SALIERI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SALIERI, Antonio

Francesco Blanchetti

SALIERI, Antonio. – Nacque a Legnago il 18 agosto 1750, da Antonio, commerciante, e da Anna Maria Scacchi.

La fonte biografica primaria su formazione e carriera di Antonio Salieri è data dalla ricostruzione fattane da Ignaz von Mosel immediatamente dopo la morte dell’anziano compositore, sulla traccia di appunti che costui gli aveva fornito (von Mosel, 1999). La data di nascita si ricava dall’atto di battesimo (Archivio parrocchiale di S. Martino in Legnago). Da un primo matrimonio il padre aveva avuto cinque tra figli e figlie. Rimasto vedovo, si risposò nel 1740 ed ebbe dalla seconda moglie nove figli (forse dieci). L’ottavo tra i figli di secondo letto, Antonio junior, dotato di un precoce talento, fu iniziato alla musica dal fratello maggiore, Francesco, violinista allievo di Giuseppe Tartini, e da Giuseppe Simoni, organista nel duomo di Legnago. A partire dal 1757, forse a causa di speculazioni sbagliate, la famiglia conobbe un pesante declino economico. La rovina fu aggravata dalla morte della madre, nel 1763, e da quella del padre l’anno dopo.

Salieri si trasferì a Padova, accolto dal fratello Pietro, frate in S. Antonio, e nel 1766 a Venezia, sotto la protezione di un amico del padre, il nobile Giovanni Mocenigo. Qui studiò basso figurato con Giovanni Battista Pescetti e canto con Ferdinando Pasini, tenore in S. Marco. Leopold Florian Gaßmann, giunto a Venezia per inscenare l’Achille in Sciro, ne poté apprezzare le doti e decise di portarlo con sé a Vienna. Salieri giunse nella capitale imperiale il 16 giugno 1766 e intraprese un percorso di formazione che prevedeva studi tanto letterari quanto musicali. Presentato quasi subito all’imperatore Giuseppe II, poté poi conoscere e frequentare Pietro Metastasio e Christoph Willibald Gluck.

Il debutto operistico avvenne con Le donne letterate, commedia per musica di Giovanni Gastone Boccherini (coreografo e librettista, fratello del musicista), data nel 1770 in uno dei due ‘teatri privilegiati’ (l’esistenza di una doppia sede ufficiale, il Theater nächst der Burg e il Kärtnetortheater, impedisce talvolta di accertare il luogo esatto delle ‘prime’, in mancanza di fonti che corroborino il dato generico fornito dai libretti).

Lo stesso Salieri, molti anni dopo, descrisse le fasi preliminari del processo compositivo, tutte concentrate in una sola giornata (von Mosel, 1999, pp. 26 s.; in italiano in Mozart, a cura di S. Durante, Bologna 1991, pp. 343 s.): distribuzione delle parti tra i cantanti disponibili, letture reiterate del libretto, definizione della tonalità di ogni singolo pezzo, stesura dell’introduzione e pianificazione del primo finale, con la sua articolazione in sezioni concatenate. Risalta l’attenzione rivolta in primis ai pezzi d’assieme, da parte di un musicista che nella sua produzione dette poi un apporto decisivo all’evoluzione di finali d’atto e pezzi concertati, contribuendo a fissarne le convenzioni stilistiche.

Nei mesi successivi Boccherini fornì a Salieri la pastorale per musica L’amore innocente (1770) e il divertimento teatrale Don Chisciotte alle nozze di Gamace (6 gennaio 1771), un ibrido di opera comica e ballo pantomimo, al quale contribuì il coreografo Jean-Georges Noverre, allora maître de ballet alla corte viennese.

