ARAMEI

Enciclopedia Italiana (1929)

ARAMEI

Giorgio Levi Della Vida

. Uno dei grandi gruppi etnici e linguistici in cui si divide la razza dei Semiti (v.).

Il loro nome, che è attestato in documenti cuneiformi fino dal sec. XI a. C. (v. oltre, Storia), si trova altresì nell'Antico Testamento sotto la forma ă'rām, che indica a un tempo il popolo e la regione abitata da esso, e si è mantenuto come designazione nazionale fino a tempi relativamente recenti nell'aramaico giudaico e nel siriaco. In questa lingua, peraltro, il termine armāyā ha assunto il significato di "pagano," in contrapposizione a "cristiano", probabilmente a imitazione dell'analogo uso di "Ελλην "greco" negli scrittori cristiani di lingua greca (v. Nöldeke, in Zeitschr. d. deutschen morgenl. Gesellsch., XXV, 1871, pp. 113-131). I Greci, fin da tempo antico, designarono gli Aramei col nome di Siri (Σύριοι, Σύροι), differenziato forse da Assiri ('Ασσύριοι): la sola notizia giunta fino a noi della conoscenza presso i Greci del nome indigeno degli Aramei risale a Posidonio (presso Strabone, I, p. 42), egli stesso di nazionalità aramaica; e allo stesso Posidonio (presso Strab., XVI, p. 784) è dovuta l'identificazione degli Aramei con gli 'Αρίμοι omerici (Il., II, 783), priva di qualsiasi fondamento.

Storia. - La tradizione ebraica ha conservato nella Bibbia la memoria di una stretta affinità etnica tra Aramei ed Ebrei. Questa non risulta tanto dalla "Tavola dei popoli" (Genesi, X, 22-23), secondo la quale Aram progenitore degli Aramei è figlio di Sem e quindi prozio di Eber progenitore degli Ebrei, quanto dalla lista genealogica di Genesi, XXII, 21, indipendente dalla "Tavola", secondo la quale le 12 tribù aramaiche (il numero, che ricorda quello delle tribù d'Israele, non è naturalmente da ritenersi esatto) sono rappresentate dai figli di Nāḥōr, fratello di Abramo: in questa lista Aram figura come figlio di Qemū'èl, figlio di Nāḥōr, quasi fosse soltanto una suddivisione di un'unità etnica più vasta (il nome di un altro Aram, che compare in I Cronache, VII, 14, come frazione della tribù israelitica di Aser, parrebbe indicare, se non si tratta di omonimia casuale, che una parte degli Aramei venne incorporata in quella tribù israelitica, la cui sede in tempi storici era nella parte settentrionale della Palestina, in prossimità del territorio aramaico). La sede di Nāḥōr è posta dallo scrittore biblico a Harran nella Mesopotamia superiore, e quest'ultima è chiamata Ărām Nahārayim o Paddan Ărām, con nome che indica come al suo tempo quella regione fosse abitata da Aramei; tuttavia è da ritenersi che l'antichissima tradizione riflessa nel racconto biblico (v. su tutto ciò E. Meyer, Die Israeliten und ihre Nachbarstämme, Halle 1906, pp. 234-249) sia da localizzarsi in regioni molto più meridionali, nel cuore del deserto siro-arabico, donde indizî concordi fanno supporre siano mossi tanto Ebrei quanto Aramei ad occupare le regioni che essi abitarono in tempi storici.

