SURIAN, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 94 (2019)

SURIAN, Antonio

Giuseppe Trebbi

– Nacque a Venezia intorno al 1480/1483, figlio primogenito del patrizio veneziano Michele di Giovanni, e della nobile bresciana Francesca Luzzago.

La nascita nel 1479/1480 si desumerebbe dalle dichiarazioni del nonno Giovanni Surian, che presentò Antonio all’Avogaria di Comun per le prove della Balla d’oro nel 1497 e nel 1502. Ma l’ipotesi di una nascita nel 1482/1483 è resa più probabile da vari indizi: tra l’altro, un’annotazione dell’Avogaria di Comun colloca il matrimonio del padre nel 1482 (Goetz, 1961, p. 238). Antonio ebbe tre fratelli maschi, Giacomo, Bernardo e Agostino, e una sorella di cui ignoriamo il nome. Dopo la prematura morte del padre, provvidero alla sua educazione il nonno Giovanni, senatore, e lo zio Antonio, che fu patriarca di Venezia. Nei primi anni del Cinquecento studiò filosofia a Padova, dove ebbe tra i compagni di studi Gasparo Contarini e Sebastiano Foscarini. Tra i suoi maestri seguì con particolare attenzione il più celebre filosofo dello Studio, Pietro Pomponazzi.

Frutto di questo discepolato è un codice, oggi alla Biblioteca nazionale di Napoli (ms. VIII.D.81) nel quale Surian trascrisse gli appunti o recollectiones delle lezioni di Pomponazzi: particolarmente preziose le quaestiones del 1503-04, che Surian aveva ricevuto dal condiscepolo Pietro degli Oddi da Monselice, sul terzo libro del De anima e sul relativo commento di Averroè, concernenti l’immortalità dell’anima e l’unità dell’intelletto.

Nel novembre del 1505 pubblicò a Venezia, per i tipi di Cristoforo de Pensi, le proprie Conclusiones, sulla base delle quali ottenne il dottorato in artibus il 9 luglio 1506, dopo che in marzo aveva disputato pubblicamente per due giorni a Padova e per un giorno ai Frari a Venezia, in presenza del patriarca suo zio.

Compiuti gli studi, iniziò la sua carriera pubblica negli anni difficili della guerra della Lega di Cambrai. Nel 1509-10 entrò nella magistratura degli Auditori vecchi; nel settembre del 1510 fu eletto savio agli Ordini, ma la sua elezione fu annullata per un vizio di forma; nel 1511 fu Camerlengo di Comun. Il 23 gennaio 1512 fu scelto dal Senato per la sua prima missione diplomatica, come ambasciatore in Ungheria presso Ladislao II Jagellone; raggiunse Buda nella prima metà di luglio. Fu una missione difficile in un regno in grave declino. Mentre alle frontiere della Croazia premevano minacciosi i turchi e le entrate della Corona erano quasi esaurite, Surian fu testimone di gravi conflitti politici e sociali (come la fallita rivolta di György Dózsa). Sul piano delle relazioni bilaterali, fece affidamento sull’amicizia con il filoveneto cardinale Tamás Bakócz, primate d’Ungheria, per impedire che quel regno si schierasse con l’imperatore Massimiliano I contro Venezia.

Surian poté lasciare l’Ungheria dopo l’arrivo del successore Alvise Bon, alla fine di luglio del 1516; ma l’11 settembre giunse a Venezia la notizia che durante la navigazione dall’Istria l’imbarcazione su cui si trovavano l’ambasciatore e il suo segretario era stata intercettata presso Marano da soldati imperiali: imprigionato a Marano, Surian poté rientrare a Venezia solo il 13 dicembre 1516, avendo pagato una taglia di 450 ducati. Il 18 dicembre espose in Senato la sua relazione.

Nel febbraio del 1517 sposò Suordamore Contarini, figlia del patrizio Angelo q. Maffeo, dalla quale ebbe quattro figli maschi: Michele (v. la voce in questo Dizionario), destinato a divenire come il padre un celebre diplomatico, Angelo, che fu gesuita, Tommaso e Giovanni; e una figlia, Orsa, che andò sposa ad Alvise Malipiero