Le relazioni intessute con Gluck e con l’ambiente riformista gli offrirono l’occasione di collaborare con Marco Coltellini, seguace accreditato di Ranieri de’ Calzabigi. Il dramma per musica Armida (Burg, 2 giugno 1771), per l’essenzialità della vicenda, la profusione di cori e recitativi obbligati e il carattere descrittivo della sinfonia, in base a un programma esplicitato sul libretto, rivelò una piena adesione al credo ‘riformato’. Malgrado l’esito favorevole, questa prima prova nel genere maggiore non ebbe seguito immediato, esiguo essendo lo spazio riservato all’opera seria nella programmazione viennese di quegli anni. Per il ritorno a un soggetto serio si dovette attendere l’azione pastorale Daliso e Delmita (Giovanni De Gamerra, Burg, 29 luglio 1776), anch’essa mossa da spinte innovative, ma non gratificata dal favore del pubblico. Salieri trovò invece aperta la strada nel genere comico, dando in pochi anni cinque opere su libretti di Boccherini (La fiera di Venezia, 29 gennaio 1772), Giuseppe Petrosellini (Il barone di Rocca Antica, 12 maggio 1772), Domenico Poggi (La locandiera, 8 giugno 1773), Carlo Goldoni (La calamita de’ cori, libretto adattato da varie mani, 11 ottobre 1774) e De Gamerra (La finta scema, 9 settembre 1775). A esse va aggiunto il dramma eroicomico La secchia rapita (Porta Carinzia, 21 ottobre 1772), che Boccherini ricavò dal poema di Alessandro Tassoni, innestandovi una parodia dell’opera seria metastasiana. Oltre a ciò, Salieri fornì in più occasioni brani da inserire in opere altrui.

La sua fama andava crescendo, se già nel 1772 gli giunse una proposta di impiego triennale nel Teatro reale di Stoccolma, rifiutata per il mancato assenso di Giuseppe II. Il 7 febbraio 1774, morto Gaßmann da un paio di settimane, poté subentrare al maestro nelle cariche di direttore dell’opera italiana e compositore di camera. L’appoggio dell’imperatore fu decisivo anche per il matrimonio con Theresia Helferstorfer, orfana di un funzionario statale. L’unione fu celebrata il 10 ottobre 1775, secondo il registro della cattedrale di S. Stefano (Lorenz, 2013). I coniugi ebbero sette figlie e un figlio: Josepha Maria Anna (1777-1834), Francisca Xaveria Antonia (1778-1837), Francisca Antonia (1781-1796), Alois Engelbert (1782-1805), Maria Anna Theresia (1784 - ?), Elisabetha Josepha (1786-1794), Catharina (1788-1849), Theresia Henrica (1790-1791). Ai primi anni di carriera risale la gran parte dell’esigua produzione strumentale di Salieri: due concerti per pianoforte e uno per organo (1773), una sinfonia (1775) e altri lavori concertanti per due o tre strumenti e orchestra. Nel 1776 Salieri fu ammesso nella Tonkünstler-Societät, associazione professionale fondata nel 1771 da Gaßmann per organizzare concerti in favore delle famiglie di musicisti defunti. In questo quadro vide la luce l’oratorio La passione di Gesù Cristo, su versi di Metastasio risalenti al 1730 (a cura di E. Biggi Parodi, Milano 2000). La composizione fu eseguita per la prima volta il 18 dicembre 1777 con il plauso dello stesso poeta (von Mosel, 1999, p. 51; per la data, Fritz-Hilscher, 2014, p. 223).

Dismessa la compagnia di canto italiana nel 1776, ridottesi dunque le occasioni di comporre nuovi lavori, Salieri ottenne un lungo congedo per recarsi in Italia (non è chiaro se con un fugace rientro a Vienna a inizio 1779). Fu dapprima a Milano, dove il 3 agosto 1778 un suo dramma per musica, Europa riconosciuta su versi di Mattia Verazi, inaugurò il teatro alla Scala.

In una serie di lettere, Pietro Verri descrisse al fratello Alessandro lo spettacolo, grandioso per impianto scenografico e abbondanza di comparse, e musicalmente variato, grazie all’innesto di cori e pezzi concertati (cfr. Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, X, a cura di G. Seregni, Milano 1939, pp. 41-43, 51, 54 s.).

