit. lett. al p. L. Ricasoli del 3 febbr. '38, p. 150), nella difesa degli studi classici in questi articoli, in cui il B. è ispirato dalle idee dello Zajotti (cfr. le lett. dello Zajotti al B. del 17 sett. '29, del 26 genn. '39, del 16 marzo '39, in Opere, XVII, pp. 328, 334, 338). Ma fu soprattutto il Saggio di alcune voci toscane d'arti,mestieri e cose domestiche -apparsola prima volta come Dialogi e discorsi di un lombardo nelle Memorie di religione morale e letteraria (VIII[1839], p. 153) - a suscitare una violenta polemica, che apparentemente s'inseriva nei dibattiti sulla questione della lingua, ma che, dati gli intenti dell'autore, assumeva un più generale valore pedagogico "a vantaggio della povera gioventù tradita dal mondo" (lett. al p. L. Ricasoli del 5 sett. '39, in Opere, XVI, p. 157).

Sostanzialmente anche qui il B. intende riaffermare il principio di autorità sostenendo il valore del volgare toscano come "tribunale sovrano" in fatto di lingua. Il volgare toscano è inteso come lingua dell'uso popolare senza influenza di cultura; lingua che per altro egli riscontra sugli esempi dei trecentisti e cinquecentisti: per questo, lungi dall'auspicare un uso letterario della lingua parlata, egli si riconnette sostanzialmente alle più classiche istanze del purismo linguistico.

In nome dell'idea di una lingua nazionale illustre insorsero la Biblioteca italiana e G. Gherardini, cui risposero il Parenti e il B. (cfr. Opere, II) pp. 388 s.; III, pp. 4-7);nella lunga e trascinata polemica lo Zajotti cercò di fare da paciere (cfr. le lett. dello Zajotti al B. dal 28 febbr. '40 al 20marzo '41, in Opere, XVII, pp. 340-49), mentre calda approvazione ebbe il B. da B. Puoti (cfr. lett. del Puoti al B. del 5 febbr. '41, ibid.., p. 365)e da L. Fornaciari (cfr. lett. del Fornaciari al B. del 7 dic. '39e lett. del B. al Fornaciari del 28 maggio '40, ibid., pp. 12 s.).

Nel '40 uscirono ancora sulle Memorie di religione (IX, p. 319) le Lettere sopra il Tirolo tedesco, considerato dal B. un modello perché "è ancora nazione originale, e serba intatte le patrie istituzioni e il patrio carattere, le usanze, il valore e la fede" (Opere, III, p. 8). Dal 7 nov. 1840 era di nuovo rettore al collegio del Carmine di Torino, rimanendo in assiduo contatto con il circolo di Modena, soprattutto attraverso la corrispondenza con il Parenti e con la contessa Teresa Boschetti, e pubblicando ancora sulle Memorie di religione (XIII[1841], p. 344) il Viaggio nella Savoia,nel Fossignì e nella Svizzera. In relazione anche a Torino con dotti e letterati, da S. Pellico, a C. Cantù, a P. A. Paravia, con L'armeria antica di re Carlo Alberto (Torino 1841) raccolse un raro repertorio di voci militari e cavalleresche che avrebbe consentito di evitare l'uso di "voci forestiere e remote dall'indole". Il 1º genn. '41, fatta la professione solenne, assunse il provincialato torinese, non poco gravoso in quegli anni di attacchi sempre più precisi e diretti ai gesuiti.

