GUIDOBONI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUIDOBONI, Antonio

Francesca M. Vaglienti

Nacque da Cavalchino, probabilmente a Tortona - della cui piena cittadinanza si fregiava - intorno al primo decennio del XV secolo.

La famiglia Guidoboni era una delle più ragguardevoli della nobiltà tortonese: discendente dei Manfredinghi di stirpe franca, insediatasi in Italia al seguito di Carlo Magno, era divenuta, dal 1278, vassalla del vescovo di Tortona. Protagonisti delle lotte di fazione che insanguinarono il triangolo compreso tra Monferrato, Alessandria e Genova nel corso di tutto il XIV secolo, i Guidoboni, guelfi per tradizione, con l'ascesa al Ducato di Milano di Gian Galeazzo Visconti mutarono fronte politico schierandosi con i ghibellini sostenitori del potere visconteo. Nel 1402, in rappresentanza della famiglia, Giacomo Guidoboni partecipò, in gramaglie, alle solenni esequie del primo duca Visconti. Già signori di Castellaro (ora Castellar Guidobono), Vho e Volpeglino, il loro aperto schierarsi al fianco di Milano ebbe conseguenze in positivo e in negativo: nel 1406 ottennero da Filippo Maria Visconti, allora conte di Pavia, le più ampie esenzioni fiscali sul loro feudo, per favorire la ricostruzione e la fortificazione del territorio, gravemente danneggiato da un nutrito manipolo di fanti e balestrieri genovesi, coadiuvati da uomini di Volpedo e Montesegale, che, non potendo conquistare il castello, avevano devastato le campagne circostanti.

Agli inizi degli anni Quaranta del Quattrocento il G. aveva già avuto modo di segnalarsi all'attenzione del duca Filippo Maria Visconti, che lo reputava "homo a lui fedelissimo et de grande prudentia et al conte [Francesco Sforza] molto accepto" (Corio), pertanto idoneo a svolgere una delicata missione segreta, con il compito di assicurare al condottiero, se avesse favorito la tregua della Serenissima con Milano, la celebrazione delle nozze con Bianca Maria Visconti, a lungo rinviate.

Nell'occasione, il G. dovette favorevolmente impressionare lo Sforza che, poco dopo, lo nominò referendario a Cremona per poi richiamarlo a corte a svolgere servizi diplomatici nel novembre 1446, dietro esplicita raccomandazione di Angelo Simonetta, potente segretario della Cancelleria del condottiero. Nel 1447 il G. compì ancora alcune missioni per il Visconti, per poi affiancare Benedetto Riguardati da Norcia commissario di Pavia e sostituirlo nella carica l'anno successivo.

Nel 1449 lo Sforza lo inviò a Firenze, con messer Antonio Minuti da Piacenza, per ottenere nuove sovvenzioni alla lotta per la conquista del Ducato; in aprile, da Genova, il G., che era appena riuscito a impegnare alcuni gioielli di Agnese del Maino e Bianca Maria Visconti per 5000 ducati, scrisse lamentando la difficoltà di reperire prestatori; in agosto, intuendo l'approssimarsi dell'affermazione dello Sforza nel Ducato di Milano, gli fornì una serie di preziosi consigli sulla riorganizzazione amministrativa del dominio, segno evidente che in gioventù aveva avuto modo di formarsi nell'amministrazione del Ducato visconteo e di conoscerne da vicino i meccanismi di governo e gli uomini sui quali fare affidamento.

Il G. consigliava allo Sforza di incantare i dazi, unificare la gestione delle entrate e delle spese e curare che vi fosse nel dominio abbondanza di sale, definito la maggiore risorsa dello Stato, controllando con la massima cura le relative frodi e deputando a questo ufficio uomini esperti e onesti, dei quali elencò i nomi in una lunga lista, città per città. Suggerì poi di istituire un Consiglio di giustizia, per rendere ragione ai cittadini in forma centralizzata e imparziale, e invitò il duca a deputarvi, oltre a un valido cancelliere in veste di segretario, tre dottori di buona fama e specchiata probità, già consiglieri del duca Filippo Maria: Giovanni Feruffini di Alessandria, Niccolò Arcimboldi di Parma e il feudatario lodigiano Bartolomeo Barattieri. Sottolineò inoltre la necessità di procedere alla nomina dei collaterali per sorvegliare castellani, connestabili di porte e capitani di cittadelle, rivelatisi nel passato assai poco efficienti, e di un maestro delle entrate straordinarie che seguisse la riscossione di antichi crediti, le condanne e la gestione dei beni confiscati, poiché i maestri delle entrate ordinarie, per troppo lavoro, non riuscivano a occuparsene. Infine, consigliò allo Sforza di dotarsi anche di un valido apparato di ragionatori, cancellieri, controscrittori e di un tesoriere generale da affiancare ai maestri delle entrate.

