Architettura

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Architettura

Gianfranco Spagnesi
Guido Nardi

(IV, p. 63; App. II, i, p. 229; III, i, p. 122; IV, i, p. 150; V, i, p. 203)

La voce architettura, presente sin dall'inizio nell'Enciclopedia Italiana, venne redatta da G. Giovannoni, che cercò di definire lo statuto della disciplina rileggendola alla luce della triade vitruviana utilitas, firmitas e venustas e tracciandone poi una storia sintetica sino al 19° secolo. Ne venivano successivamente illustrati alcuni problemi teorici senza riferirsi a un esame puntuale delle opere contemporanee. La descrizione delle opere architettoniche compariva sotto i lemmi delle città italiane e straniere, mentre nella voce italia (XIX, p. 1000), Giovannoni inserì il paragrafo Tecnica costruttiva nel sottolemma Arte; dalla II alla V App. la trattazione relativa agli Stati nazionali comprendeva anche il sottolemma Architettura. Nell'App. II, G.C. Argan ha offerto, nella voce architettura, un ampio panorama degli accadimenti, storicizzando il nascere e l'affermarsi del cosiddetto Movimento moderno, e M. Tafuri ha sviluppato la stessa impostazione nell'aggiornamento della voce nella III Appendice. D'impegno teorico la trattazione di B. Zevi nella IV; e infine, S. Benedetti, narrando gli ultimi esiti del Movimento moderno, ha proposto nell'App. V l'individuazione del momento della sua crisi. In questa Appendice viene introdotto il paragrafo Le tecnologie dell'architettura, che affronta sistematicamente il tema storicizzandone i contenuti, un argomento trattato, con riferimento ad alcuni aspetti specifici, in varie voci: in edilizia (XIII, p. 460; App. II, i, p. 816; IV, i, p. 626; V, ii, p. 23) che, a partire dall'App. IV, presenta una selezione tipologica dell'attività costruttiva con il sottolemma Settori di intervento; in prefabbricazione, lemma introdotto nella III App. (ii, p. 474) e aggiornato nella V (iv, p. 235), mentre nella IV (iii, p. 49) appare con un rimando a struttura; quest'ultima voce presenta nell'App. III (ii, p. 857) il sottolemma Architettura, mentre nei successivi aggiornamenti (App. IV, iii, p. 504; V, v, p. 313) è suddivisa, in riferimento all'ingegneria civile, in specifici sottolemmi (Strutture in acciaio; Strutture antisismiche; Strutture prefabbricate; ecc.).  *

L'architettura contemporanea

di Gianfranco Spagnesi

L'a. dell'ultimo venticinquennio del 20° sec., ricca di manifestazioni e ricerche anche molto distanti tra loro, non può essere riguardata come un percorso unitario, un momento di una evoluzione continua, tanto forte da poter condizionare canoni di comportamento futuri. Si può dire, al contrario, che l'insieme delle esperienze figurative, spesso in aperto contrasto tra loro, pur mostrando un ventaglio molto ampio di riflessioni e di proposte, sembra inadeguato a indicare un impegno di studio che possa svilupparsi nel tempo. È molto difficile, in questo preciso momento storico, la definizione di un quadro di riferimento univoco entro cui ricondurre le diverse linee di tendenza della ricerca figurativa: fatto, questo, di per sé non necessariamente negativo, ma che dev'essere comunque registrato come caratteristica dominante di questi ultimi anni del secolo. Prenderne atto e capirne i motivi significa compiere un atto di doveroso rigore critico, indispensabile bilancio di una stagione creativa che, forse, potrebbe anche dirsi conclusa. Tutto ciò apparirà ancora più chiaro considerando che, pur in presenza di notevoli personalità, queste non possono essere considerate veri e propri 'maestri', capaci non soltanto di proporre una continua novità di soluzioni, ma anche di far esistere e sostenere la formazione di linee di ricerca capaci di svilupparsi al di fuori della propria personale esperienza. Al contrario, si è in presenza di un gruppo ampio di personaggi, molto noti e professionalmente affermati, impegnati in ricerche figurative personali e particolari, ma mai tanto forti da divenire, da sole, protagoniste: solo 'tendenze' diverse, alimentate dalla pubblicistica internazionale.

L'origine di questo fenomeno va identificata nel progressivo esaurirsi del rapporto stabilito tra la ricerca architettonica e i suoi contenuti ritrovati nell'impegno politico-sociale, a causa delle rapide trasformazioni della società contemporanea, sotto la spinta di eventi storici di grandissima rilevanza che si susseguono l'un l'altro senza interruzioni. In tal modo l'a. è uscita di fatto da questa dipendenza che è stata forse l'equivoco di fondo di tutto il Movimento moderno: un passaggio, questo, tuttavia molto positivo che recupera al presente l'autonomia dell'a., non più considerata come rispecchiamento di eventi politico-sociali. Era stata questa l'idea del Movimento moderno esaltata dalla critica storica durante gli anni Cinquanta e Sessanta (Zevi 1950, Benevolo 1960, e più tardi Tafuri, Dal Co 1976), piuttosto che dal reale contenuto espresso dai suoi protagonisti. Naturalmente, questa interpretazione della storia architettonica si è accompagnata spesso con la coincidenza tra 'modernità' e progresso tecnico-scientifico (Giedion 1941). Tutte queste posizioni, oggi, non sembrano più attuali né opportune e ad esse può solo riguardarsi come a esperienze critiche che fanno parte di diritto della cultura architettonica del nostro più recente passato. D'altronde, il continuo mutare di tutti i valori, prodotto dagli avvenimenti dell'ultimo trentennio, è dimostrazione della grande difficoltà di verificare i contenuti dell'a. contemporanea in riferimento a un contesto politico-sociale ideale, per l'impossibilità di definire modelli reali e precisati cui riferire un giudizio di questo tipo. L'a. ha, in tal modo, riguadagnato la sua essenziale qualità di dare soluzione figurativa allo spazio fisico costruito dall'uomo in un preciso momento storico, di cui è partecipe manifestazione, parte anche rilevante e rappresentativa: un'essenza che va al di là di ogni giudizio morale che non appartiene mai al fare 'storia' o al fare 'architettura'. In questo senso, l'a. contemporanea sta manifestando, sia pure inconsciamente, questo fondamentale carattere, anche se identiche esperienze possono appartenere indifferentemente a contesti politico-sociali anche molto distanti tra di loro, oppure la diversità si confronta all'interno di ristretti ambiti nazionali, spesso come fenomeni di importazione da lontane realtà culturali. Tutto questo è dovuto alla precedente grande diffusione del cosiddetto International Style, che ha appiattito l'eredità del razionalismo, per essere sempre simile in ogni latitudine e nelle diverse organizzazioni comunitarie. Tutto il dibattito di questo ultimo venticinquennio, in parte mirato anche al superamento delle sue caratteristiche stilistiche, è avvenuto in un contesto sociale e culturale già assuefatto e reso indifferente alla qualità delle attuali ricerche figurative dell'a. contemporanea. Nessuna tendenza appartiene, in particolar modo, ad una specifica area geografica o politica. La vicenda pur fondamentale di Berlino (che ha inizio con l'IBA, Internationale Bauausstellung, fra il 1979 e il 1987) ha messo in evidenza la coesistenza, niente affatto dialettica, tra le diverse esperienze stilistiche: tutta una serie di 'monumenti singolari', prodotti dai più noti protagonisti del momento presente. Ignorare tutto ciò, o solo non metterlo nel debito risalto, equivarrebbe a una mancanza di rigore critico che non tiene conto della concreta realtà del momento attuale, e a voler riproporre, inutilmente, un'esegesi del 'moderno' contemporaneo al di fuori di ogni verifica storica.

Un altro aspetto del problema è l'indifferenza delle a. contemporanee al contesto urbano a cui appartengono, malgrado, in alcuni casi, i riferimenti dichiarati alla memoria del genius loci, o la ricerca di forme povere suggerite dai materiali naturali dei luoghi. È questa una delle caratteristiche più contraddittorie del momento attuale che, pur affermando l'organicità delle soluzioni figurative rispetto al preesistente, ripete l'errore dell'International Style, proponendo spesso eclettismi figurativi facilmente riconoscibili. Naturalmente, l'incapacità tanto di progettare una 'forma' per la città che di stabilire un preciso rapporto con le tradizioni culturali locali rappresenta due aspetti di uno stesso problema: quello di saper trovare un rapporto tra storia e a., che non può più essere ignorato come agli inizi del Movimento moderno e in specie di quello razionalista.

La città è, di fatto, il luogo dove maggiormente si concentrano le testimonianze del passato delle singole comunità umane che, attraverso la costruzione o la trasformazione di un proprio spazio fisico, manifestano i valori più importanti, tanto storici che artistici. In questo senso, sia la cultura dei pionieri del Movimento moderno sia quella contemporanea non hanno saputo risolvere il problema di trovare un rapporto possibile tra antico e nuovo. Malgrado l'affermarsi sia delle discipline storico-architettoniche nelle scuole di a. (in specie italiane) sia di un nuovo, profondo rispetto per i cosiddetti centri storici, le nuove a. sembrano ignorare ogni rapporto con i valori dello spazio costruito preesistente. La scelta, sempre più diffusa, di volute dissonanze, appare fondata non su un processo conoscitivo, storico-critico, ma piuttosto sull'empirismo di letture morfologiche o su aprioristiche volontà espressive. Per di più tutta l'urbanistica, anche a livello teorico, sembra privilegiare le ricerche economico-sociali, i programmi di sviluppo e le politiche di piano, rinunciando a progettare la forma architettonica della città. In tal modo, urbanistica e a. hanno, spesso, seguito strade molto distanti tra di loro, tanto che difficilmente si confrontano, né reciprocamente si supportano per definire un precisato spazio urbano.

È stato anche evidente il fallimento dell'urbanistica come metodo di solo controllo e di gestione dello sviluppo urbano attuale: un obiettivo questo, della fine degli anni Sessanta che, ancora una volta, si fondava sulla presupposta capacità 'politica' degli architetti di formulare e guidare programmi di sviluppo economico sul territorio. Tuttavia, negli stessi anni, si doveva registrare anche l'incapacità dell'a. di proporre soluzioni per la città: tutte le proposte megastrutturali, da quelle grandissime di K. Tange (piano per Tokyo) e di J. Lubicz-Nycz, a quelle di dimensioni più ridotte come l'unità di abitazione di Montreal (M. Safdie, 1967), sino al quartiere romano di Corviale (la 'Casa lunga un chilometro' di M. Fiorentino, 1973-82), malgrado l'interesse dei loro programmi, non hanno certo risolto il problema. A tutte queste esperienze, che pur hanno affrontato a livello architettonico la 'forma' della città, è comune sia il limite di riguardare a un habitat umano come a una 'macchina', sia quello, già evidenziato, di non proporsi alcun rapporto con le preesistenze: fatto, quest'ultimo, derivato dalla mancanza di un qualsiasi rapporto tra 'storia' e 'progetto' dell'architettura.

Nelle scuole di a., infatti, l'insegnamento della storia dell'a., all'inizio inteso come una storia degli stili architettonici, eredità dell'a. dell'eclettismo storicistico, viene proposto prevalentemente come conoscenza della storia artistica e culturale dell'architettura. Il superamento necessario di qualsiasi 'storia' capace di proporre modelli architettonici e di ogni possibile finalizzazione della ricerca storica conduce all'isolamento di questa disciplina da quelle compositive: la storia è intesa soltanto quale fondamento della formazione culturale dell'architetto - come certo è necessario che sia - e non come conoscenza della realtà dello spazio attuale su cui si deve intervenire con il 'progetto'.

