PESENTI, Antonio Mario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PESENTI, Antonio Mario

Riccardo Faucci

PESENTI, Antonio Mario. – Nacque a Verona il 15 ottobre 1910 da Romeo, direttore dell’ufficio telegrafico di Treviso, e da Amalia Bisoffi, veronese, anch’essa impiegata alle poste.

Toni, come sempre fu chiamato in famiglia e dagli amici, ebbe tre fratelli: Annamaria, Alessandro e Renato, gli ultimi due a lui premorti. A Treviso trascorse l’infanzia e l’adolescenza in un ambiente familiare di impronta repubblicano-risorgimentale con affiliazioni massoniche, in cui la personalità più spiccata era quella dello zio Adolfo, giornalista del Gazzettino e apprezzato umorista. Nel 1926, come rappresaglia per l’attentato di Anteo Zamboni a Benito Mussolini, alla famiglia fu intimato di lasciare la città e trasferirsi a Verona. L’anno seguente Pesenti vinse un posto di allievo al Collegio Borromeo di Pavia come studente di giurisprudenza, e si laureò con lode e dignità di stampa nel luglio 1931.

Il suo professore, Benvenuto Griziotti, docente di scienza delle finanze, gli aveva proposto una tesi sulla politica finanziaria italiana del dopoguerra; ma, una volta lette le prime pagine presentate, non mancò di osservare: «Se lei vuol finire a Porto Longone, continui pure» (La cattedra e il bugliolo, Milano 1972, p. 45). Pesenti si spostò allora sul tema meno scottante della politica finanziaria di Philip Snowden, il cancelliere dello Scacchiere nel gabinetto inglese di coalizione di Ramsay Macdonald.

Vincitore nell’ottobre 1931 della prima borsa di studio Bonaldo Stringher per l’estero bandita dalla Banca d’Italia, ottenne un incontro con Luigi Einaudi per consigli su come trarre dalla tesi una monografia. In quella occasione il discorso cadde sull’obbligo del giuramento che il fascismo aveva introdotto per i professori universitari, giuramento che Einaudi aveva accettato adducendo la necessità di evitare che le cattedre universitarie finissero interamente nelle mani dei fascisti (La cattedra e il bugliolo, cit., p. 47).

Grazie alla borsa Stringher, Pesenti compì le sue ricerche prima a Londra, seguendo le lezioni di economia di Friedrich A. von Hayek, William Beveridge e Theodor Gregory; poi, per quasi tutto il 1932, fu a Vienna presso Ludwig von Mises e Oskar Morgenstern e nel 1932-33 a Berna dal tributarista W. Ernst Blumenstein. Nel 1933, con una borsa della Cassa di risparmio delle province lombarde, soggiornò a Parigi, dove ebbe modo di incontrare gli economisti Edgard Allix e Charles Rist.

Risultato di un biennio di intensa attività furono il volume La politica monetaria e finanziaria dell’Inghilterra (Padova 1934) e l’ampio saggio sulla Politica monetaria delle Devisenverordnungen (in Annali di scienze politiche, Università di Pavia, 1933, vol. VI, f. IV).

Nella prima opera affrontò con un taglio sorprendentemente moderno il rapporto tra le politiche monetarie e quelle fiscali, esemplificandole attraverso la scelta – a suo parere non convincente – di Winston Churchill che, rivalutando la sterlina, aveva causato contraccolpi negativi su investimenti e occupazione. Nella seconda opera criticò il razionamento delle divise estere da parte dell’Austria, che soffocava il commercio internazionale e svantaggiava le monete più deboli.

Entrambi i lavori – nel solco delle ricerche svolte dalla scuola di Pavia facente capo a Griziotti – contengono un apprezzamento per la saggezza con cui in Italia era stata condotta la rivalutazione della lira (‘Quota 90’).

Questi e altri studi gli valsero il conseguimento nel dicembre del 1934 della libera docenza in scienza delle finanze e diritto finanziario, subito seguita dall’incarico di insegnamento presso l’Università di Sassari.

Come il padre e lo zio, Pesenti fu sin dall’inizio un risoluto antifascista. Collegatosi tramite Lucio Luzzatto, Bruno Maffi e altri con il Centro socialista interno diretto da Rodolfo Morandi, operò da corriere, giovandosi della sua posizione di borsista all’estero. Tuttavia la conoscenza dell’ambiente del fuoriuscitismo socialista lo deluse, stante l’inerzia dei capi del Partito socialista italiano (PSI) che aspettavano passivamente l’inevitabile caduta del regime (cfr. La cattedra e il bugliolo, cit., p. 77, per la metafora della pera che Pesenti attribuisce a Pietro Nenni).