Nel 1517 Surian fu eletto procuratore sopra gli Atti dei sopragastaldi e il 19 novembre fu scelto come ambasciatore in Inghilterra in sostituzione di Sebastiano Giustinian; ma per decisione del Collegio la sua partenza fu rinviata fino all’aprile del 1519. Nel suo viaggio verso l’Inghilterra passò per la Francia, dove fu ricevuto a Parigi da Francesco I il 20 maggio, e raggiunse alla fine di giugno la corte inglese. Nella sua lunga ambasceria ebbe frequenti colloqui con il cardinale Thomas Wolsey e con Enrico VIII e partecipò ai grandi incontri del 1520 del re d’Inghilterra con Francesco I e Carlo V: egli fu dunque un qualificato testimone di quella fase della politica inglese in cui il giovane sovrano e il suo ministro tentarono di proporsi come elemento equilibratore del conflitto franco-imperiale, senza però disporre di forze adeguate per imporre la propria mediazione. Autorizzato al rimpatrio, prese congedo dal re e dal cardinale il 9 settembre 1523; il 21 novembre rientrò a Venezia; il 23 e il 24 dello stesso mese lesse al Collegio e al Senato la sua relazione (Sanuto, 1879-1903, XXXV, c. 226), che non si è conservata.

Il 3 gennaio 1524 Surian assunse la carica di avogadore di Comun, ma già il 31 gennaio fu eletto podestà a Brescia e il 15 maggio fece il suo solenne ingresso nella città. Come podestà, manifestò poca fiducia nella lealtà del ceto dirigente bresciano verso la Serenissima, lamentando che il Collegio dei notai e quello della mercanzia fossero soliti riunirsi all’insaputa dei rettori. Segnalò inoltre alla Signoria lo strapotere dei notai bresciani, che esercitavano un ruolo privilegiato, al di fuori di ogni controllo, nella redazione degli atti dei processi criminali.

Surian informò puntualmente Venezia sull’andamento del conflitto franco-imperiale in Lombardia; e nel marzo del 1525 fu incaricato di recarsi a Milano per congratularsi con il marchese di Pescara, Ferdinando Francesco d’Avalos, della grande vittoria di Pavia. Conclusa la podesteria di Brescia e rientrato a Venezia nel mese di agosto, alla fine di dicembre del 1525 fu eletto per la prima volta savio di Terraferma. Nell’aprile del 1526 fu scelto come ambasciatore presso Carlo V, per rallegrarsi della pace con Francesco I; ma la missione non ebbe luogo per il rapido mutamento del quadro diplomatico e la nascita della Lega di Cognac, firmata il 22 maggio di quell’anno tra la Francia, il papa e Venezia.

Nel settembre del 1526 entrò nella zonta del Senato. Dal gennaio 1527 fu savio di Terraferma. Il 26 novembre di quell’anno fu eletto ambasciatore presso la Repubblica di Firenze, che si era ribellata alla signoria medicea e aveva rinsaldato i rapporti di alleanza con Venezia e la Francia. Surian ricevette la commissione l’11 gennaio 1528. Arrivò il 29 gennaio 1528 e rimase a Firenze fino all’arrivo del successore, Carlo Cappello, alla fine di aprile del 1529.

Nella relazione finale, letta al Senato il 10 maggio 1529, Surian, che pure nutriva una sincera amicizia per lo scrittore repubblicano Donato Giannotti, espresse la meditata convinzione che la signoria costituisse la forma di governo più adatta per Firenze, perché non ci si poteva pienamente fidare del «governo populare», perennemente instabile. Si poteva quindi prevedere il ritorno dei Medici a Firenze, sia per la ferma volontà di papa Clemente VII, sia per la rassegnazione a un tale esito delle grandi casate fiorentine.

Il 31 dicembre di quell’anno fu eletto ambasciatore presso Clemente VII, con il quale ebbe la prima udienza il 26 gennaio 1530 a Ferrara, dove fu poi testimone dell’incoronazione imperiale di Carlo V. Dall’aprile seguì il pontefice a Roma: informò Venezia sulle trattative tra il papa e i fiorentini, fino alla capitolazione della città nell’agosto, e privatamente fece uffici a favore di Giannotti, perseguitato dal nuovo governo mediceo. Per conto della Repubblica ottenne la bolla di conferma del giuspatronato sulle parrocchie cittadine, ma non il diritto di presentazione ai vescovati. Rientrato a Venezia dopo l’arrivo del successore Marcantonio Venier alla fine di maggio del 1531, lesse la sua relazione il 3 luglio.

Oramai Surian faceva parte dell’élite di governo. Eletto in Consiglio dei dieci nel settembre del 1532, fu uno dei tre capi di quel potente Consiglio nel novembre del 1532, nel marzo, nel maggio e nell’agosto del 1533. Ma a Roma sarebbe nuovamente ritornato, sempre come ambasciatore ordinario presso Clemente VII, a seguito di una nuova elezione, avvenuta il 21 giugno 1533. Raggiunse la corte pontificia nell’autunno-inverno 1533-34 e rimase a Roma anche dopo la morte di Clemente VII, durante il primo anno del pontificato di Paolo III, rientrando a Venezia solo nell’autunno del 1535: lesse infatti al Senato la sua relazione il 25 novembre di quell’anno.