Soltanto il progetto del restauro di monumenti è stato fondato sui risultati della ricerca storica (restauro critico), anche se troppo spesso questo viene confuso con la sola conservazione dei materiali dell'a., indagati unicamente con lo studio delle cause del loro degrado: in questo secondo caso alla storia è riservato esclusivamente il ruolo di riconoscere i valori e l'artisticità di ogni singola architettura. D'altro canto, gli architetti-storici dell'a. sono stati capaci di proporsi soltanto o come 'critici' dell'a. contemporanea per scoprire nuovi talenti e tendenze emergenti, o come cultori dell'a. intesa come arte del passato, da interpretare ricostruendone i contesti culturali, i processi di progettazione, e l'approfondimento di ogni diverso lessico grammaticale. Vero è che si è recuperato l'ostracismo dato alla storia dal Bauhaus, e mai dimenticato; così è stato importante il contributo dato, con nuove e più puntuali interpretazioni, alla storia dell'arte e alla diffusione della cultura architettonica contemporanea: ciò che non si è raggiunto è un precisato rapporto tra storia e progetto dell'a., che non può dirsi risolto soltanto con l'acquisita conoscenza delle manifestazioni, culturali e artistiche, dell'a. nel tempo. A questa, pur indispensabile, conoscenza si deve accompagnare la memoria, propria della storia, il ripercorrere cioè i processi di trasformazione che hanno determinato la realtà attuale nella quale si interviene con il progetto, riconoscendone le singole fasi, il valore e le diverse tracce superstiti (le preesistenze). Si avrà, in tal modo, la possibilità di pensare a un progetto che, sempre libero da ogni tipo di vincolo, fonderà le proprie scelte sull'accettazione o meno di valori acquisiti con la conoscenza storica, in modo che tanto la continuità che la dissonanza abbiano sempre un fondamento logico.

A fronte di questi, che sono gli aspetti problematici della cultura architettonica di questi ultimi anni, sta l'importanza dell'esperienza complessiva maturata, per la capacità che si è avuta di sperimentare un gran numero di linguaggi figurativi, talvolta anche rapidamente consumati. È questo, per es., il caso dell'avventura postmoderna, che pur aveva suscitato tante speranze per quel suo dichiarato rapporto con la storia, rapidamente esauritosi durante l'arco degli anni Ottanta e ristretto in una sorta di gusto decadente ancora non del tutto finito. Ancora forte è, al contrario, la sperimentazione sulle nuove tecnologie applicate all'a., che trova in ogni caso alcuni limiti precisi nell'eclettismo internazionalista posto a suo fondamento e nella scarsa durata nel tempo che si manifesta anche nei suoi prodotti più prestigiosi (è il caso del parigino Beaubourg di R. Piano e R. Rogers, 1971-77). In questo senso, le esperienze che ripercorrono le eredità del movimento razionalista, esplorandone gli ultimi esiti possibili, appaiono in ogni caso come le più interessanti per la ricostituita continuità con quella che può definirsi la 'tradizione' del 20° secolo. In tutte le loro manifestazioni (strutturaliste, neorazionaliste, decostruttiviste ecc.) mostrano chiaramente di saper rinnovare l'articolazione dello spazio e il 'lessico grammaticale' architettonico.

Tuttavia, la reale consistenza di questo presente contesto culturale non può essere dichiarata attraverso semplici affermazioni di principio: al momento attuale diventa sempre più urgente ricostruirne la vicenda storica, analizzandone le derivazioni e i contorni e definendone gli ambiti territoriali, senza aprioristiche scelte di tendenza proprie della critica dell'arte contemporanea. Occorre, in un certo modo, riproporsi tutta la storia dell'a. del 20° sec., e non del solo Movimento moderno, per riportare in luce anche ciò che si è voluto dimenticare o nascondere, senza il filtro delle ideologie ormai superate o la ricerca di inutili esaltazioni. È il processo di formazione e trasformazione della cultura architettonica del secolo che occorre ricostruire, mettendone in luce le fasi temporali, gli ambiti spaziali e i personaggi, riconoscendone le contrapposizioni e le discontinuità sino a far emergere la vera essenza della realtà attuale dell'a. e dei suoi processi di progettazione e realizzazione: una storia dell'a. contemporanea totalmente nuova, con una salda base filologica, che non sia solo conoscenza di emergenze architettoniche, ma che queste sempre riguardi nei contesti più ampi della città e del territorio; un programma di ricerca molto vasto e importante, lungo nei tempi di maturazione, ma che va considerato come uno degli impegni più urgenti della cultura architettonica contemporanea, per poter procedere in avanti.

La verifica di quanto si è venuti sin qui affermando si può ritrovare ricostruendo la vicenda di questi ultimi anni del 20° sec., caratterizzata sin dal secondo dopoguerra da una profonda revisione delle idee, ormai consolidate, del Movimento moderno. In ogni parte del mondo, e anche in Italia, vengono messe in atto ricerche e proposte tendenti al superamento degli schematismi razionalisti legati alla corrispondenza tra forma e funzione. Ciò che a livello critico veniva proposto era il superamento delle posizioni tradizionali, tendenti a riassumere tutto il Movimento moderno in due correnti contrapposte: quella plastico-formale, parzialmente riferita all'organicismo di oltreoceano, e quella razionalista, dove per razionalismo si intendeva soprattutto l'International Style: un bipolarismo certamente troppo schematico, che non teneva conto della diversità profonda tra i tre maestri del razionalismo (Le Corbusier, Gropius e Mies van der Rohe), accentuando il valore di messaggio dell'esperienza wrightiana, di per sé certamente non ripetibile. Tra l'altro, questo era anche un modo per mettere da parte tutte le esperienze delle avanguardie del Movimento moderno, di certo non facilmente riconducibili in categorie troppo schematiche di giudizio, sviluppando al contrario un'operazione critica che intendeva indirizzare la ricerca figurativa nell'architettura.

A fondo di tutto ciò stava, inoltre, il valore reale dell'eredità dei grandi maestri del razionalismo morti tra il 1965 (Le Corbusier) e il 1969 (W. Gropius e L. Mies van der Rohe), mai emerso con chiarezza da allora e troppo importante per non essere posto nella giusta evidenza. In questo senso si deve sottolineare il significato di totale rinnovamento operato da Le Corbusier con la sequenza delle sue ultime opere, la cappella di Ronchamp (1950-54), il Monastero della Tourette (1957-60) e il progetto per l'Ospedale di Venezia (1965): tre occasioni in cui il grande maestro svizzero-francese si è impegnato nel confronto con la psicologia di uno spazio religioso, con la tradizione delle tipologie dell'edilizia mendicante e con le qualità formali di un tessuto urbanistico-edilizio antico e particolarissimo. Le Corbusier, in tal modo, rimetteva in discussione tutta la propria esperienza, dall'inizio fino al 'brutalismo' di Chandigarh, nel Punjab (1951), senza aver alcun timore di ricominciare tutto da capo.

Molto diversa è la conclusione di Gropius, legata soprattutto al grattacielo newyorkese Pan Am (realizzato con il gruppo TAC tra il 1958 e il 1963), certamente un modello per l'International Style, anche se non va dimenticata la contemporanea attenzione ai linguaggi e alle tradizioni locali manifestata nei progetti per l'ambasciata degli Stati Uniti ad Atene (1957-61) e per l'università di Baghdād (in collab. con il gruppo TAC dal 1960 al 1975). Infine Mies van der Rohe, che dà nel Seagram Building a New York (1956-59) il suo ultimo e più definitivo messaggio: ancora un'affermazione perentoria, un modello che sarà molto imitato, del suo astratto classicismo formale.

Al momento attuale è sin troppo facile rendersi conto di cosa può aver significato la scarsa considerazione in cui è stata tenuta l'ultima grande lezione di Le Corbusier, che metteva in evidenza l'esaurirsi della poetica razionalista e la necessità di trovare un rapporto con il passato. Certamente era questa una ricerca, in quel momento, molto sentita in Europa: ne è un'ulteriore testimonianza, nell'opera di A. Aalto, il Palazzo Enso-Gutzeit a Helsinki (1962), di chiara matrice neoclassica. Una sperimentazione di questo tipo si era andata sviluppando anche in Italia, ritrovandosi nel realismo dell'opera di M. Ridolfi (1904-1984), nel linguaggio neoliberty di R. Gabetti (n. 1925) e A. Oreglia d'Isola (n. 1928; Bottega di Erasmo, Torino 1953-54), nel 'citazionismo' medievalistico dei BBPR (G.L. Banfi, L. Barbiano di Belgiojoso, E. Peressutti, E.N. Rogers; Torre Velasca, Milano, 1954), così come in quello di I. Gardella (n. 1905; Casa alle Zattere, Venezia, 1957). In questo contesto appare fondamentale il contributo di F. Albini (1905-1977), nella fattispecie con il Tesoro di San Lorenzo (1952) a Genova e con l'edificio della Rinascente a Roma (1957-61). Tutte queste esperienze si innestavano in un tessuto culturale già pronto a recepire le tematiche connesse alle ricostruzioni e ai recuperi delle città storiche. In questo contesto, a Milano, nell'ambito della rivista Casabella, diretta da E.N. Rogers (1909-1969), veniva ricercata la continuità con la tradizione culturale di E. Persico e di G. Pagano, intesa anche come ricerca di un fondamento etico. Diversamente, a Roma, S. Muratori (1910-1973) con i suoi allievi tentava la ricerca di un'opzione diversa, partendo dalla presa di coscienza della crisi della civiltà contemporanea, rileggendo in tale ottica l'intera vicenda del moderno e impostando un tipo di progetto fondato sulla continuità con le preesistenze, individuate attraverso studi sulle tipologie edilizie, sull'organicità costruttiva dei centri antichi e sulla caratterizzazione dei valori locali. Il palazzo della Democrazia Cristiana a Roma (1955-58), opera dello stesso Muratori, ne rappresenta l'unica, contraddittoria, manifestazione. All'interno del contesto italiano, particolare è la posizione di G. Michelucci (1891-1991), il quale, pur portando avanti il suo precedente linguaggio razionalista (case in via Guicciardini a Firenze, 1955-57; uffici PPTT e TETI a Firenze, 1962), con la realizzazione della Borsa merci a Pistoia (1949-50) aveva aperto un personale processo di revisione critica che lo avrebbe portato, più tardi, all'espressionismo lirico della chiesa di S. Giovanni Battista sull'Autostrada del Sole.

Durante gli stessi anni, negli Stati Uniti, L.I. Kahn (1901-1974) iniziava il proprio processo di revisione nei confronti del linguaggio del Movimento moderno che, sino a quel momento, aveva usato e approfondito. Questa nuova ricerca può dirsi aver inizio con l'edificio per la Art Gallery della Yale University (New Haven, Conn., 1951-53), in cui Kahn studiava le possibilità offerte da una pianta bloccata, rispetto a un piano libero di tipo funzionalista. Da questo punto di partenza, in cui utilizzava ancora la parete vetrata a curtain wall, Kahn iniziava un percorso che, attraverso il Centro della comunità ebraica a Trenton, N.J. (1954-59) e la Chiesa unitaria di Rochester, N.Y. (1959-67), lo porterà con le opere degli anni Sessanta e degli inizi degli anni Settanta a un completo rinnovamento del suo linguaggio architettonico e, soprattutto, a una nuova logica di articolazione dello spazio: tutto ciò era il frutto della rinuncia a considerare l'a. solo come una manifestazione delle esigenze pratiche dell'uomo e la riaffermazione del valore espressivo e simbolico di ogni opera architettonica, vista come manifestazione della propria realtà storica e di uno specifico ambiente culturale. Le opere più significative, che segnano questa profonda maturazione, sono: i laboratori Salk a San Diego, Calif. (1959-65), i dormitori per il Bryn Mawr College (Bryn Mawr, Pa., 1960-65), l'edificio per l'assemblea a Dacca, Bangla Desh (1962), l'Indian Institute of Management ad Ahmedabad (1963), la Olivetti Underwood Factory, a Harrisburg, Pa. (1966-70), la Philip Exeter Library (Exeter, N.H., 1967-72), lo Yale Center for British Art (New Haven, 1969-74) e infine la Theological Seminary Library della University of California, a Berkeley (1973-74). Naturalmente, l'aver potuto verificare nel tempo la propria esperienza ha determinato l'importanza che l'esempio di Kahn ha avuto, successivamente, in ogni tentativo di revisione del linguaggio del Movimento moderno che, inevitabilmente, trova in lui uno dei riferimenti più precisi e costanti. L'insegnamento di Kahn troverà nella Yale Graduate School una propria linea di sviluppo, anche se problematica e assertrice di linguaggi ibridi, in cui si formeranno R. Venturi (n. 1925) e R. Giurgola (n. 1920), Ch.W. Moore (1925-1993) e con l'apporto in seguito di V. Scully (n. 1920), ossia di tutti gli esponenti del cosiddetto popular e del post modern.

