APOLLONIO Rodio

Enciclopedia Italiana (1929)

APOLLONIO Rodio ('Απολλώνιος ὁ Πόδιος)

Augusto Rostagni

L'appellativo di Rodio se lo applicò egli stesso nelle sue opere (Biografia anon., I), alludendo alla dimora che fece nell'isola di Rodi (di cui probabilmente ricevette anche la cittadinanza), allorquando aveva dovuto lasciare per un certo tempo la sua patria vera, Alessandria d'Egitto. Figlio di Silleo, egli era forse originario della colonia greca di Naucrati in Egitto, da lui cantata in un apposito poemetto (onde lo chiamarono anche Ναυχρατίτης). La sua vita si svolse nel sec. III a. C.; ma le date e le vicende sono terribilmente controverse, perché s'intrecciano con le più spinose questioni della cronologia e della storia letteraria alessandrina, in rapporto con Callimaco, con Teocrito, con Arato, ecc. Il punto fondamentale, su cui un papiro di recente scoperto (Oxyrh. Pap., X, 1241, p. 99 segg.) ha fatto luce, è che Apollonio Rodio, discepolo di Callimaco, coperse l'alto ufficio di bibliotecario della Biblioteca alessandrina, dopo Zenodoto e prima di Eratostene: vale a dire fra il 260 e il 230 circa a. C. Naturalmente noi non sappiamo in modo positivo che questo del bibliotecariato sia stato, come sarebbe normale, l'ultimo periodo della sua vita e si sia chiuso per la morte del poeta; anzi taluni oggi suppongono che allora, mentr'era bibliotecario e al colmo degli onori, A. venne in conflitto con Callimaco per la composizione delle Argonautiche, e a causa di ciò cadde in disgrazia, fu privato dell'ufficio, si ritirò nell'isola di Rodi. Ma l'antica tradizione biografica (Biogr. anon., II), alla quale non ci sono fondate ragioni per negare fede, dichiara proprio l'opposto: che nella sua giovinezza A., avendo manifestato con un primo saggio degli Argonauti un indirizzo di poesia contrario agl'intendimenti del maestro, fu disapprovato e si ritirò a Rodi; più tardi, riveduto il suo poema, tornò in Alessandria, dove ottenne grande fama, cosicché fu insignito dell'ufficio di bibliotecario e, morendo, fu sepolto accanto a Callimaco.

La polemica letteraria con Callimaco è stata certamente colorita ed ingigantita dalla leggenda. Tuttavia nella leggenda sussiste un fondo di vero, il quale ha molta importanza per comprendere il nostro autore e per comprendere i problemi del tempo. In parecchi luoghi di Callimaco e di altri poeti contemporanei, specialmente di Teocrito, noi troviamo allusioni satiriche contro chi pretende seguire il modello della poesia epica ciclica, contro chi pretende gareggiare con Omero e comporre poemi eroici di lunga lena. Parecchie di queste allusioni (se non tutte quante) sono certamente dirette contro il giovane dissidente, Apollonio. Contro A. è diretto, in particolare, il prologo callimacheo degli Αἴτια, testé scoperto in un papiro di Ossirinco, assai utile a illuminare tutta la controversia (Ox. Pap., XVII, 2079; v. callimaco). Leggenda o storia ci dice che per mostrare come dovesse essere composto un poema, pur ampio, ma rispondente al gusto dei tempi nuovi, Callimaco fece l'Ècale. Aggiungono anche che in quella occasione Callimaco scagliò contro il discepolo ribelle un'invettiva enigmatica in versi, intitolata ῏Ιβις. Ma se ῏Ιβις di cui parlano conteneva il materiale di storia ellenistica che ritroviamo nell'Ibis di Ovidio e che Ovidio non può verisimilmente avere desunto che dal modello greco, bisognerebbe concludere che questo ῏Ιβις della tradizione non era opera autentica di Callimaco e nei suoi enigmi non riguardava affatto Apollonio.

E che cosa aveva fatto A. per provocare gli sdegni del maestro? Si parla di una prima edizione degli Argonauti. In ogni caso doveva essere stata una semplice lettura, un saggio, un tentativo giovanile ben diverso dall'opera posteriore, che richiese maturità d'anni e assiduità di studî (gli scoliasti citano una προέκδοσις, ma questa differiva troppo poco e in minuscole varianti dall'edizione approvata). Il fatto è che l'opera degli Argonauti, così come fu pubblicata, contiene frequenti imitazioni da Callimaco, tanto dagli Αἴτια quanto dall'Ècale; imitazioni frequenti e ossequenti, senza intenzioni polemiche; il che mostra che veramente il poema, per il quale in origine c'era stato scalpore, fu pubblicato con rinnovati propositi dopo la conciliazione con Callimaco, e preparò al poeta la via del ritorno in Alessandria e gli onori.

