GIUSTI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GIUSTI, Antonio

Cecilia Mazzetti di Pietralata

Nacque a Firenze il 26 dic. 1624 (Matteoli, 1971, p. 213 n. 25) da Michele, argentiere originario di Lucca (F.S. Baldinucci, p. 179) o di Genova (Sagrestani, p. 190), trapiantatosi a Firenze in qualità di pasticciere nel 1590 circa, e dalla fiorentina Margherita di Benedetto Petrucci.

Il G. ricevette una considerevole attenzione da parte di Francesco Saverio Baldinucci e Giovanni Camillo Sagrestani, che in data pressoché contemporanea gli dedicarono ognuno una biografia di discreta lunghezza.

Le due biografie concordano quasi totalmente, se non per piccoli dettagli, e illustrano con dovizia di aneddoti il temperamento bizzarro e caparbio del G., di volta in volta alla ricerca di inusitate forme di guadagno, dilapidatore della fortuna ereditata dal padre o propria, non solo pittore ma anche mercante d'arte, protettore di artisti stranieri di piccola fama, collezionista e conoscitore raffinato, inventore, poeta.

F.S. Baldinucci e Sagrestani narrano di una sua parentela, non altrimenti documentata, con Stefano Della Bella, presso cui, fanciullo, il G. avrebbe appreso i primi rudimenti del disegno. Questo precoce apprendistato non può essersi protratto oltre il 1633, anno in cui Stefano venne mandato a Roma a spese di don Lorenzo de' Medici: a quella data il G. aveva appena nove anni. Sempre stando a entrambi i biografi, il G. sarebbe stato poi per alcuni anni a scuola da Mario Balassi, presso il quale ebbe modo di farsi conoscere dai Medici e da altri collezionisti, tanto da aprire "scuola da sé medesimo" (F.S. Baldinucci, p. 179). Filippo Baldinucci lo diceva invece allievo di Cesare Dandini; mentre Richa accennava a un suo discepolato presso Ottavio Vannini.

Secondo Sagrestani la prima opera pubblica del G. fu la pala, databile intorno al 1650, rappresentante il Martirio di S. Biagio, realizzata per l'omonima cappella in S. Maria Maggiore a Firenze, ma ora in sacrestia (Matteoli, 1971, p. 213 n. 27).

Si tratta di una pala ambiziosa, che alterna brani molto felici a soluzioni più deboli o trascurate. Contro uno scuro fondale architettonico aperto su uno squarcio di cielo si stagliano a figura intera il santo con i suoi carnefici, e si affacciano, in massa indistinta, i volti degli astanti. Il torso pallido e il terribile volto di vecchio del santo rivelano un'ascendenza combinata di naturalismo bolognese e luminismo postcaravaggesco. Il piviale e il pastorale del martire in primo piano, senza essere eccelsi, rivelano la pratica del genere della natura morta, così come i bagliori della corazza del gendarme che si mostra da destra in secondo piano.

Anche F.S. Baldinucci ricordava il Martirio, inserendolo però in una serie di opere eseguite dal G. in tarda età, intorno ai settant'anni: una datazione che non solo contrasta con Sagrestani, ma non si accorda con il completamento degli ornamenti dell'altare della cappella, che dovrebbe risalire al 1653 (W. Paatz - E. Paatz).

Del dipinto, forse eseguito a completamento di un abbozzo di Vannini (Del Migliore), si conserva al Kupferstichkabinett di Berlino un disegno per il S. Biagio che reca un'antica scritta "Ludovico Cigoli".

Da Richa in poi sono stati inoltre attribuiti al G. i due laterali centinati ancora in loco del medesimo altare di S. Biagio con S. Michele Arcangelo e S. Giovanni Evangelista (Matteoli, 1971, p. 213 n. 27).

Pur nell'oscurità della patina, le due tele presentano un'attitudine molto più classicista nell'impostazione della figura e nell'espressione dei volti, che non sembrano essere proprie dello stesso autore della pala centrale.

Il G. fu molto richiesto soprattutto come decoratore; in questa veste ebbe più volte occasione di lavorare a palazzo Pitti e nelle ville medicee, dipingendo fregi architettonici con fiori e animali, di cui non è rimasta traccia alcuna, spesso in società con i pittori di grottesche Andrea Landini e Pietro Paolo Lippi.

Nel 1659 fu incaricato dalla granduchessa Vittoria Della Rovere, moglie di Ferdinando II, di dipingere alcune stanze della villa suburbana di Poggio Imperiale insieme con Lippi, decorazioni ora non più esistenti (Spinelli).

Per quanto riguarda la pittura da cavalletto, le fonti ricordano molti quadri di paesaggi e nature morte di animali realizzati dal G. per i Medici e altri nobili fiorentini e "forestieri", tra cui due Baccanali con più figure, che si trovavano nella villa "del signor Ruberto Ricoveri a Castello" (F.S. Baldinucci, p. 185).

Era anche solito inserire le figure nei quadri di paesaggio eseguiti da altri pittori per il gran principe Ferdinando, tra cui almeno quattro con fiere e mercati.

Ai quadri citati da F.S. Baldinucci possono aggiungersi otto grandi paesaggi eseguiti in collaborazione con Crescenzio Onofri e altri quattro quadri di animali, uccelli e galline, citati nell'inventario della villa di Poggio a Caiano. Secondo Chiarini, che ha spogliato tutti gli inventari medicei, la collaborazione con Onofri per la committenza medicea raggiunse però in totale sedici dipinti, di cui almeno tre Paesaggi già a Pitti e attualmente in deposito, due a Roma, presso la Camera dei deputati, e uno presso il palazzo della Provincia di Livorno (Chiarini, figg. 64-66). Nell'inventario della collezione del gran principe Ferdinando figura inoltre una Natura morta (Della Monica, pp. 268 e 270).