Tutt'altro indirizzo era stato quello seguito dalle due più grandi e antiche scuole di a. statunitensi, lo Illinois Institute of Technology (IIT) di Chicago e la Graduate School of Design (GSD) della Harvard University (Cambridge, Mass.), da sempre dominate dagli orizzonti lontani, ma molto influenti, di Mies van der Rohe e di Gropius. Ambedue queste scuole prestigiose erano rimaste del tutto estranee a qualunque processo di revisione critica, e assolutamente fedeli all'insegnamento dei loro maestri, affermandone la validità insostituibile tanto dei modelli tipologici che del linguaggio figurativo. Anche se le distanze e le diversità fra le due scuole sono state notevoli, è evidente come ambedue abbiano sempre di più assunto, con il passare del tempo, un ruolo di grande risonanza nella propaganda e nella diffusione della tradizione del linguaggio razionalista pur variamente inteso nelle sue diversità stilistiche. Posizioni tutte, queste, che favorivano comunque una rinnovata affermazione dell'International Style, nella rinuncia, molto spesso manifesta, a qualunque tentativo di rinnovamento figurativo.

All'IIT, il rigore tecnologico inteso anche come ricerca di monumentalità, da alcuni definito come 'neoclassicismo tecnocratico', rappresentava l'indicazione più evidente, e successivamente molto contestata, che proveniva dall'opera dei miesiani, Ph.C. Johnson (fino al 1970), il gruppo SOM (Skidmore, Owings & Merrill) ed E. Saarinen (1910-1961): quest'ultimo, tuttavia, dopo le esperienze in linea con l'International Style (ambasciata statunitense, Londra, 1955-61), aderirà più tardi al 'neoespressionismo' (Air Terminal della TWA all'aeroporto Kennedy, New York, 1960-64), impegnandosi nella ricerca sulle strutture a guscio. Al contrario, tanto l'opera di Ph.C. Johnson (n. 1906) che quella dei SOM erano rivolte esclusivamente alla riproposizione di altissimi parallelepipedi, risolti dalle facciate a curtain walls, capaci di differenziarsi fra loro soltanto per le dimensioni e per alcuni particolari di finitura: il grattacielo per uffici, mediato dal modello del Seagram Building, rese possibile alla grande professionalità di questi architetti di reiterare affermazioni perentorie, basate sull'assolutezza di questi edifici intesi come singoli volumi puri. Certamente, al confronto, le opere di Johnson appaiono più ricche di articolazioni volumetriche, di ardite proposte di volumi accostati per spigolo (Pennzoil Place, Houston, 1976), o di pareti taglienti esaltate come superfici laminate (Community Church di Garden Grove, Calif., 1980), oltre a qualche iniziale tentativo di articolazione nelle soluzioni delle fronti: tutta un'attenzione alla diversità dal modello miesiano (South La Salle, Chicago, 1983-87; International Place a Fort Hill Square, Boston, 1983-87) che porterà questo architetto fuori dal razionalismo internazionale e verso un eclettismo storicistico (grattacielo della AT&T di New York realizzato, come tutte le altre opere, in collab. con J. Burgee nel 1979-82).

Skidmore, Owings & Merrill (L. Skidmore, 1897-1962; N.A. Owings, 1903-1984; J.O. Merrill, 1896-1975), al contrario, resteranno sempre fedeli alla lezione del loro maestro dando luogo a una serie di esperienze, in qualche modo tutte molto simili, che esaltano soprattutto il grande valore professionale dei loro autori (Lever House, New York, 1952; John Hancock Center, Chicago, 1969; Sears Tower, Chicago, 1974). È molto facile, a questo punto, comprendere la capacità di penetrazione che questi modelli, tanto semplici e facilmente ripetibili, hanno avuto e continuano ad avere in ogni parte del mondo, propagando all'infinito un messaggio oramai molto lontano nel tempo.

Un certo variegato formalismo caratterizza, al contrario, collaboratori e discepoli della sofisticata scuola di Harvard, da J.L. Sert a M. Breuer, al gruppo TAC (The Architects Collaborative), a P. Rudolph e a I.M. Pei sino a J. Johansen. Tutti questi architetti daranno luogo a figuratività molto diversificate da quelle del maestro. Certamente, fra questi, i TAC (J. Fletcher, N. Fletcher, J. Harkness, S. Harkness, R. MacMillen, L. MacMillen, B. Thompson) rappresentarono la continuità con l'opera di Gropius, da cui è anche difficile distinguerli e individuarne un apporto individuale. J.L. Sert (1902-1983), d'altro canto, ha ripreso dal maestro la pianta articolata in volumi parallelepipedi e gli stessi stilemi figurativi (Carpenter Center for the Visual Arts, Harvard University, Cambridge, Mass., 1954-64, con Le Corbusier), mentre I.M. Pei (n. 1917) ha esaltato l'articolazione di volumi puri, risolti con un linguaggio del tutto essenziale (John Hancock Center, Boston, 1976, in collab. con H. Cobb; Texas Commerce Center, Houston, 1981). Rispetto a tutti questi, le proposte di P. Rudolph (1918-1997) si presentano molto più ricche e innovatrici: esse sono il risultato di attente combinazioni tra l'articolazione della forma planimetrica e i volumi che la compongono, che si accompagna sempre a una ricerca sul dettaglio che porta Rudolph a rivedere tutto il 'lessico grammaticale' consolidato del razionalismo (Mary Cooper Jewett Arts Center nel Wellesley College, Wellesley, Mass., 1955-58). Rudolph è giunto in tal modo a scomposizioni volumetriche totali che si presentano come vere e proprie invenzioni, non avendo alcun raffronto con quelle della tradizione (Yale University, New Haven, Conn., 1958-64; Endo Laboratories, Garden City, New York, 1962-64): tutto un repertorio di novità assolute, al di fuori dell'International Style, una vera e propria esplorazione ai limiti del moderno. Diverso è il percorso seguito da J. Johansen (n. 1916), meno aulico e più impegnato nella sperimentazione sulle forme curvilinee, sia in pianta sia in alzato, che danno maggior rilievo plastico all'articolazione dello spazio, che ammorbidiscono, stemperandolo, il suo razionalismo di base (Spray House, Weston, Va., 1956; Taylor House, Westport, Mass., 1962): era l'indicazione di un'altra strada tutta da percorrere, per rivedere ancora una volta, dall'interno, lo stesso concetto di 'moderno'.

Chiaro sarà come le esperienze tanto eterogenee maturate dalle diverse scuole di a. avevano dentro, implicitamente, una critica serrata nei confronti dell'utopia del moderno, delle sue mitologie, della fede umanistico-scientifica nel progresso e nella tecnologia. Al tempo stesso, durante gli anni Sessanta e i primi anni Settanta, si andavano esaurendo anche le tematiche legate al concetto di macrodimensione, la cui proposta megastrutturale risultava evidentemente utopica e non praticabile: era tuttavia evidente come questi progetti portassero un contributo positivo nell'indicare soluzioni a scala architettonica ai problemi della città e dell'ambiente. Di fronte alla fuga dall'a. verso l'urbanistica, tutte queste proposte rappresentavano, in quel momento, l'unico modo per riproporre il progetto delle città a scala architettonica.

Il punto di partenza può essere considerato il piano per la Baia di Tokyo del 1960 di K. Tange (n. 1913), una grandissima struttura a maglie ortogonali che penetra nella vastità del mare, molto gerarchizzata al suo interno, dal fascio infrastrutturale complesso dell'asse dei servizi pubblici sino al 'tessuto' delle grandi unità di abitazione, strettamente correlate al sistema viario di scorrimento veloce: un progetto completo e assolutamente dettagliato, che giunge sino alla definizione architettonica tanto degli edifici che delle strutture viarie, ricco di soluzioni figurative di grande espressività, in rapporto anche all'importanza delle soluzioni strutturali proposte. Un altro protagonista di questo tipo di ricerca è stato senz'altro J. Lubicz-Nycz: le sue proposte sono legate alla ripetizione di una identica forma plano-volumetrica, anche in modo ossessivo per la sua ripetitività, in una sorta di disegno astrattista della forma della città. L'elemento sempre riproposto è una grandissima struttura edilizia polifunzionale, concava e scalettata, sino a diventare sottilissima per raggiungere un'altezza molto elevata (progetto per la ricostruzione di Ruberoid del 1962). Tutte queste idee, evidentemente, proponevano, per la città, l'utopia lecorbusieriana della machine à habiter e non avevano tenuto conto, per es., della stessa crisi di funzionamento e di utilizzazione che, alla fine degli anni Cinquanta, era possibile verificare sulla stessa unità di abitazione di Marsiglia. In ogni caso, se tutti questi progetti ebbero certamente poco seguito, va tenuto conto della difficoltà che, a livello economico, avrebbe comportato una concreta realizzazione di questi interventi.

Da ultimo, allo scadere degli anni Sessanta, vanno registrate le azioni contestative e metaprogettuali di gruppi radicali, sempre molto ricche di connotazioni avveniristiche: i gruppi Archigram (v. App. V), Metabolism (v. App. V), così come in Italia Superstudio (A. Natalini, C. Toraldo di Francia, R. e A. Magris, G.P. Frassinelli), tra gli altri, erano tutti impegnati nella ricerca di perentorie libertà da contenuti opprimenti e da forme rigide, che si sono risolte, per lo più, in raffinate manifestazioni grafiche, a volte lontane dal progetto di a. vero e proprio. In ogni caso, anche se assai scarse furono le realizzazioni (K. Kurokawa, Torre Nakagin, Tokyo, 1972; R. Magris e A. Natalini, Centro elettrocontabile, Zola Predosa, Bologna, 1979-81), dev'essere riconosciuto a questi 'disegni' un forte valore liberatorio per la volontà evidente di voler cambiare ogni regola.

Il contesto culturale, sin qui ricostruito, non ripropone in maniera esaustiva tutto quanto è accaduto sino alla metà degli anni Settanta, per la scelta evidente di approfondire la genesi della critica al concetto di 'moderno' e del dibattito che ne è derivato. Tanti sono gli episodi e le personalità di cui non si è trattato, non per loro minore importanza, quanto per una precisa scelta operativa: dalle esperienze nordeuropee, con le ultime opere di Aalto e le proposte nuovissime dei suoi allievi R. Pietilä (1923-1993; Residenza presidenziale, Mäntyniemi, Helsinki, 1983-93) e R. Paatelainen (n. 1926), a quelle sudamericane, dominate dalla grande figura di O. Niemeyer (n. 1907), sino alla notevole diffusione dell'International Style nei paesi vecchi e nuovi dell'Africa e dell'Asia, tanto che al momento attuale risulta ancora prevalente. Tuttavia, le linee di ricerca più evidenti che caratterizzano l'a. degli ultimi due decenni del 20° sec. trovano una loro più puntuale conferma se viste all'interno di un importante momento di riflessione critica che, in modi variegati e anche alternativi, si era posto il problema di rivedere l'eredità del Movimento moderno che ormai poteva già considerarsi come una 'tradizione'. Resta come tendenza comune il rifiuto dell'International Style, sempre più inteso come un linguaggio riduttivo rispetto alle stesse idee del razionalismo e indifferente alla specificità dei luoghi. La vivacità del dibattito aveva, al contrario, riproposto la ricerca di un più precisato rapporto con la storia, precedentemente del tutto negato, la necessità di cimentarsi a scala architettonica con i processi di trasformazione urbana e territoriale, oltre a mostrare chiaramente tutti i diversi esiti ancora possibili che si potevano ottenere operando all'interno della stessa figuratività razionalista: posizioni, queste, che rendevano possibili approcci del tutto nuovi alla questione progettuale. Oltre il moderno si pongono così alcune tendenze che caratterizzano lo scadere del secondo millennio, mentre linee critiche di ricerca attraversano le correnti che raccolgono, aggiornandola, la composita eredità del moderno.