Significativa è la lotta per la libertà di insegnamento da lui sostenuta con tanta fermezza, da essere accusato di liberalismo. Altra e più clamorosa controversia è quella relativa al Ricovero di mendicità, in cui il B. - non estraneo alle polemiche intorno ad asili, ospizi, ecc. (cfr. corrispondenza con L. Fornaciari, in Opere, XVII, pp. 17-20e passim, e lett. al sig. Damottiere, ibid., pp. 189-199), per le quali la Voce della verità aveva avuto larga parte (cfr. D. Bertoni Jovine, Storia della scuola popolare in Italia, Torino 1954, pp. 126-31) - fuirremovibile nel voler affermare l'autonomia della Compagnia (cfr. Monti, IV, pp. 448-52). La prova di forza con gli avversari culminò nelle pagine dedicate dal Gioberti alla questione nel Gesuita moderno. Del resto il B. non si faceva illusioni sulla situazione della Compagnia negli Stati sabaudi, pur continuando a fare affidamento su mezzi tradizionali inadeguati (cfr. la sua lettera al p. generale del 2 genn. '46, ibid., pp. 455-56);e alla fine del '45mandava a Roma una lucida relazione in proposito (ibid., pp. 556-58).

Nel maggio del '46 fu esonerato dall'incarico, come egli stesso aveva richiesto (cfr. la lett. del B. al padre generale del 6 marzo '46, ibid., p. 548). Tornato a Roma, sebbene rettore di Propaganda Fide, si dedicò all'elaborazione degli appunti raccolti in Sardegna nei quattro viaggi che vi aveva fatto fra il '43 e il '46. Pur interrotto dai successivi sconvolgimenti politici che lo costrinsero a rifugiarsi a S. Girolamo della Carità prima, e presso famiglie private poi, stese l'opera Dei costumi dell'isola di Sardegna comparati con gli antichissimi popoli orientali (Napoli 1850).

Movendo dal filone delle relazioni di viaggio sviluppa qui certi suoi interessi sostanzialmente archeologici, che facevano parte del bagaglio della sua educazione classicista. Il proposito è dichiaratamente divulgativo (cfr. Opere) IV, pp. 48 s.), ma i consueti intenti apologetici e propagandistici hanno rilievo marginale. Forse per questo l'opera, pur prediletta dall'autore, non incontrò il successo delle altre. La descrizione dei costumi sardi è l'occasione per presentare, non senza echi vichiani, un mondo che, man enendo intatti gli usi e le tradizioni, permette il confronto tra costumi e moralità degli antichi e dei moderni, nonché l'idealizzazione della grandezza d'animo dei Sardi che "ha de' tempi eroici" (Opere, IV, p. 28). L'opera mira altresì, nella descrizione di costumi arcaici, ad avvalorare il racconto biblico, cui si riferisce assieme ai poemi omerici.

Il 2 ag. '49 il B. a Gaeta, con il p. M. Rossi, rendeva omaggio al papa e da lui riceveva istruzioni per la ripresa della vita della Compagnia, nella quale intanto si veniva preparando la pubblicazione della Civiltà Cattolica. Interpellato al riguardo sulla fine del '46, insieme a M. Liberatore, I. Carminati, L. Taparelli d'Azeglio, il B. aveva presentato, il 30 dicembre, una sua alquanto confusa proposta (cfr. G. De Rosa, Alle origini della Civ. Catt., in Rass. di polit. e di storia, IX [19631, n. 107, p. 7). Decisa solo il 9 genn. '50 d'autorità del papa la pubblicazione e il carattere della rivista, egli fu chiamato a collaborarvi e fece parte fin dalla prima seduta della redazione (ibid., p. 15). In spirito di adesione alla battaglia assunse il compito di provvedere alla "parte amena" della rivista, destinata a presentare diversamente le stesse "verità" esposte nelle altre sezioni (cfr. La Civ. Catt., I[1850], p. 17). Con i romanzi che si susseguirono con grande successo sulla Civ. Catt., rispetto alle sue opere precedenti il B. realizzò in senso più largamente popolare e più immediatamente combattivo l'insegnamento di N. Diessbach e P. B. Lanteri sull'importanza e il carattere dei buoni libri: "ottimamente scritti in quanto allo stile, leggiadri, ameni", da attirare la curiosità dei lettori, ma insieme eccellenti per dottrina e capaci di combattere gli errori e seminare "le verità dogmatiche e morali della santa nostra Religione" (da una memoria del B. del 1841 sul p. Lanteri, in Archivio della Civiltà Cattolica,Bresciani, VI,1).

