Gramsci, Antonio

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

Gramsci, Antonio

Massimo L. Salvadori

Un rivoluzionario e un grande intellettuale

Antonio Gramsci fa parte di quel gruppo di grandi personalità che, in un intreccio di impegno intellettuale e impegno politico, hanno dominato la prima metà del Novecento italiano. In questo senso egli si colloca accanto a Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Gaetano Salvemini, Luigi Einaudi e Luigi Sturzo. A differenza però di costoro, Gramsci fu anzitutto un politico rivoluzionario, che nel primo dopoguerra divenne il capo del Partito comunista italiano

Capo di una rivoluzione fallita

Nato nel 1891 ad Ales, in Sardegna, da famiglia assai modesta, si trasferì a Torino nel 1911, dove intraprese studi universitari non terminati, iscrivendosi nel 1913 al Partito socialista. Dopo l'ascesa al potere dei bolscevichi in Russia nell'ottobre 1917, Gramsci divenne un fervente ammiratore e seguace del loro capo Lenin, unendosi ai socialisti rivoluzionari che in Italia si proponevano di "fare come in Russia".

Nel 1919 fu uno dei fondatori del settimanale L'ordine nuovo, sulle cui colonne si pose il compito di elaborare una strategia che, ispirata dal leninismo e fondata sull'alleanza degli operai del Nord con i contadini del Sud ‒ organizzati nei consigli sotto la direzione del partito rivoluzionario ‒, corrispondesse alle peculiarità della società italiana. La sua indagine intellettuale mirava a capire quali fossero le condizioni che avrebbero potuto portare al successo la rivoluzione comunista in Italia. Giudicando il Partito socialista incapace di fare la rivoluzione, partecipò nel 1921 alla fondazione del Partito comunista, di cui nel 1924 divenne il segretario. In quell'anno fondò il quotidiano L'Unità e venne eletto deputato.

Dopo l'ascesa di Mussolini al potere nel 1922, Gramsci ritenne che esistesse ancora la possibilità di una rivoluzione comunista, ma questa speranza venne stroncata nel 1925-26 dalla liquidazione dello Stato liberale e dalla costruzione della dittatura fascista (fascismo). Nel novembre 1926 fu arrestato e condannato a venti anni di carcere.

La riflessione dei Quaderni del carcere: il concetto di egemonia

Durante gli anni della sua detenzione, Gramsci scrisse una serie di note e di saggi ‒ raccolti postumi con il titolo Quaderni del carcere ‒ dedicati alla riflessione sulla sconfitta della rivoluzione in Italia e più in generale nell'Europa occidentale, nel quadro di un'ampia indagine sulla storia culturale e politica nazionale e internazionale. Le cause principali della sconfitta egli le rintracciò da un lato nella forza assai maggiore che nei paesi europei sviluppati il capitalismo e la borghesia avevano rispetto alla Russia; dall'altro nell'incapacità dimostrata dai partiti comunisti occidentali di costruire un blocco storico basato sull'alleanza tra classi lavoratrici, tecnici dell'industria e intellettuali: un blocco avente la sua base nel proletariato, sufficientemente solido e articolato, capace di guidare, mediante un'opera di direzione politica e intellettuale (egemonia), il movimento rivoluzionario verso la costruzione del socialismo. Gramsci, quindi, sottolineò il fatto che all'uso della forza nei confronti dei nemici di classe (la dittatura) occorreva accompagnare il ricorso all'egemonia da esercitarsi sui gruppi sociali conquistabili al progetto socialista.

Nel 1930-32 Gramsci respinse come avventuristica la tesi del comunismo internazionale che, in seguito alla grande crisi economica scoppiata nel 1929, ipotizzava il crollo prossimo del capitalismo e lo scoppio della rivoluzione mondiale. Per questo ruppe con il Partito comunista italiano diretto da Palmiro Togliatti, che ne era divenuto il segretario dopo l'arresto dello stesso Gramsci.

Scosso irrimediabilmente nella salute, nel 1933 fu trasferito in una clinica e morì a Roma nel 1937. Tra i suoi scritti, un posto centrale occupano le Lettere dal carcere, grande testimonianza della sua forza morale e umana.

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