Gli scritti di R. Venturi, Complexity and contradiction in architecture (1966) e Learning from Las Vegas (1972), hanno aperto la strada a un linguaggio fondato sul simbolismo evocativo di forme e particolari costruttivi interamente scelti nel passato storico e nella forte messa in evidenza dei contrasti e delle contraddizioni proprie degli aggregati urbani attuali. In questo modo coesistono tra loro liberamente immagini prese dalla storia con quelle prese del vivere quotidiano: capitelli, frontoni e colonne entrano a far parte del manifesto dell'a. popular, espressa soprattutto dalle prime architetture di Venturi e dal nuovo eclettismo di Ph.C. Johnson. Certamente più efficace nella piccola dimensione delle case unifamiliari (la serie delle case eclettiche degli anni 1960-70), Venturi disegna volumi meno articolati e più compatti, di cui risolve in modo semplificato le superfici, senza alcun reale rinnovamento delle tipologie edilizie: l'allusione al timpano ottenuta con la forma triangolare, la citazione dell'arco a tutto sesto e altro rappresentano, pur nella loro eleganza formale, soltanto un modo per richiamare l'attenzione verso una focalità prestabilita (Dixwell Fire Station, New Haven, Conn., 1967; Franklin Court, Filadelfia, Pa., 1972; Orchestra Hall, Filadelfia, 1987). Pur provenendo da tutt'altro versante, Johnson è giunto con le esperienze degli anni Ottanta a un analogo punto di arrivo: citazioni storicistiche ancor più precise, per es. la serliana, caratterizzano la sua ricerca di una nuova, classica monumentalità. Per l'azione combinata delle opere di Venturi e di Johnson, il confronto con la tradizione storica del passato riprendeva il suo ruolo nel fare a., anche se riproponendosi solo come citazione: appaiono evidenti in tutto ciò gli equivoci che dovevano maturare in seguito.

Questa nuova tendenza andava a contrapporsi, dialetticamente, ma da un altro versante, alle a. bianche dei Five architects (v. App. V) newyorkesi. Le loro opere erano pervase da un chiaro indirizzo neorazionalista, che si proponeva la rivisitazione del linguaggio di Gropius e anche, talvolta, del movimento De Stijl: un repertorio figurativo riproposto con soluzioni di grande bellezza, ma il cui significato non poteva più essere lo stesso, lontano dal tempo, dai luoghi e dalle motivazioni da cui aveva tratto origine (P. Eisenman, Falk House ii, Hardwick, Vt., 1969-70; M. Graves, Hanselmann House, Fort Wayne, Ind., 1967-70; R. Meier, Smith House, Darien, Conn., 1965-67). Tuttavia, queste esperienze, che riproponevano la citazione degli stilemi del Movimento moderno, ben si inquadrano in un comune ambito di riferimento con le migliori esperienze popular e postmoderniste. Maturarono in tal modo concezioni più aperte dell'International Style, per la maggiore attenzione ai luoghi e al paesaggio, dotate di nuove disponibilità verso le potenzialità dello sperimentalismo e, per il momento, portatrici di un rinnovamento più figurale, di facciata, che sostanziale e capace realmente di rinnovare tutte le tipologie edilizie ancora marcatamente di stampo razionalista. In tal modo, gli esiti di questa complessa e meditata riflessione sul valore del linguaggio figurativo di tutta la tradizione del Movimento moderno mostrano, durante gli ultimi due decenni del 20° sec., un insieme di contraddittorie proposte, impossibili da confrontare fra loro: dal post-modern allo high-tech, dal decostruttivismo all'ipermoderno. Tutto un ventaglio di soluzioni contrapposte fra loro, ma comunque legate agli idealismi propri delle estetiche romantiche: la riproposizione, ancora una volta, di un'idea di a. sempre diversa, ma impostata sulla definizione a priori di un concetto di bellezza, di volta in volta individuato attraverso il filtro dello storicismo, del tecnologismo o del modernismo. Naturalmente, in un contesto di questo tipo, ogni 'tendenza' di ricerca dev'essere esaminata da sola, senza ricercare inesistenti punti di convergenza con le altre.

Il post-modern viene divulgato dalla pubblicistica anglo-americana (Ch. Jencks, 1977) sulla trama posta in essere da Venturi e Johnson e successivamente modificata in 'classicismo' e free-style classicism da R.A.M. Stern (n. 1939), comprendendo insieme tutte le esperienze legate alla riproposizione composita di archetipi tratti dalla tradizione storica. Legato ideologicamente alla cultura dei singoli 'luoghi', il post-modern si presenta caratterizzato da una grande autonomia di linguaggi e di sperimentazioni. Negli Stati Uniti S. Tigerman (Daisy House, Ind., 1975-78), lo stesso Stern (Lawson House, East Quogue, N.Y., 1979) e Ch. Moore (progetto per una casa albergo a St. Simons Island, Ga., 1974) procedono a tutta una serie di proposte, prevalentemente legate all'edilizia domestica, impostate sull'uso prevalente della forma triangolare dei grandi tetti che incorniciano archi a tutto sesto, già molto usati dallo stesso Venturi. Fuori da questo ambito, naturalmente, va posta la Piazza d'Italia (New Orleans, La., 1975-78) di Moore per l'insieme kitsch che questa soluzione propone. Al contrario, M. Graves (n. 1934, uno degli ex Five architects) ha proposto forme e articolazioni volumetriche semplificate (Public Library, San Juan Capistrano, Calif., 1981-83), che, in occasioni particolari (Humana Building, Louisville, Ky., 1982-85), raggiungono un risultato decisamente classico e monumentale. Ancor più variegate le posizioni che emergono dal resto del mondo, dal neoilluminismo al vernacolo e al neobarocco, che vanno dall'eleganza neoclassica delle facciate dei fratelli Leon (n. 1946) e Robert (n. 1938) Krier (R. Krier, abitazioni sulla Ritterstrasse a Berlino, intervento IBA, 1979-81), al monumentalismo scenografico di O.M. Ungers (n. 1926), che evoca i linguaggi analoghi degli anni Trenta (Torhaus Gleisdreieck, Francoforte, 1983-84; la residenza dell'ambasciata tedesca a Washington, D.C., 1982-94), fino alla diversa attenzione verso la tradizione dell'edilizia locale che O. Bohigas (n. 1925) risolve con un maggior razionalismo di fondo (appartamenti Casa De la Torre, Barcellona, 1973-75; isolato Mollet, Barcellona, 1985-90), mentre R. Bofill (n. 1939) sembra raggiungere il proprio intento attraverso una maggiore libertà espressiva (complesso residenziale Les Colonnes, Parigi, 1984; L'Arc e Le théâtre nel complesso residenziale a Noisy-le-Grand, Marne-la-Vallée, 1979-83). In Italia, invece, il post-modern si afferma nel 1980, per iniziativa di P. Portoghesi (n. 1931), con la strada nuovissima alla Biennale di Venezia, dove un gruppo eterogeneo di professionisti fu chiamato a organizzare un ambito urbano per mezzo di facciate illusorie (fra gli altri, A. Isozaki, G.R.A.U., F.O. Gehry, H. Hollein, R. Venturi, O.M. Ungers).

Appena tangenti alla condizione postmoderna, ma prodotti critici di quello stesso modello, sono le esperienze italiane di questo tipo. Le a. migliori sono certamente quelle di A. Rossi (1931-1997), che usa prevalentemente volumi puri, uniti tra loro (Teatro del Mondo, Venezia, 1979) e scanditi da ritmi uniformi di aperture (cimitero di San Cataldo, Modena, 1971-78), talora con una forte accentuazione della soluzione angolare (intervento per la Südliche Friedrichstadt, IBA, 1981). Tra gli altri, F. Purini (n. 1941) 'disegna' facciate dalle trame molto sottili e raffinate (La Casa romana, 1979; sistemazione dei ruderi del porto romano di Testaccio, 1979), mentre V. Gregotti (n. 1927) fa sempre emergere chiaramente il proprio razionalismo di base (casa a corte in Lützowstrasse, Berlino, 1984). Di grande interesse è anche l'opera del ticinese M. Botta (n. 1943), anch'esso molto legato all'esaltazione e all'accostamento di volumi puri (parallelepipedo e cilindro), spesso risolti con grande leggerezza e senza stilemi evocativi (casa unifamiliare, Pregassona, 1979-80; casa a Stabio, 1981-82; edificio amministrativo, Lugano, 1981-85). In ogni caso, la manipolazione disinvolta di interi settori della storia, l'uso ridondante di citazioni, la riduzione a gioco anche delle motivazioni più fondate fanno segnare alla fine degli anni Ottanta la battuta di arresto del post-modern: la fine, in un certo senso, di una 'moda' piuttosto che di una tendenza.

Frattanto si era diffusa la proposta high-tech, il cui limite sembra essere la scarsa durata nel tempo per il rapido invecchiamento dei materiali usati, basata sul principio della costruzione leggera, mediante l'ottimizzazione dei componenti standardizzati (tensostrutture, strutture a membrana e sospese che realizzano con il minimo del materiale la massima superficie). Il riconoscimento internazionale ottenuto dal già citato Beaubourg, dalla sede dei Lloyds (Londra, 1986) di R. Rogers, dalla Hong Kong and Shanghai Banking Corporation (Hong Kong, 1985) di N. Foster, offre una solida piattaforma all'estremo tentativo del moderno di affrancarsi dalla derivazione degli stili storici. In questi casi, essendo sempre effettivamente molto difficile il superamento delle tipologie della tradizione razionalista, ogni impegno viene rivolto alla loro realizzazione ottenuta con l'uso di materiali o soluzioni strutturali del tutto nuove e, in alcuni casi, originalissime: la figuratività che ne deriva è senza dubbio avveniristica e propone un'a. che si esalta nel nuovo valore di 'macchina' prodotta industrialmente, o colpisce l'immaginazione per la novità delle forme proposte. Tutto questo riconduce a un International Style che, seppure identico nella sostanza, è rinnovato da un'evidente originalità figurativa.

N. Foster (n. 1935; spesso in collaborazione con lo studio Ove Arup & Partners) è senza dubbio il più interessante, fra questi architetti, per la capacità di raggiungere e applicare un linguaggio tanto sintetico quanto espressivo: qualcosa di mediato dalla tradizione inglese ottocentesca delle costruzioni in ferro e vetro, espressamente rivendicata, che conduce a soluzioni semplificate, ma estremamente rigorose (Centro di distribuzione Renault, Swindon, Inghilterra, 1983; Stanstead Airport Terminal, Londra, 1986-91). A loro volta, R. Rogers e R. Piano procedono, separatamente, a una ricerca che produce soluzioni più innovative che portano anche a invenzioni di profili curvilinei in specie per le coperture (R. Piano, progetto IBA per l'ampliamento della Nationalgalerie, Berlino, 1981; stadio S. Nicola di Bari, 1988-89; progetto per l'Auditorium di Roma, 1990), e a complesse soluzioni compositive (R. Rogers, edifici per Daimler Benz, all'interno del progetto di Piano per Potsdamer Platz a Berlino, concorso 1992). Infine, oltre a questi, può essere ricordato tra gli strutturisti il brillante S. Calatrava (n. 1951), anche se troppo spesso ridondante ed eccessivo per la volontà di ricercare soluzioni strutturali sempre nuove (stazione per l'alta velocità, Lione, 1988-94; ponte sul Guadalquivir, Siviglia, 1992-97 ).

