ARDUINO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ARDUINO

Margherita Giuliana Bertolini

Documentato tra l'aprile del 945 e l'aprile del 976, detto Glabrione, fu il creatore delle fortune della casa degli Arduinici di Torino. Figlio del conte di Auriate, Ruggero - un cavaliere franco, pare d'illustre famiglia, venuto in Italia probabilmente agli inizi del sec. X -, seppe destreggiarsi abilmente in mezzo alle complesse vicende della sua età: infatti non solo uscì indenne dalle lotte che accompagnarono la successione dei vari re in questi ultimi anni di vita dei "regnum " italico autonomo (Ugo di Provenza, Lotario, suo figlio, Berengario II, Ottone I), ma ottenne anche da essi privilegi e concessioni.

La scarsa organicità della documentazione peraltro impedisce una ricostruzione cronologica delle tappe dell'ascesa di A. che, semplice conte del piccolo comitato di Auriate stendentesi tra la Stura, il Po e le Alpi (a un dipresso l'attuale territorio del Cuneese e del Saluzzese), terminò la sua vita a capo della marca di Torino, di recente costituzione, comprendente con sicurezza i comitatì di Auriate, Torino, Asti, Albenga e, con ogni probabilità, quelli di Bredulo, Alba e Ventimiglia. La principale fonte per la sua vita - la cronaca della Novalesa scritta intorno alla metà del sec. XI - è priva infatti d'ogni circostanziato riferimento cronologico ai fatti narrati. D'altronde, gli unici documenti che, al di fuori di essa, ci sono pervenuti, sono di poco aiuto per il lineamento biografico: da essi si ricava che il 13 apr. 945 "Ardoinus comes "risiedeva in giudizio a Pavia in un placito presieduto dal conte Lanfranco, presente il re Lotario; che il 20 giugno 967 A. aveva già il titolo di " marchio "; che il 4 apr. 976 era ancora in vita.

L'unico dato preciso che la cronaca della Novalesa riferisce riguarda la concessione dell'amministrazione del monastero della Novalesa stessa fatta da Lotario ad A. il 13 nov. 950. Tuttavia dalla constatazione di quanto ebbero i figli per via d'eredità, da un esame interno della cronaca, dagli avvenimenti politici contemporanei, si può cercare di precisare i limiti ed i tempi della sua fortuna. All'età del re Ugo dovette risalire il primo ingrandimento territoriale di A.: l'acquisto del comitato di Torino, che risulta essere la principale residenza di A. ben prima del 13 nov. 950. Il suo acquisto si può mettere in relazione da una parte con gli urti che il re Ugo ebbe tra il 940 ed il 942 con la famiglia dei marchesi d'Ivrea, cui appunto apparteneva il comitato torinese, urti che spinsero il titolare della marca Berengario, futuro re d'Italia, a trovare rifugio presso il re di Germania Ottone I (primavera 942), dall'altra con la necessità che lo stesso Ugo ebbe intorno al 942 di costituire un più valido argine di difesa contro i Saraceni di Frassineto: con questi infatti aveva concluso una pace affrettata, timoroso dei ritorno armato di Berengario. Probabilmente in questo stesso torno di tempo ed approfittando delle medesime circostanze, A. s'impadronì della valle di Susa, facente parte del distretto di Torino. Quest'impresa suscitò il risentimento dei monaci della Novalesa che avevano abbandonato la valle agli inizi del secolo in seguito alle invasioni saracene, ma che non avevano evidentemente per questo cessato di conservarne i diritti (" Ardoinus vir potens ... nobis tulit [vallem Segusinam] tantum ... erat plenus viciis... superbia tumidus... in adquirendis rebus alienis avaricie faucibus succensus ", Chronicon Novaliciense, I. V, C. XIX).