Dalle due relazioni di Roma, del 1531 e del 1535, balza in primo piano la figura di Clemente VII, di cui Surian descrisse vivacemente (in pagine che già prefigurano il magistrale ritratto di Francesco Guicciardini) il carattere dubbioso e irresoluto, che finiva con il vanificare l’efficacia delle sue mosse diplomatiche. L’ambasciatore veneziano denunciò inoltre con estrema durezza la tenace volontà del pontefice mediceo di riportare la sua famiglia al governo di Firenze e analizzò i suoi complessi rapporti con Carlo V, soprattutto alla luce della minaccia rappresentata per Clemente VII dal progetto imperiale di convocazione di un concilio ecumenico. Secondo Surian, le ultime aperture di Clemente VII alla Francia erano derivate dal desiderio di svincolarsi da una troppo stretta soggezione all’imperatore, senza però impegnarsi oltremodo con il re di Francia. Del nuovo pontefice Paolo III Surian, facendo un bilancio degli inizi del pontificato, osservò che non aveva mai manifestato, a differenza di Clemente VII, un’avversione preconcetta per l’idea di un concilio, ma che ben difficilmente si sarebbe lasciato persuadere a convocarlo, se non costretto. Segnalò inoltre la tensione derivante dal contrasto fra la fortissima aspirazione del papa all’innalzamento dei parenti, già manifestatasi nelle nomine cardinalizie dei due giovani nipoti Alessandro Farnese e Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, e il desiderio di dare una buona immagine di sé a un’opinione pubblica europea che aspirava alla riforma della Chiesa, che lo aveva successivamente indotto a conferire la porpora a personaggi molto più degni, come Gasparo Contarini. Era inoltre difficile prevedere se nel pontefice sarebbe prevalso il desiderio di conservare la pace in Italia (come era negli auspici dei veneziani), o se il suo temperamento collerico e inquieto lo avrebbe portato a compiere mosse avventate, così come lo aveva già indotto a rischiare una grave crisi con l’imperatore Carlo V, agli inizi del suo pontificato, per la questione del ducato di Camerino.

Surian concluse con questa ambasceria romana la sua prestigiosa carriera diplomatica, ma continuò a occupare posizioni di grande rilievo nelle maggiori magistrature veneziane: fu riformatore dello Studio di Padova nel 1536 e nel 1540; quattro volte savio di Consiglio, nel 1536, nel 1538-39, nel 1541 e nel 1542; due volte consigliere ducale per il sestiere di S. Croce, nel 1537-38 e nel 1540-41; e governatore delle Entrate nel 1539-40.

Morì a Venezia il 3 ottobre 1542.

Il 10 febbraio 1530, mentre era ambasciatore presso la S. Sede, aveva redatto il testamento in cui disponeva per la propria sepoltura a S. Servolo, in una tomba che avrebbe dovuto riunirlo con l’amatissima moglie Suordamore. Aveva diviso in parti eguali il patrimonio («tutti li mei beni stabili et mobili») tra i quattro figli maschi, pregandoli «de vivere uniti», secondo la tipica istituzione veneziana della ‘fraterna’ (Archivio di Stato di Venezia, Notarile Testamenti, b. 1204, n. 230).

La relazione della podesteria di Brescia è edita in Relazioni dei rettori veneti di Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, XI, Podestaria e capitanato di Brescia, Milano 1978, pp. 5-7; relazione di Firenze in Relazioni degli ambasciatori veneti al senato, a cura di A. Segarizzi, I-III, Bari 1912-1916, III, 1, pp. 99-122; le due relazioni di Roma in Le relazioni degli ambasciatori veneti al senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. Alberi, I-XVI, Firenze 1839-1863, s. 2, III, pp. 275-293. Regesti di dispacci diplomatici: Calendar of state papers relating to English affairs in the archives of Venice, a cura di R. Brown, II-V, London 1867-1873; Regesten und Briefe des Cardinals Gasparo Contarini (1483-1542), a cura di Fr. Dittrich, Braunsberg 1881, pp. 371 s.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 164, c. 312r, reg. 165, c. 345r; Dieci savi alle decime in Rialto, redecima 1514, b. 69, S. Stae, n. 28, b. 38, San Luca, n. 55; Segretario alle voci, Elezioni del Maggior Consiglio, reg.1, cc. 2v-3r, 8v-9r, 10v-11r, 170v-171r; Elezioni del Senato, reg. 1, cc. 3v-4r, 5r, 6v, 26v, 43v; Senato, Dispacci degli ambasciatori, Spagna, filza 2, nn. 90, 92-157, filza 3, nn. 1-57; Capi del Consiglio dei Dieci, Lettere di ambasciatori, b. 8, Firenze, nn. 66-67, b. 14, Inghilterra, n. 49, b. 22, Roma, nn. 174-223, b. 30, Ungheria, cc. n.n.; Notarile Testamenti, b. 1204, n. 230 (deperito); Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. VII, 8307 (=18): G.A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, cc. 106r, 107v.