Nel 1988 al Museum of Modern Art (MOMA) di New York viene inaugurata la mostra Decostructivist architecture con l'intento di definire come movimento un insieme di esperienze diverse, in realtà già operanti da tempo. È di nuovo Johnson, con P. Eisenman, a rendersi protagonista di una tendenza all'obliquo con riferimenti non sempre espliciti al costruttivismo sovietico, che si era formato in Austria e in Germania sulla linea del neoespressionismo funzionalista di H. Scharoun, grazie alle opere di G. Behnisch (n. 1922) & Partners (Hysolar Institut, Stoccarda, 1987; Museum für Post, Francoforte, 1990; giardino per bambini, Stoccarda, 1990) e di Coop Himmelblau (sopraelevazione di un vecchio immobile nella Falkestrasse, Vienna, 1983-88), con l'apporto di R. Koolhaas (n. 1944, Centro di affari, Lille, 1989), della più giovane Z. Hadid e di D. Libeskind. Tra questi P. Eisenman (n. 1932), divenuto con il tempo un architetto completamente diverso, rinuncia del tutto all'organismo tradizionale dell'a. razionalista, proponendo inedite articolazioni volumetriche (Wexner Center for the Visual Arts, Columbus, Oh., 1982-89; edificio al Checkpoint Charlie per l'IBA, Berlino, 1981-85; Nunotani Corporation Headquarters Building, Tokyo, 1990-92; il college di Design, Architecture, Art and Planning, DAAP, Cincinnati University, Oh., 1990-96). A sua volta D. Libeskind (n. 1946) lavora per mezzo di tagli diagonali alla scomposizione dei volumi puri (Jüdisches Museum, Berlino, 1989-98), mentre più avanzate e interessanti appaiono le a. di Z. Hadid (n. 1950), molto dure e poco concilianti ma ricche di espressività per la decisa articolazione di volumi in contrasto fra di loro e proposti di spigolo (caserma dei vigili del fuoco Vitra, Weil am Rhein, 1991-93). In ogni caso, tutte queste realizzazioni trasmettono un profondo senso di provvisorietà almeno apparente, puntando sull'assemblaggio di materiali poveri e frammentati, ma si alimentano anche di puntigliose funzionalità e tecnologie avanzatissime. La realizzazione manifesto di questa tendenza è il parc de la Villette a Parigi (1986-89) di B. Tschumi (n. 1944), 55 ettari articolati da una serie discontinua di grossi punti nodali. La divulgazione a livello di moda, l'eccesso di una ricerca certamente formalistica, non hanno giovato a quanto di innovativo veniva proposto, tanto che alcuni esponenti, come per es. lo studio Behnisch, ne hanno di recente preso le distanze: può essere l'inizio, come è accaduto prima per il post-modern, di un esaurimento che, per questo tipo di esperienze, appare fisiologico.

Infine, per concludere questa panoramica delle più recenti esperienze in campo architettonico, occorrerà prendere in esame tutte quelle proposte, non solo diverse, ma anche eterogenee, che di solito vengono raggruppate sotto la generica etichetta di 'ipermodernismo': definizione sicuramente calzante, ma non priva di ambiguità. Tutte queste esperienze ancora in via di definizione, sono rappresentate da una vasta fascia di opere che, attraverso diversi recuperi del moderno, alle volte confuso con memorie premoderne, copre uno spettro largo di elaborazioni progettuali. Innanzitutto il romanticismo organico degli austriaci M. Szyszkowitz (n. 1944) e K. Kowalski (n. 1941) e dell'ungherese I. Makovecz (n. 1935; Natura Shop Restaurant Hotel, Überlingen, 1992; padiglione ungherese per l'expo di Siviglia, 1992); il neorazionalismo dei giapponesi F. Maki (n. 1928, ex Metabolism; palazzo per uffici Isar Büro Park, Monaco di Baviera, 1995), il gelido minimalismo di T. Ando (n. 1941), essenziale per la semplicità dei volumi e delle superfici piane (casa Koshino, Ashiya, Giappone, 1981-84; padiglione per l'expo di Siviglia, 1992). Più eclettici appaiono, da una parte, H. Hollein (n. 1931) per i diversi repertori a cui fa riferimento (Agenzia austriaca di viaggi, Vienna, 1978; scuola in Kohlergasse, Vienna, 1979-90), dall'altra, F.O. Gehry (n. 1929) per una maggiore capacità di rinnovare le geometrie attraverso la ricerca al computer di forme nuove, anche se indifferenti alla specificità dei luoghi (Museo del design Vitra, Weil am Rhein, 1988-94; edificio per uffici nel centro di Praga, 1993-95; Guggenheim Bilbao Museoa, Bilbao, 1991-97). Maggiore rigore analitico può essere riconosciuto all'opera di J. Nouvel (n. 1945) per la semplicità degli stilemi con cui risolve le fronti dei suoi nitidi volumi (Centro congressi, Tours, 1989-93; edificio delle gallerie Lafayette, Berlino, 1992), così come a quella dei giovani olandesi Mecanoo (E. Van Egeraat, n. 1956, e F. Houben, n. 1955), che disegnano solide volumetrie risolte nelle fronti delle ritmicità delle aperture (edifici residenziali, Rotterdam, 1986). Naturalmente, tutti questi citati non sono che i nomi più noti, ma non vanno dimenticati i designer architetti come G. Pesce (n. 1939) e i suoi collaboratori e soprattutto E. Ambasz (n. 1943), che rivolgono la loro attenzione alla costruzione di un ambiente eco-compatibile. Di tutte queste esperienze, di cui non è possibile prevedere tuttavia l'esito futuro, va sottolineata, anche per l'alto livello dell'impegno professionale, la grande qualità dei dettagli, a volte tanto esasperata da produrre un risultato d'insieme del tutto asettico e indifferente ai luoghi. Certamente è un limite dovuto all'ipermodernismo dei linguaggi architettonici adottati.

Emerge chiaramente da questo inquadramento critico la manifesta impossibilità a superare gli aspetti tradizionali dell'a. razionalista e l'International Style: a. high-tech, decostruttivismo e ipermodernismo rappresentano soltanto degli aggiornamenti figurativi, il linguaggio contemporaneo di una manifestazione artistica che, va riconosciuto, ha segnato prevalentemente quasi tutto il 20° secolo. Ma, seppure questo dev'essere ritenuto un bilancio scontato, essendo stato riconosciuto da tempo, sempre più difficile appare la traccia di future linee di sviluppo che non siano legate ad altre, più approfondite, sperimentazioni, ma sempre ritrovate all'interno del 'moderno'. In ogni caso, non è certo possibile privilegiare una 'tendenza' rispetto a un'altra: semmai molto più giusta è la disponibilità a essere aperti verso una sperimentazione a largo raggio senza limiti di sorta. Resta, naturalmente, l'esigenza di trovare una relazione fra le a. e i singoli luoghi a cui appartengono: è il problema di fondo, a meno che l'affermazione del concetto di 'villaggio globale' non esalti proprio il valore internazionale dei linguaggi architettonici: un rapporto con i luoghi che, tuttavia, non potrà essere ricercato soltanto a livello di conoscenza morfologica, ma che va perseguito approfondendone tutti i valori mediante l'apporto specialistico della conoscenza storica. Una storia, come si è detto all'inizio, non finalizzata al progetto ma intesa solo come conoscenza della realtà su cui si interviene con il progetto che, in tal modo, si qualifica come una nuova fase del processo di trasformazione della città e/o del territorio. Il rapporto con i luoghi si configura così come presa di coscienza dei loro valori attuali (tanto figurativi che culturali): dati di fatto qualitativi e non quantitativi, che possono anche essere negati dal progetto, ma non ignorati. Il tema della ricerca non è più, in conclusione, la scelta di un linguaggio di 'tendenza', ma l'interpretazione dei valori riconosciuti utilizzando, a seconda dei casi, il 'lessico grammaticale' più efficace al momento attuale.

Tutto ciò è ancora più importante considerando che uno degli impegni più urgenti per la cultura architettonica sarà quello dell'intervento sulle 'preesistenze' (tanto i centri storici che le più recenti periferie), per affrontarne tanto la conservazione che la riqualificazione: un problema di dimensioni anche molto notevoli, portato all'attenzione dallo sviluppo troppo grande delle città attuali. In tutti i casi di questo tipo è difficile pensare a interventi progettuali non fondati su rigorose metodologie critiche di conoscenza della realtà attuale, capaci di individuare tanto i valori da conservare che quelli da trasformare. Inoltre, è proprio dal confronto dei linguaggi architettonici contemporanei con queste nuove tematiche progettuali che, forse, potranno emergere nuove soluzioni figurative e organizzazioni spaziali: tutto un vastissimo campo di sperimentazione che non può precludersi a nessun linguaggio architettonico, ma il cui esito non può certo essere definito a priori. L'interesse per questo nuovo tipo di impegno progettuale non è visto, naturalmente, in termini di esclusività, bensì in un rapporto di continuo raffronto con gli altri, da cui soltanto potranno scaturire soluzioni e proposte di assoluta novità: nessuna anticipazione ma soltanto possibili ipotesi di lavoro.

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Le tecnologie dell'architettura

di Guido Nardi

Le tecnologie dell'a. denotano un ambito scientifico che si riferisce da un lato al complesso di tecniche e di catene operative che consentono la realizzazione dello spazio costruito, dall'altro all'insieme di studi e riflessioni che dalla prassi costruttiva sono scaturiti e che su questa, a loro volta, esercitano profonda influenza. Nelle catene operative che portano alla realizzazione di un progetto di a., le tecniche interagiscono con pari dignità rispetto alla forma e ai materiali. Il contributo della tecnologia all'attività di progetto può anzi essere riconosciuto come primario, per l'apertura che si è prodotta in questo settore operativo e per le rinnovate possibilità che esso prospetta.

Le tecnologie dell'a., tra le numerose tecnologie attuate, sono quelle che presentano una particolare modalità di sviluppo. Mentre tutte le altre tecnologie testimoniano una tendenza all'evoluzione assai rapida, in accelerazione costante e dotata di una grande capacità di consumare la propria materialità in un continuo aggiornamento (basti il riferimento alla trasformazione delle macchine utensili o, in modo ancora più accentuato, ai processi di miniaturizzazione dei dispositivi elettronici), le tecnologie dell'a. avanzano secondo ritmi fortemente rallentati e disomogenei, come è riscontrabile dall'osservazione dello spazio costruito che ci circonda, mantenendosi sempre in bilico tra innovazione e attaccamento a modalità realizzative tradizionali (sopravvivono infatti ancora oggi tecnologie costruttive antiche di oltre duemila anni). Questa particolarità è in gran parte dovuta al fatto che le tecnologie dell'a. costituiscono l'espressione materiale di molteplici istanze, che in esse si esplicitano e si realizzano. Il loro avanzamento risulta fortemente condizionato dalle alterne influenze che di volta in volta ognuna di queste esercita, sicché un processo di sviluppo lineare e costante si rende difficilmente riconoscibile. Nelle tecnologie dell'a. trovano impiego materiali, singole tecniche o sistemi tecnologici fortemente condizionati dalla collocazione geografica e dalla cultura sociale di riferimento, dalla situazione economica del contesto, dalla capacità realizzativa e organizzativa della popolazione coinvolta, da mutamenti di varia natura: da quelli storici e demografici, agli assetti politici e culturali, alla presenza di personalità specifiche. Tale congerie di variabili influenza, con pressioni mutevoli e differenziate, l'agire tecnico relativo alla progettazione architettonica, per la quale si devono fare ulteriori distinzioni, a seconda che ci si riferisca alla realizzazione di un singolo edificio o di uno spazio urbano, o ancora si ampli il quadro al rapporto tra spazio antropizzato e ambiente naturale, ai diversi livelli in cui le tecnologie trovino applicazione.

Dal punto di vista della riflessione teorica, il riferimento alla tecnologia comporta un duplice significato: essa si presenta come studio delle tecniche, dei processi di produzione, dei modi di ottimizzazione delle procedure, degli apparati normativi di riferimento; ma anche come vero e proprio campo di speculazione metatecnica, che si esplicita anche nella trattatistica, nella manualistica e nell'organizzazione disciplinare. All'espressione 'tecnologie dell'architettura' sono pertanto riconducibili le interpretazioni di volta in volta parziali indicate come 'tecniche delle costruzioni', incentrate oggi intorno allo studio delle strutture portanti; come 'tecnologie edilizie o costruttive', rivolte allo studio dei materiali e dei sistemi tecnici impiegati nelle costruzioni; come 'tecnologie operative', riguardanti sia la gestione del progetto che quella del cantiere; come 'studio delle tecniche', dal punto di vista storico, antropologico, culturale in senso lato.

Secondo la tendenza attualmente più diffusa, fare a. significherebbe costruire una forma tipologicamente organizzata o anche pensare una forma, organizzarla tipologicamente e successivamente costruirla attraverso tecnologie ad hoc. Ecco allora avere il sopravvento a volte la forma, a volte l'organizzazione tipologica, a volte la tecnica strutturale, secondo un bisogno di controllare e di verificare scientificamente, settorialmente, qualcosa che invece dovrebbe nascere come insieme, come trasposizione organica di un atto mentale, attraverso un complesso di atti tecnici, in una realtà concreta. In altre parole, spesso nella realtà del progetto viene distorto e squilibrato il rapporto tra le sue diverse parti, producendo risultati che sono ora attenti esclusivamente alla forma del manufatto, ora mero manifesto di una tecnica costruttiva esasperata.