Nel 1932 pubblicò a Parigi con lo pseudonimo di Italicus un pamphlet, Antifascismo nuovo, che suscitò i primi sospetti su di lui, per allontanare i quali continuò a mantenere una linea esteriore di piena adesione al regime. Nel maggio 1933 si iscrisse al Partito nazionale fascista – anche per poter accedere alla carriera universitaria secondo il suggerimento di Einaudi – e nel 1934-35 collaborò all’Arena, il quotidiano di Verona, con articoli in lode della politica economica ed estera italiana.

Pesenti sostituì Morandi al congresso celebrato a Bruxelles dalle forze antifasciste italiane all’estero per sollevare l’opinione pubblica europea contro la guerra di Etiopia e per sostenere l’applicazione delle sanzioni contro l’Italia. Il 13 ottobre 1935, due giorni prima del compimento del suo venticinquesimo anno, prese la parola, con il volto protetto soltanto da occhialoni da motociclista, in una sala in cui diverse dovevano essere le spie presenti e poste vicino al palco dell’oratore, perché al processo risultò che aveva letto «su appunti scritti a matita» (p. 87). Molti anni dopo, partecipando a un convegno, riportò il testo del suo discorso, in cui si chiamavano comunisti e socialisti all’unità d’azione (L’avventura d’Etiopia, in Fascismo e antifascismo, II (1936-1948), Milano 1962, pp. 374-380).

Al rientro in patria venne arrestato a Verona l’8 novembre 1935 e il 6 febbraio 1936 fu condannato dal Tribunale speciale a 24 anni di carcere per «attività antinazionale del cittadino all’estero» (art. 269 del codice Rocco). La pesantezza della condanna suscitò una eco internazionale. A Parigi si formò un Comitato Pesenti, collegato al Soccorso Rosso, che mobilitò intellettuali prestigiosi come Romain Rolland. Nel 1937 un condono gli cancellò quattro anni di pena.

Trascorse quasi otto anni nelle carceri di Fossano, Civitavecchia e San Gimignano. In prigione decise fin dal 1937 di aderire al Partito comunista italiano (PCI), che gli impose una sorta di autocritica ideologico-politica da lui redatta in parte in inglese per evitare la censura (cfr. G. Bianchi, «I am a student, not a political man». L’autocritica di Pesenti dal carcere, in Il pensiero economico italiano, 2011, 1, pp. 23-38).

Le condizioni di vita nel carcere risultarono subito proibitive per la sua fibra – fu colpito da una angina pectoris che, mal curata, lo condusse a morte prematura – e i tentativi di applicarsi a un organico piano di studi rimasero frustrati. Gli appunti di economia, di fisica e di matematica contenuti nei quaderni del carcere che sono pervenuti sono spesso interrotti da espressioni di profondo sconforto. Resta per altro quasi compiuto uno schizzo di storia delle dottrine economiche, risalente al 1938 e tendente a evidenziare la peculiarità del metodo dialettico di Marx. In questo testo, per evitare di incorrere nel sequestro o nella censura, usò l’espressione economia ferrariana per economia marxista.

Caduto il regime, il 4 settembre 1943 Pesenti venne liberato dal carcere di San Gimignano. Da allora partecipò in prima fila alle principali tappe della rinascita democratica. Raggiunto fortunosamente il Sud, dapprima fu a Bari come stretto collaboratore del dirigente comunista Velio Spano; poi, il 22 aprile 1944, divenne sottosegretario alle Finanze nel governo Badoglio seguito alla ‘svolta di Salerno’ e fu confermato nella carica il 18 giugno 1944 nel gabinetto di Ivanoe Bonomi, nato dopo la liberazione di Roma. Promosso ministro delle Finanze nel successivo governo Bonomi (12 dicembre 1944 - 19 giugno 1945), cercò di introdurre alcuni principi democratici nel sistema fiscale, secondo un piano reso pubblico il 28 dicembre 1944 (Perché risorga la finanza italiana, rist. in Ricostruire dalle rovine, Milano 1946, pp. 61-70).

