Archeologia industriale

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Archeologia industriale

Giorgio Muratore

Sulla spinta di un sistematico interessamento scientifico ai fenomeni relativi alla dinamica delle trasformazioni ambientali, la storiografia contemporanea ha progressivamente operato una serie di scelte e di notevoli passi avanti metodologici, indirizzandoli nel senso di una più generale riappropriazione di eventi, situazioni, fenomeni, manufatti, oggetti e prodotti relegati nel limbo della disattenzione critica e progettuale. Non si è trattato soltanto dell'ampliamento e dell'estensione di alcuni particolari ambiti di studio e di ricerca al di fuori e al di là dei consueti limiti cronologici e disciplinari, quanto e soprattutto di un vero e proprio salto di qualità, ove le determinanti ambientali venivano a costituire le coordinate di un nuovo 'paesaggio' metodologico. Si è venuto così a definire, con sempre maggiore chiarezza e allargandosi ad ambiti culturalmente differenti (dalla storia dell'economia e dell'industrializzazione e dall'archeologia all'architettura, dall'antropologia alla semiotica, dalla linguistica alla sociologia), un interesse nei confronti di modelli di conoscenza e d'intervento che affondano le proprie radici nella riconsiderazione degli aspetti materiali e strutturali dei diversi fenomeni. All'interno delle discipline afferenti al campo della storia si è progressivamente affermato un tipo di approfondimento e di analisi sul campo che, sviluppando un'attenzione crescente tanto ai dati quanto agli aspetti fisici e materiali dei vari soggetti indagati, ha ampliato l'interesse nei confronti delle diverse dimensioni culturali e ambientali dei fenomeni. Il vasto panorama di problematiche relative ai modi, ai tempi, agli strumenti e alle personalità facenti capo ai processi della produzione industriale si è con chiarezza orientato verso l'analisi dell'evoluzione delle tecniche e delle tecnologie alla base della dinamica dei diversi modi di produzione e definizione delle forme della modificazione ambientale.

La trasformazione progressiva dell'ambiente fisico, del territorio antropizzato, da parte di generazioni di operatori, maestranze, imprenditori, progettisti e utenti, è divenuta così oggetto di analisi sempre più approfondite. Con lo studio delle tecniche e delle metodiche attraverso le quali si è articolata la produzione industriale, si è approdati a una lettura integrata delle grandi mutazioni strutturali che hanno caratterizzato i diversi modi in cui si è espresso il rapporto tra uomo e natura, tra il mondo naturale e quello artificiale.

La natura fisica del territorio al suo stato originario, ma soprattutto l'ambiente artificiale trasformato e condizionato come ci appare, dove praticamente nulla è escluso e potenzialmente estraneo alle trasformazioni tecnologiche dell'ambiente, sono così diventati l'oggetto di studi e di progetti di salvaguardia, di trasformazione, ma anche di vero e proprio 'restauro' degli oggetti e dei luoghi. Oggetti e luoghi ove per decenni si è operata una trasformazione di tipo produttivo, che ha visto impegnate risorse energetiche e umane, ove le tracce del passato si inseguono e si sovrappongono, identificandosi, cancellandosi a vicenda, sviluppando sinergie e contiguità che formano nel loro complesso lo scenario necessario della nostra vita organizzata e che ci impegnano in un progetto integrato e globale per la nostra esistenza di domani. Modificazioni lente oppure improvvise di interi territori, nascita e morte di piccole e grandi concentrazioni urbane, di agglomerati produttivi, fabbriche, industrie che meritano un'attenzione analitica sistematica, la sola capace di indirizzare correttamente qualsiasi progetto per il futuro. In tale prospettiva, il campo che è stato toccato da quanto negli ultimi decenni è andato sotto il nome di archeologia industriale costituisce, ora che, agli inizi del nuovo secolo, le condizioni del produrre vanno così vorticosamente trasformando le loro più tradizionali connotazioni, lo scenario di vasto respiro rispetto al quale è possibile individuare interessanti prospettive operative. In sintesi, e generalizzando, si può così intendere per a. i. tutto l'arco delle discipline attinenti all'ambito della ricerca e del progetto che si indirizzano alla conservazione e al riuso, alla riscoperta e alla valorizzazione dei reperti fisici e culturali, relativi alla storia dell'industria e del lavoro a essa connesso, a partire dal periodo della rivoluzione industriale. Una enorme quantità di fabbricati industriali, macchinari, infrastrutture, abitazioni operaie, città intere, territori una volta luogo e concentrazione di attività produttive, che giace nell'abbandono o è sottoutilizzata, potrebbe essere recuperata a una nuova dimensione sia economica sia culturale.