Passò quindi a Venezia, per dare al S. Moisè il dramma giocoso La scola de’ gelosi (Caterino Mazzolà) nel Carnevale 1779.

In agosto diede, nel nuovo teatro alla Canobbiana di Milano, il primo atto della commedia per musica Il talismano (Goldoni; gli altri due atti erano di Giacomo Rust). Fu due volte a Roma, nelle stagioni di carnevale 1779 e 1780 del teatro Valle, con gli intermezzi La partenza inaspettata e La dama pastorella, su libretti forse di Petrosellini, e raggiunse infine Napoli, dove era stato invitato a comporre un’opera per il S. Carlo, ma la mancata proroga del congedo lo costrinse a rinunciare. Fatto ritorno a Vienna l’8 aprile 1780, contribuì al teatro nazionale tedesco patrocinato dall’imperatore con Der Rauchfangkehrer (un musikalisches Lustspiel di Leopold Auenbrugger; Burg, 30 aprile 1781) e ricevette poi una commissione dalla corte elettorale di Baviera: a Monaco nel carnevale 1782 andò in scena il dramma per musica Semiramide (fu l’unico dramma di Metastasio da lui musicato).

Solo nel 1783, avendo Giuseppe II riaperte le porte all’opera italiana, Salieri poté riprendere a pieno titolo la propria attività in Vienna. Lorenzo da Ponte, appena nominato ‘poeta dei teatri imperiali’, scrisse per lui il suo primo dramma giocoso, Il ricco d’un giorno, in cui la tradizione italiana è rinvigorita da apporti del teatro borghese d’oltralpe, collegati al tema del gioco e della rovina finanziaria e spinti nell’intonazione di Salieri ai confini del tragico, soprattutto nel finale secondo. Furono forse queste incursioni su un terreno poco battuto a decretare la caduta dell’opera, il 6 dicembre 1784 al Burgtheater, sebbene il racconto che ne fece Da Ponte nelle sue Memorie ne abbia esagerato la portata.

Salieri si rivolse allora ad altro poeta, Giambattista Casti, che per lui scrisse l’‘opera comica’ (così l’insolita denominazione) La grotta di Trofonio. Il tema della magia che ne costituisce il filo conduttore, se da un lato si presta alla caricatura delle superstizioni, dall’altro favorisce una disposizione all’incantesimo, la cui origine ariostesca è adombrata nella prefazione del libretto. Prevista per la villeggiatura della corte a Laxenburg, nel giugno del 1785, la prima rappresentazione slittò all’autunno (Burg, 12 ottobre) perché il soprano Nancy Storace, cui era destinata la parte di Ofelia, subì una temporanea perdita della voce.

La guarigione della cantante fu festeggiata in settembre con la pubblicazione di un’ode di Da Ponte, Per la ricuperata salute di Ofelia: Salieri, Wolfgang Amadé Mozart e Alessandro Cornet ne fornirono la musica per canto e pianoforte (soltanto nel 2015 è riaffiorato nel Museo nazionale di Praga un esemplare dell’opuscolo, registrato sotto il numero K 477a nel catalogo delle composizioni mozartiane).

Altre due collaborazioni con Casti riguardarono il divertimento teatrale Prima la musica e poi le parole (a cura di T. Betzwieser - A. La Salvia - C. Siegert, Kassel 2013), dato il 7 febbraio 1786 nell’orangerie del castello di Schönbrunn insieme a Der Schauspieldirektor di Mozart (K 486), e l’opera eroicomica Cublai gran kan de’ Tartari (messa in musica tra il 1786 e il 1788), intessuta di spunti satirici contro la corte russa, e per rispetto diplomatico mai rappresentata.