Un'altra traccia di rapporti primitivi tra Ebrei e Aramei è data dalla storia di Labano e Giacobbe in Genesi, XXIX-XXXI, nella quale, secondo l'abituale maniera della saga genealogica semitica, è adombrato il ricordo di una delimitazione di confini tra i due popoli ancora viventi in condizioni di normadismo: Giacobbe è andato nel deserto siro-arabico (secondo il testo attuale giungendo fino a Harran) a cercar moglie presso Labano, che gli è due volte parente, in quanto figlio del fratello di suo nonno Abramo (o nipote, poiché la tradizione oscilla tra il fare di Labano un figlio di Nāḥōr o un figlio di suo figlio Bethū'ēl) e in quanto fratello di sua madre Rebecca; ottenute Lia e Rachele, dopo venti anni di convivenza decide di separarsi da lui e, dopo un litigio intorno alla spartizione degli armenti (sui particolari del racconto v. giacobbe), suocero e genero vengono a un accordo, e il limite dei rispettivi territorî è segnato con un cumulo di pietre, cui viene dato il nome aramaico di Yegar Śahe dhūthā ("cumulo della testimonianza") e quello ebraico di Galēd o Gilād (è probabilmente il monte omonimo a E. del Giordano, che segna il confine orientale della Palestina).

Queste tradizioni, oscure nei loro particolari (e l'oscurità è aumentata dall'incertezza in cui si trova tuttora la critica nello sceverare le diverse fonti delle quali esse sembrano esser composte), sono tuttavia abbastanza perspicue nel loro carattere generale, specialmente qualora siano confrontate coi dati offerti dai documenti cuneiformi. Questi ci mostrano, nel sec. XIV a. C. (lettere di Tell el-‛Amārnah), una popolazione di Beduini detta Aḫlamē che infesta i confini orientali della Siria, minacciando i piccoli stati ivi costituiti sotto l'egida e l'egemonia dell'impero egiziano. La condizione in cui sono rappresentati gli Aḫlamē è in tutto analoga a quella dei loro contemporanei Ḫabiru, nei quali si vuol riconoscere il gruppo di tribù beduine al quale appartengono gli Ebrei e le popolazioni affini ad essi (v. ebrei: Storia); e testi cuneiformi del sec. XI a. C. li chiamano Aḫlamē Aramāia, fornendo così la prova che essi sono veramente Aramei. Ciò posto, è verosimile che la migrazione degli Aramei si sia svolta parallelamente a quella degli Ebrei e affini, provenendo dal deserto siro-arabico, e che i primi, forse trovando la Palestina già occupata dai secondi, mossi prima di loro alla conquista di terre più fertili, si siano spinti più a nord, occupando la Siria, e di là, piegando verso SE., abbiano invaso la Mesopotamia e siano scesi lungo l'Eufrate e il Tigri fino alla Babilonide. Questo processo migratorio è a sua volta analogo a quello svoltosi più tardi per opera di un'altra popolazione nomade semitica, gli Arabi, i quali dal centro della penisola andarono lentamente espandendosi di là dai confini del deserto, occupando sedi che già erano state dominio, tra gli altri, anche degli Aramei (v. arabi: Storia). Che, anche in tempi più tardi, gli Ebrei serbassero ricordo di una loro precedente vita nomade in compagnia degli Aramei può essere desunto dal passo Deuteronomio, XXVI, 5, nel quale è prescritta una cerimonia cultuale in cui il popolo d'Israele pronuncia le seguenti parole: "Mio padre era un Arameo miserabile, e scese nell'Egitto.... e divenne colà un popolo grande, forte e numeroso".