Non si tratterebbe perciò di una rivalutazione fine a sé stessa di materiali, di manufatti, di ambienti, di documenti le cui destinazioni primarie sono obsolete sotto molteplici punti di osservazione, quanto e soprattutto della necessaria ricontestualizzazione sociale, culturale ed economica di una massa di oggetti, architetture, ambienti e dati la cui fondamentale rilevanza documentaria è stata, e continua a essere, in larga misura sottovalutata. Non si tratterà, dunque, di ricreare attorno alla 'fabbrica' un'aura o una dignità artificiali, quanto piuttosto di ripercorrere un itinerario storicamente corretto, capace di riproporne un uso socialmente utile all'interno di un progetto di ricostruzione della 'memoria' della nostra storia industriale.

Il panorama internazionale

La situazione internazionale si è andata, negli ultimi anni, arricchendo di esempi numerosi e significativi di recupero di manufatti di a. industriale. Nell'impossibilità di segnalarli nel dettaglio, si ricorderanno soltanto alcuni dei più significativi, con particolare riguardo a quelli rispetto ai quali l'intervento architettonico contemporaneo sembra aver meglio integrato e valorizzato la qualità del manufatto originale.

Tra i primi esempi va senz'altro ricordato il recupero della stazione ferroviaria d'Orsay, a Parigi, realizzata nel 1900 come edificio di testa della compagnia della linea Parigi-Orléans e iscritta fin dal 1973 nel catalogo degli edifici storici; secondo il progetto degli architetti R. Bardon, P. Colboc e J.P. Philippon e l'allestimento museale diretto da G. Aulenti, il complesso fu trasformato, a partire dal 1979, in museo d'arte moderna dedicato alla memoria storica della seconda metà dell'Ottocento. Negli stessi anni, sempre a Parigi, dopo la distruzione delle storiche strutture di Les Halles Baltard, vennero in parte recuperati gli spazi del dismesso mattatoio di La Villette che andranno poi a integrarsi con le nuove realizzazioni della Cité des sciences et de l'industrie. Sempre in area parigina sono da segnalare i progetti per il recupero del vecchio acquario del Trocadéro e quelli per la riabilitazione degli edifici delle officine Renault sull'Île Seguin a Boulogne-Billancourt da destinarsi a centro d'arte contemporanea. Sembra essere proprio quest'ultima, in più di un caso, la destinazione d'uso privilegiata, la cifra più convincente e diffusa per il recupero degli edifici industriali dismessi che ben si adattano, per dimensione e qualità dei loro spazi, a ospitare le nuove forme dell'espressività artistica. Non è un caso che tale fenomeno sia da tempo diffuso negli Stati Uniti e che una delle maggiori istituzioni mondiali del settore, la Tate Gallery di Londra, abbia scelto come spazio per il suo recente ampliamento proprio un grande edificio industriale, la ex centrale elettrica di Bankside, dismessa nel 1981. Realizzata sul progetto originario di G. Gilbert Scott, la vecchia centrale è stata ristrutturata dagli architetti J. Herzog e P. de Meuron: inaugurata nel 2000, la Tate Modern costituisce uno dei maggiori punti di attrazione per l'arte contemporanea, contribuendo alla rivitalizzazione di un'intera area un tempo destinata all'industria e alle attività fluviali. Sempre a Londra vanno ricordati gli straordinari spazi degli antichi docks, già occupati dalle attività delle grandi compagnie commerciali, prima fra tutte la West India, che pur avendo costituito un unicum nel suo genere per quantità e qualità dei manufatti realizzati a cavallo tra il 18° e il 19° sec. e che ispirarono, tra gli altri, architetti come J. Soane e K.F. Schinkel, sono stati manomessi e in gran parte distrutti.