Già ricordato come segretario ducale nel 1450, nel dicembre 1451 il G. fu ufficialmente nominato segretario della Cancelleria del Consiglio segreto. L'incarico, condiviso con Vincenzo Amidano, durò circa dodici anni, anche se con lunghe assenze del Guidoboni.

Nonostante e a prescindere dai riconoscimenti formali, i compiti prevalentemente diplomatici assegnatigli dallo Sforza lo condussero a percorrere una strada spesso parallela e assai sovente più oscura e tortuosa rispetto agli altri ufficiali sforzeschi, benché, al pari dei colleghi, è probabile percepisse gli emolumenti corrispondenti alla carica ufficialmente ricoperta: nel 1466 i segretari del Consiglio segreto ricevevano un salario fisso pari a 32 fiorini lordi al mese. Inoltre, in qualità di oratore ducale, il G. disponeva di una scorta di 5 cavalli, aumentati a 6 per le missioni di maggior rilievo politico: gli stipendi assegnati per le missioni erano commisurati all'ampiezza del seguito, le cui dimensioni variavano a seconda del grado di importanza dell'ambasciatore, e si accompagnavano a un rimborso delle spese sostenute per il viaggio, per rappresentanza o per il servizio straordinario di messi, corrieri e cavallari.

Nell'ottobre 1450 il G. fu inviato a Mantova per ottenere i servizi militari di Ludovico Gonzaga e stipulare il contratto di nozze fra la figlia del marchese, Susanna, e Galeazzo Maria Sforza; poi nuovamente nel 1451, per trattare con Ludovico, in buoni rapporti con l'imperatore Federico III, l'agognata investitura dello Sforza a duca di Milano.

Oratore a Genova per lunghi periodi tra 1450 e 1454, il G. si dimostrò abile nel guidare il duca attraverso difficili scelte di campo in una città travagliata dallo scontro politico tra Fregoso e Fieschi: con l'intento - riuscito - di spingere Genova a una lega con Milano e Firenze (4 nov. 1451) e in seguito di fargliene rispettare i capitoli, invitò lo Sforza a non esporsi apertamente, onde evitare che ciascun contendente pensasse che Milano intendesse favorire l'avversario, ma piuttosto ad agire utilizzando figure di secondo piano e tuttavia essenziali alla conquista della città ligure.

Figura potente presso Francesco Sforza, nel 1453 il G. si rese protagonista di una singolare contesa con il vescovo di Tortona, Giovanni Barbavara, e con la stessa duchessa Bianca Maria per l'assegnazione a un proprio parente di un canonicato nella chiesa di S. Pietro in Volpedo. Sulla sistematica politica di occupazione di cariche e benefici ecclesiastici promossa dai Guidoboni nel Tortonese lungo tutto l'arco del Quattrocento, esistono peraltro abbondanti altre testimonianze (Ansani).

Destinato poi a Venezia, in una serie di missioni prolungate, tra 1454 e 1459, il G. ricevette dallo Sforza il mandato di trattare una lega tra Milano, Venezia, Genova e Firenze, in vista della quale ebbe occasione di recarsi anche nel Bresciano e a Firenze, dove Cosimo de' Medici gli comunicò il proprio scontento per un trattato che rischiava troppo di assomigliare a una vittoria politica della Serenissima.

Soggiornò a Roma nel 1459, affiancando l'ambasciatore sforzesco residente nell'Urbe, Ottone Del Carretto, nella delicata trattativa col papa sulla smobilitazione delle truppe mercenarie di Iacopo Piccinino, evitando pericolose ritorsioni da parte del condottiero. Ancora a Venezia nel 1460, nel 1461 e nel 1463, il G. affiancò il neogovernatore di Genova, Corrado da Fogliano, nel 1465, assistendolo nella gestione politica della città.

L'8 marzo 1459 presenziò al battesimo di Bernardino Corio con Galeazzo Maria Sforza, allora conte di Pavia, e i più alti dignitari della corte milanese: Roberto Sanseverino, Gaspare da Vimercate, Pietro Pusterla, Cicco Simonetta e Tommaso Tebaldi da Bologna.