Una serie di testimonianze degli annali regi assiri (che vanno da Adadnirari I, circa 1300 a. C., fino a Sanherib, 705-682 a. C.) e delle cronache babilonesi mostra come gli Aramei (chiamati Aramu, Arimē o Arumu), avendo formato una serie di piccoli stati autonomi nella Siria, dilagassero verso la Mesopotamia, estendendosi fino ai confini dell'Armenia, e penetrassero nell'Assiria e nella Babilonide, rappresentando spesso un serio pericolo per l'integrità dei regni della valle dei Due Fiumi. Questa loro espansione spiega i nomi di Aram Naharaim (in accadico Naharina) e di Paddan Aram che, come si è visto, la Bibbia dà alla Mesopotamia settentrionale. Tuttavia la mancanza di unità politica (che è rimasta caratteristica degli Aramei durante l'intero corso della loro storia) impedì loro di porre a effetto la minaccia, ed essi furono gradatamente vinti e sottomessi dagli Assiri, sotto la completa egemonia dei quali essi si trovano a partire dalla seconda metà del sec. X a. C. (l'apogeo della potenza aramaica sembra doversi porre tra il 1080 e il 930: v. E. Unger, in Forschungen u. Fortschritte, IV, 1928, pp. 226-28); ma anche dopo quest'epoca non mancarono ribellioni e guerre che tennero seriamente occupata la monarchia assira. Più tarda fu la sottomissione degli Aramei abitanti la Siria propriamente detta, il cui contatto con gli Assiri era meno diretto: fu condotta a fine principalmente da Tiglat Pileser IV (745-722), il grande conquistatore delle regioni occidentali. Ma per gli Aramei di Siria le nostre fonti non si limitano ai documenti cuneiformi: questi sono ampiamente integrati dalle notizie della Bibbia, poiché gli Ebrei, dopo essersi stabiliti in Palestina e costituiti a stato sedentario, e specialmente durante l'età della monarchia, ebbero rapporti frequenti e intensi con gli stati aramei, coi quali confinavano a N. e a NE., e in primo luogo col più potente di essi, quello di Damasco. Sotto David (circa 1010-970 a. C.), la potenza del regno d'Israele si estese al punto di ridurre in vassallaggio i regni di Ṣōbāh (col suo re Hadad‛ezer) e di Reḥōb a S. di Damasco, quello di Ma‛akāh a N. e quello di Damasco stessa (II Re [Samuele], VIII, 3-11, X, 6-19); ma, in seguito alla divisione del regno sotto Roboamo, essi ripresero la loro indipendenza. Nella sempre rinascente rivalità tra Israele e Giuda, quest'ultimo, più debole di forze, ricercò l'alleanza di Damasco, per prendere in mezzo il nemico: così fece Asa di Giuda con Benhadad di Damasco contro Baesa d'Israele (III [I] Re, XV, 6-20, circa 900 a. C.). Sembra che fosse un successore del precedente un altro Benhadad (o forse meglio, secondo i documenti assiri, Hadad‛ezer) che, a capo di una lega di stati aramei, combatté con varia fortuna contro Acabo d'Israele (III [I] Re, XX,1-32, cfr. XXII, 3-33), e poi, alleato con lui, fu sconfitto dal re assiro Salmanassar II a Qarqar presso l'Oronte (854 a. C.). Il suo successore Ḥāza'ēl guerreggiò a lungo e con fortuna contro Israele e Giuda, alleati contro la crescente potenza aramaica (IV [II] Re, IX, 14-15; X, 32; XIII, 3, 22, cfr. VIII, 7-15), e sembra che abbia addirittura reso tributarî i due regni (egli era a sua volta vassallo dell'Assiria); ma suo figlio Benhadad II (o III) perdette le conquiste fatte dal padre (IV [II] Re, XIII, 23-25; XIV, 25). L'ultimo dei sovrani aramei indipendenti è Raṣin (Resīn), Raṣūnu dei documenti cuneiformi, del quale IV (II) Re, XVI (cfr. Isaia, VII-VIII) narra l'alleanza con Israele contro Giuda e l'assedio di Gerusalemme: Achaz di Giuda chiamò in soccorso, con l'offerta di doni, il re Tiglat Pileser IV, che prese Damasco e uccise Rasin; la Siria fu ridotta a provincia assira (732 a. C.: secondo gli annali assiri la campagna contro Damasco ebbe per motivo la ribellione di Rasin contro l'Assiria, della quale egli, come i suoi predecessori, era tributario).

