APOTEOSI

Enciclopedia Italiana (1929)

APOTEOSI (gr. ἀποϑέωσις "divinizzazione")

Evaristo Breccia

Il concetto dell'elevazione al grado di divinità d'un essere mortale è presso i Greci più antico della parola, che, a quanto sembra, è stata coniata nell'età ellenistica. Esseri divini discesi temporaneamente fra gli uomini potevano risalire al primiero stato, oppure uomini reali potevano essere elevati a eroi dopo la morte; più tardi si adorarono anche esseri viventi. Ogni fondatore di cittàera innalzato dopo la sua morte al grado di eroe, e, come tale, riceveva onori che mal si differenziavano da quelli tributati alla divinità. Del resto si riteneva che Eracle ed Asclepio fossero stati uomini ammessi nell'Olimpo. Tra i viventi si ricordano Alessandro di Samo, cui furono innalzati altari e sacrifici, Clearco di Eraclea, che s'era fatto adorare come figlio di Giove, Dionisio di Siracusa come figlio di Apollo. Nulla di strano quindi che Alessandro, divenuto dominatore di tanti territorî e popoli per forza di conquista, sentisse il bisogno o volentieri s'adattasse all'idea di far consacrare dalla religione la sua sovranità. Invero subito dopo la caduta di Dario pretese che innanzi a lui si prosternassero a terra (προσκύνησις: v. adorazione) i sudditi barbari, e desiderò imporre la stessa forma di saluto, però senza riuscirvi, anche ai Greci e ai Macedoni.

Più tardi, per legittimare e consolidare il suo potere, non essendo re per grazia divina, pensò che poteva applicare a sé il concetto che da secoli nella valle del Nilo era inerente alla persona dei Faraoni, considerati e amati in vita come dei. In Egitto appunto il famoso oracolo di Ammone per il primo salutò Alessandro come figlio del Dio. L'oracolo dei Branchidi presso Mileto, che per tanto tempo aveva taciuto, confermò l'origine divina del Conquistatore, e quindi l'apoteosi del sovrano del nuovo impero aveva una base teologica che pienamente la giustificava. Per lo studio dell'evoluzione del fenomeno può riuscire utile il determinare se gli onori divini furono prima da Alessandro e poi dai suoi successori apertamente rivendicati, oppure più o meno indirettamente sollecitati, o soltanto tollerati, non respinti. Ma in realtà il fatto sostanziale che ha valore e significato è questo: che in un modo o nell'altro il concetto della divinità del re, a partire da Alessandro, penetra e diviene inerente a quello di monarchia, anche pei Greci.

Il culto del sovrano venne infatti generalmente introdotto nella religione di stato delle comunità greche dell'Impero. Così gli Ionî consacrarono ad Alessandro un bosco sacro nell'Istmo; così a Megalopoli gli venne eretto un tempio, e, quando tornò dall'India, gli stati greci non mandarono al suo incontro semplici ambasciatori, ma ϑεωροί, cioè legati che si solevano inviare quando si trattava di apprestare feste per gli dei. L'elevazione ad eroe del mort0 amico Efestione voluta da Alessandro, i templi fatti da lui innalzare a questo semidio in Alessandria e nell'isola di Faro, le minute prescrizioni date per il culto e l'istituito speciale sacerdozio, di per sé avrebbero potuto costituire la base degli onori divini tributati poi ai Diadochi, ma vi è un ponte di passaggio dal culto di Efestione a quello dei Tolomei, dei Seleucidi e più tardi degl'imperatori romani: l'apoteosi di cui fu oggetto il conquistatore macedone. Tolomeo I, impadronitosi del cadavere di lui ch'era avviato all'oasi di Siva, l'aveva fatto deporre a Menfi in attesa che fosse pronto lo splendido tempio a bella posta costruito nella nuova capitale dell'Egitto. Anche gli altri Diadochi non tardarono a proclamare l'eroizzamento ufficiale di Alessandro. In principio questi fu probabilmente considerato come un semidio, ma in breve il culto s'andò sviluppando, e Alessandro fu considerato come un dio vero e proprio, o con altri dei identificato.