Il piano contemplava la creazione dei comitati tributari elettivi «per assicurare la partecipazione democratica dei contribuenti e in sede di accertamento dei redditi e di primo esame dei ricorsi» (La cattedra e il bugliolo, cit., p. 268; vedi anche Consigli e comitati tributari, in Ricostruire dalle rovine, cit., pp. 71-73). Questo progetto incontrò la resistenza dell’amministrazione finanziaria e non fu seguito dai provvedimenti attuativi, per cui rimase lettera morta. Anche i tentativi di applicare un’imposta straordinaria sui ‘profitti di regime’ non ebbero fortuna.

Nel giugno 1945 il PCI non lo confermò al ministero nel nuovo gabinetto Parri, sostituendolo con Mauro Scoccimarro, e l’avvicendamento fu maliziosamente presentato dal quotidiano Risorgimento liberale, in un articolo dal titolo I vecchi e i giovani, come una sanzione postuma per i suoi trascorsi giovanili fascisti. Pesenti allora il 23 giugno scrisse al giornale una lettera di orgogliosa rivendicazione della coerenza della sua condotta e richiese a Einaudi una lettera, che questi scrisse il 26 giugno, di rinnovata stima e solidarietà (testo in appendice a La cattedra e il bugliolo, cit., p. 281).

Membro della Consulta nazionale e poi deputato all’Assemblea costituente, come presidente della Commissione lavoro presso il ministero per la Costituente, promosse la pubblicazione di tre volumi di Atti della commissione per lo studio dei problemi del lavoro e creò il Centro economico per la ricostruzione (CER), che avrebbe dovuto articolarsi sul territorio e alimentare una discussione dal basso sui punti principali della politica economica postbellica. Vicini a lui nell’impresa furono Rodolfo Morandi e Pasquale Saraceno. Il peggioramento della situazione politica impedì di dare effetto al progetto che, infatti, non andò oltre un convegno sui consigli di gestione (cfr. Il dibattito sui consigli di gestione, Milano 1946).

Vicepresidente dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) nel 1946-47, deputato nella I legislatura repubblicana (1948-53) e poi senatore fino al 1968, membro del Comitato centrale del PCI dal 1945 al 1968, abbinò all’intensa attività politica l’insegnamento universitario, dal 1945 come incaricato di un corso libero all’Università di Roma, e dal 1948 come professore di scienza delle finanze, avendo ottenuto la revisione di un precedente concorso a cattedra svoltosi negli anni in cui, carcerato per motivi politici, non aveva potuto partecipare (cfr. la Relazione della commissione per la revisione del concorso a prof. straordinario alla cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario nell’Università di Camerino, 28 aprile 1948, in Bollettino dell’Uff. Ministero della Pubblica Istruzione, 1948, pp. 3989-92).

Ebbe la cattedra prima alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Parma (1948-59), poi a quella di Pisa (1960-71), e infine alla facoltà di scienze statistiche di Roma, dove l’ultimo anno non poté svolgere che poche lezioni, per l’aggravarsi della malattia.

Morì a Roma nella notte fra il 13 e il 14 febbraio 1973.

Pesenti svolse un’intensa attività di organizzatore di cultura. Fondò e diresse dal 1946 al 1956 la rivista Critica economica, che intendeva costituire una palestra di confronto fra economisti appartenenti all’area della sinistra, ma non necessariamente legati al PCI. La rivista, all’inizio pubblicata dall’editore Einaudi, ebbe fra i suoi collaboratori Federico Caffè, Giorgio Fuà, Sergio Steve, Paolo Sylos Labini e altri, con prevalenza di temi di economia e finanza applicate. Solo dopo le elezioni del 1948 la rivista assunse una connotazione di partito, e Pesenti non esitò a intervenire per scoraggiare discussioni che fossero in contrasto con la linea dettata dal PCI, come in occasione della pubblicazione del volume di Cesare Dami su Esperienze di economia pianificata (Torino 1950), volume che a suo dire faceva perdere di vista la differenza qualitativa fra la programmazione nei sistemi capitalistici e la pianificazione sovietica (cfr. R. Soliani, A. P. e la sua “Critica economica”, in Il pensiero economico italiano, 2011, n. 1, pp. 134 s.).