Nel primo caso le tecnologie non partecipano neppure al progetto: esse sono chiamate in causa soltanto a posteriori, nel momento della realizzazione, a supporto di una forma che è spesso l'unica preoccupazione del progettista. Il perseguimento di quest'ultima, divenuta esclusiva finalità del progetto, finisce allora per escludere il contributo delle tecnologie. Ciò può accadere non solo nel progetto di nuove costruzioni, ma anche negli interventi di restauro e riuso degli edifici esistenti. La ricerca espressiva pone così in secondo piano, o ignora del tutto, le tecnologie, privandosi dell'opportunità di far assumere al progetto una ricchezza di linguaggio e di significati che solo una piena sintesi tra le stesse tecnologie, i materiali e la forma, in vista di un fine, è in grado di prospettare. Nel secondo caso, il progettista assegna alle tecnologie un significato eccessivo, facendone esclusivo elemento di connotazione formale del progetto. Le tecnologie diventano fine stesso del progetto: attraverso l'enfasi assegnata di volta in volta a un singolo sistema tecnico della costruzione (le strutture, i tamponamenti, le coperture o gli impianti) viene meno il carattere unitario della costruzione.

Il progetto di a. continua invece ad avere bisogno di sintesi tra forma e tecniche, tra intenzioni e realizzazione, tra atti mentali e atti tecnici. E proprio la versatilità delle tecnologie contemporanee, applicate ai sistemi strutturali, a quelli di chiusura, agli impianti, offre ulteriori possibilità di affrontare correttamente la costruzione, moltiplicando le chiavi interpretative dell'a. attraverso la tecnica.

La ricchezza di significati del termine 'tecnologie dell'architettura', che al singolare richiama la definizione di 'discorso sulla tecnica', trova rispondenza nella stessa evoluzione delle discipline che di volta in volta si sono definite intorno a questo sapere. Prima di giungere a una definizione disciplinare, il discorso sulla tecnica in a. si è articolato in una serie di punti di vista settoriali, originati da quel processo di specializzazione che da sempre investe il mondo del sapere, ma che si è consolidato in modo più preciso a partire dall'Ottocento. Tale interesse scientifico, accompagnato da un aumento del numero dei materiali e delle tecniche esecutive disponibili induce, anche nel campo delle tecnologie dell'a., un inevitabile processo di parcellizzazione disciplinare: scuole di a. e di ingegneria, dove la struttura disciplinare viene rigidamente finalizzata, fanno la loro comparsa, trattati e manuali si moltiplicano, si specializzano e si connotano scientificamente. Dapprima si consolida l'ambito della composizione architettonica, i cui interessi tematici trovavano già riscontro nell'opera di Vitruvio, fino a L.B. Alberti, per investire a mano a mano ambiti di ricerca e di didattica sempre più indirizzati verso una scienza e una tecnica del costruire che si rivolge in particolare allo studio delle strutture. Va segnalata la data del 1671, in cui viene fondata a Parigi la prima Accademia di a., con il preciso scopo di costituire un centro di formazione di quadri tecnici in grado di svolgere con disciplinata professionalità le attività relative alla pratica edilizia. Tale istituzione assumerà tuttavia presto finalità e caratteri molto diversi, orientandosi piuttosto verso una radicalizzazione della formazione artistica del progettista.

Il processo di specializzazione qui avviato, e che ha trovato nella contrapposizione tra politecnici e scuole d'arte il suo esito inevitabile, ha indotto una lacerazione tra ambito compositivo e ambito tecnologico, in cui l'originario interesse nei confronti del progetto di a. come attività completa vede minata la propria integrità, con la marginalizzazione delle conoscenze tecnologiche che fino a quel momento ne erano state parte integrante.

La tecnologia dell'a. come disciplina nasce e si consolida nello sforzo di rivendicare il proprio ruolo all'interno del progetto: non come conoscenza aggiuntiva o subalterna nella definizione di una concezione strutturale e di una forma, ma come mezzo necessario alla loro stessa realizzazione. Il ruolo gregario assegnato alla tecnologia, unitamente alla necessità di restare comunque al passo con l'incalzante innovazione tecnica, ha finito per conferire alla tecnologia dell'a. una fisionomia magmatica, scarsamente controllata nei suoi esiti, spesso farraginosa o acriticamente sottomessa alle mode, vuoi produttive, vuoi, ancor peggio, intellettuali. Si è cioè verificata un'alternanza di interessi: dallo studio degli elementi costruttivi si è passati ai sistemi di assemblaggio industrializzati, all'analisi degli assetti normativi, allo studio dell'organizzazione dei processi, fino ad arrivare all'attuale attenzione per la gestione manageriale del processo di progettazione e costruzione dell'architettura. L'isolamento dei temi tecnologici in ambito disciplinare, se da un lato può fare ben sperare in un approfondimento e aggiornamento sistematico e consapevole delle tecnologie edilizie e in un riconoscimento delle dotazioni, anche teoriche, che esso presenta, dall'altro rende sempre più marcata la scissione, non più ricomposta, tra discipline compositive e discipline tecniche. L'a. risulta così ancora smembrata in sezioni distinte, in cui gli aspetti formali, funzionali e appunto tecnologici fanno da riferimento settoriale a un modo pure settoriale di intendere il progetto. Ciò prospetta al progettista architetto la necessità di riconsiderare, proprio attraverso le discipline tecnologiche intese in modo moderno, quel sapere specificamente tecnico che gli era proprio e che in questi ultimi anni si è visto lentamente erodere da parte del progettista ingegnere, nell'acuirsi del contrasto tra le due sensibilità professionali. Le discipline tecnologiche, riportate nella centralità del progetto, arricchite dal passaggio attraverso la specializzazione e la scientificizzazione dei loro contenuti, possono costituire per l'esperienza contemporanea il mezzo più adeguato per ridare senso all'attività progettuale.

La disciplina 'Tecnologia dell'architettura' è presente nelle facoltà di a. italiane solo a partire dal 1969. Precedentemente, nel quadro dell'attività didattica, l'ambito di interesse era riconducibile alla disciplina 'Elementi costruttivi', alla quale era affidato il compito di descrivere i materiali, le tecniche esecutive e i dettagli costruttivi, come mero completamento del progetto architettonico. Più recentemente il quadro delle discipline tecnologiche si è arricchito, grazie all'individuazione di ulteriori ambiti di didattica, di analisi e di ricerca, tra i quali l'insegnamento di 'Cultura tecnologica della progettazione' (1982) e quello di 'Teorie e storia della tecnologia edilizia' (1993), che testimoniano di un bisogno sempre più sentito di radicare culturalmente le conoscenze tecniche del progetto di architettura.

Un percorso evolutivo di Guido Nardi

Cultura materiale e costruzione

Per quanto riguarda l'evoluzione delle tecnologie dell'a., la riflessione qui proposta si articola intorno a due nodi complementari. Uno riguarda la specifica storia di materiali e di tecniche applicati all'a., fino alla loro evoluzione contemporanea e all'invenzione di nuovi materiali; l'altro prende invece in considerazione il percorso teorico-scientifico prodottosi intorno alle tecnologie dell'a. e rispecchia alcune fasi cruciali della storia delle idee.

Le origini del costruire sono caratterizzate dalla presenza di pochi materiali: pietra (graniti, calcari e arenarie) e mattoni di argilla, assemblati in murature a secco oppure mediante malte composte generalmente da fango semplice o misto a sabbia o a fibre vegetali; legno, utilizzato in strutture variamente articolate capaci di resistere agli sforzi sia di trazione che di compressione; conglomerati di varia natura, caratterizzati dalle qualità fisiche dei leganti e degli inerti utilizzati, e dal rispettivo dosaggio nella miscela; stoffe (tessuti, feltri) e pelli, impiegati secondo diverse versioni, soprattutto per costruzioni 'nomadiche'.

Per quanto scarsi i materiali e limitate le tecniche, l'efficacia delle loro prestazioni è stata nel tempo tale da costituire un patrimonio tecnico-culturale molto forte, in grado di proporsi addirittura come valore tecnico archetipico, utile riferimento anche per la pratica edilizia attuale. Ne sono un esempio le tecniche di consolidamento dei terreni di fondazione, già in uso in epoca romana e messi a punto nella costruzione di Venezia nel corso del Medioevo; l'assemblaggio a secco di pietre mediante semplici incastri (Stonehenge) o piccoli elementi metallici di connessione (Partenone, Atene); l'uso di conglomerati cementizi di diverso tipo per la costruzione di strutture voltate di grande luce (Pantheon, Roma), o alleggerite con elementi fittili (San Vitale, Ravenna); il diffusissimo impiego ibrido di pietra e mattoni; la carpenteria lignea, dalle capanne neolitiche fino alle strutture reticolari delle coperture nelle cattedrali medievali (Bourges) o alle sofisticate volte settecentesche (Palazzo della Ragione, Vicenza).

In questo ambito, il sapere tecnico è il risultato del consolidamento e della sedimentazione di una prassi basata sull'esperienza quotidiana. Ed è sorprendente rilevare come, grazie all'accumulo di questa esperienza tecnologica, si incominci solo molto tardi a delineare un interesse scientifico-teorico per i problemi relativi alla conoscenza delle tecniche e dei materiali. Fino al 1600, periodo a cui si fanno risalire i primi tentativi di formulare un'organizzazione scientifica del sapere nell'ambito delle costruzioni, il processo di consolidamento delle conoscenze relative all'arte di edificare si basava sull'osservazione e la verifica empirica delle pratiche correnti. Ci si preoccupava cioè più degli effetti prodotti dall'impiego di determinate tecniche costruttive che non della comprensione delle cause che quegli effetti avevano prodotto. Ciò spiega in parte anche il carattere di radicamento, quasi di statica permanenza che caratterizzava il panorama architettonico dal punto di vista tecnico, pur nella varietà di stili e soluzioni formali. Con la rivoluzione scientifica lungo il Seicento si avvia un percorso nuovo; ciò che interessa ora, e viene mano a mano sottoposto a rigorosa verifica scientifica, sono le cause che, ai diversi livelli, agiscono sulla qualità delle costruzioni: dalla geometria degli spazi progettati, alle caratteristiche meccaniche e fisiche dei materiali impiegati, all'accettazione di regole del costruire codificate sulla base di leggi scientifiche acquisite.

Ciò porta a una prima formulazione di ipotesi d'uso nel settore delle costruzioni di materiali e di schemi strutturali, imprevisti dalla prassi consolidata, con un processo che da allora non si è più arrestato. È proprio in questo periodo che si individuano i prodromi di quel bagaglio scientifico che è ancora oggi alla base della scienza e della tecnica delle costruzioni e che si è definito intorno alle leggi relative alla resistenza dei materiali, ai loro limiti prestazionali, alla teoria dell'elasticità, alla legge sulle strutture funicolari, alla meccanica delle strutture, accompagnate dal calcolo vettoriale, dai sistemi lineari, dalle equazioni differenziali, e, più tardi, dal linguaggio matriciale e dal calcolo variazionale. In tale momento delicato di trasformazione, se per un verso la tecnica costruttiva relativa alle strutture ha finalmente raggiunto il livello di scienza, per un altro verso l'esclusività di questo interesse ha finito per escludere, o per rendere marginali, tutti gli altri aspetti inerenti all'attività del costruire, relegati per lo più in una manualistica che tendeva a mettere a sistema le soluzioni tecniche adottate nella pratica corrente. È qui che nasce la divaricazione tra a. e ingegneria. È qui che l'a., rincorrendo le diverse, se pur legittime, istanze scientifiche della sua prassi, incomincia col perdere di vista la complessiva dimensione tecnica del costruire. Il processo di separazione qui avviato trova la sua completa espressione alla fine dell'Ottocento, quando, con l'industrializzazione, le tecnologie dell'a. sono investite da un'ulteriore significativa trasformazione.