Dei numerosi stati (in realtà spesso semplici città o villaggi indipendenti) aramei menzionati dai documenti cuneiformi e dalla Bibbia (a quelli ricordati sopra è da aggiungersi Geshūr, a E. del Giordano, la figlia del cui re era moglie di David e madre di Assalonne, II Re (Samuele), III, 3; XIII, 37; XIV, 23; XV, 18) soltanto due sono stati finora attestati da ritrovamenti archeologici: quello di Sam'al (v.) o Ya'udi, presso l'odierno villaggio di Zengīrlī a NO. del golfo di Alessandretta, e quello di Ḥāmah, il cui re Zkr (la pronuncia delle vocali è ignota) eresse una stele in ricordo di una sua vittoria contro una lega di stati aramei della quale faceva parte anche Benhadad I o II di Damasco, stele che è stata rinvenuta presso l'odierno villaggio di ‛Āfiṣ a 40 km. a SO. di Aleppo. L'importanza di questa documentazione monumentale ed epigrafica è grandissima; essa ci mostra come gli Aramei, passando dallo stato di nomadi a quello di sedentarî, subissero il duplice influsso della civiltà hittita (largamente diffusa in Siria) e di quella cananea. Il primo si manifesta soprattutto nell'architettura e nella statuaria di Sam'al, e va più tardi cedendo il passo all'influsso assiro; il secondo si esercitò sulla scrittura, che è da principio quella delle iscrizioni fenicie, e poi si sviluppa per conto proprio (anzi la più antica delle iscrizioni di Sam'al è fenicia anche nella lingua) e probabilmente anche su alcune istituzioni religiose. Nell'insieme l'antica civiltà aramaica quale finora ci è nota (nuove abbondanti scoperte sono da aspettarsi da un'esplorazione sistematica del ricchissimo sottosuolo archeologico della Siria) si rivela fortemente composita, ed è sorprendente il constatare come gli Aramei abbiano conservato una qualche fisionomia propria pur essendo sparsi su un territorio vastissimo, essendo divisi in molteplici stati e staterelli, e avendo subito intensamente l'influsso di tanti popoli diversi.

La fine dell'indipendenza politica degli Aramei non ne compromise l'unità etnica e linguistica; essi continuarono anzi a compenetrare la regione compresa tra il Mediterraneo e le pendici dell'altipiano iranico, tanto da finire col far prevalere la loro lingua su quella delle popolazioni indigene; fin dal sec. VIII a. C. si constata nell'ambito della civiltà assira e babilonese la grande diffusione dell'aramaico, attestata dalla presenza di nomi di persona aramaici e da brevi iscrizioni aramaiche aventi funzione d'interpretazioni o di note esplicative dei testi cuneiformi accanto ai quali si trovano: pesi iscritti, contratti di vendita o di affitto, attestazioni di pagamento, ecc. (raccolti da L. Delaporte, Les épigraphes araméens, Parigi 1912). Anche altri testi aramaici (una lettera privata pubblicata da M. Lidzbarski, in Zeitschr. f. Assyriologie, XXXI (1918), p. 193 segg., e uno scongiuro in caratteri babilonesi e in lingua aramaica pubblicato da P. Jensen, in Textee cunéiformes, VI, n. 58, 1926 s0no i soli finora conosciuti, ma essi dovettero essere molto abbondanti) mostrano quanto fosse esteso l'uso dell'aramaico nel mondo assiro-babilonese. A ciò contribuì senza dubbio la semplicità della scrittura aramaica in confronto di quella cuneiforme, ma la causa principale va ricercata nell'enorme estensione abitata da genti parlanti l'aramaico frammischiate ad altre popolazioni, che fece sì che la loro lingua divenisse una specie di "lingua franca" dell'Asia anteriore: di ciò è anche prova il singolare passo di IV (II) Re, XVIII, 26 = Isaia, XXXVI, 11, nel quale le trattative tra i rappresentanti del re Ezechia di Giuda e quelli di Sanherib assediante Gerusalemme nel 701 a. C. sono condotte in aramaico, che tuttavia, com'è esplicitamente attestato dallo stesso passo, la massa del popolo di Gerusalemme non comprendeva ancora.