P. Bembo, Historiae Venetae libri duodecim, Venetiis, apud Aldi filios, 1551, c. 199r; A. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare..., Venetia, Iacopo Sansovino, 1581, cc. 80v, 257v; A. Riccoboni, De gymnasio patavino [...] commentariorum libri sex, Patavii, apud Franciscum Bolzetam, 1598, c. 141r; P. Paruta, Historia vinetiana (1605), in Degl’istorici delle cose veneziane, i quali hanno scritto per pubblico decreto, III, Venezia 1718, p. 584; A. Morosini, Historia Veneta (1623), ibid., V, Venezia 1719, pp. 49, 56, 132, 159, 347; S. Pallavicino, Istoria del concilio di Trento, I, Roma 1656, pp. 21, 306, 326, 493; B. Varchi, Storia fiorentina, Colonia 1721, pp. 91, 179, 197; J. Sadoleto, Epistolae, Pars II, Romae 1760, pp. 422 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 61-63; M. Sanuto, I diarii, I-LVIII, Venezia 1879-1903, VI-VII, IX, XI-LVIII, ad ind.; F. Antonibon, Le relazioni a stampa di ambasciatori veneti, Padova 1939, pp. 16, 45, 63, 94; C. Pasero, Relazioni di rettori veneti a Brescia durante il XVI secolo, Brescia 1939, pp. 17, 31-34; L. Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, IV, 2, Roma 1956, pp. 162-164; B. Nardi, Saggi sull’aristotelismo padovano dal secolo XIV al XVI, Firenze 1958, pp. 168 s., 231, 233, 288-291, 326; F. Gaeta, Un nunzio pontificio a Venezia nel Cinquecento (Girolamo Aleandro), Venezia-Roma 1960, pp. 62, 149; H. Goetz, Die Finalrelation des Venezianischen Gesandten Michele Suriano von 1555, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XLI (1961), pp. 237-240; A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del ’400 e ’500, Bari 1964, pp. 357, 364; B. Nardi, Studi su Pietro Pomponazzi, Firenze 1965, pp. 16 s., 55, 58, 64-67, 149, 153, 156, 282, 285; L. Ranke, Storia dei papi, Firenze 1965, pp. 85 s., 92; A. Antonaci, Francesco Storella filosofo salentino del Cinquecento, Galatina 1966, p. 135; R. Starn, Donato Giannotti and his Epistolae, Genève 1968, pp. 28, 49, 72; P. Pomponazzi, Corsi inediti dell’insegnamento padovano, a cura di A. Poppi, II, «Quaestiones physicae et animasticae decem» (1499-1500;1503-1504), Padova 1970, ad ind.; A. Poppi, Saggi sul pensiero inedito di Pietro Pomponazzi, Padova 1970, pp. 12 s., 31-34, 39, 42, 50 s., 54-56, 58, 60, 73 s., 80, 83, 86, 89, 96, 104, 114, 121-124, 134, 143, 151 s., 155, 157, 159, 162; A. Antonaci, Ricerche sull’aristotelismo del Rinascimento. Marcantonio Zimara, I-II, Lecce-Galatina 1971-1978, I, pp. 47, 120, 243, II, p. 218; H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, I, Brescia 1973, pp. 253 s., 299, 319 s., 325, 329, 378, 466; D. Giannotti, Lettere italiane: 1526-1571, a cura di F. Diaz, Milano 1974, p. 36; A. Ventura, Introduzione a Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Ventura, I-II, Roma-Bari 1976, I, pp. XLVII s., XC s.; M.R. Pagnoni Sturlese, I corsi universitari di Pietro Pomponazzi e il Ms. Neap. VIII D 81, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, classe di lettere e filosofia, s. 3, VII (1977), 2, pp. 803, 805, 810-821, 832 s.; A. Ventura, Scrittori politici e scritture di governo, in Storia della cultura veneta, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, III, 3, Vicenza 1981, pp. 556, 559; N.E. Vanzan Marchini, Rotte mediterranee e baluardi di sanità: Venezia e i lazzaretti mediterranei, Milano 2004, p. 132; E. Valseriati, Tra Venezia e l’Impero. Dissenso e conflitto politico a Brescia nell’età di Carlo V, Milano 2016, pp. 110 s.

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