PETITO, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PETITO, Antonio

Maria Procino

PETITO, Antonio. – Nacque a Napoli, nel quartiere Vicaria, il 29 giugno 1822 da Salvatore, attore e noto interprete della maschera di Pulcinella, e da Maria Giuseppa Errico (Donna Peppa), ballerina, attrice e impresario teatrale. I due ebbero sette figli: Gaetano, Davide, Pasquale, Antonio, Michela, Adelaide e Rosa.

Petito crebbe nella Napoli della prima metà dell’Ottocento, una tra le città più popolose d’Europa, meta di viaggiatori stranieri che ne descrivevano le condizioni di vita tra il pittoresco e la modernità.

Tra vicoli e fondaci, palazzi dell’aristocrazia e una classe media probabilmente mutilata per sempre dagli eventi del 1799, Napoli aveva un teatro ogni 26.000 abitanti: il San Carlo, il teatro del Fondo di separazione dei lucri (per l’opera e i balli), il Mercadante e il teatro Nuovo (per l’opera), la Fenice (per l’opera buffa), teatrino nato trasformando «una vasta scuderia del duca di Grottolella, comprata da tal Gaetano de Felice» (Di Giacomo, 1895, p. 357; 1935, p. 216), il teatro dei Fiorentini, dove si dava l’opera buffa, ma anche spettacoli di prosa in lingua e in dialetto, come al teatro San Ferdinando costruito nella zona di Ponte Nuovo (per la musica buffa e la prosa in dialetto), il San Carlino a Piazza Municipio, dove si rappresentavano spettacoli di prosa in dialetto, farse e parodie musicali; c’erano poi il Sebeto e il Partenope, il teatro della Pietà de’ Turchini, che ospitava spettacoli popolari soprattutto di pupi.

In questo clima Petito si formò, soprattutto nel Silfide, il teatrino della madre, alla Marina del Carmine.

«Il teatrino di Donna Peppa stava nella bottega come la polpa di una noce nel guscio; gli attori penetravano sul palcoscenico per una porta che si apriva nel palazzo dei Maisto, in fondo, accosto al casotto del portinaio, e talvolta, per mancanza di camerini, si vestivano nel cortile» (p. 427).

Il padre era duro e severo, la madre, vivace e intelligente, cucinava, gestiva la famiglia e il teatro. Dal 1823 Salvatore portò la maschera di Pulcinella al teatro San Carlino, grazie all’impresario Silvio Maria Luzi. Nel 1831 il piccolo Petito debuttò in un’opera di Filippo Cammarano (figlio di Vincenzo ‘Giancola’, famoso Pulcinella del Settecento), Giovanni della Vigna. A dodici anni Petito faceva già il ‘mamo’. Nella sua sgrammaticata autobiografia, ritrovata da Salvatore Di Giacomo, Petito racconta che «fu talmente agradito dal pubblico che in ogni comedia che si scriveva facevano agire il petito e anche a S. Ferdinando lo portavano per farlo al 1834 recitare e agire nelle pantomime alle età di 12 anni» (Grano, 1978, p. 47).

Nel 1840 esordì come brillante nella compagnia di Crescenziano Palombo e poi in quella di Pietro Martini.

Totonno ’o pazzo, così era soprannominato per il suo carattere, nel 1851 sposò Marianna Parlati da cui non ebbe figli. Nel 1850 portò la farsa Avviso ai mariti al Partenope, poi al San Carlino, dove il 12 aprile 1852 sostituì il padre nel ruolo di primo attore e di Pulcinella. Salvatore, ormai vecchio, alla fine della commedia S’è stutata la cannela presentò il figlio al pubblico e gli consegnò la maschera e il ‘cuppolone’.

Petito cominciò a mettere in scena le sue commedie dando nuova vita a Pulcinella, non più stereotipo del servitore vile, ma simbolo di un popolo che raccontava le miserie quotidiane di una Napoli che stava affrontando una profonda trasformazione. Petito «vestirà Pulcinella di identità diverse sovrapponendole alla sua maschera, alla sua essenziale ed immutabile, profonda, mimetica, metamorfica, duttilmente diabolica ‘non-identità’» (Greco, 1995, p. XXV). Petito, inoltre, impose anche un nuovo personaggio, Pascariello, abbandonando in alcune commedie la maschera. In realtà, Pascariello, un po’ furbo e un po’ ‘cetrulo’, era presente già nel Seicento, nelle aree contadine del Centro Sud. Secondo Vittorio Viviani apparve in teatro grazie all’attore Gian Gregorio d’Ariemme (Viviani, 1969, p. 139).

Autodidatta, scrittore prolifico (una novantina i suoi testi), l’attore-drammaturgo operò una riforma verso il realismo, attraverso la parodia non solo di melodrammi e di romanzi, ma anche di mode e costumi dell’epoca. Grazie all’alterazione parodistica arrivarono al ‘popolino’ numerose opere, ma a questi spettacoli assistevano spesso anche aristocratici e borghesi che, dopo aver visto e ascoltato l’originale, erano pronti a godere della ‘rivisitazione’ di Petito, ridendo in fondo di se stessi. Istrionico e dalla forte carica espressiva, Antonio Petito inventò una lingua teatrale sua, che risentiva certo del vernacolo del tempo, ma fu prodotto teatrale.

