ARATO di Soli

Enciclopedia Italiana (1929)

ARATO di Soli

Augusto Rostagni

Visse fra gli ultimi decennî del sec. IV a. C. e la metà circa del III: durante il massimo splendore della poesia e della cultura alessandrine. Di nobile famiglia (da lui stesso celebrata in un epicedio pel fratello Myris), probabilmente egli era nato a Tarso, pure in Cilicia; ma di Soli aveva la cittadinanza; a Soli, dopo morto, gli fu eretto un monumento e la sua effigie era riprodotta sulle monete (Head, Hist. Num., p. 729), come era riprodotta quella dello stoico Crisippo, altro grande cittadino di Soli, posteriore ad Arato di qualche decennio. Per istruirsi e per farsi un nome abbandonò di buon'ora il piccolo paese paterno, e corse a quelle sedi cui correvano di solito i letterati e gli studiosi del tempo. È dubbio che egli sia mai stato nella cerchia dei poeti di Cos, come si è creduto comunemente; e che a lui siano diretti taluni idillî e talune allusioni di Teocrito. La sede più adatta per gli studî o grammaticali o filosoficî o scientifici era ancora Atene; e A. andò col fratello Atenodoro (il quale fu pure letterato) ad Atene, e frequentò non solo le scuole dei grammatici, ma, come l'uso voleva, le scuole dei filosofi, specialmente la stoica, ancora tenuta da Zenone (301-262). Ai filosofi apparteneva in generale ogni ramo dello scibile: quindi anche grammatica e scienze esatte. Può darsi che, come Callimaco, così A. abbia appreso dal peripatetico Prassifane l'erudizione letteraria; il gusto per le scienze esatte, matematica, astronomia ecc., egli lo trovava sia presso i peripatetici e gli accademici, sia presso gli stoici: ma a questi ultimi egli era specialmente legato (p. es., a Dionisio il μεταϑέμενος, discepolo di Zenone). In Atene Arato strinse relazione coi maggiori poeti e letterati contemporanei; divenne amico di Callimaco (che era non poco più giovane di lui), di Antagora Rodio, di Alessandro Etolo, ecc. Alla scuola stoica incontrò i maggiori discepoli di Zenone, tra cui Cleante e Perseo; conobbe, direttamente o indirettamente, il pretendente al trono di Macedonia, Antigono Gonata, che si professava discepolo di Zenone. E ciò fu di grande importanza pel seguito della sua vita e della sua attività, poiché quando, nel 276, Antigono Gonata salì al trono e celebrò le nozze con Fila, sorella di Antioco I Sotere re di Siria, allora alla corte di Macedonia fu invitato, non solo Perseo, ma anche A., il quale in quell'occasione compose un Inno a Pan, celebrante la vittoria da Antigono riportata sui Galli presso Lisimachia nel 277. La corte di Macedonia diventò, come quella d'Egitto, circolo di scienziati e di scrittori: Arato, Perseo, Filonide, Menedemo (fondatore della scuola d'Eretria), Licofrone, ecc. E Arato fu a Pella quello che nei medesimi anni era Callimaco alla corte di Alessandria: quasi il poeta ufficiale. Però lo stoico sovrano intendeva che il suo poeta non tanto cantasse le gesta di lui, quanto qualche grande argomento a lode dell'Universo e di Dio. Ed è probabile che di qui sia venuto ad A. l'intendimento o l'ispirazione al suo maggiore poema, i Fenomeni. Rimase A. durevolmente in Macedonia: eccetto solo (determinata forse dalle amichevoli relazioni tra le due dinastie) una non trascurabile dimora in Siria presso Antioco I Sotere; dov'egli condusse a termine una sua edizione dell'Odissea (posteriore all'edizione di Zenodoto).

L'unica opera conservata intera sono i Fenomeni (Φαινόμενα). Aveva composto poesie occasionali: inni, epicedî, elegie, παίγνια, epigrammi, una raccolta intitolata κατὰ λεπτόν, ecc. Gli attribuivano anche scritti d'astronomia e di medicina, ma con poco fondamento.