La definitiva deindustrializzazione del più cospicuo nucleo di attività produttive, minerarie e siderurgiche d'Europa, quello del bacino della Ruhr, ha consentito in quella regione della Germania di portare a termine il più complesso programma di interventi di a. i. sin qui realizzato. Si tratta di un cospicuo numero di interventi tesi a recuperare e valorizzare l'immenso patrimonio industriale abbandonato, proponendone un uso integrato e capace di coniugare i temi e le problematiche della conservazione con quelli della valorizzazione a fini culturali, ricreativi, turistici, ecologici e ricettivi. Svolgendosi lungo un itinerario di quasi 400 km, la direttrice viaria intitolata alla Industriekultur si è avvalsa di un programma integrato di interventi e, prendendo ispirazione dalle iniziative dell'IBA (Internationale Bauaustellung), svolte dal 1989 al 1999, che ha lavorato sui complessi industriali salienti ospitati nello Emscher Park, si è ulteriormente sviluppata attraverso un piano poliennale di grande impatto territoriale in grado di effettuare oltre un centinaio di interventi puntuali. Il territorio di 17 comuni della regione (Duisburg, Oberhausen, Mülheim an der Ruhr, Bottrop, Essen, Gladbeck, Bochum, Gelsenkirchen, Recklinghe ausen, Herne, Herten, Castrop-Rauxel, Waltrop, Lünen, Dortmund, Kamen e Bergkamen) ha ospitato le diverse iniziative che, oltre al recupero dell'ingente patrimonio abbandonato, hanno avuto come obiettivo il più generale riassetto ecologico del territorio. Tra gli episodi più significativi di questa gigantesca opera di bonifica, riconversione e valorizzazione, vanno almeno ricordati gli episodi di Duisburg e di Oberhausen.

Il Landschaftspark di Duisburg-Nord si estende su un'area di 2 milioni di m2, precedentemente occupata dalle acciaierie Meiderich della società Thyssen, è gestito con fondi regionali e comunali ed è sede di molte funzioni e attività di svago. Il vecchio stabilimento è stato trasformato in uno scenario di forte suggestione, utilizzato come palcoscenico da studi televisivi e fotografici, gruppi musicali e teatrali. Il riutilizzo degli spazi delle acciaierie è organizzato lungo itinerari panoramici che consentono di accedere agli altiforni (fino a 85 m di altezza); alcune pareti degli impianti sono state trasformate in palestre per il free climbing; i gasometri sono diventati piscine per scuole di sub. Numerosi i giardini botanici, le piste ciclabili e le strutture ricreative (discoteche, bar, ristoranti, spazi espositivi), ma anche le scuole e i laboratori per la formazione e l'occupazione. Altro episodio centrale è il gigantesco gasometro di Oberhausen, uno dei simboli monumentali dell'a. i. della Ruhr. Questo imponente edificio (117 m di altezza per 68 di diametro) è stato recuperato per iniziative culturali: un ascensore permette di raggiungerne la sommità, dalla quale si gode una straordinaria veduta del bacino fluviale dell'Emscher.