Oltre alle opere ricordate dalle fonti e ai dipinti registrati nei cataloghi delle esposizioni organizzate nel chiostro dell'Annunziata dall'Accademia del disegno (Borroni Salvadori), si ha notizia di un dipinto con Cani, citato in un inventario Riccardi tardosettecentesco (Getty Provenance Index), di un Paesaggio con cacciatori, firmato, andato in vendita a Dublino presso Thomas Jones nel 1810 (ibid.), e di un Vaso di fiori, apparso alcuni anni or sono sul mercato antiquario (Bellesi).

La bibliografia più antica segnalava come opera del G. anche un Autoritratto, ora conservato nella Pinacoteca nazionale di Bologna e attribuito a Giusto Sustermans.

Il dipinto, che mostra un uomo già maturo, è effettivamente di buona qualità, e la fisionomia potrebbe corrispondere alla descrizione data del G. da F.S. Baldinucci.

Sulla base forse di questa vecchia attribuzione, Hogewerff avanzava genericamente dei dubbi in merito a molte delle opere ascritte a Sustermans in favore del G.; in realtà, la citazione inventariale della collezione di provenienza nel 1796 reca l'attribuzione a un "Monsieur Giusto", e solo a partire dal catalogo del 1850 il dipinto è dato al Giusti. La dicitura tardosettecentesca è indubbiamente ambigua, e potrebbe indicare anche Giusto Sustermans; in tal modo è infatti stata interpretata dagli attuali conservatori (informazioni di Giampiero Cammarota).

Il G. morì a Firenze il 9 sett. 1705 (Matteoli, 1971, p. 213 n. 25), e fu sepolto nella chiesa di S. Lucia dei Magnoli (F.S. Baldinucci, pp. 426 s.).

L'Enciclopedia storico-nobiliare italiana segnala il G. come appartenente alla stessa famiglia che diede i natali ad alcuni poco noti pittori pistoiesi, attivi nella prima metà del Settecento: i fratelli Felice e Giacomo di Michele, e il figlio di Felice, Giuseppe; si conosce solo una Visitazione di quest'ultimo, eseguita per l'altare Gori nella chiesa dell'Annunziata a Pistoia (Thieme - Becker, p. 225). Negli alberi genealogici manoscritti dei Giusti di Pistoia, conservati nella Biblioteca nazionale di Firenze, peraltro quasi illeggibili, il nome di Michele si ripete di frequente; ciò porterebbe ad avanzare l'ipotesi che anche il Michele Giusti, autore di "molte boscareccie", segnalate da R.P. Ciardi tra le opere in possesso della famiglia pisana degli Uppezzinghi (Collezionisti e mercanti, in Settecento pisano. Pittura e scultura a Pisa nel secolo XVIII, a cura di R.P. Ciardi, Pisa 1990, p. 32) possa appartenere alla medesima famiglia.

Fonti e Bibl.: F.L. Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata, Firenze 1684, p. 427; G.C. Sagrestani, Le vite di artisti dei secoli XVII-XVIII (post 1716), in A. Matteoli, Le vite… (1971), pp. 190-192; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di F. Ranalli, IV, Firenze 1846, p. 561; F.S. Baldinucci, Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII (1725-30), a cura di A. Matteoli, Roma 1975, pp. 179-192, 426 s.; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine divise ne' suoi quartieri, III, Firenze 1755, p. 279; G.I. Hoogewerff, Quadri olandesi e fiamminghi nella Galleria nazionale d'arte antica in Roma, in L'Arte, XIV (1911), p. 72; T. Bertucci, in V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, III, Milano 1930, pp. 494 s.; W. Paatz - E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, III, Frankfurt a.M. 1952, p. 626; M. Chiarini, Crescenzio Onofri a Firenze, in Bollettino d'arte, LII (1967), pp. 30-32, figg. 64-67; M. Salmi, Il palazzo e la collezione Chigi-Saracini, Milano 1967, p. 203; K. Aschengreen Piacenti, in Artisti alla corte granducale (catal.), a cura di M. Chiarini, Firenze 1969, p. 67, nn. 101 s.; A. Matteoli, Le vite di artisti dei secoli XVII-XVIII di Giovanni Camillo Sagrestani, in Commentari, XXII (1971), pp. 213 s.; F. Borroni Salvadori, Le esposizioni d'arte a Firenze dal 1674 al 1767, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XVIII (1974), pp. 40, 93; C. Thiem, Florentiner Zeichner des Frühbarock, München 1977, p. 32; G. Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, Fiesole 1983, p. 93; M.L. Strocchi, in La natura morta in Italia, II, Milano 1989, pp. 586, 611; S. Bellesi, Cesare Dandini, Torino 1996, p. 42; I. Della Monica, Gran Principe Ferdinando (1663-1713), in Il giardino del granduca. Natura morta nelle collezioni medicee, a cura di M. Chiarini, Torino 1997, pp. 268, 270, 288; R. Spinelli, Vittoria della Rovere (1622-1695), ibid., p. 163; M. Chiarini, Il "Giardino" del granduca, in La natura morta a palazzo e in villa. Le collezioni dei Medici e dei Lorena (catal., Firenze), a cura di M. Chiarini, Livorno 1998, p. 25; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 224 s. (s.v.Giusti, Giuseppe).

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