Quando al dominio degl'imperi assiro e babilonese si sostituì quello persiano e nell'amministrazione dell'immenso stato furono usate varie lingue a seconda della ripartizione geografica, l'aramaico fu la lingua ufficiale di tutta la regione a occidente dell'Eufrate fino all'Egitto, com'è attestato, tra l'altro, dal ritrovamento di porzioni di un testo aramaico della grande iscrizione di Behistūn celebrante le vittorie di Dario. Ma non soltanto come lingua della cancelleria, bensì anche come parlata popolare l'aramaico si diffuse sempre più durante l'età persiana (sec. VI-IV a. C.), sopraffacendo le lingue del gruppo cananeo (ebraico, fenicio e lingue affini: si veda il tipico passo Neemia, XIII, 24, illustrante il graduale abbandono della lingua nazionale da parte degli Ebrei nei sec. V a. C.). E, a partire da questa età, numerose colonie di Aramei, militari e commercianti, cominciano a stabilirsi fuori dei confini della Mesopotamia-Babilonide e della Siria-Palestina. Soprattutto l'Egitto, con la copiosa documentazione dei papiri e degli ostraca della colonia giudaica di Elefantine (v.) e di iscrizioni provenienti da Aramei non ebrei, ha fornito la prova dell'espansione aramaica. Anche all'epoca persiana appartengono altre iscrizioni nell'Arabia settentrionale e nell'Asia Minore (tra le altre una bilingue lidioaramaica trovata presso Sardi, la capitale della Lidia), le quali mostrano sempre meglio la vastità di tale espansione.

La conquista di Alessandro Magno, ponendo gli Aramei di fronte ai Greci, segna un momento di regresso per l'aramaismo, specialmente a cagione della politica di ellenizzazione perseguita da alcuni dei Seleucidi. La fondazione di colonie greche e la diffusione della cultura ellenica finirono col far quasi cessare l'uso letterario dell'aramaico nelle città costiere della Siria, riducendolo a parlata volgare del basso popolo. Ma, d'altra parte, l'influsso aramaico andò estendendosi verso mezzogiorno durante l'età ellenistica, continuando la penetrazione dell'Arabia, soprattutto grazie all'accrescersi della potenza del regno dei Nabatei (v.), arabi di nazionalità, ma che assunsero l'aramaico come lingua letteraria; e andò intensificandosi il processo di aramaizzazione di quelle tribù arabe che la corrente migratoria portava a stanziarsi nella Mesopotamia settentrionale (v. arabi: Storia).

Durante l'età romana, pur persistendo il sopravvento dell'ellenismo in Siria, l'aramaismo riprende vigore, da un lato per la formazione del regno dei Parti, che comprendeva nell'ambito del suo dominio le popolazioni aramaiche del bacino dei due fiumi, e non solo non ne abolì il carattere nazionale, ma assorbì anzi numerosi elementi della cultura aramaica, a cominciare dalla scrittura (v. pahlavi), dall'altro lato perché il cosmopolitismo derivato dall'unificazione di quasi tutto il mondo antico sotto l'impero di Roma, favorì l'espandersi di colonie aramaiche in Occidente: sono i Syri, sparsi in tutto l'orbe romano (con procedimento analogo a quello della diaspora giudaica), schiavi, soldati, esercenti di professioni svariate, dal commercio all'ingrosso all'arte del venditore girovago, del saltimbanco, del ciarlatano; essi ebbero parte importante nel diffondersi dei culti orientali, e della loro attività religiosa esiste, tra gli altri, un cospicuo avanzo nel santuario del Gianicolo a Roma (v. F. Cumont, Le religioni orientaii nel paganesimo romano, trad. it., Bari 1913, cap. V). È noto che nel secolo III d. C., l'aramaismo trionfò con la dinastia siriaca dei Severi, e il culto solare di Eliopoli (Ba‛albek), in cui la vernice greco-romana ricopre appena il fondo aramaico, fu innalzato a dignità di religione di stato. Appunto nell'età romana (a partire dal sec. ?I a. C.) il dialetto aramaico si fissa in lingua letteraria, e questa, grazie al cristianesimo, si diffonde in tutto l'Oriente, divenendo la lingua della chiesa siriaca e costituendo il fattore più importante della cultura dell'Asia anteriore fino all'islamismo.

