NACCHI, Antonio Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

NACCHI, Antonio Maria

Paolo Broggio

– Nacque ad Asōmatos (Aσώματος), nella parte meridionale dell’isola di Cipro, nel giugno del 1666, figlio di Hannā Nakkī, maronita originario di Tripoli, nell’attuale Libano.

Molto fiorente nel secolo XIII, la comunità maronita di Cipro era progressivamente diminuita in numerosità e importanza, ma all’epoca in cui Nacchi nacque conservava comunque una sua rilevanza.

Su iniziativa dell’arcivescovo maronita di Cipro, Butrus Ibn Dūmīt (Ibn) Mahlūf, fu inviato a Roma, insieme al fratello Filippo, di circa due anni più giovane, per studiare presso il Collegio maronita, dove i due ragazzi furono ammessi il 20 gennaio 1676. Nel corso dei suoi studi Nacchi manifestò la vocazione per la vita religiosa e per la Compagnia di Gesù. Il 27 luglio 1681 fu accolto nel noviziato di S. Andrea al Quirinale, dove qualche mese dopo entrò anche il fratello, morto però a soli 25 anni nel Collegio gesuita di Fano (8 settembre 1693). Dopo due anni di permanenza nel noviziato Nacchi passò al Collegio romano per seguire il normale cursus studiorum degli aspiranti gesuiti (arti e filosofia), al termine del quale (1687) fu inviato a insegnare grammatica in vari collegi dell’ordine (Ragusa, Loreto, Città di Castello).

Nel catalogo del 1685 il rettore del Collegio romano, il padre Mauro Silvestri, lasciò alla posterità un laconico e negativo commento circa le doti di Nacchi e le sue possibilità di impiego futuro («Mediocris ingenij, judicij, ac prudentiae juvenilis, in litteris tenuiter profecit, et proficit, complexionis melanchonicae. De talento non constat, ac videt futurus aptus ad pauca», Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Rom. 65, c. 106v).

Dopo la parentesi dell’insegnamento, nel 1693 fece ritorno a Roma per intraprendere il quadriennio di studi teologici. Nel 1696, un anno prima del conseguimento del grado, venne ordinato sacerdote. Già due anni prima si era proposto al generale Tyrso González de Santalla, insieme con il confratello Carlo Maria Bernardi, per essere inviato nella natia Cipro allo scopo di fondarvi una missione, ma il generale  non soddisfò la richiesta del giovane gesuita e lo destinò dapprima al Collegio germanico come sotto-ministro e poi alle missioni del Libano. Partito nella primavera del 1697, dopo una sosta a Costantinopoli sbarcò ad Alessandria d’Egitto nel mese di agosto; qui fu trattenuto dal padre Jean Verzeau, superiore della missione, con l’obiettivo di organizzare la fondazione della residenza del Cairo, punto di partenza irrinunciabile per la missione d’Etiopia, anelito mai sopito nella Compagnia di Gesù. Il 31 agosto 1699 Verzeau commentava entusiasticamente, in una missiva inviata a Roma, le doti missionarie di Nacchi. Ma dopo poco, e su ordine del generale, questi partì per il Libano: l’8 novembre, a Saida (l’antica Sidone), pronunciò i quattro voti solenni, per poi stabilirsi nella località di Antoura, che sarebbe in seguito diventata il centro di irradiazione della sua attività apostolica.

Negli anni successivi si dedicò con grande zelo alle missioni, specie verso il sud, in regioni abitate per lo più da popolazioni druse (Kesroan, Chouf). È dell’11 luglio 1701 il suo primo resoconto missionario, cui accludeva anche una richiesta al generale di fondare una missione a Cipro.