I Fenomeni constano di 1154 esametri e possono dividersi in due parti principali. La prima parte, più importante (1-732), tratta i veri e proprî ϕαινόμενα: cioè le apparizioni celesti, insieme con le leggende che al cielo si riferiscono. Precede (1-19) un proemio stoicizzante in forma di inno a Zeus e alle Muse (affine all'Inno a Zeus di Cleante); poi viene la trattazione delle stelle fisse (19-452) con un accenno ai pianeti (453-461); quindi le sfere celesti (462-524); infine lo zodiaco (525-732). La seconda parte (733-1154) ha in manoscritti recenti il titolo Διοσημίαι o Προγνώσεις e da Cicerone fu tradotta col titolo Prognostica: cioè tratta dei segni del tempo, in notevole coincidenza con lo scritto in prosa a noi conservato sotto il nome di Teofrasto.

Arato, anzitutto, non era astronomo; egli metteva in versi, ripetendola non senza incorrere malintesi, l'opera in prosa (Φαινόμενα e "Ενοπτρον) scritta dal grande astronomo, discepolo di Platone, Eudosso di Cnido. D'altra parte bisogna anche considerare che egli non era neanche un grande poeta che fosse capace di sentire quella materia e sapesse darle vita. Non aveva nulla né di Lucrezio né di Virgilio: non slancio di passione, né ricchezza di fantasia creatrice, né profondità di pensiero. Le influenze della filosofia stoica, che si possono riscontrare in più luoghi, rimangono alla superficie. Il pregio sta tutto nella perfezione formale, della lingua e del verso: imitazione omerico-esiodea secondo il più schietto gusto ellenistico.

Eppure nessun'opera consimile ebbe mai tanta fortuna. Fu l'unica opera di poesia greca che sia rimasta viva in Occidente attraverso a tutto il Medioevo. Ciò in parte dipese dai pregi formali che, presso gli Alessandrini, corrispondevano alle tendenze dei tempi; in parte alla materia che per mezzo del verso era resa accessibile a tutti. Grammatici e matematici (fra questi ultimi anche Ipparco) ne scrissero commentarî; Varrone Atacino, Cicerone, Germanico, Avieno ne fecero traduzioni in latino; altri ornarono il libro di illustrazioni che si mantennero, copiate, di secolo in secolo fino al Rinascimento.

Per la vita di A. fonti principali sono: a) un articolo di Suida; b) quattro biografie anonime greche, in Westermann, Βιογράϕοι, pp. 52 segg., e una latina; c) una serie di lettere apocrife, derivanti però anch'esse da antica tradizione biografica.

I mss. dei Fenomeni sono moltissimi; principale il Marciano 476, del sec. XI. Edizione critica fondamentale quella di E. Maass, Berlino 1893. Scolî abbastanza pregevoli, derivanti da un commentario di Teone, matematico del sec. IV d. C. Edizione completa dei commentarî in D. Petavius, Uranologium, Parigi 1630; nuova edizione degli scolî in E. Maass, Commentariorum in Aratum reliquiae, Berlino 1898.

Bibl.: F. Susemihl, Gesch. der Litt. in d. Alexandrinerzeit, I, Lipsia 1891, p. 284 segg.; E. Maass, Aratea (Philol. Unters., XII), Berlino 1892; E. Bethe, Aratillustrationen, in Rhein. Mus., 1893; G. Kaibel, Aratea, in Hermes, 1894; U. v. Wilamowitz-Möllendorff, Aratos von Kos, in Götting. Nachrichten, 1894; G. Knaack, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, coll. 391 segg.; Tarn, Antigonos Gonatas, Oxford 1913; U. v. Wilamowitz-Möllendorff, Hellenistische Dichtung, Berlino 1924, I, p. 200 segg.; II, pp. 262-76.

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