Nella persona di A. però, prima che il poeta, è da considerare l'erudito, cultore di studî storici, grammaticali, geografici, ecc. Questi, prima di ogni altra cosa, valsero a lui la rinomanza e gli procurarono il posto di successore di Zenodoto nella direzione della grande biblioteca. Sotto la guida di Zenodoto egli si era occupato di critica del testo omerico; e a Zenodoto appunto indirizzò un'opera di tale argomento, intitolata Πρὸς Ζηνόδοτον, la quale è più volte citata nei nostri scolî a Omero (Merkel, Prolegom. Argon., p. lxxiii segg.). Scrisse pure su Archiloco (Athen., X, 451 d); su Esiodo (Auct. Argum. III ad Scut. Her.); su Antimaco di Colofone (Berliner Klassikertexte, III, 27), mostrando di apprezzare questo poeta per il quale Callimaco pronunziava giudizio avverso.

Da studî filologici e antiquarî sono poi generalmente ispirate e nutrite anche le sue opere in versi; le quali per questo aspetto corrispondono in massima al dogma callimacheo dell'ἀμάρτυρον οὐδὲν ἀείδω. Tali i perduti poemetti storico-mitologici, celebranti fondazioni (κτίδεις) di città, sul tipo dell'"Αργους οἰκιδμός di Callimaco: le fondazioni di Alessandria, di Naucrati, di Cauno, di Rodi, di Cnido; un poemetto su Canobo, in coliambi. Tale è anche l'opera maggiore di A., l'unica a noi pervenuta per intero: il poema delle Argonautiche ('Αργοναυτικά; in antiche citazioni intitolato anche 'Αργοναῦται).

Le Argonautiche comprendono 4 libri, di 5835 esametri complessivamente. I primi due libri sono nettamente distinti dagli altri, ed hanno un proemio, con invocazione ad Apollo, che serve per essi soltanto. Contengono, come argomento principale, le ragioni della spedizione degli Argonauti, l'allestimento della nave, i pericoli e le vicende del viaggio alla volta della Colchide. Ma sono arricchiti da una quantità di episodî, che potrebbero stare a sé, e che si riferiscono a leggende famose, celebrate anche da altri poeti anteriori e contemporanei: la dimora nell'isola di Lemno e l'uccisione dei mariti operata dalle donne dell'isola; la scomparsa del giovinetto Ila, rapito da una ninfa; la singolar tenzone di Polluce con Amico re dei Bebrici; la liberazione di Fineo dal supplizio delle Arpie; il passaggio attraverso alle Simplegadi, ecc. Il terzo libro costituisce veramente la parte centrale e più viva dell'opera; comincia con una nuova invocazione, non ad Apollo, ma ad Erato, Musa della poesia di amore; narra infatti come pei dardi di amore la figlia del re di Colchide, Medea, fu presa da passione per Giasone, e servì i disegni del Fato aiutando Giasone a trionfare nelle prove impostegli dall'astuzia del re. Infine il quarto libro, il più lungo e complicato, racconta l'avventuroso e penoso ritorno degli eroi, attraverso il Ponto Eusino, i fiumi Istro, Eridano, Rodano, il mar di Sardegna, le Sirti, fino a Creta, e di qui al golfo Pagaseo in Tessaglia (v. argonauti).

Evidentemente A. si era proposto d'essere l'Omero dei proprî tempi, fondendo in unico poema, di misura e di gusti adeguati (come più tardi farà, con più alto genio, anche Virgilio), tanto l'Iliade quanto l'Odissea: l'epopea della conquista e l'epopea delle avventurose peregrinazioni. La materia degli Argonauti non era ancora stata trattata in tutto il suo complesso da un poeta di grido. A. credette di poterne ricavare il poema dei tempi nuovi. Ma purtroppo i tempi nuovi non avevano nulla di eroico. L'argomento prescelto non era tale che scuotesse le intime fibre del poeta o rappresentasse agli occhi dei contemporanei qualcosa di vivo, di inerente alla loro storia e alle loro aspirazioni. Tutt'al più soddisfaceva le tendenze, che nei contemporanei erano vivissime, dei viaggi e delle avventure; richiamava, fino ad un certo punto, le gesta meravigliose di Alessandro, che ai Greci avevano aperto, o cosparso di nuove attrattive, l'Oriente. Di qui il grande sviluppo che A. dà all'elemento geografico.