Se gli Aramei, a eccezione di un breve periodo di potenza sullo scorcio del 2° millennio a. C. (e neppure questo, come si è visto, con carattere di stato unitario), non hanno avuto che scarsa importanza come fattore politico, la loro funzione è stata fondamentale nella storia della civiltà. Eppure essi non possono essere ricordati come creatori di alcun grande principio né intellettuale, né artistico, né religioso, e sarebbe arduo indicare una qualsiasi manifestazione originale aramaica che abbia esercitato un influsso su altre genti (se non forse qualche divinità accolta in età antica nel pantheon assiro-babilonese). La missione degli Aramei è stata quella di assimilare e trasmettere elementi di civiltà diverse, contribuendo così più di qualunque altro popolo alla formazione e alla continuità della caratteristica civiltà dell'Oriente anteriore. Fin dall'ultimo periodo dell'età assiro-babilonese, e in misura anche maggiore durante l'età persiana, essi diffusero, insieme con la lingua, il tipo uniforme della civiltà "orientale", i cui elementi costitutivi non sono loro creazione, ma alla quale essi diedero una fisonomia e delle forme che rimasero immutate nei tempi successivi. Agli Aramei è dovuta la fissazione di particolari generi letterarî (tipico fra questi il romanzo gnomico di Aḥiqar [v.]) che sono divenuti patrimonio della letteratura mondiale; a essi la conservazione e il trasporto di credenze e culti dell'antichità babilonese (anzitutto l'astrolatria e l'astrologia); nella loro lingua, finalmente, e secondo gli schemi della loro mentalità, si sono propagate nel mondo greco-romano le due grandi religioni universalistiche, giudaismo e cristianesimo.

Avendo subito a più riprese l'influenza della civiltà greca (dapprima nell'età ellenistica, più tardi attraverso lo sviluppo della teologia cristiana), gli Aramei ne trasmisero alcuni elementi a popoli ai quali i Greci non giunsero direttamente. Ma specialmente intensa fu la loro azione entro la civiltà persiana, alla quale contribuirono e dalla quale ricevettero elementi materiali e soprattutto spirituali: idee religiose persiane penetrarono nel mondo semitico e in quello greco attraverso il veicolo aramaico, dando luogo a quelle complesse formazioni sincretistiche che ebbero così profonda influenza sullo sviluppo della religione del mondo mediterraneo negli ultimi secoli dell'età antica, dall'arricchimento della concezione israelitica del messianismo fino al manicheismo, il quale, è la manifestazione più tipica di quel sincretismo, che si diffuse per suo mezzo, attraverso l'Asia centrale, fino alla Cina, seguendo la stessa via del cristianesimo, penetrato anch'esso nell'Estremo Oriente in veste aramaica, per il tramite dei Siri nestoriani. Finalmente, gli Aramei furono, per tre volte, maestri di civiltà agli Arabi: dapprima per mezzo dei Nabatei, dai quali l'Arabia centrale ricevette quasi per intero il suo patrimonio di cultura materiale e spirituale; più tardi per mezzo delle correnti religiose che attraverso la penetrazione del giudaismo e del cristianesimo (ambedue in aspetto aramaico) introdussero in Arabia gli elementi costitutivi dell'Islām; infine, dopo la formazione dell'impero arabo-musulmano, dando agli Arabi la nozione della teologia cristiana e della filosofia e delle scienze dei Greci. L'influenza aramaica si fece sentire perfino nell'Etiopia e nell'India, dove i Siri portarono, insieme col cristianesimo, altri elementi della loro civiltà composita.

Una traccia visibile di questa vastissima azione si ha nelle molteplici ramificazioni della scrittura aramaica, che ebbe tale un raggio di diffusione che oggi, accanto agli alfabeti di origine greco-latina, tutti gli altri tipi di scrittura alfabetica (a eccezione di quello etiopico) risalgono a modelli aramaici (v. alfabeto).