Quella dei gasometri rappresenta una tipologia di edilizia industriale tra le più diffuse e affascinanti, messa fuori uso dalla recente diffusione delle reti metanifere transcontinentali; particolare interesse riveste quindi la possibilità di un loro recupero funzionale oltre che simbolico. Alla fortunata esperienza di Oberhausen va affiancata quella relativa ai quattro monumentali gasometri viennesi, localizzati nell'area industriale di Simmering, realizzati negli ultimi anni del 19° sec., e che costituiscono, nell'insieme, un episodio unico per dimensione. Sulla scorta dei progetti elaborati in occasione di un importante concorso internazionale, che è stato bandito nel 1995, sono state operate la selezione e l'elaborazione di una serie di proposte che ne hanno consentito forme diverse di recupero, dalle attività culturali e musicali alla più inedita formula di recupero per fini residenziali. Affidati a quattro diversi progettisti, J. Nouvel, Coop Himmelb(l)au, M. Wehdorn e W. Holzbauer, che ne hanno curato la relativa trasformazione, i quattro giganteschi edifici, che ospitavano le strutture telescopiche dei serbatoi dismessi, costituiscono una delle più significative esperienze di recupero archeologico-industriale ove la contaminazione con i linguaggi architettonici contemporanei ha consentito esiti formali di sicuro interesse.

Quasi tutte le nazioni europee hanno sviluppato in questi ultimi anni un evidente interesse per il fenomeno archeologico-industriale dimostrando, in tal modo, una diffusa sensibilità al tema del recupero e della documentazione di una memoria storica strettamente connessa con le problematiche del restauro degli edifici di architettura moderna e con le tematiche relative al riuso delle aree industriali dismesse. Officine, depositi, mercati e impianti sono stati restituiti all'uso collettivo con particolare attenzione alle dimensioni sociali e ambientali delle nuove destinazioni funzionali. Da Amsterdam, con i depositi della Compagnia delle Indie occidentali lungo il canale Oude Schans, a Bratislava con il suo centralissimo mercato coperto, dalla Lichthaus e dal Packhaus di Brema, alle Halles Saint-Géry e al complesso Tour et Taxi di Bruxelles, dal mulino Assan e dalla Officina Elettrica e quella Pirotecnica di Bucarest alla rimessa tramviaria di Cracovia, dalla officina idroelettrica di Ginevra all'antico complesso siderurgico belga di Grand-Hornu al Museum der Arbeit di Amburgo a quello di Roubaix che ospita Le Centre des archives du monde du travail nel complesso della ex filatura Motte-Bossut, fino al Gasometro di San Pietroburgo o ai magazzini Rotermann e all'ex deposito del sale di Tallin, in Estonia, è stato tutto un fiorire di iniziative di valorizzazione e di recupero di manufatti dismessi e recuperati, di frequente, in maniera esemplare.

Il caso italiano

Venendo al nostro Paese, non v'è chi non veda l'ampio spazio che è stato recentemente assegnato alle tematiche connesse all'a. i.; tuttavia, è evidente quanto e come i risultati soltanto raramente siano convincenti. In questi ultimi anni, fra il 20° e il 21° sec. una serie numerosa di iniziative e proposte ha segnato il dibattito culturale; mostre, convegni, dibattiti, pubblicazioni, singoli progetti hanno concorso alla definizione di una nuova sensibilità rispetto al problema della salvaguardia, del recupero e dell'attribuzione di significati e funzioni nuovi alle tracce del passato industriale italiano. Tracce tanto diffuse quanto importanti per la definizione della nostra stessa storia, non solamente economica, e che impongono di mettere a punto adeguate strumentazioni di intervento.