Scritto in italiano con uno stile asciutto ed efficace, il resoconto è una delle testimonianze dell’originalità della sua prosa, qualità che gli diede una certa notorietà sia all’interno della Compagnia, sia presso il pubblico esterno. Alcuni suoi resoconti vennero infatti pubblicati tanto su periodici (Mercure Galant, novembre 1698, pp. 37-45 e 56-60, quanto all’interno di raccolte di lettere ‘edificanti’ dalle missioni, edite in varie lingue in tutta Europa (Th.Ch. Fleuriau d’Armenonville - N.L. Ingoult, Nouveaux mémoires des missions de la Compagnie de Jésus dans le Levant, IV, Paris 1724, lettera preliminare e pp. 1-251; Cartas edificantes y curiosas escritas de las missiones estrangeras, IV, Madrid 1754, pp. 227-339; Ch. Le Gobien - Y.M.M. Tréaudet de Querbeuf - J.-B. Du Halde, Lettres édifiantes et curieuses écrites des missions étrangères, I, Paris 1780, pp. 108-266; M.L. Aimé-Martin, Lettres édifiantes et curieuses concernants l’Asie, l’Afrique et l’Amérique, I, Paris 1838, pp. 211-251). Fu questo un genere letterario di notevole successo, che contribuì a diffondere la conoscenza dell’impresa missionaria della Compagnia e anche ad alimentare la popolarità, nella cultura del tardo XVII secolo e soprattutto del XVIII, del metodo di apostolato dei gesuiti.

Nel corso delle sue missioni Nacchi predicò, catechizzò, confessò, ma si dedicò anche alla cura di alcune malattie impiegando le conoscenze in campo medico acquisite nei propri studi nonché rimedi medicinali importati dall’Europa che furono presto molto attesi e desiderati dalle popolazione autoctone. Dotato di ingegno – a detta di molti – non straordinario, Nacchi si distinse però non solo per la grande vocazione apostolica e per l’intensità della sua vita spirituale ma anche come uomo di grande chiarezza espositiva, in campo sia letterario sia teologico. Non è un caso che tra il 1703 e il 1706 giocasse un ruolo di intermediazione rilevante nel processo di avvicinamento tra Roma e l’arcivescovo greco Cosma, superiore del monastero di S. Caterina del Monte Sinai, processo interrotto dalla nomina di Cosma a metropolita di Claudiopoli.

Nacchi accompagnò il monaco Cosma per aiutarlo nella riorganizzazione dello stesso monastero e per prendere visione dei preziosi manoscritti ivi conservati. Le doti espositive del gesuita furono messe in rilievo anche da Abdallah Zāher, il fondatore della tipografia sorta all’interno del convento di S. Giovanni di Choueir, in Libano, il quale racconta nelle sue memorie la chiarezza con la quale gli seppe spiegare alcuni aspetti particolarmente difficili e problematici del dogma dell’Eucarestia. Si è inoltre supposta una certa responsabilità di Nacchi nella decisione, presa dal sinodo dei vescovi maroniti, di deporre il patriarca Yacoub Aouad; in realtà egli scrisse per l’occasione una lettera al rettore del Collegio maronita di Roma (12 settembre 1710, in Arch. storico de Propaganda Fide, Lettere della Sacra CongregazioneS.C. Maroniti, 2, ff. 58-59) in cui prese posizione contro quello che considerava un errore commesso dal sinodo, da un punto di vista sia giuridico, sia teologico.

Tra il 1716 e il 1722 fu superiore della missione del Levante, che comprendeva le residenze di Tripoli, Saida e Antoura, carica che gli impose parecchi spostamenti fra le tre località. Fu uno dei fondatori, insieme ai padri Pierre Fromage e Butrus Moubarac (Pietro Benedetti), del seminario di S. Elia di Antoura, del quale fu anche primo rettore a partire dal 1728. Continuò senza sosta la sua attività missionaria, che dal 1726 – e su richiesta dell’arcivescovo maronita di Tiro e Saida, Semaan Aouad – si spinse fino alle regioni dell’Alta Galilea e di Bilad Bechāra, particolarmente povere e bisognose di cura spirituale. A tal fine, nel 1728 fece costruire a el-Jish (attuale Israele) una piccola residenza, punto di appoggio per le scorrerie apostoliche. La fondazione non passò però inosservata ai padri della Terra Santa, che lo accusarono di volere in questo modo istituire una residenza stabile senza i dovuti permessi. La Congregazione de Propaganda Fide venne investita della questione ma grazie all’intermediazione dei gesuiti Butrus Moubarac e Georges Benyammin il cardinale prefetto decise infine di non dare seguito alla denuncia presentata ai danni di Nacchi.