Nel giugno 1460, ambasciatore a Venezia, era stato incaricato dal duca Francesco di una delicata missione per conto del re di Napoli, Ferdinando I d'Aragona, che chiedeva allo Sforza di intervenire per riscattare da pegno la corona, affidata a certi affaristi della città lagunare, posti sotto inchiesta dalla magistratura della Serenissima. Il G. avrebbe dovuto poi coadiuvare lo Sforza nella ricerca di uomini d'affari, a Milano o a Firenze, disposti ad accettare la corona in pegno, per un nuovo prestito di almeno 50.000 ducati.

Questo stesso anno il G. - già investito dal duca Francesco del feudo di Carbonara, nel Piacentino, l'8 maggio 1458 - si vide riconoscere dallo Sforza l'esenzione totale dalle imposte dovute per i suoi possedimenti in città e nel contado, tenuti nelle comunità di Tortona e di Pavia.

Il G. venne inviato oratore in Sicilia, nel 1467, dal nuovo duca di Milano Galeazzo Maria, e fu la sua ultima missione.

Morì a Savona il 19 ag. 1467, "de febre", come Marsilio Andreasi, l'oratore mantovano residente a Milano, comunicò al suo signore (Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, Carteggio degli inviati e diversi, cart. 1623).

Che il G. soffrisse di attacchi di febbre quartana è lui stesso a testimoniarlo in una supplica senza data, probabilmente riferibile al 1451, rivolta al duca e nella quale sottolinea che l'aggravarsi del suo stato di salute dipende in buona parte dagli "affani et fatiche suportate per quella [lo Sforza] e per lo malo ayre de Mantoa" (Arch. di Stato di Milano, Diplomatico, Famiglie, cart. 89, f. Guidoboni).

L'ascesa sociale del G. ai vertici della corte sforzesca dovette però anche provocare malcontenti se, alla morte del duca Francesco, la reggente Bianca Maria Visconti decise di conferire il titolo di segretario del Consiglio segreto anche a Giovanni Visconti, oltraggiato dal fatto "che Antonio fosse promosso et lui non" (ibid., Autografi, cart. 118, f. 6). Anche la fiducia nelle doti di abile oratore di cui il G. godeva presso il primo duca Sforza risulta non pienamente condivisa, se Giovanni Simonetta, a capo della Cancelleria ducale, si sentì in dovere di evidenziare come il G. fosse inadatto a compiere una missione a Genova, dove non era bene accetto, anche per la sua natura collerica, consigliando il giovane duca Galeazzo Maria di inviare al suo posto Giovanni Giacomo Riccio. Molto probabilmente il giudizio sfavorevole espresso dal Simonetta indusse lo Sforza a utilizzare, per Genova, oratori più accetti a quella città, destinando invece il G. a una missione in Sicilia, senza tuttavia volerlo estromettere dall'attività diplomatica milanese, come invece qualcuno ha ipotizzato (Leverotti, p. 185).

La diffidenza dimostrata nei confronti del G. da alcuni esponenti della corte ducale - tra i quali lo stesso Giovanni Simonetta, nipote di quell'Angelo che lo aveva raccomandato a Francesco Sforza -, e soprattutto dalle famiglie concorrenti nel territorio d'origine, ha indotto alcuni a ritenere che l'Antonio Guidobono "de Roxano", cittadino tortonese e gentiluomo, ucciso in seguito a un agguato lungo la strada diretta a Castellaro coincidesse col G. (ibid.); l'ipotesi è però da escludere in base ai dati offerti dal documento stesso che dà notizia dell'episodio.

Il fratello del G., Pietro, nominato da Francesco Sforza referendario di Pavia nel gennaio 1450, tenne la carica per un anno, occupando poi continuativamente l'ufficio sulla tratta dei gualdi di Tortona sino alla morte, nel 1460.

Il G. aveva sposato Ippolita Stendarda, dama di Bianca Maria Visconti, che in occasione del matrimonio ricevette dai duchi di Milano Paderno e Montegualdone nel Tortonese, ma non la giurisdizione sulle stesse. Più tardi, accampando a pretesto le "vexatione et extorsione" che i Tortonesi avrebbero portato contro gli abitanti delle due località, inducendoli ad abbandonare le terre, Ippolita chiese al duca Francesco di concederne al G. la giurisdizione.

Il G. ebbe tre figli legittimi: Cavalchino, Giovanni Francesco e Giovanni Aloisio. Una delle figlie, Lucrezia, sposò il nobile Filippo Tornielli.