L'industrializzazione: innovazione tecnica e sistemi costruttivi

Con l'avvento della rivoluzione industriale, ancorché in ritardo rispetto ad altri settori produttivi, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento le tecnologie delle costruzioni subiscono un processo di rapida evoluzione connesso alla disponibilità di nuovi materiali, a una rinnovata competenza tecnico-scientifica, all'innovazione dei procedimenti produttivi, e alla messa a punto di metodologie organizzative sempre più efficaci. La prima fase di questo processo innovativo è caratterizzata dalla sostituzione dei materiali della tradizione - laterizio, pietra, legno - con i materiali ferrosi - ghisa, ferro pudellato, e successivamente acciaio - che ancora non comporta sostanziali modifiche nell'impiego delle tecniche costruttive e nella concezione strutturale degli edifici. I 'nuovi' materiali trovano una prima applicazione negli edifici a destinazione industriale (filande, opifici, silos, docks), sorti soprattutto in Inghilterra e sulla costa atlantica dell'America del Nord, e in seguito nei padiglioni espositivi.

In queste costruzioni, parti d'opera realizzate prevalentemente in ghisa, ferro o acciaio, vengono inserite all'interno di un'organizzazione progettuale ed esecutiva che conserva le proprie matrici tradizionali: colonne in ghisa rimpiazzano i pilastri in legno o in muratura, mentre pannelli prefabbricati, sempre in ghisa, sostituiscono gli articolati tamponamenti in pietra, aprendo per la prima volta al costruire luoghi di produzione lontani dal cantiere. Solo con la piena consapevolezza ingegneristica delle potenzialità connesse con l'applicazione dei materiali ferrosi in a. si verificano le prime modificazioni sostanziali nel modo stesso di concepire l'a. e il ruolo che le tecnologie edilizie in essa svolgono: l'acciaio dolce per le strutture costituite dall'assemblaggio di billette e profilati, o il ferro forgiato per le travature reticolari e le opere di carpenteria metallica delineano un nuovo orizzonte tecnologico e allo stesso tempo figurativo per l'a. di fine Ottocento. Successivamente vengono messi a punto i primi sistemi costruttivi basati sulla struttura portante a scheletro in acciaio, per edifici multipiano prima industriali e poi residenziali o commerciali. Si diffonde inoltre la tecnica della partitura delle pareti esterne non portanti, composte da elementi modulari ripetuti, eseguiti in officina e fissati in opera, che prevedono l'assemblaggio di facciate continue (curtain wall).

Pur rivestendo un ruolo ancora marginale rispetto al persistere di tecniche costruttive tradizionali, per questi nuovi edifici si assiste al trasferimento di parte delle operazioni di costruzione dal cantiere all'officina, inaugurando significative trasformazioni dell'organizzazione del processo edilizio. Il cantiere diviene quindi il luogo dell'assemblaggio delle diverse parti edilizie, mentre il lavoro manuale è parzialmente sostituito da processi meccanici. Emblema di questo nuovo modo di intendere il costruire è la progettazione, la costruzione (Londra, 1851), l'immediato smontaggio e la successiva ricostruzione del Crystal Palace, concepito da J. Paxton.

I punti salienti di questo nuovo modo di intendere il costruire possono essere così riassunti: definizione del progetto secondo un programma operativo e organizzativo delle procedure e delle fasi di assemblaggio in cantiere; scomposizione della costruzione in parti edilizie caratterizzate dallo studio del metodo produttivo e da un piano di fabbricazione dei singoli elementi costruttivi, con la codifica del processo di montaggio, dei costi e dei tempi di posa in opera; sostituzione del dimensionamento metrico delle parti edilizie con quello modulare, meglio corrispondente all'impiego dei molteplici e diversi elementi costruttivi.

Nel corso del Novecento si consolidano, per il settore delle costruzioni, gli imperativi della standardizzazione e dell'unificazione, per quanto riguarda sia gli aspetti esecutivi, sia gli aspetti organizzativi. Con l'affermarsi dei concetti industriali di pianificazione e sviluppo della produzione si innesca una frattura tra gli ambiti della 'costruzione' complessiva dell'edificio, dove le tecniche e le modalità di produzione restano pur sempre legate a una prassi artigianale del cantiere, e la 'fabbricazione' delle singole parti componenti, ormai soggette alla logica produttiva industriale. Questa divaricazione dà ragione del diffuso impiego di tecniche esecutive miste o dell'impiego evoluto di quelle tradizionali. Un esempio della sperimentazione condotta in questa direzione è costituito dai prototipi realizzati per l'edilizia economica nel quartiere Weissenhof a Stoccarda (1927), dove componenti industrializzati (elementi profilati in acciaio, pannelli di tamponamento in sughero e cartongesso stratificati, lastre di rivestimento in cemento-amianto) sono affiancati nella stessa costruzione a tecniche tradizionali (tamponamenti e solai in muratura di laterizio, serramenti in legno) e dove materiali ormai consolidati sono utilizzati secondo logiche innovative (è il caso del solaio in cemento armato progettato da Le Corbusier, realizzato con un cassero a perdere in legno e canne, oppure dei tamponamenti in blocchi di cemento cavo, utilizzati per il getto dei pilastri).

L'ulteriore sviluppo tecnologico nella direzione dei prodotti edilizi industrializzati porta alla progettazione e produzione di componenti edilizi sempre più sofisticati, per quanto riguarda sia le prestazioni tecnologiche interne, cioè le caratteristiche funzionali, fisiche, spaziali, dimensionali del componente, sia le prestazioni tecnologiche esterne, relative cioè alle modalità di assemblaggio, accostamento o connessione con altri componenti o parti d'opera. Ciò comporta da un lato lo studio della produzione di parti edilizie che presentino una propria autonomia e versatilità di utilizzo, che contengano una loro funzionalità operativa specifica e che richiedano in cantiere operazioni di solo accostamento o connessione con altre parti; dall'altro lato lo studio di singole parti edilizie autonome rispetto all'utilizzazione per cui sono state studiate, come avviene nella produzione di manufatti meccanici, dove uno stesso componente può essere impiegato per la costruzione di diversi modelli.

I principali aspetti relativi all'organizzazione e alla messa in opera dei sistemi costruttivi basati sull'assemblaggio di componenti industriali sono la programmazione del ciclo produttivo (dal punto di vista tecnico, economico-finanziario e temporale), la progettazione integrale dell'organismo edilizio (secondo un metodo che ne prevede la scomposizione in elementi ripetibili in serie), e la produzione industriale dei vari componenti nella quantità e nelle prestazioni tecnologiche previste.

Ciò mette in evidenza la necessità di un metodo di definizione globale del sistema costruttivo, sulla base di una capacità progettuale e organizzativa che preveda anche la descrizione di tutte le interazioni possibili e necessarie per la realizzazione dell'organismo edilizio - semplice o complesso - in tutte le sue parti: questo tipo di progettazione, denominata metaprogettazione, consente di esprimere i requisiti specifici di ogni intervento, ricercati ed espressi in funzione degli obiettivi prefissati.

L'industrializzazione ha quindi determinato una revisione sostanziale del metodo progettuale, imponendo rigorose regole di organizzazione e di gestione del percorso di progetto, in cui assumono un ruolo preponderante i vincoli costituiti dalle tecniche esecutive prescelte e dalle tecnologie di produzione e di messa in opera utilizzate, dalla prima fase ideativa fino all'uso e alla gestione del manufatto edilizio.

Metodologia e organizzazione del processo edilizio

A partire dalla prima industrializzazione, le tecniche costruttive sono state interessate da un costante processo di innovazione (che si è tuttavia sempre accompagnato alla permanenza di tecniche tradizionali) e da una persistente struttura produttiva di impronta artigianale. Allo stesso modo si è evoluto l'interesse per gli aspetti organizzativi e si sono venute delineando linee operative molto articolate. L'analisi dei metodi e degli strumenti relativi alla programmazione, alla previsione e al controllo della fase operativa degli interventi edilizi diviene spesso fine a se stessa e finisce per assumere una rilevanza preponderante rispetto al complessivo interesse progettuale. Secondo questa impostazione, viene a delinearsi il concetto di progettazione integrale, nel quale progettazione esecutiva e progettazione operativa trovano continuità, grazie all'assunzione sinergica delle funzioni decisionali e di controllo rivolte a governare le operazioni costruttive.

La sequenza logica delle operazioni finalizzate all'individuazione, definizione e realizzazione del manufatto edilizio si identifica con il processo edilizio inteso come sequenza organizzata di fasi operative, che vanno dal rilevamento delle esigenze edilizie al loro soddisfacimento in termini di produzione edilizia, codificato dall'Ente nazionale italiano di unificazione, con la norma UNI 7867/1978, parte iv. Il rischio insito in questa procedura è quello di perdere il riferimento concreto con la costruzione, sottraendo al progetto il ruolo di sintesi tra forma, tecnica e materiali, per essere tradotto in mera esplicitazione di una serie di requisiti ai quali si fornisce una risposta in termini di prestazioni. L'ormai obsoleta normativa di carattere prescrittivo basata sulla regola dell'arte viene sempre più spesso sostituita da una normativa di carattere 'prestazionale'. Se nelle intenzioni tale impostazione avrebbe dovuto garantire maggiore libertà nelle scelte tecnologiche, nei fatti essa si è dimostrata difficile da praticare, come dimostrano l'insuccesso dei capitolati-tipo che ne riflettono la logica e il persistere nella manualistica dei repertori di soluzioni tecniche cosiddette conformi, ritenute cioè tali rispetto allo stato attuale del costruire.

L'organizzazione del processo edilizio è attualmente basata sulla distinzione di due cicli di attività: il 'processo attuativo' e il 'processo gestionale'. Il primo comprende la fase di programmazione, la fase di progettazione, a sua volta suddivisa in preliminare, definitiva ed esecutiva propriamente detta, e la fase di esecuzione. Il processo gestionale comprende invece le fasi di programmazione della manutenzione, relativa ai processi di obsolescenza e ai fenomeni patologici di degrado; di definizione dei sistemi di monitoraggio e delle procedure di controllo delle condizioni in esercizio; della manutenzione dell'organismo edilizio.

Gli aspetti tecnologici assumono un ruolo particolarmente rilevante nell'elaborazione del progetto esecutivo, che si configura come l'insieme organizzato delle informazioni necessarie per eseguire il processo di produzione e di costruzione, fornendo istruzioni certe e precise a tutti gli operatori del processo, su tutte le azioni da compiere. La messa a punto del progetto esecutivo, come ambito di approfondimento e definizione della progettazione tecnologica, costituisce la connessione essenziale tra le fasi decisionali riferite alle caratteristiche funzionali e tecniche della costruzione e le fasi decisionali riferite alle modalità di esecuzione in cantiere. Il progetto esecutivo precisa anche le modalità tecniche e produttive di ogni operazione costruttiva, predisponendo gli elementi costruttivi e i materiali necessari, e delinea la programmazione generale e specifica, per ogni operazione esecutiva, dell'intero processo di produzione e di costruzione.

Le tecniche contemporanee e la gestione manageriale del processo

Lo scenario architettonico contemporaneo si presenta particolarmente ricco per quanto riguarda le tecniche costruttive. Il processo di industrializzazione avviato a partire dalla fine del Settecento trova oggi la sua piena espansione, rendendo disponibile per il progettista una quantità di materiali e di tecniche non paragonabile alle scarse risorse a disposizione in età agricolo-artigianale. La necessità di trovare continuamente nuovi mercati per prodotti e tecnologie messi a punto dall'industria cosiddetta avanzata, innanzitutto bellica, e quindi chimica, aeronautica, aerospaziale, informatica, ha indotto un processo di trasferimento da questi ambiti a quello delle costruzioni, di cui oggi è possibile osservare i primi risultati nelle architetture realizzate. L'impiego sempre più diffuso di leghe di alluminio, di leghe di acciaio, di acciai speciali, di tessili tecnici, di vetri ad alte prestazioni, di cemento rinforzato con fibre di vetro, di legno lamellare, di materiali ad accumulo termico, di polimeri e tecnopolimeri e infine di materiali compositi, dimostra come queste tecnologie vadano definendo la nuova architettura.