Le missioni in Alta Galilea furono particolarmente segnate da fenomeni mistici e dal verificarsi di prodigi, attribuiti all’intercessione di Nacchi, che colpirono profondamente le popolazioni visitate e la cui memoria si conservò per diverse generazioni. Le pratiche di mortificazione personale, caratteristiche del resto dello stile di predicazione popolare di ambiente gesuitico, specie italiano, in quegli anni (si pensi all’oratoria di Paolo Segneri o di Antonio Baldinucci), furono uno degli aspetti più noti ma anche criticati della strategia di apostolato del gesuita.

Il nome di Nacchi figura nella lista dei teologi convocati al Sinodo del Monte Libano del 1736, che tra le altre cose istituì canonicamente l’eparchia di Tiro-Sidone; ma da una lettera del padre Fromage al padre Le Camus, residente a Parigi, si apprende che in realtà Nacchi non poté prendere parte al sinodo. Attento osservatore della geografia delle terre percorse in missione e degli usi e dei costumi delle popolazioni visitate, Nacchi coltivò anche un certo interesse per il passato, che sfociò nella scrittura di una descrizione dell’Egitto (Notitiae Rerum Aegyptiacarum spectantes ad naturam locorum [...] scriptae a P. Antonio Maria Nacchi, Archivum Romanum Societatis Iesu, Gall. 96, ff. 377-388).

Morì ad Antoura nell’agosto 1746.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Rom. 65, 88, 91, 94, 95, 174; Franc. 24, 25 I-II, 26, 26a, 27, 28; Gall. 96, 99; Hist. Soc. 53a, ad nomen; Arch. storico De Propaganda Fide, Lettere della Sacra Congregazione 93, ff. 45-46; S.C. Maroniti 1, f. 220; S.C. Maroniti 2, ff. 58-59; Ch. Sommervogel, s.j., Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, V, Paris-Bruxelles 1894, col. 1517; R. Streit - J. Dindinger, Bibliotheca Missionum, XVI, Roma 1952, pp. 887, 930; J.P. Trossen, Les relations du patriarche copte Jean XVI avec Rome, Lussemburgo 1948, pp. 176-178; S. Kuri, Vocations orientales à la Compagnie de Jésus aux XVIe, XVIIe et XVIIIe siècles, in Archivum Historicum Societatis Iesu, LVI (1987), pp. 127-130; Lettres du P. N. et du P. Fromage, in Lettres de Mold, VII (1895-97), pp. 125-137; V. Poggi, s.j., Il Libano di P. N., in Prospettive di missiologia oggi, a cura di M. Dhavamony, Roma 1982, pp. 107-131; Id., I Drusi di padre N., in La bisaccia dello Sheikh. Omaggio ad Alessandro Bausani, islamista, nel sessantesimo compleanno, Venezia 1981, pp. 141-152; Ch. Libois, Les jésuites de l’anciènne Compagnie de Jésus en Egypte, in Archivum Historicum Societatis Iesu, LI (1982), p. 181; V. Poggi, A. M. N. S.J. (1666-1746). Alunno cipriota del Collegio maronita, in Studi albanologici, balcanici, bizantini e orientali in onore di Giuseppe  Valentini S.J., Firenze 1986, pp. 347-360; Ch. Libois, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús: biográfico-temático, a cura di Ch. E. O’Neill - J.M. Domínguez, III, Madrid 2001, p. 2791.