La prima generazione dei Diadochi, pur non pretendendo onori divini, non li respinse e anzi volentieri li tollerò, quando le vennero offerti dai sudditi. Così per esempio nel 307 ne accettacono dagli Ateniesi Antigono e Demetrio Poliorcete; così nel 380 la lega dei Nesioti consacrò in Delo un altare a Tolomeo figlio di Lago, e al medesimo, nel 304, eressero un tempio i Greci di Rodi, decretandogli inoltre il cognome di Σωτήρ, e consacrandogli una festa annua. Analogamente fecero altri popoli per Seleuco (Νικάτωρ). Non si può ancora parlare di un culto ufficiale di stato per il re vivente, ma la tappa successiva non è lontana. Fra i Diadochi della seconda generazione contribuì più di tutti a raggiungerla Tolomeo Filadelfo. Già la moglie e sorella Arsinoe dové aver ricevuto onori divini più o meno ufficiali, più o meno ufficialmente organizzati, quand'era in vita, in occasione del matrimonio (v. arsinoe), ed è certo ad ogni modo che ricevette l'apoteosi appena morta, nel 271-70, come l'avevano ricevuta i genitori Tolomeo Sotere e Berenice. Tolomeo, che le sopravvisse a lungo, accanto al culto per la moglie defunta vide (o fece) sorgere il culto ufficiale della coppia fraterna, dei ϑεοὶ ἀδελϕοί, nel quale erano insieme adorati la regina morta e il re vivo. Dato l'esempio e preso l'aire, l'apoteosi del sovrano regnante divenne presto un evento normale, indiscusso, comunemente accettato. I successori del Filadelfo, già sempre al momento della proclamazione come re, vennero consacrati con un determinato cognome. Ogni successore, d'altra parte, ebbe cura di accrescere o di far accrescere gli onori per coloro che lo avevano preceduto e per sé stesso, in modo che non si riesce a distinguere bene in che cosa consista la differenza tra il culto tributato agli dei assunti all'empireo e quello tributato al dio vivente. L'apoteosi del sovrano, le varie fasi e la progressiva evoluzione del fenomeno politico-religioso possono essere studiate in Egitto assai meglio che in ogni altro luogo, poiché per questo paese possediamo una doviziosa copia di documenti, soprattutto papiracei, ma non mancano prove abbondanti per affermare che anche i Seleucidi ebbero in vita onori divini.

Gli Attalidi, i re della Commagene, per quanto non avessero i precedenti dinastici della Siria e dell'Egitto, pure imitarono l'esempio dei Tolomei e dei Seleucidi. In Macedonia il culto ufficiale del sovrano non attecchì in modo profondo e stabile. Naturalmente il culto del sovrano assunse aspetti diversi nei diversi regni, in dipendensa delle preesistenti religioni, dei preesistenti culti nazionali e del tipo di civiltà; la diffusione e l'influenza furono inoltre determinate dalla fondazione di nuove città, poiché, già secondo le concezioni greche, al re fondatore spettavano per lo meno onori di grado eroico.

A Roma il clima storico sembrava il meno adatto al sorgere e al prosperare dell'apoteosi, ma, penetratavi dalle provincie, finì coll'assumervi forme regolari e caratteristiche, con notevoli conseguenze religiose e politiche. Giulio Cesare, il vero fondatore dell'Impero, ma ad un tempo l'ultimo (con Marc'Antonio) dei re ellenistici, tollerò da vivo onori divini simili a quelli in uso pei sovrani nelle monarchie orientali: la propria statua nei santuarî accanto a quelle degli dei; feste quinquennali, festa natalizia annua. Dopo l'assassinio, gli venne improvvisato dal popolo un altare sul posto del rogo, e poco dopo un senatoconsulto instituì il culto ufficiale del Divus Iulius. Ottaviano Augusto, assai presto assalito da offerte di sudditi delle provincie orientali che volevano divinizzarlo, agì come sempre con molta moderazione e prudenza. Dopo la vittoria di Azio, Augusto permise alle provincie d'Asia e di Bitinia di tributargli un culto, ma volle che nessun romano potesse parteciparvi, e che nel tempio e in tutte le manifestazioni il suo nome fosse inseparabile da quello della dea Roma: Romae et Augusto o meglio, in origine: 'Πώμῃ και Σεβαστῷ. Come è naturale, venne creato un sacerdozio, furono stabilite determinate feste con determinati programmi religiosi e ginnici, musicali, ecc. Le altre provincie orientali s'affrettarono a chiedere il permesso d'innalzare un tempio analogo, ed è nota la grande importanza che serba tuttora quello di Ancira (l'odierna Angora) in Galazia, sulle cui pareti è inscritta la storia delle imprese di Augusto. Più tardi (12 a. C.) sorsero altari monumentali in Ispagna e nelle Gallie. Altari si riscontrano anche in Italia. Invero sembra che il culto fino a che fu vivo l'imperatore sia stato proibito a Roma soltanto.

