Antonio da Sangallo il Giovane

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Manuela Gianandrea
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Apprezzato come ingegnere, ma poco stimato dalla critica per le sue scelte stilistiche, Antonio da Sangallo il Giovane è il principale esponente di un filone linguistico severamente classicista. Godendo di un favore pressoché incontrastato presso la committenza romana della prima metà del Cinquecento, egli mette a punto tipologie militari, civili e religiose che sono destinate a riscuotere un grande successo.

Gli anni della formazione e i primi incarichi

Approdato alla progettazione dopo una formazione da artigiano e un lungo tirocinio di cantiere, Antonio Cordini, detto da Sangallo dalla contrada fiorentina di provenienza, rappresenta un caso unico fra i protagonisti del Rinascimento maturo. Membro di una numerosa e illustre famiglia di costruttori, egli apprende dal padre bottaio le nozioni di falegnameria e carpenteria che lo introducono a una concezione prettamente tecnica dell’arte edificatoria. Quando nel 1503, giovanissimo, si reca a Roma in cerca di lavoro può contare sull’appoggio degli zii materni, Antonio da Sangallo il Vecchio e Giuliano Giamberti da Sangallo, stimati professionisti che lo avviano a una duratura carriera. Nel decennio successivo al suo arrivo a Roma, egli affina le sue competenze maturando un’esperienza pratica che non ha pari fra i contemporanei. Autore di interventi di grande responsabilità, come le centine lignee provvisorie per gli arconi di San Pietro, Antonio è presto considerato un insigne ingegnere e viene ricercato per consulenze tecniche.

Il tirocinio di quattro anni svolto a partire dal 1508 nella bottega di Bramante è un’esperienza altamente formativa nella carriera del fiorentino: sono anni in cui il maestro è impegnato nella realizzazione di alcuni fra i capisaldi dell’architettura rinascimentale. Nonostante l’influenza della lezione bramantesca sia ricorrente nell’opera di Antonio da Sangallo, fin dai primi lavori autonomi egli dimostra di voler procedere per un’altra personalissima strada alla ricerca di un linguaggio consono al suo pragmatismo progettuale. I primi incarichi risalgono al 1513-1514. Stringendo un sodalizio destinato a grande fortuna, il cardinale Alessandro Farnese gli affida la ristrutturazione della rocca di Capodimonte sul lago di Bolsena e la progettazione della residenza familiare cittadina che lo impegna fino alla morte. In concomitanza con la commissione dell’abitazione per Melchiorre Baldassini, l’architetto si dedica allo studio della tipologia del palazzo privato, pervenendo a un risultato di grande successo. Il prototipo sangallesco è più vicino ai modelli fiorentini del Quattrocento piuttosto che al Palazzo Caprini di Bramante. Con un’evidente propensione alla semplificazione formale egli propone volumetrie semplici, caratterizzate da aperture regolari, cantonali bugnati, portali incorniciati da colonne e più spesso da grossi conci rustici.

Se in alcuni casi il trattamento a bugnato è esteso a tutto il piano terra, le facciate del Sangallo non presentano mai l’utilizzo dell’ordine architettonico. Anche l’interno è improntato alla stessa razionale chiarezza; nell’intelligenza distributiva delle planimetrie è evidente lo spirito pratico del tecnico.

Queste ricerche dimostrano la partecipazione del Sangallo alle riflessioni teoriche che i suoi illustri e certo più colti colleghi vanno elaborando sulla base dello studio dell’antico e della lettura di Vitruvio. All’evoluzione culturale di Sangallo contribuisce la frequentazione di Raffaello e fra’ Giocondo, con cui entra in contatto nel 1516. Con la nomina a coadiutore di Raffaello Sanzio nella direzione della Fabbrica della basilica di San Pietro gli episodi di collaborazione fra i due si fanno numerosi, anche se è poco definibile il contributo progettuale apportato dal fiorentino. Per il momento sono documentabili solo la sistemazione urbanistica dell’entrata nord di Roma da piazza del Popolo, in qualità di magister stratarum, e Villa Madama (dal 1519).

L’attività degli anni Venti

Già evidente nella cappella funeraria del cardinale Serra in San Giacomo degli Spagnoli (1517-1518), l’influenza di Raffaello stempera il nudo rigore del classicismo sangallesco e indirizza la ricerca verso un linguaggio più flessibile e manierato.