Lingua e dialetti aramaici. - Il frazionamento politico degli Aramei ha fatto sì che la loro lingua è rappresentata da una moltitudine di varietà, le quali, benché siano sostanzialmente molto vicine tra loro, hanno ciascuna caratteri abbastanza definiti per poter essere considerate come dialetti distinti. Caratteristico di queste varietà è che molte di esse debbono la loro individualità all'essere state adottate da diverse confessioni religiose, sicché il particolare sviluppo linguistico di ognuna è stato determinato dal suo ambiente religioso.

Nella storia dell'aramaico si suole distinguere una fase primitiva unitaria (le differenze locali, che certo dovettero esistere, non sono quasi mai constatabili a cagione della mancanza di una notazione vocalica nella scrittura antica), il cosiddetto aramaico antico, rappresentato da iscrizioni che vanno dal sec. IX al VI a. C. A esso si collega strettamente l'aramaico egiziano, del quale da circa venti anni possediamo un copioso materiale, fornito, oltre che da iscrizioni, da papiri e da ostraca (sec. V-IV), e una fase soltanto di poco più recente è costituita dall'aramaico biblico (detto in passato caldaico), che si trova nei seguenti passi della Bibbia: Genesi, XXXI, 47 (sono le due parole citate sopra a proposito del patto tra Giacobbe e Labano); Geremia, X, 11 (è una glossa); Esdra, IV, 8-VI, 18; VII, 12-26 (raccolta di documenti d'archivio dell'età persiana - sec. V - forse alquanto rimaneggiati nella lingua, ma in sostanza molto vicini ai papiri egiziani: v. esdra); Daniele, II, 4 b-VII, 28 (lungo squarcio di epoca alquanto più tarda, redatto definitivamente nel sec. II a. C.: v. daniele). Anche altre iscrizioni posteriori al sec. VI vengono comprese sotto la denominazione generica di aramaico antico.

In una fase più recente l'aramaico si divide in due rami: l'occidentale e l'orientale, caratterizzati dalla differenza del prefisso della 3ª persona dell'imperfetto, che è y- nell'occidentale, n- nell'orientale. Al primo appartengono: 1) l'aramaico giudaico, rappresentato dal targumico, dal talmudico palestinese e dal midrascico (v. targūm, talmūd, midrāsh); 2) l'aramaico palestinese cristiano, molto simile al precedente, ma notevolmente influenzato dal siriaco, rappresentato dagli scritti dei Cristiani di Palestina (a questi due tipi di dialetti, e specialmente al talmudico palestinese, che conserva la lingua parlata nella Galilea, vanno riferite le parole aramaiche che i Vangeli riportano come pronunciate da Gesù nella sua lingua materna); 3) il samaritano (v. samaritani); 4) il nabateo, i cui documenti più tardi mostrano una graduale infiltrazione dell'arabo; 5) il palmireno, lingua letteraria degli Arabi aramaizzati di Palmira (v.). Al gruppo orientale appartengono: 6) il siriaco, il più importante di tutti per il suo grande sviluppo letterario e che presenta piccole differenze fonetiche e lessicali nei due rami orientale (nestoriano) e occidentale (giacobita); a esso si avvicina molto la lingua aramaica dei manichei, di cui finora si hanno solo poche iscrizioni e piccoli frammenti manoscritti; 7) il talmudico babilonese; 8) il mandeo, la lingua della setta gnostica dei Mandei (v.). Questi due ultimi mostrano fortissime alterazioni fonetiche e morfologiche. Altri monumenti linguistici dell'aramaico sono troppo scarsi e frammentarî perché possa determinarsene per ora con esattezza la pertinenza linguistica (iscrizioni di Ḥaṭra e di Assūr, del sec. III d. C.; un frammento pergamenaceo trovato a Dura sull'Eufrate).