Negli anni centrali del decennio gli impegni viennesi si intrecciarono con tre commissioni giunte dall’Académie royale de musique di Parigi. La prima tragédie lyrique, Les Danaïdes (François-Louis Gand Le Bland du Roullet e Ludwig Theodor Tschudi, 26 aprile 1784), fu al centro di una affaire teatrale, in quanto l’esclusiva paternità di Salieri fu rivelata solo dopo il successo di pubblico, smentendo gli annunci ufficiali che parlavano di una collaborazione con Gluck. L’esito sfavorevole di una seconda tragédie lyrique, Les Horaces (Nicolas-François Guillard, da Corneille, anteprima a Versailles, 2 dicembre 1786), fu riscattato l’8 giugno 1787 dal trionfo di Tarare.

Con quel lavoro di genere nuovo (definito semplicemente opéra) il commediografo Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais aveva inteso fondere tragedia e commedia per dar vita a una sorta di drame philosophique orientale nell’ambientazione ed egualitario nell’orientamento: il protagonista è un ufficiale di umili origini, innalzato al trono dal volere popolare in luogo del tiranno spodestato.

Assecondando le teorie di Beaumarchais circa la supremazia della parola sulla musica, Salieri abolì quasi del tutto i pezzi chiusi in favore della compenetrazione di recitativo, concertato e coro. Giuseppe II, che fin dal 1784 aveva seguito da lontano le vicende parigine del suo protégé, volle riproporre l’opera al Burgtheater (8 gennaio 1788) in una versione italiana affidata a Da Ponte e intitolata Axur, re d’Ormus (dramma tragicomico). Il parziale rifacimento scontò l’attenuazione dei contenuti ideologici, ricondotti nel solco dell’assolutismo illuminato, e l’arricchimento del flusso melodico mediante l’inserzione di vari pezzi chiusi. Il riavvicinamento di Salieri a Da Ponte, favorito dall’enorme successo, si concretò, tra riadattamenti e nuove creazioni, in tre libretti per le stagioni del Burgtheater: due di genere comico (Il talismano, 10 settembre 1788, e La cifra, 11 dicembre 1789) e uno tragicomico (Il pastor fido, ispirato a Battista Guarini, 11 febbraio 1789). A metà 1789 Salieri lavorò a un altro libretto dapontiano, La scola degli amanti, ma, intonati i primi due terzetti, abbandonò il progetto per ragioni a tutt’oggi non chiarite, e il dramma finì nelle mani di Mozart (divenne, nel gennaio 1790, Così fan tutte).

La morte di Giuseppe II, il 20 febbraio 1790, scalzando sia Salieri sia Da Ponte da una posizione di favore, pose fine all’intesa, non senza accuse e strascichi polemici da parte del poeta. Salieri si dimise dalla carica di direttore dell’opera italiana, pur mantenendo quella più alta di maestro di cappella di corte, conferitagli nel 1788. Nel 1792 non gli riuscì di portare sulle scene Catilina, opera tragicomica su versi di Casti, e solo dopo il 1794 i buoni rapporti con il nuovo impresario Peter von Braun gli permisero di recuperare il terreno perduto (per lui Salieri compose in data incerta l’Armonia per un tempio della notte, un ottetto per fiati da eseguire nella tenuta di Schönau, dove si svolgevano forse rituali massonici; non si ha peraltro notizia certa di un’affiliazione di Salieri alla massoneria). Il 13 gennaio 1795 un dramma giocoso già ultimato nel 1792, Il mondo alla rovescia (Mazzolà), poté finalmente approdare al Burgtheater, seguito il 13 agosto dalla commedia per musica Eraclito e Democrito (De Gamerra). La ritrovata collaborazione con De Gamerra fruttò anche il dramma eroicomico Palmira, regina di Persia (Porta Carinzia, 14 ottobre 1795), che rievocava la spettacolarità orientaleggiante di Axur, e la commedia per musica Il moro (Burg, 7 agosto 1796).