Un primo censimento generale delle risorse è in atto ed è una tappa necessaria rispetto alla quale potranno essere messe a punto tutte le altre fasi operative. Non essendo infatti pensabile l'estensione acritica di un atteggiamento conservativo tout court applicato a tutte le testimonianze del passato industriale italiano, sarà necessaria una strategia complessiva e convincente capace, da un lato, di consentire il recupero e la valorizzazione dei reperti più significativi delle diverse situazioni produttive e, dall'altro, adeguata a consentirne una più produttiva forma di salvaguardia complessiva. Se sarà così necessaria una presa d'atto del fenomeno anche sul piano artistico e documentario (conservando e tutelando adeguatamente gli oggetti e i manufatti di più significativa personalità, fabbriche, macchine, documenti, archivi, materiali pubblicitari, amministrativi, tecnici ecc.), non sarà, d'altro canto, pensabile sottoporre a vincoli antistorici e inutili, se troppo diffusi ed estensivi, l'intero patrimonio archeologico industriale che solo potrà essere valorizzato da un'intelligenza complessiva delle potenzialità e dei valori dei singoli oggetti presi in esame all'interno del loro contesto storico e ambientale. Evidentemente il problema è ormai definitivamente uscito dalla dimensione accademica e prevalentemente storico-artistica ed economica che l'aveva accompagnato per circa vent'anni, per dilagare nel territorio della vera e propria progettualità con ampi addentellati di ordine urbanistico, gestionale e finanziario. C'è una bella differenza, infatti, tra le pionieristiche e artigianali iniziative organizzate e promosse, ancora alla metà degli anni Settanta, da E. Battisti e le tante altre successive, sempre sul medesimo tema, 'sponsorizzate' da grandi imprese pubbliche e private con l'evidente intento di dare un senso nuovo alle riflessioni sulla propria storia, ma altrettanto e non ingiustamente attente anche alla più complessiva valorizzazione del loro patrimonio, non soltanto culturale.

I casi emblematici della Bicocca a Milano, del Lingotto a Torino, delle aree portuali di Genova, Trieste, Livorno, Ancona, Palermo, delle zone industriali di Napoli e di Roma, solo per fare qualche esempio emblematico, bastano a testimoniarlo. A questi si affiancano la miriade di altri casi specifici che, ognuno per suo conto, costituisce, di per sé, un'occasione significativa estesa puntualmente sull'intero territorio nazionale. Naturalmente, esistono differenze rilevanti da regione a regione e da città a città, ma il senso di una necessaria e complessiva presa d'atto del problema come fenomeno di importanza nazionale appare evidente e palese agli occhi di tutti.

Tra le più interessanti forme di recupero archeologico industriale portate a termine nel nostro Paese vanno quindi ricordati, almeno, i casi ove la nuova destinazione d'uso a prevalente destinazione artistico-museale ha consentito una straordinaria sinergia, capace di innescare forme di reciproca valorizzazione tra contenuti e contenitori.

Tra gli altri, questi sono i casi esemplari di Biella, Città di Castello e Roma dove sono state portate a termine operazioni di sicuro e positivo impatto. Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, sorta a Biella nel 1998 per iniziativa di M. Pistoletto, è un vero e proprio laboratorio interdisciplinare della creatività artistica contemporanea, ospitata in una vecchia fabbrica di filati. A Città di Castello la Fondazione Burri ha allestito, su progetto dell'architetto A. Zanmatti, probabilmente il più attento tra i vari professionisti italiani impegnati nel recupero di vecchi impianti industriali dismessi, negli spazi degli ex essiccatoi del tabacco tropicale, una delle più affascinanti collezioni di arte contemporanea dedicata al maestro umbro.

A Roma, negli spazi della ex centrale elettrica Montemartini nel cuore del quartiere Ostiense, a pochi passi dal grande gasometro, dai mercati generali e dall'ex mattatoio comunale, è stato allestito un importante museo di reperti archeologici che dialogano con grande energia espressiva con le gigantesche macchine conservate all'interno degli spazi della centrale. Ancora a Roma, e sempre con destinazione artistico-museale, sono stati recuperati gli spazi delle ex scuderie delle industrie Peroni, che ora ospitano il Museo d'arte contemporanea Roma (MACRO), istituzione che gode anche di alcuni padiglioni nell'ambito del riuso generalizzato dell'ex mattatoio all'Ostiense, come pure quelli degli ex depositi militari al quartiere Flaminio, utilizzati solo parzialmente e che ospitano le attività del nuovo MAXXI (Museo nazionale delle arti del xxi secolo).

bibliografia

E. Battisti, Archeologia industriale. Architettura, lavoro, tecnologia, economia e la vera rivoluzione industriale, Milano 2001; I. Tognarini, A. Nesti, Archeologia industriale. L'oggetto, i metodi, le figure professionali, Roma 2003; G. Papuli, Archeologia del patrimonio industriale. Il metodo e la disciplina, Perugia 2004.

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