Impugnata, come il giornale di battaglia esigeva, l'arma stessa degli avversari, il B. svolse la sua polemica più violenta, senza tuttavia riuscire ad animare i suoi racconti, che cercano ancora nello stile ornato e nel preziosismo linguistico il loro pregio letterario. Appesantiti dall'eloquenza didascalica, non trovano unità, se non nella fedeltà dell'autore al suo compito, che gli procurò grandissima popolarità: basti pensare alle copiose edizioni e traduzioni dei suoi romanzi.

Si trattò in sostanza di racconti a tesi con tipi e situazioni schematizzati, che portarono dall'altra parte dello steccato quel potente mezzo di penetrazione "nell'animo dell'universale" che era il romanzo storico, "per insinuare il vero morale" che per sé dovrebbe ratificare e imprimere unità al racconto (cfr. Rivista della stampa italiana, in La Civ. Catt., V [1851], p. 678).

Con L'ebreo di Verona (I-VI [1850-51]e La Repubblica romana e Lionello (VI-XI [1851-52])affrontò senz'altro la rievocazione degli avvenimenti contemporanei (1846-49)per ribadire un indistinto filone di continuità tra illuminismo, romanticismo e moto risorgimentale, e riaffermare, dal crollo delle speranze neoguelfe e degli ideali democratici, che solo la Chiesa cattolica può "vincere e profligare" quel "Leviatan misterioso e potente" che "omai sembra signore del mondo", e che non ci sarà salvezza per "le monarchie cristiane", se non si stringeranno "sinceramente" alla colonna della Chiesa (Opere, VII, pp. 396 s.). L'Ubaldo e Irene (s. 2, I-II e V-XII [1853-55]), che pone a confronto i frutti dell'educazione cristiana e di quella laica, e il Lorenzo o il coscritto (s. 3, I-III [1856]), con cui il B. scende decisamente sul terreno del romanzo d'amore, sullo sfondo storico degli avvenimenti tra il 1790 e il 1814, spostavano la polemica al momento dell'insinuarsi in Italia di quel tarlo "più intimo e più segreto" (Opere, XI, p. 24)"chegenerò la rivoluzione di Francia... le sovversioni d'Italia e il conquasso di tutta l'Europa" (ibid., p. 368).Con Don Giovanni ossia il benefattore occulto (s. 3, IV [1856]), contro l'immagine di un clero corrotto o indegno o meschino di molta letteratura contemporanea, presentò il modello di un'autentica vita sacerdotale. La contessa Matilde di Canossa e Iolanda di Grominga (s. 3, VI-XI [1857-58]), "un racconto sull'andare della Fabiola del card. Wiseman" (lett. al p. L. Ricasoli dell'8 nov. '56, in Opere, XVI, p.501), è una "difesa del pontificato romano" (Opere, XIII, p. 361)ed un'esaltazione dell'universalismo cristiano. Presentando nell'Edmondo o dei costumi del popolo romano (s. 4, I-IV [1859]) un vivace quadro, ancor oggi valido, degli usi e della vita della Roma ottocentesca, si compiaceva della fede popolare dei Romani che li fa fedeli alla Chiesa, e in nome di questa fedeltà difende la "Roma papale" (Opere, XIV, p. 183) in polemica con E. About e A. Achard. La casa di ghiaccio o il cacciatore di Vincennes (s. 4, V-VIII [1860]) è un dichiarato sottrarsi ai "labirinti delle avventure odierne" (Opere, XIV, p. 579) "mentre il tuono mugge e rimbomba d'ogni intorno" (lett. al p. F. Egano del 2 febbr. '60, in Opere, XVII, p. 305) con una storia di viaggi e di missioni. Con Olderico,lo zuavo pontificio (s. 4, IX-XII [1861]) e l'Assedio di Ancona (s. 5, I [1862]) rimasto al primo capitolo, secondo le direttive della rivista (cfr. lett. al p. C. Mella del 15 dic. 161, in Opere, XVII, p. 320) tornava ai temi di attualità con la polemica diretta e violenta, trattando della rivoluzione dell'Umbria e delle Marche e della battaglia di Castelfidardo.