Salieri ebbe poi da Carlo Prospero Defranceschi tre libretti per il teatro di Porta Carinzia. Se il dramma eroicomico Cesare in Farmacusa (2 giugno 1800) era ancora votato alla fastosità, gli altri due erano di genere comico e derivati dal teatro inglese: lo shakespeariano Falstaff ossia Le tre burle (3 gennaio 1799) e Angiolina ossia Il matrimonio per sussurro (22 ottobre 1800), ricavato dalla commedia Epicœne, or The silent woman di Ben Jonson (in realtà frutto di un plagio ai danni del Divorzio senza matrimonio ossia La donna che non parla di Gaetano Sertor per Giuseppe Gazzaniga, Modena 1794). Fatta eccezione per alcuni abbozzi e un’opera buffa del 1802, mai inscenata (La bella selvaggia, Giovanni Bertati), la carriera teatrale di Salieri si chiuse con una commissione per la stagione inaugurale del teatro Nuovo di Trieste (Annibale in Capua, dramma per musica di Antonio Simone Sografi, 19 maggio 1801) e un Singspiel (Die Neger, Georg Friedrich Treitschke, teatro an der Wien, 10 novembre 1804).

Il declino operistico fu compensato dall’impegno in campo ecclesiastico, come imponeva la carica a corte (cfr. in particolare le edizioni delle messe in re minore e in do maggiore, con Te Deum, a cura di J.S. Hettrick, Middleton, Wi, 2002 e 2016). Egualmente importante fu l’apporto alla propaganda legittimista con un gruppo di composizioni (cantate e brani corali) in italiano e in tedesco, che celebravano la funzione pacificatrice della monarchia asburgica in chiave paternalistica e sovranazionale. Il progressivo distacco dal teatro coincise peraltro con l’intensificazione dell’insegnamento. Ebbe una settantina di allievi di canto e di composizione: tra questi ultimi Ludwig van Beethoven, Franz Schubert e, ancora nel 1822, Franz Liszt.

Intorno al 1820 si manifestarono i primi segni della decadenza fisica, che si accentuarono nel 1823, accompagnati da disturbi mentali, fino al ricovero nell’ospedale generale di Vienna. L’allievo Ignaz Moscheles, che gli fece visita nell’autunno del 1823, trovò il maestro sconvolto dalle dicerie che lo volevano avvelenatore di Mozart.

Rinfocolata da presunte confessioni dello stesso Salieri (mai tuttavia suffragate da testimonianze dirette), l’accusa trovò un’eco nella stampa europea e dette vita a una leggenda persistente per tutto l’Ottocento e oltre, nonostante le ripetute confutazioni (fra cui, già nell’estate del 1824, quella del letterato e librettista Giuseppe Carpani, autore di una lettera apologetica apparsa nella Biblioteca italiana). Non è chiaro in che modo Aleksandr Puškin sia venuto a conoscenza della pretesa confessione: se già nel 1824, da vari giornali parigini, o più tardi, dalla Allgemeine musikalische Zeitung, che dette la notizia un paio di volte nella primavera del 1825 (attribuendo comunque le autoaccuse di Salieri ai deliri di un vecchio obnubilato). Certo è che il suo microdramma Mozart e Salieri, pubblicato nel 1831 (e nel 1898 musicato da Nikolaj Rimskij-Korsakov), tematizzò l’avvelenamento e propagò l’immagine, fallace, di un Salieri mortalmente invidioso, poi raccolta nella biografia mozartiana di Alexandre Ulybyšev (Nouvelle biographie de Mozart suivie d’un aperçu sur l’histoire générale de la musique et de l’analyse des principales æuvres de Mozart, Moscow 1843, cap. XIV), dove peraltro fu lasciata cadere l’accusa più grave. In tempi recenti, il dramma Amadeus di Peter Shaffer (1979) e l’omonimo film di Miloš Forman (1984) hanno riproposto il cliché dell’avvelenatore rancoroso, fissandolo nell’immaginario collettivo dei giorni nostri.

Morì il 7 maggio 1825 nella propria casa viennese e il 10 ricevette sepoltura nel cimitero di Matzleinsdorf. Nel 1903 la salma e il monumento funebre furono traslati allo Zentralfriedhof.

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