ANDRADE, Antonio de

Enciclopedia Italiana (1929)

ANDRADE, Antonio de

Pietro Tacchi Venturi

Fu uno dei più insigni missionarî della Compagnia di Gesù nel sec. XVII, e il fondatore della missione gesuitica del Tibet. Nacque nel 1580 in Portogallo, nel piccolo comune di Oleiros (Alemtejo). Entrato in noviziato il 16 dicembre 1596 e trascorsi in patria i primi anni di studio, nel 1600 si recava nella provincia di Goa per approfondire la sua cultura e dedicarsi all'apostolato. Ordinato sacerdote, dopo qualche anno fu inviato nella missione del Gran Mogor, con la funzione insieme di missionario e di superiore delle quattro residenze o stazioni colà istituite da breve tempo.

In Agra, sede della corte, le singolari notizie del Tibet, diffuse da mercanti cristiani, lo spinsero a recarsi di persona a conoscere i paesi situati di là dalle impervie giogaie del Himālaya. E da Agra infatti, con un solo fratello laico, Emanuele Marquez e con due servi, il 30 marzo 1624 si mise in cammino alla volta di Delhi, donde subito proseguì per Srīnagar, nel Kashmīr, Badrīnāth, Mānak, sino a Chaparangua, sede del re che umanissimamente l'accolse, dandogli facoltà dì predicare il Vangelo e di fabbricare "chiesa e casa di orazione", cioè abitazione pei missionarî. Questo primo viaggio, compiuto con somma penuria di mezzi ed epico ardire, venne descritto dall'A., tornato appena in Agra, in una sua lettera dell'8 novembre 1624 al preposito della provincia di Goa. Pochi scritti, in questo speciale genere di letteratura, ebbero allora in Europa tanta fortuna come la relazione dell'A., pubblicata prima in Lisbona nel 1626 col titolo Novo Descobrimento do gram Cathayo, o Reinos de Tibet, pello Padre Antonio de Andrade, poi subito l'anno seguente in tre differenti edizioni italiane (romana, napoletana, veneta), in spagnolo, in francese, e nel 1628 in polacco. Tanta diffusione si deve forse al fatto che nel titolo dell'opuscolo si asseriva erroneamente l'identità del Tibet col celebre Cataio, leggenda combattuta da Benito Goess sin dal 1605 (cfr. M. Ricci, I Commentari della Cina, ed. Tacchi-Venturi. pp. 296, 526-558; Le Lettere della Cina, p. 337 segg.).

Per nulla atterrito dagli stenti patiti tra i valichi del Himālaya e incoraggiato dalle buone speranze dategli dal re, il 17 giugno dell'anno seguente 1625, l'intrepido gesuita ripartiva da Agra in compagnia di due confratelli sacerdoti, Adamo De Angelis italiano, e Giovanni Oliveira portoghese, e di un laico, anch'esso portoghese, Faustino Barreiros. Il viaggio, meno travagliato del precedente, ebbe termine il 28 agosto 1625, quando l'A. raggiunse Chaparangua e vi piantò la sede della nuova missione tibetana.

Come della prima, così di questa seconda spedizione l'A. redasse un ragguaglio, che l'anno seguente fu inviato a Roma al generale Muzio Vitelleschi, e presto fu dato alle stampe in portoghese, castigliano, italiano e francese (1627; versioni italiana e francese entrambe del 1628).

Istituita la stazione di Chaparangua e poi l'altra di Rodoa, l'A. fu messo a capo dell'immensa provincia di Goa, dove dovette risiedere per governare i 130 missionarî circa, posti sotto la sua giurisdizione e sparsi nel continente asiatico dal Tibet al Malabar e nelle coste africane, dal Capo di Buona Speranza all'Abissinia.

Compiuti tre anni di provincialato, mentre reggeva il collegio di S. Paolo di Goa, fu, il 19 marzo 1634, avvelenato da un adolescente, che voleva ad ogni costo impedire che l'A., qual deputato dell'Inquisizione, arringasse contro il padre suo, Giovanni Rodriguez, chiamato per gravi delitti innanzi a quel tribunale.

Bibl.: Per notizie biografiche, v. Franco, Imagem da virtude em o Noviciado da Companhia de Jesus na Corte de Lisboa, ecc., Coimbra 1727, pp. 375-418; Tanner, Societas Jesu usque ad sanguinis et vitae profusionem militans, Praga 1675, pp. 371-375; per quelle della missione nel Tibet, estinta poco dopo la sua morte, Cordara, Hist. Soc. Jesu, IV, IX, nn. 171-189, pp. 524-529; Guilhermy, Ménologe de la Comp. de Jésus, Portugal, I, 272; C. Sommervogel, Bibl. de la Comp. de Jésus, I, Bruxelles 1890, coll. 329-331; F. De Filippi, Storia della spedizione scientifica italiana nel Himàlaia, Caracorum e Turkestàn cinese, Bologna 1923, capitoli 1 e 2.

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