Il San Carlino si identificò nella sua produzione. La compagnia comica del teatro, diretta dall’impresario Giuseppe Maria Luzi, fu costituita da: Vincenzo Santella (amoroso), Giovanni De Chiara (generico primario), Petito, Andrea Natale (generico), Davide Petito (generico), Pasquale De Angelis (caratterista) Marianna Checcherini (caratterista e seconda moglie di Salvatore Petito), Pasquale Altavilla (caratterista) Chiara D’Angelo (servetta), Raffaele Di Napoli (guappo). Nel 1869 entrò nelle fila della compagnia al San Carlino, scritturato da Luzi, anche Eduardo Scarpetta e con lui la maschera di Sciosciammocca. Iniziò così la collaborazione di Petito con un ragazzo che avrebbe dimostrato di essere bravo nello scrivere quanto nel recitare. Ben presto l’allievo avrebbe superato il maestro portando avanti il rinnovamento del teatro comico iniziato proprio da Petito. Scarpetta fu sempre riconoscente al maestro che «affettuosamente definì proponquanquero de li comici napolitane» (Pozzo, 2009, p. 50). «Tra traduzioni-parodie, in realtà, e messe in scena del teatro attraverso i suoi testi significativi di una più antica o recente tradizione di drammaturgia e spettacolo, in prosa e in musica, ottenevano o riottenevano cittadinanza scenica napoletana Rossini, Bellini, Donizetti, Mercadante e Verdi, Offenbach e Bizet» (Greco, 1995, p. XV). Nemmeno l’unità d’Italia passò inosservata alla sua mannaia satirica, così il balletto Flick e Flock, omaggio all’Italia, divenne nel 1871, Flick e Flock o Cricco e Crocco co Polecenella Crannautore de nu teiatro massimo e Don Asdrubale Barilotto direttore e compositore del gran ballo fandastico.

Nel suo repertorio si affollano parodie di opere e operette, satira del costume contemporaneo, ricorso al travestitismo, riprendendo l’uso che se ne faceva già nell’opera napoletana del Settecento.

Alcuni titoli: nel 1853 L’appassionate pe lo romanzo de lo zio Tom; nel 1855 Na famiglia ‘ntusiasmata pe la bella musica de lo Trovatore; nel 1865 Oreste a li quattro de maggio; nel 1866 Na seconda muta de Puortece (parodia della Muta di Portici di Auber), Francesca da Rimini tragedia a vapore stravesata da Pulicinella Cetrulo, da don Asdrubale Barilotti, da monzù Patrecutenella e da Schiattamorton, Don Fausto, Il matrimonio segreto in musica e un matrimonio segreto in prosa, Na bella Elena mbastarduta nfra la lengua franzese, tuscana e napulitana (dall’operetta La belle Hélène di Offenbach), Aida dint’ ’a casa ’e Tolla Pandola, La lotteria alfabetica, dove criticò l’industrialismo piemontese, Tre banche a ’o treciento pe mille e Nu studio ’e spiritismo pe fa turnà li muorte ’a l’atu munno, Il baraccone delle marionette meccaniche.

La sera del 24 maggio 1876 Petito morì, colpito da apoplessia. Recitava il terzo atto de La dama bianca di Giacomo Marulli.

«Quale scena! L’infelice fu trasportato, dal corridoio, sul palcoscenico e qui adagiato sopra un materasso. Fra tanto un attore usciva ad annunziare agli spettatori la triste novella. Un silenzio profondo seguì alle poche proteste di coloro che non credevano ancora all’avvenimento […]. Erano attorno al Petito i suoi compagni […]. E fu uno scoppio di singhiozzi, di urli, d’apostrofi, un pieno di commozione, che pareva il finale di un dramma […]. La notizia si sparse per Napoli in un baleno. Spariva il benemerito dell’allegrezza, il riso moriva» (Di Giacomo, 1935, p. 310).

Fonti e Bibl.: S. Di Giacomo, Cronaca del teatro San Carlino, Trani 1895 (2a ed.), pp. 357, 419-465 (Milano 1935, pp. 216, 253-313); V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, pp. 545-603; E. Grano, Andonio Petito. Autobiografia di Pulcinella, Napoli 1978; Tutto P., a cura di E. Massarese, I-VII, Napoli 1978-84; S. De Matteis, Lo specchio della vita, Bologna 1991, pp. 136-170; F.C. Greco, La scena illustrata. Teatro, pittura e città a Napoli nell’Ottocento, Napoli 1995, pp. XV-XXV; D. Morea - L. Basile, Famiglie teatrali napoletane (Storie pubbliche e private), Napoli 1996, pp. 167-176; F. Frascani, Le burle atroci di Antonio Petito, Napoli 1998; A.M. Sapienza, La parodia dell’opera lirica a Napoli, nell’Ottocento, Napoli 1998, pp. 1-15, 41-67; A. Pozzo, Scarpetta e Sciosciammocca nascita di un buffo, Roma 2009, pp. 19-85; O. di Tondo, Flik e Flok’ o ‘Flicho e Flocho? Il ballo ‘Flik e Flok’ di Patolo Taglioni nella parodia di A. P. (Napoli, 1871), in Passi, tracce, percorsi. Scritti sulla danza italiana in omaggio a José Sasportes, a cura di A. Pontremoli - P. Veroli, Roma 2012, pp. 157-170.

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