Il B. morì a Roma il 14 marzo 1862.

Fonti e Bibl.: L'edizione delle opere del B., curata dalla Civ. Catt. (Roma-Torino 1865-69), comprende in 17 Voll. tutti gli scritti editi e parte degli inediti, con notizie sulle prime edizioni e le principali traduzioni; gli ultimi due voll. contengono l'epistolario. Si aggiungano: L'imperatrice visita l'orfanotrofio delle fanciulle, nel vol. dedicato da Trento a Francesco I (1822); ATeresa da Monte Ferrari, in Bibl. ital., XXX (1823), pp. 196-99; un articolo sul magnetismo animale apparso anonimo nella Voce della verità-Gazzetta dell'It. contr. (suppl.n. 1745 del 1841); Tre lettere ined. e belle, a cura di P. M. Salvago e M. da Passano, Genova 1871; Lettere ined. a G. Brunati, a cura di G. Bustico, in Fanfulla della domenica, 5 nov. 1916.

Un ricco fondo Bresciani comprendente manoscritti, corrispondenza, lavori giovanili e inediti, è conservato a Roma presso l'Arch. della Civ. Catt.;un abbondante e complesso carteggio classificato secondo i vari uffici e le residenze del B. è conservato a Roma presso l'Arch. Gen. della Compagnia di Gesù; autografi inediti (lettere e componimenti poetici) si trovano presso la Bibl. Civica di Ala.

In particolare per la biografia si vedano: L. Chiala, Serie di biografie contemporanee, Torino 1853, pp. 24-32; Del p. A. B. della C,d. G., in La Civ. Catt., s. 5, 11 (1862), pp. 68-75; G. Pitré, Profili biografici di contemporanei italiani, Palermo 1864, pp. 18 ss.; Della vita e delle opere del P. A. B. della C. d. G. Commentario, Milano 1873; G. Faldella, Ifratelli Ruffini. Storia della Giovine Italia, Torino 1896, IV, pp. 340-55; Liber saecularis historiae S. I. ab an. 1814 ad an 1914, Romae 1914, p. 426; A. Monti, La Comp. di Gesù nel territorio della provincia torinese, Chieri 1914-20. IV, pp. 59 ss., 92 ss., 189 ss., 388 ss., 446 ss.; L. Mussi, Ilsoggiorno in Massa di Lunigiana del p. A. B., Massa 1932; Encicl. Ital., VII, pp. 815 s.; Encicl. Catt., III, con. 67 s.