Cavalchino fu assunto nella Cancelleria segreta il 16 febbr. 1456; nel luglio 1458, seguendo le orme paterne, venne inviato in missione diplomatica presso Astorgio Manfredi, Malatesta Novello e Cosimo de' Medici. Annoverato tra i coadiutori della Cancelleria nel 1459, fu promosso cancelliere nel 1461. Apparentemente in urto con il nuovo duca Galeazzo Maria, forse a causa dell'esautoramento del padre dalla gestione politica di Genova, si recò a Napoli dove riuscì a farsi impiegare nella Cancelleria aragonese, rimanendo però corrispondente segreto e personale di Cicco Simonetta: un atteggiamento che insospettisce sulle ragioni reali del suo allontanamento da Milano, che paiono piuttosto artatamente costruite per indurre il sovrano napoletano a fidarsi di lui. Licenziato, o forse scoperto, nel 1471, Cavalchino rientrò a Milano e divenne familiare e segretario di Ascanio Maria Sforza, e con lui fatto arrestare e accusato di complotto da Ludovico il Moro il 28 febbr. 1480. Probabilmente ne seguì l'esilio presso la corte estense di Ferrara. Risulta già defunto nel 1499, quando il figlio Ambrogio, signore di Brignano, a nome proprio e dei fratelli chiese al duca Ludovico il Moro di intervenire presso il commissario dell'Oltrepò affinché venissero presi i debiti provvedimenti contro Franceschetto Spinola e i suoi accoliti che, al passo di Serravalle, avevano attaccato e derubato una carovana di dieci some che trasportava olio da Genova per conto dei Guidoboni.

Giovanni Aloisio, probabilmente già cancelliere di Bianca Maria Visconti, è annoverato tra i membri della Cancelleria segreta a partire dal 1463-64, detenendo contemporaneamente la carica di arciprete di Volpedo e di cappellano del vescovo di Tortona. Nel 1457 aveva offerto i suoi versi al giovane conte di Pavia, Galeazzo Maria Sforza.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Arch. ducale Visconteo-Sforzesco, Conte Francesco Sforza, Carteggio generale, Carteggio del conte, cart. 20; Arch. ducale Visconteo-Sforzesco, Carteggio sforzesco, Carteggio interno, Milano città, cart. 880; Diplomatico, Autografi, cart. 118, f. 6; ibid., Famiglie, cart. 89, f. Guidoboni; Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, Carteggio degli inviati e diversi, cart. 1623; F. Argelati, Bibliotheca Mediolanensium scriptorum…, Milano 1745, II, coll. 465 C, 2164 B; I registri delle lettere ducali…, a cura di C. Santoro, Milano 1961, p. 96; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, Torino 1978, II, p. 1147; Codice aragonese, a cura di F. Trinchera, Bologna 1984, ad ind.; Dispacci sforzeschi da Napoli, a cura di F. Senatore, I, Napoli 1997, p. 12; E. Lazzeroni, Vano tentativo diplomatico di Francesco Sforza per ottenere l'investitura del ducato di Milano, in Arch. stor. lombardo, LXVI (1939), p. 244; W. Terni de Gregorj, Bianca Maria Visconti…, Bergamo 1940, pp. 61 s., 69; C. Santoro, Gli Uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, pp. 31, 519; Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 344, 390-392, 406, 410; VII, ibid. 1956, pp. 76, 175 n. 4; F. Cognasso, I Visconti, Milano 1966, p. 451; C. Prandini, I carteggi diplomatici sforzeschi relativi alla serie Genova…, in Arch. stor. lombardo, s. 9-10, XCVIII-C (1971-1973), 1-3, p. 229; A. Sambati, I carteggi diplomatici sforzeschi relativi alla serie Genova…, ibid., p. 162; M. Ansani, La provvista dei benefici…, in Gli Sforza, la Chiesa lombarda, la corte di Roma…, a cura di G. Chittolini, Napoli 1989, pp. 68 s.; M. Pellegrini, Ascanio Maria Sforza: la creazione di un cardinale "di famiglia", ibid., p. 261; F. Leverotti, Diplomazia e governo dello Stato. I "famigli cavalcanti" di Francesco Sforza (1450-1466), Pisa 1992, pp. 185-189; P. Margaroli, Diplomazia e Stati rinascimentali. Le ambascerie sforzesche fino alla conclusione della Lega italica (1450-1454), Firenze 1992, ad ind.; F.M. Vaglienti, "Fedelissimi servitori de Consilio suo Secreto"…, in Nuova Riv. storica, LXXVI (1992), 3, pp. 690 s.; G.M. Merloni, Splendore e tramonto del potere temporale dei vescovi di Tortona, Cassano Spinola 1993, ad ind.; R. Fubini, Italia quattrocentesca, Milano 1994, p. 81; G.B. Picotti, La Dieta di Mantova e la politica de' Veneziani, a cura di G.M. Varanini, Trento 1996.

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