Dopo la morte, avvenuta a Nola il 17 settembre del 14 d. C., Ottaviano ebbe la consacrazione ufficiale dell'apoteosi; e un tempio del Divus Augustus sorse sul Palatino con un annesso collegio di sacerdoti, Sodales Augustales, composto di 21 membri scelti a sorte fra le più notevoli famiglie di Roma, ai quali erano aggregati i membri della famiglia imperiale, che ne facevano parte di diritto. A questo collegio presiedeva il Flamen augustalis. Il primo che rivestì tale carica fu Germanico. Un altro tempio sorse presso il Foro, e altari in varie parti della città. Nella tradizione letteraria troviamo descritte con ricchezza di particolari le cerimonie avvenute per la consacrazione di Augusto, quale dio, nella religione dello stato. Poiché, mentre il dovizioso rogo, circondato dai sacerdoti, dalle milizie e dal popolo, ardeva, fu vista un'aquila spiccarne il volo, se ne dedusse ch'era discesa a prendere, e quindi risalita per portare nel cielo, l'anima dell'imperatore. A un'aquila (per le donne a un pavone) si fece perciò spiccare il volo dai roghi dei successori. Questa forma di assunzione è rappresentata sulla base della Colonna Antonina e assai spesso sulle monete imperiali.

Il titolo di divus rimase specifico per tutti gl'imperatori assunti nel novero degli dei dopo la loro morte. Tiberio non tollerò per sé vivo alcun onore divino in Roma, ma già un tentativo d'innalzare in Roma stessa un tempio all'imperatore regnante venne compiuto sotto Nerone, e Claudio s'andò a mano mano avvicinando alla concezione ellenistico-orientale. Ma col solo titolo di Augustus il culto del sovrano vivente si diffuse rapidamente in tutto l'impero non solo nel capoluogo della provincia, ma anche nei singoli municipî. Soltanto nel sec. III peraltro si precisa e determina e si fissa il concetto secondo cui l'imperatore personifica e rappresenta la divinità sulla terra e quindi è adorato come un vero e proprio dio.

Appena un secolo dopo raggiunto questo stadio di sviluppo, l'apoteosi tendeva a decadere. Per quanto fosse sopravvissuta al paganesimo e il senato continuasse a proclamare dei gl'imperatori cristiani, tale proclamazione era ridotta ad una semplice forma di adulazione. Del resto, con Graziano, o poco dopo, l'apoteosi sparisce anche come formula vuota di contenuto. Sparisce, ma non si spegne totalmente, poiché ricompare nell'Impero bizantino, e l'idea ne sopravvive, in certo modo, persino nelle moderne monarchie anche occidentali, nell'idea di maestà che eleva il re al di sopra del popolo e da lui profondamente lo separa e distanzia. Perciò il concetto di apoteosi introdotto da Alessandro in quello di monarchia a cui rimane inerente, costituisce un fenomeno di profondo e universale valore storico.

Conseguenze politiche imprevedute ne derivarono nell'Impero romano, poiché, se il concilium dei deputati provinciali si riunì dapprima unicamente per celebrare le feste prestabilite, esso a poco a poco cominciò ad allargare la propria sfera d'azione, inviando ambascerie alla capitale con lo scopo di esprimere lodi o doglianze circa gli amministratori e di manifestare desiderata. Non fa mestieri insistere per mettere in rilievo quanto ciò contribuisse a risvegliare il sentimento provinciale di fronte all'Impero. (V. tavola a colori).

Bibl.: G. Maspero, Comment Alexandre devint Dieu en Égypte, Parigi 1896; E. Beurlier, De divinis honoribus quos acceperunt Alexander et successores eius, Parigi 1890; E. Kornemann, Zur Geschichte der antiken Herrscherkulte, in Klio, I, p. 56 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, IV, ii, p. 46 seg. e bibliografia ivi; Bervett, in Gnomon, IV (1928), p. 745; Herzog-Hauser, Kaiserkult, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., Suppl. IV, coll. 806-853, con ampia bibliogr.; J. Kaerst, Zum hellenistischen Kaiserkult, in Gesch. d. Hellenismus, 2ª ed., Lipsia 1926, p. 376 segg.; Schnabel, Die Begründung des hellenistischen Königskultus durch Alexander, in Klio, XIX (1923-25), p. 113 segg.; H. Berve, Die angebliche Bergründung des hellenistischen Königskultes duch Alexander, in Klio, XX (1926), p. 179 segg.; N. Ehrenberg, Alexander und Aegypten, Lipsia 1926, pp. 41-42; A. D. Nock, Notes on Ruler-Cult, in Journ. Hell. Stud., XLVIII (1929), p. 21 segg.; L. Ross Taylor, The "Proskynesis" and the Hellenistic Ruler Cult, in Journ. of Hell. Stud., XLVII (1927), p. 53 segg.; A. Strong, Apotheosis and After Life, Londra 1915, pag. 30-111; L. R. Taylor, The cult of Alexander in Alexandria, in Journ. of Class. Phil., XXII (1927), p. 162 seg.; K. Scott, The Deification of Demetrius Poliorcetes, in American Journ. Phil., XLIX (1928), p. 137 seg.

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