Per le opere si vedano: G. Lugli, Osserv. sopra gli Ammonimenti di Tionide e la continuazione di essi, in Memorie di rel,mor. e lett., VIII (1839), p. 285; L. Fornaciari, Intorno alcune opere del p. A. B., in Atti dell'Acc. lucchese..., X (1839), pp. 12 ss.; Saggio di alcune voci tosc. d'arti,mestieri... del p. A. B., in Bibl. ital., XCVI(1839), pp. 235-38; F. De Sanctis, L'Ebreo di Verona del p. B., in IlCimento, s. 3, V (1855), pp. 302-325; F. Ranalli, Saggio istorico-morale..., in Lo Spettatore, 14 marzo 1858, p. 120; B. Veratti, Ricordi della vita e delle opere del p. A. B., in Opuscoli rel. lett. e mor., XII, Modena 1862; N. Taccone-Gallucci, Un tributo di sincero affetto alla memoria del benemerito padre A. B., Firenze 1865; E. Camerini, Profili letterari Firenze 1870, pp. 85-93; A. M. Pagnone, Dei romanzi di A. Manzoni,M. d'Azeglio e A. B., s.l. 1879; C. Sommervogel, Bibl. de la Comp. de Jesus, Bruxelles-Paris 1891-98, II, coll. 115-131; VIII, coll. 1920-23; A. Albertazzi, Ilromanzo, Milano 1902, pp. 234-36; R. Ballerini, Le prime Pagine del Pontif. di Pio IX, Roma 1909, pp. 197 ss.; G. Rabizzani, Antiromanticismo,catt., in Pagine di crit. lett., Pistoia 1911, pp. 307-21; B. Croce, La lett. della nuova Italia, I, Bari 1914, p. 41; P.Lopez-Celly, F. D. Guerrazzi nell'arte e nella vita, Milano-Roma-Napoli 1918 pp. 193-224; R. I. Raccosta, A. B. e le correnti ideali del suo tempo, Milano 1921; V. Cian, A. Manzoni il gen. Cottalorda e il p. A. B., in Giorn. stor. d. lett. it., LXXXII (1923), pp. 225-30; P. Dalla Torre, L'opera di un purista, in Ann. del Pont. Ist. S. Apollinare, Roma 1931-32; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, II, pp. 898 ss.; A. De Bil, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., Paris 1938, X, coll. 555-56; F. Flora-L. Nicastro, Storia della lett. it., Milano 1940, III, pp. 272-75; V. Cian, Un generale,un poeta e un gesuita, in Nuova antologia, 16 genn. 1942, pp. 163-75; F. Casnati, Lotta con l'angelo, Milano 1942, pp. 256-61; B. Croce, La rivendicazione del p. B., in La Critica, s. 4, V (1942), pp. 286 s.; E. Brol, A. B. e Paride Zaiotti, Trento 1943; P. Dalla Torre, A. B. e le missioni, in Ann. Later., VII (1943), pp. 297-312; Ceccarius [G. Ceccarelli], Il p. B. a Roma cent'anni fa, in L'Oss. Rom., 9 apr. 1948; P. Pedrotti, P. B. B. e gli avven. romani del 1849, in Corriere trid., 3 dic. 1949; G. Ceccarelli, P.B. a Roma, in Studi di bibliografia... in mem. di L. De Gregori, Roma1949, pp. 65-74; L. Sannia, De Sanctis e p. B., in L'Ora del popolo (Palermo), 14 ott. 1950; P. Bargellini, Piandei giullari, Firenze 1950, IX, pp. 140-42; G. Raya, Il romanzo, Milano 1950, pp. 201-03; R. Schira, P. B. e il Leopardi nella polem. antiromantica, in Saggidi uman. crist., dic. 1951; V. Titone, La rivoluzione del Risorg. nel pensiero del P. B., in Rass. stor. del Risorg., XXXIX(1952), pp. 814-17; G. Trombatore, Memorialisti dell'Ottocento, Milano-Napoli 1953, pp. 637-40; L. Russo, Diun'ignota risposta polemica del p. B. al De Sanctis, in Belfagor, IX (1954), pp. 216-17; G. C. Giglioli, Un curioso episodio di p. A. B. e il march. Campana, in Rendiconti della Pont. Acc. Rom. di archeol., XXVIII (1955-56), pp. 259-63; G. Legitimo, Il p. B. cento anni dopo, in Dialoghi, X (1962), n. 2-3, pp. 155-70; C. Testore, Il p.A. B. a cent'anni dalla morte, in LaCiv. Catt., CXIII (1962), 4, pp. 521-34; AA. VV., Nel centenario del p. A. B., Ala 1962 (alle pp. 14-19 bibliògr. ragionata delle opere del Bresciani).

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