Allo stesso modo, l'interesse verso la leggerezza, la ricerca di trasparenza, l'attenzione per il contenimento dei consumi energetici configurano una prassi progettuale e costruttiva sempre più complessa, che vede la necessità di consistenti collaborazioni interdisciplinari a livello di progetto, di serrate integrazioni tra i diversi produttori coinvolti nella costruzione, e infine di efficaci sistemi di gestione del processo realizzativo. La tecnologia dell'a. contemporanea rivolge quindi gran parte delle proprie energie a questo nuovo, ampio ambito di interessi e di saperi, anche molto lontani dall'originaria matrice disciplinare.

Se in Italia la riflessione intorno a questa nuova impostazione tecnologica ha avuto scarse possibilità applicative, pur esprimendosi ad alto livello teorico (cfr., per esempio, i risultati pubblicati in questa direzione nell'ambito del Progetto finalizzato edilizia, del Consiglio nazionale delle ricerche), in altre parti d'Europa, e soprattutto oltreoceano (il riferimento è naturalmente agli Stati Uniti, ma anche alle nuove realtà economico-politiche che si affacciano sull'Oceano Indiano e sul Pacifico), essa ha trovato grandi occasioni di sperimentazione e di realizzazione, che hanno fatto compiere notevoli progressi alle molteplici tecnologie coinvolte, che sono costruttive, ma anche informatiche e manageriali.

Per quanto riguarda le tecnologie costruttive, la ricerca sui nuovi materiali, unitamente ai grandi temi progettuali della trasparenza, leggerezza, eco-compatibilità, ha condotto alla messa a punto di sistemi tecnici assai complessi. In questa prospettiva si collocano le ricerche attuate nel campo dei calcestruzzi fibro-rinforzati, che migliorano notevolmente le prestazioni dei tradizionali calcestruzzi, sia sul versante del comportamento meccanico che su quello della durabilità. Lo stesso processo caratterizza il settore del legno, che vede oggi proliferare la presenza di materiali compositi: dall'ormai consolidato legno lamellare, costituito da assi di legno incollate tra loro, al più recente 'parallam', che consente di realizzare componenti edilizi di alte prestazioni a partire da piccole parti di legno, sottoposte a incollaggio ad alta pressione.

Anche il settore dei metalli ha avuto in questi ultimi anni una significativa evoluzione. Nell'ambito dell'acciaio sono state messe a punto leghe in grado di resistere alle aggressioni degli agenti atmosferici, interni ed esterni agli edifici, che ne ampliano i tradizionali campi di impiego, come dimostrano le recenti coperture di grande dimensione realizzate con lamiere di acciaio inossidabile. Nell'ambito dell'alluminio sono state realizzate nuove leghe che ne consentono un efficace impiego anche in campo strutturale. Infine, grazie alla messa a punto di nuove tecnologie di produzione, hanno fatto il loro ingresso nel settore delle costruzioni materiali nuovi quali il titanio, i tessili tecnici, i polimeri tecnici, i compositi plastici. Essi trovano oggi qualificata applicazione in edifici di grande prestigio, come per es. l'École supérieure d'ingénieurs en électrotechnique et électronique di D. Perrault (Marne-la-Vallée, 1987), il cui manto di copertura è realizzato con grandi elementi in poliestere rinforzato con fibre di vetro, oppure il Guggenheim Bilbao Museoa di F.O. Gehry (Bilbao, 1997) dove il rivestimento è costituito da lastre di titanio. Le nuove tecnologie hanno consentito peraltro anche nuovi impieghi di materiali tradizionali: per es. il mattone in laterizio delle murature assemblate a secco per l'ampliamento della sede dell'Ircam (Parigi, 1989) progettato da R. Piano, o il marmo delle volte a spessore sottile del Centro direzionale marmi e macchine (Carrara, 1991) di A. Mangiarotti.

Un discorso particolare meritano i materiali trasparenti, innanzitutto il vetro, in grado di fornire oggi prestazioni elevate dal punto di vista strutturale, grazie alle più recenti tecniche di tempra, e dal punto di vista ottico ed energetico, con la realizzazione di vetri assorbenti, riflettenti, basso-emissivi. Sempre a questo settore possono essere ricondotti i più recenti prodotti reattivi, come per es. i materiali cromogeni, o i materiali isolanti trasparenti, che costituiscono dei veri e propri filtri selettivi rispetto al passaggio dei flussi energetici.

Sulla base di queste innovazioni nei materiali, le tecnologie edilizie hanno visto rinnovare e ampliare il repertorio delle soluzioni disponibili, avviando anche in alcuni casi - per es. con le tensostrutture, le vetrate sospese o le strutture reticolari spaziali - la ricerca di un'inedita espressività.

Per quanto riguarda le tecnologie informatiche, sempre applicate all'ideazione e alla gestione del progetto e della sua costruzione, il primo ingresso è rappresentato dagli strumenti computerizzati di supporto al disegno (CAD, Computer Aided Design), dai software di simulazione tridimensionale e di realtà virtuale, dai data base per l'organizzazione dell'informazione, dai sistemi per il controllo e l'organizzazione della tempistica, fino ad arrivare ai più evoluti sistemi di supporto alle decisioni. Questo scenario tecnologico offre oggi l'opportunità di supportare ogni fase dell'attività di progetto con strumentazioni efficaci, consentendo una reale integrazione tra le diverse competenze coinvolte nelle varie fasi. I sistemi CAD organizzati in reti distribuite sul territorio consentono, per es., di verificare in tempo reale la coerenza delle scelte tecniche attuate nei diversi ambiti da operatori variamente dislocati; i sistemi di simulazione tridimensionale permettono di verificare le scelte operate con ampia flessibilità ed efficace realismo; i sistemi di supporto alle decisioni consentono scelte tecniche circostanziate rispetto a decisioni relative a settori sempre più specializzati. Sul versante della costruzione, è di particolare interesse l'introduzione dei sistemi di controllo computerizzato negli impianti degli edifici, che ne consentono una più efficace gestione, ottimizzando i consumi energetici e garantendo livelli di comfort più alti e personalizzati rispetto alle tradizionali soluzioni.

Per quanto riguarda le tecnologie manageriali, che devono tener conto sia della fase progettuale che di quella realizzativa, si è passati dalla modalità ormai obsoleta del construction management utilizzata negli Stati Uniti a partire dagli anni Quaranta, basata su precedenti esperienze isolate - esempio significativo è lo Specifications and details book, elaborato da R. Neutra -, al project management propriamente detto, in cui per la prima volta tecniche di organizzazione considerano la fase di progettazione unitamente alla fase di costruzione; fino ad arrivare al più recente management contracting, il cui obiettivo è quello di ottenere un prodotto di costo e qualità certi, nel più breve tempo possibile, mediante un'efficace gestione degli appalti. Capostipite di questa evoluzione può essere considerato il processo organizzativo approntato per la realizzazione della sede della Hong Kong and Shanghai Banking Corporation, di N. Foster, inaugurata a Hong Kong nel 1987.

Il contenimento dei tempi porta a una sovrapposizione delle fasi di progettazione e di costruzione, imponendo il riferimento a efficaci supporti organizzativi, non richiesti all'interno di processi improntati a una successione sequenziale. Entro questa prospettiva si delinea una gestione manageriale del processo di progettazione e di esecuzione: il 'progetto di architettura' e il ruolo che le tecniche esecutive in esso rivestono diventano secondari rispetto agli aspetti organizzativi, incentrati ora piuttosto sulla pianificazione, la programmazione e il controllo.

La previsione anticipata dei fattori che possono avere ripercussioni sullo sviluppo e sui risultati finali di un progetto costituisce l'imperativo dei sistemi di pianificazione e controllo del processo di progettazione e costruzione. Eventuali correzioni comportano infatti costi e ritardi via via crescenti, in relazione allo stato di avanzamento del progetto. Diviene quindi essenziale provvedere a una precisa impostazione, capace di comprendere al suo interno considerazioni provenienti dai diversi ambiti disciplinari coinvolti nel progetto, prima ancora di procedere alla sua effettiva elaborazione.

Tutto ciò mette in discussione i saperi tradizionalmente coinvolti nel processo edilizio e le figure professionali a essi preposte. All'architetto libero professionista, il processo gestito secondo tecniche manageriali preferisce la società di ingegneria, all'interno della quale l'architetto finisce spesso per rivestire il ruolo di mero specialista della forma. Si tratta sicuramente di una fase transitoria, innescata dall'avvento in tutti i campi di tecnologie nuove e complesse, intorno alle quali le rispettive competenze devono essere riorganizzate e riequilibrate. Ma è grande il rischio per l'architetto, se non rinnoverà culturalmente il proprio sapere tecnologico - nel duplice senso che abbiamo assegnato alle tecnologie dell'a. - di vedersi messo in disparte, a vantaggio della rigida ratio economica che governa la contemporaneità.

Cultura tecnologica del progetto di architettura di Guido Nardi

È proprio nell'ambito del rapporto cultura-progetto che si possono fare alcune riflessioni conclusive sulle tecnologie dell'architettura.

Si dimostra necessaria infatti una revisione che metta in evidenza, per le tecnologie, la loro derivazione da un corpo di conoscenze più vasto di quanto non sia il limitato ambito delle tecniche costruttive; per l'a., l'insopprimibile valenza culturale di ogni intervento sull'ambiente, che, non va dimenticato, innesca catene di riverberi a diversi livelli. Recuperando valore nel progetto, le tecnologie dell'a. così intese possono restituirgli validità e fondamento culturale. Troppo spesso portato dai diversi saperi e metodi di conoscenza coinvolti a inaridirsi entro schemi facilmente controllabili, il progetto rischia o di ancorarsi a una tradizione ormai svuotata di significato, o viceversa di avventurarsi in direzione di un tecnicismo spesso puramente formale. Può dimostrarsi di aiuto per affrontare le nuove esigenze e le rinnovate interconnessioni una impostazione interdisciplinare, che si va confermando come nuova metodologia scientifica di conoscenza e di comprensione della realtà, e in particolare della realtà progettuale.

L'ambito tradizionale della tecnologia dell'a. non potrà che giovarsi di un'apertura alla cultura tecnologica della progettazione, che consentirà di strutturare, ordinare e articolare la straordinaria congerie di saperi che in essa confluiscono, proporsi come fonte di documentazione e di scenari tecnici possibili e, allo stesso tempo, come filtro critico delle scelte iniziali o definitive del progetto; e insieme caratterizzarsi come metodologia aperta che consenta, di volta in volta, di accedere alle tecniche più adeguate. In questo senso si delineano per la tecnologia nuove relazioni, che interessano l'intero processo di concezione, progettazione, costruzione e uso dell'a. e conferiscono al progetto nuove modalità operative che lo coinvolgono fin dalla sua fase iniziale, detta anche 'euristica', intesa come momento della ricerca e della sperimentazione, nella quale agiscono insieme dispositivi creativi e vincoli tecnici.

Nell'ambito delle tecnologie dell'a. assume un interesse specifico anche l'apporto metodologico e documentale della cultura dei materiali, cultura che è resa concreta e acquisisce fisicità secondo modalità storicamente definite e attraverso la mediazione di un complesso sistema di relazioni. Solo in tale prospettiva è possibile giungere a una corretta e globale comprensione dei materiali impiegati, delle tecniche usate, scambiate o abbandonate, della scelta di determinate tecnologie, delle modalità di produzione degli elementi utilizzati nelle costruzioni, dell'organizzazione dei cantieri, dei mutamenti o delle permanenze delle tendenze progettuali.

Interviene in questo percorso di conoscenza anche il supporto della storia che si rivela, in questo ambito specifico, come individuazione e riconoscimento di archetipi costruttivi che si intersecano con le più recenti innovazioni. D'altra parte, la storia delle tecnologie dell'a. presenta un carattere prettamente evolutivo, nel senso che ogni avanzamento non può che procedere da una sperimentazione consolidata e appoggiarsi su un substrato tecnico e culturale radicato. Si tratta in gran parte di una storia ancora tutta da scrivere, che tuttavia, per gli esempi già affrontati, porta a una rivalutazione del ruolo delle tecniche e a una nuova interpretazione dell'a. nel suo complesso. Vedi tav. f.t.

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