Su Critica economica Pesenti sferrò diversi attacchi a John M. Keynes, la cui teoria della moneta manovrata gli appariva come la giustificazione teorica che il sistema capitalistico – ormai trasformato in ‘capitalismo monopolistico di Stato’ – aveva adottato dopo la Grande crisi al fine di ricreare i margini di profitto (Una caratteristica dell’imperialismo: la moneta manovrata, in Critica economica, 1946, n. 4, pp. 65-72). Nella rivista tenne anche la rubrica fissa di commenti politico-economici Nostro paese.

Nel ventennio seguente collaborò a Politica ed economia, a Critica marxista e a Rinascita; in quest’ultima rivista pubblicò alcuni efficaci interventi dedicati alla crisi del sistema di Bretton Woods.

Partecipò come relatore a importanti iniziative dell’Istituto Gramsci, fra cui il convegno del 1962 sulle Tendenze del capitalismo italiano, con un’ampia relazione di apertura firmata anche da Vincenzo Vitello, che rimarcava, secondo la tradizione di pensiero economico del PCI, la presenza storica nell’economia italiana di concentrazioni industriali e finanziarie private di tipo monopolistico, ma anche di una robusta tradizione di intervento pubblico, specie nel Mezzogiorno, priva però di una politica coordinata e di fatto subordinata agli interessi capitalistici (cfr. Tendenze attuali del capitalismo italiano, I, Roma 1962, pp. 56-72).

Pesenti fu autore di due diffusi manuali universitari.

Il primo, Scienza delle finanze e diritto finanziario, del 1954, la cui edizione definitiva apparve nel 1967 e che venne tradotto anche in giapponese, rappresenta un tentativo originale di fondere l’approccio istituzionalista allo studio dei problemi finanziari (cioè fiscali) – proprio del suo maestro Griziotti – con l’impostazione marxista-leninista sulla natura dello Stato borghese, intesa non come mera sovrastruttura, come nel marxismo classico, ma quale indispensabile sostegno della struttura economica capitalista fino a dar vita alla formazione del ‘capitalismo monopolistico di Stato’.

Il Manuale di economia politica conobbe successive versioni: la prima in due volumi, usciti rispettivamente nel 1954 per la parte generale, e nel 1958 per la parte sulla moneta (con traduzioni in spagnolo e in polacco); la seconda nel 1970, ancora in due volumi, con la collaborazione di Gianfranco La Grassa per la microeconomia, di Carlo Casarosa per la macroeconomia e di Alessandro Lippi sul capitale finanziario in Italia. Il medesimo testo, ma senza appendici e in un solo volume, fu ristampato nel 1984.

Fonti e Bibl.: La Biblioteca U. Balestrazzi di Parma ospita le carte di Pesenti e la sua biblioteca, entrambe donate dalla vedova, Adriana. Il fondo comprende le carte dell’ex ministro delle Finanze Guido Jung, trasmesse al ministro Pesenti per ragioni di competenza; R. Faucci, La formazione di A. P. dai documenti del suo archivio (1931-1945), in Inventario dell’archivio A.M. P. della biblioteca U. Balestrazzi di Parma, a cura di M. Dall’Acqua, Parma 1984, pp. XIX-XXXIV.

Un profilo biografico è quello di G. Gattei, P. A.M., in Il movimento operaio italiano 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, IV, Roma 1978, pp. 97-101. Sulla sua personalità: G. Parravicini, Gli scritti e il pensiero di A. P., in Economia ed ecologia, Milano 1975, pp. 331-348; D. Fausto, L’attività finanziaria nell’azione politica di A. P., in Il pensiero economico italiano, 2011, n. 1, pp. 38-75; F. Forte, Sui contributi di A. P. all’economia pubblica, ibid., pp. 77-90; C. Rotondi, Progettare l’Italia nuova: A. P. e il ministero per la Costituente, ibid., pp. 103-116. Fra gli studi in onore o memoria, si segnalano: Studi in memoria di A. P., a cura di G. Galeotti, Pisa 1975; Saggi di economia in onore di A. P., a cura di F. De Cindio - P. Sylos Labini, Milano 1977; Atti del convegno La figura e l’opera di A. P., Parma 1° marzo 1980, Bologna 1981; Economia tra teoria e politica. Ricordo di A. P., a cura di G. Niccodemi - G. Pizzanelli, Milano 1984. Da vedere anche i suoi Discorsi parlamentari, a cura del Senato della Repubblica, I-II, Roma 1990, con introduzione di F. Batistoni Ferrara.

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