Scomparso l'aramaico come lingua viva in seguito al progressivo assorbimento da parte dell'arabo, ne rimangono scarsi e miseri avanzi in via di estinzione, i quali presentano uno sfacelo quasi totale del tipo linguistico primitivo e fortissime immistioni di elementi arabi, curdi, turchi: al gruppo occidentale appartiene il dialetto dei tre villaggi di Ma‛lūlā, Bakh‛ah e Giubba‛dīn a NE. di Damasco; al gruppo orientale (neo-siriaco) il dialetto di Ṭūr ‛Abdīn presso Mossul e quello parlato intorno al lago di Urmia: quest'ultimo, usato dai Nestoriani, ha una recente produzione letteraria d'indole religiosa, suscitata da missioni protestanti americane.

Caratteri linguistici dell'aramaico. - La questione, lungamente dibattuta, se l'aramaico sia da considerarsi più prossimo all'ebraico che ad altre lingue semitiche (v. per ultimi H. Bauer e P. Leander, Historische Gramm. der. hebr. Sprache des Alten Test., Halle 1922, introduzione) può essere risolta nel senso che effettivamente le due lingue presentano una serie di particolarità comuni ehe le differenziano dalle altre, ma che molte di queste particolarità possono essere dovute al fatto che la pronuncia dell'ebraico (e specialmente il vocalismo) è stata influenzata da quella aramaica al tempo dell'introduzione dei segni masoretici (v. ebraico), mentre d'altra parte l'ebraico stesso è probabilmente la risultante di una mescolanza della lingua parlata dagli Ebrei nel periodo del nomadismo (forse molto più vicina all'aramaico che non appaia ora) con quella della popolazione cananea. E finalmente è possibile che anche l'aramaico abbia modificato il suo carattere primitivo per l'influsso di lingue non semitiche con le quali esso venne a contatto, in primo luogo quelle parlate dagli Hittiti.

Caratteristica della fonetica aramaica è il passaggio a esplosive di alcune spiranti primitive: > d (ebraico z); > t (ebr. š); > (ebr. ). Questo passaggio non ha luogo nelle iscrizioni più antiche, che seguono la fonetica dell'ebraico e del fenicio. L'esplosiva enfatica > q è più tardi > ‛ (ebr. ). Nel trattamento delle sibilanti, nel passaggio ġ > ‛ e > , l'aramaico s'accompagna all'ebraico. Più tardo, forse, è il fenomeno della spirazione delle esplosive in posizione intervocalica, comune all'ebraico (le cosiddette begadkefat: nell'ebraico è da vedersi forse un influsso dell'aramaico). Molto sviluppata è la tendenza a ridurre a e semimuta (shewāh) le vocali brevi atone in sillaba aperta (ke th ába, di fronte ad arabo kátaba, da katába, ebr. kāthábh).

Nella morfologia è innovazione aramaica (dovuta a influsso allogeno?) l'articolo posposto -ā ("stato enfatico"), che in fase più recente si estende tsnto da essere usato normalmente anche coi sostantivi indeterminati. Il verbo ha perduto quasi interamente le forme passive, sostituite da riflessivi con prefisso t-. Esiste una forma causativa con prefisso ša-, tolta probabilmente all'accadico. Frequente, più che nelle altre lingue semitiche, l'accumularsi di particelle preposizionali e congiuntive.

Nella sintassi si ha una maggior libertà di collocazione delle parole nella proposizione in confronto con le altre lingue semitiche. Frequentissimo è l'uso del pronome relativo per esprimere la relazione di genitivo.

Il lessico dei varî dialetti aramaici è ricchissimo di prestiti stranieri: comuni a tutti sono i numerosi vocaboli di origine accadica e persiana; un gruppo di voci greche, penetrato fin dall'età ellenistica, è anch'esso comune, mentre peculiare al siriaco è un'enorme massa di termini teologici, filosofici, scientifici, dovuti a influenze letterarie e non mai entrati nell'uso vivo.

Bibl.: A. Šanda, Die Aramäer, Lipsia 1902 (Der alte Orient, IV, 2); S. Schiffer, Die Aramäer, historisch-geographische Untersuchungen, Lipsia 1911; J. B. Chabot, Langues et littératures araméennes, Parigi 1910. Per la bibliografia linguistica, v. le voci relative ai singoli dialetti.

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