A cavallo degli anni Venti sono numerosi gli incarichi per edifici residenziali, come il Palazzo Farratini ad Amelia, contraddistinto da un’interessante planimetria a U e la cosiddetta “piccola Farnesina” ai Baullari (1523) che nella facciata secondaria presenta un’ariosa soluzione a loggiato. Ma è nell’ambito della tipologia religiosa che l’architetto si mostra più aperto alla sperimentazione. Se in un consistente gruppo di chiese (fra cui i farnesiani Sant’ Egidio a Cellere e i tempietti dell’isola Bisentina, la cappella mortuaria di Santa Maria Porta e Paradisi sull’angolo di via Ripetta, e soprattutto le chiese di Santa Maria di Loreto al Foro Traiano e di Santa Maria di Monte Moro presso Montefiascone) Antonio da Sangallo propone interessanti variazioni sullo schema centralizzato tanto caro agli architetti del pieno Rinascimento, in altri casi si mostra combattuto fra soluzioni a pianta centrale e soluzioni a pianta longitudinale, preludio alle chiese della Controriforma, come in occasione dell’importante concorso per la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini (1518), di cui il Sangallo assume la direzione dopo la partenza del vincitore Jacopo Sansovino per Venezia, per la chiesa di Santa Maria di Monserrato (1518-1520) e per quella da annettere all’ospedale degli Incurabili (1518-1519).

Nella chiesa di San Giacomo a Scossacavalli (successiva al 1520, ma mai portata a termine) l’originale impianto ovale viene accantonato per un’altrettanto ingegnosa pianta a navata unica con cappelle laterali. Anche le facciate progettate nello stesso periodo per le chiese di San Marcello al Corso e San Luigi dei Francesi presentano interessanti soluzioni: anticipando le scelte di Palladio, il primo progetto è caratterizzato dall’utilizzo dell’ordine gigante, mentre il secondo presenta il motivo già bramantesco delle torri laterali, in seguito sviluppato dallo stesso Antonio nei disegni per il San Pietro vaticano. Alla fine degli anni Venti Sangallo è un professionista affermato. Grazie alla collaborazione di un gruppo di disegnatori e architetti qualificati, la cosiddetta “banda sangallesca” (Vasari), può assumere contemporaneamente commissioni di tutti i generi: architettoniche, d’ingegneria (attinenti l’idraulica e la difesa) e urbanistiche, senza trascurare l’attività imprenditoriale e non disdegnando nemmeno lavori di falegnameria.

Chiamato ad affiancare Baldassarre Peruzzi nella direzione della fabbrica petriana dopo la scomparsa di Raffaello, Sangallo si avvia a diventare il protagonista indiscusso della Roma pontificia. Sotto Clemente VII modifica i progetti di Bramante per il santuario della Madonna di Loreto e completa la costruzione delle logge vaticane di San Damaso; sempre su commissione papale, in questi anni realizza due fra le sue opere migliori: il pozzo di San Patrizio a Orvieto e la Zecca di Banchi.

Il pozzo di San Patrizio a Orvieto (1527), espressione di grande ingegno tecnico, è un episodio connesso alle fortificazioni e atto a garantire l’approvvigionamento idrico della città che ospita il papa Clemente VII reduce dal sacco di Roma.

Sapienza progettuale e sensibilità urbanistica presiedono alla realizzazione della Zecca ai Banchi: il fronte concavo dell’edificio, dove su un’alta base bugnata viene ripresa la tipologia dell’arco trionfale, è significativamente orientato in modo tale da essere visibile all’osservatore che provenga da ponte Sant’Angelo e dunque dal Vaticano.

Seguendo la consolidata tradizione familiare degli zii Giamberti, Antonio da Sangallo firma importanti interventi anche nel campo dell’architettura militare.

Quando nel 1533 progetta la Fortezza Alessandra di Firenze, detta poi Fortezza da Basso, ha alle spalle una notevole esperienza (Civitavecchia, Parma e Piacenza, Ancona). Lo schema pentagonale con avancorpi angolari fortificati e cortile circolare al centro (che egli stesso propone per la villa di Caprarola), nonché l’attenzione decorativa applicata, ad esempio, nel bugnato esterno dimostrano che egli è oramai molto più che un tecnico competente.

La maturazione teorica del Sangallo è testimoniata dai suoi studi vitruviani, dagli interessi collezionistici e dal ricco corpus di disegni elaborati nell’ambito della sua bottega; si tratta di rilievi dall’antico e di studi progettuali, molti dei quali dedicati all’applicazione degli ordini architettonici. Forse pensando alla redazione di un trattato, lo stesso architetto ordina e annota i preziosi fogli che nel 1574 passano alle collezioni del granduca Ferdinando de’ Medici. L’elezione al soglio pontificio con il nome di Paolo III del suo protettore Alessandro Farnese (1534) gli garantisce nuovi incarichi di prestigio: il suo linguaggio austero ed essenziale è considerato particolarmente adatto al rigorismo che prelude alla Controriforma.