Il disegno del poema è guidato da concetti dottrinali. Infatti, per quanto riguarda l'ampiezza, si applicano i limiti richiesti da Aristotele, assai inferiori all'ampiezza dell'Iliade e dell'Odissea: quattro libri, corrispondenti al "numero delle tragedie che si dànno in una giornata" (Poet., XXIV). Similmente, nella struttura del racconto, è applicato il concetto aristotelico, che non vuole si faccia alcun conto di quella unità la quale viene dall'essere unico il personaggio principale, bensì di quella unità soltanto che viene dall'azione (Poet., VIII). Perciò nelle Argonautiche manca a bello studio un personaggio principale; all'impresa cooperano suppergiù indifferentemente i varî Argonauti; soltanto in qualche caso e per speciali ragioni Giasone si distingue e sovrasta sugli altri eroi. Ma, sebbene per questa via A. abbia mirato a raggiungere una maggiore e più intima unità, non d'altro curandosi se non di scegliere un'unica azione come argomento del poema (l'azione degli Argonauti), bisogna dire però ch'egli non è affatto riuscito a dare alla sua opera vera unità, e cioè vita drammatica. Sia per l'insufficienza dello spirito suo alle opere di grande lena, sia per l'interferenza di altri principî e pregiudizî scolastici, egli è stato soverchiato dal particolare, dalla smania delle cose minute ed erudite. L'opera perciò si rompe tutta e si perde negli episodî. E negli episodî per buona ventura si esplicano le migliori virtù del poeta; il quale era fatto, come i suoi contemporanei, soltanto per le parti secondarie: per i racconti di piccola cornice, per i "quadri di genere", per gli epillî e gl'idillî. Qui la materia epica prende un non so che di arcadico e di accademico che è prettamente alessandrino; al tono eroico si mescola l'elegiaco e il romantico. La grande originale innovazione di Apollonio è stata appunto questa: di aprire nella materia epica la porta alle correnti moderne, specialmente all'elemento lirico, della donna e dell'amore, che era l'elemento più efficace e più vivo dell'alessandrinismo. Importantissima parte egli ha dato nel suo poema alla figura di Medea. Nessun altro prima di lui aveva tentato un'analisi psicologica dell'amore così profonda e così largamente sviluppata come quella che leggiamo nel III delle Argonautiche. In ciò egli è andato assai più avanti anche degli altri poeti alessandrini. Per questo le Argonautiche si sono conservate ed hanno esercitato notevole influenza sull'età posteriore; per questo sono state specialmente accolte dai Romani. Infatti Varrone Atacino e Valerio Flacco ne riproducevano l'intero disegno in poemi di uguale titolo; Virgilio, Ovidio ed altri ne imitavano, pur da vicino, singole parti. D'altronde anche il ricco materiale erudito, di cui l'opera è contesta, fu oggetto di studio: numerosi grammatici, da Carete, discepolo di A. stesso, a Teone, ne scrissero commentarî; mitografi e geografi ne attinsero dati e indicazioni.

Per la vita di A. fonti principali sono due biografie anonime, in Westermann, βιογράϕοι, p. 51; cui va messo a riscontro Oxyrh. Pap., X, 1241, p. 99 segg. I codici delle Argonautiche risalgono a due famiglie, rappresentate rispettivamente dal Laurent. 32,9, sec. XI, e dal Guelferbytanus, sec. XIII. Edizion. critiche principali: di A. Wellauer, Lipsia 1828; di R. Merkel, Lipsia 1854 (in 2 voll.; il 2° volume contiene gli scolî per cura di B. Keil); un breve apparato critico, a cura di R. C. Seaton, Oxford s. a. (Biblioth. script. class. Oxoniensis). I frammenti in J. U. Powell, Collectanea alexandrina, Oxford 1925, p. 4 segg.

Bibl.: F. Susemihl, Geschichte der griech. Literatur in der Alexandrinerzeit, I, Lipsia 1891, p. 383 segg.; G. Knaack, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, p. 133 segg.; A. Rostagni, I bibliotecarî alessandrini, ecc., in Atti R. Accademia scienze di Torino, L (1914-15), p. 241 segg.; id., Nuovo Callimaco, ecc., in Rivista di Filologia classica,1928, pp. 36 segg.; U. v. Wilamowitz, Hellenistische Dichtung, Berlino 1924, I, p. 206 segg.; II, p. 165 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, IV, ii, 2ª ed., Berlino-Lipsia 1925, p. 592 segg.

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