Il nuovo papa imprime nuovo impulso ai cantieri rallentati a causa del sacco di Roma. Nell’ambito di una generale ristrutturazione dei Palazzi Vaticani (1538) si realizza la Cappella Paolina, in seguito affrescata da Michelangelo, e si pone mano ai lavori della sala Regia. La pesante volta a lacunari è sorretta dalle pareti in muratura prive di qualsiasi aggettivazione architettonica: convinto che il segreto di una buona architettura sia racchiuso nelle proporzioni delle sue parti, Antonio da Sangallo evita l’utilizzo dell’ordine ed elegge a protagonista la grande finestra termale che illumina l’interno.

L’architetto attende poi alle opere di difesa dello Stato pontificio (si ricorda la Rocca Paolina di Perugia), e in particolare alla nuova cinta fortificata di Roma, introducendo importanti novità tecniche e progettando la porta di Santo Spirito, incompiuta ma esaustiva testimonianza di un vigoroso quanto semplificato lessico classicista.

L’impegno di maggiore responsabilità è senza dubbio la Fabbrica di San Pietro, di cui Antonio da Sangallo è protagonista assoluto dopo il decesso di Peruzzi (1536). Critico fin dal 1520 nei confronti del disegno di Raffaello, egli viene incaricato di semplificare i progetti precedenti e di realizzare un modello ligneo di grandi proporzioni (in scala di 1:25). Nel tentativo di trovare una mediazione fra chi propende per lo schema centralizzato e chi invece predilige quello longitudinale, il Sangallo elabora una croce greca preceduta da un vasto atrio e da una loggia delle benedizioni. La planimetria della basilica è studiata congiuntamente alle modifiche da apportare ai Palazzi Vaticani: collegati da una scala e dalla Cappella Paolina, i due edifici avrebbero formato un unico grande organismo. Esternamente non si ritrova la consueta chiarezza sangallesca: cinto in facciata da due alti campanili, il corpo della chiesa è organizzato secondo un proliferare di elementi che contrasta con le regole della sovrapposizione degli ordini. Non a caso Michelangelo (secondo quanto riferisce Vasari) vi leggeva una deplorevole ripresa della “maniera tedesca”.

Al macchinoso insieme della basilica si contrappone la semplicità strutturale della chiesa di Santo Spirito in Sassia, su cui il Sangallo interviene intorno al 1538. Riprendendo lo schema albertiano di Santa Maria Novella a Firenze, l’architetto realizza una facciata su due ordini con volute di raccordo, prototipo per le chiese della Controriforma.

Una volta eletto papa il cardinale Alessandro, la famiglia Farnese intensifica il mecenatismo privato. Su incarico di Pier Luigi, figlio di Paolo III, Sangallo dal 1538 è impegnato nella radicale ristrutturazione dei borghi medievali di Castro e Nepi, di cui il Farnese era duca. Si tratta di interventi di ampio respiro che includono l’ammodernamento della cinta fortificata, la realizzazione di una piazza esemplata sul foro antico e degli edifici pubblici che su di essa devono affacciarsi (Castro) nonché la costruzione di un moderno martyrium, destinato a conservare le reliquie dei martiri locali (San Tolomeo di Nepi). In questi anni, all’artista non mancano le commissioni per abitazioni private. La puntuale rispondenza della tipologia del giovanile palazzo Baldassini alle esigenze del ceto medio-alto gli consentono di replicarne con successo le caratteristiche.

Se le facciate austere non presentano novità di rilievo, le piante si adeguano invece ai condizionamenti del sito, assumendo talvolta forme inedite (ad esempio nel palazzo del cameriere papale Eurialo Silvestri, caratterizzato da un originalissimo impianto a L). Un grande interesse suscitano anche gli studi, mai realizzati, per le ville del cardinale Marcello Cervini, il futuro Marcello II, e per Paolo Ferretti di Ancona (1540 ca.), in cui l’architetto sperimenta un’inconsueta planimetria a H e uno schema quadrato con sala ottagonale al centro, precorrendo i futuri sviluppi palladiani.

Le esperienze maturate nell’arco della sua lunga attività si trovano riassunte nel Palazzo Farnese, il vero capolavoro di Antonio da Sangallo il Giovane. Cominciata intorno al 1513, la fabbrica procede fra interruzioni e variazioni del disegno fino al 1534, quando il committente – oramai papa – decide di adeguare il progetto al suo nuovo status. Traendo ispirazione dall’incompiuto palazzo dei Tribunali di Bramante, lo spirito pragmatico del Sangallo organizza uno spazio perfettamente simmetrico intorno a un cortile di forma quadrata, al quale si accede mediante un grandioso atrio a tre navate su colonne trabeate. Se esternamente le pareti sono scandite solo dal ritmo delle finestre e dal portale bugnato, internamente si trova una severa applicazione degli ordini sovrapposti che conferiscono una dignitas classica all’edificio. La decisione di affidare a Michelangelo il completamento del palazzo viene vissuta dal Sangallo come un tradimento. Colpito da malattia mentre attende alla regolamentazione della cascata delle Marmore, muore a Terni pochi mesi dopo (1546).

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