Alle vicende che riportarono Berengario in Italia e lo fecero arbitro, dopo la cacciata del re Ugo (945), del " regnum ", prima in qualità di " summus consiliarius " dei re Lotario (marzo-aprile 945), poi come " consors regni " di Lotario stesso (giugno 948), infine come re (15 dic. 950), pare debba essere legata la promozione di A. a " marchio". Nell'ultimo anno del regno di Lotario infatti e prima, a quanto pare, della sua: incoronazione regia, Berengario procedette ad una nuova ripartizione delle circoscrizioni marchionali, spezzettando le troppo estese marche di Lombardia e di Ivrea: mezzo secolo di storia aveva dimostrato quale pericolo potessero rappresentare per il potere centrale grosse unità territoriali capaci di svolgere una propria politica. In questo momento quindi, accanto alla marca obertenga, affidata al conte di Luni Oberto II a detrimento della marca lombarda, dovette essere Costituita la marca di Torino, concessa appunto ad A. conte di Auriate e di Torino. Non dovettero essere estranee a questa nuova sistemazione dei territori centrooccidentali del " regnum. " anche motivazioni di carattere più contingente: Berengario contava di avere, ed ebbe evidentemente, in cambio dai nuovi marchesi, un appoggio concreto per la sua elezione a re, avvenuta effettivamente dopo la morte (22 nov. 950) di Lotario. A questo stesso complesso di ragioni A. dovette l'amministrazione dell'abazia della Novalesa più sopra ricordata (13 nov. 950). Non sembra di dover acconsentire all'ipotesi di quanti vedono questa concessione lotariana in funzione antiberengariana. Secondo alcuni studiosi infatti Lotario avrebbe cercato di sganciarsi dalla pesante tutela di Berengario allacciando mediati accordi con Ottone, cercando di procurarsi solidi sostenitori in Italia: A. poteva essere di aiuto prezioso in caso di bisogno, a capo com'era di territori di confine con la Borgogna ove regnava Corrado, protetto di Ottone, e fratello della regina d'Italia Adelaide, madre di Lotario. Sono tuttavia troppo labili i segni d'una politica lotariana autonoma e, d'altra parte, non è esatto che la concessione fatta ad A. sia avvenuta per intervento della regina Adelaide. È vero invece che proprio la regina Adelaide, divenuta moglie di Ottone (ottobre-novembre 951), ormai re d'Italia (dal 23 sett. 951), intervenne presso il re tedesco perché cassasse la concessione lotariana e la sostituisse con un'altra a favore del monastero, come si evince dalla lettera di lamentele contro i soprusi di A. che l'abate della Novalesa, Belgrimo, scrisse al pontefice Giovanni XIII.

La data di tale lettera non è con esattezza precisabile: essa è riportata nell'appendice terza della cronaca della Novalesa, ed è priva di elementi cronologici. Il Terraneo la pose nel 966; il Cipolla, editore della cronaca, nel 972. Il 21 apr. 972 infatti Giovanni XIII emanava una bolla a favore della Novalesa che può sembrare risposta alle suppliche di Belgrimo. Tale bolla fu seguita anche da un diploma di Ottone I del 10 maggio 972, di analogo tenore. Tuttavia è da notare che sia nella bolla del pontefice sia nel privilegio imperiale non si fa alcun cenno ad A., contro al quale era stata rivolta soprattutto la protesta di Belgrimo.

Marchese di Torino dunque di nomina berengariana, A. seppe agire in modo da non rendersi ostile a quegli ambienti che si dimostreranno contrari al nuovo re. Da un racconto di sapore leggendario, tramandatoci oltreché dal cronista della Novalesa anche da Donizone nella sua Vita Mathildis, risulta infatti che se A. fu a fianco di Berengario nell'assedio che questi avrebbe posto alla rocca di Canossa ove s'era rifugiata la vedova regina Adelaide, fu però proprio lui a suggerire ad Adalberto Azzo, allora " miles" del vescovo di Reggio e custode di Adelaide, ma presto conte e marchese di Canossa, lo stratagemma che spinse Berengario a togliere l'assedio. Anche se è difficile precisare la cronologia di questo avvenimento; anche se non corrisponde ad una precisa realtà storica, tuttavia è spia dell'abilità politica di Arduino e del suo legame con ambienti non certo berengariani. Può darsi che già il figlio Manfredo avesse sposato Prangarda, figlia di Adalberto Azzo di Canossa, e che per questo A. si comportasse così, come dice il cronista; ma forse è più probabile che in questo momento, presago di avvenimenti futuri, A. prendesse gli accordi matrimoniali.

Il crollo improvviso di Berengario, dopo la seconda discesa di Ottone in Italia (luglio 961), se deve essere attribuito alla dichiarata ostilità del ceto ecclesiastico e di alcuni grandi laici, già protetti da Berengario, come il marchese Oberto, fu certo anche dovuto alla passività degli altri grandi laici su cui pure doveva poter contare: tra questi va posto Arduino.

Poche sono le notizie sugli ultimi anni di Arduino. A certo che A. partecipò insieme a Guglielmo di Provenza ed al fratello di questo Rambaldo all'impresa che portò alla distruzione definitiva del centro saraceno di Frassineto. L'azione, provocata dalla cattura dell'abate di Clunyl Maiolo, che dall'Italia tornava in patria (22 luglio 972), ebbe il suo termine vittorioso nefl'autunno 972. Ad A. sembra debba attribuirsi la concessione di privilegi ed immunità agli uomini di Tenda, Briga e Saorgio, come è testimoniato da un breve memorationis rilasciato dai conti di Ventimiglia, Ottone e Corrado, nel 1041. Ci sfuggono la data e le ragioni che portarono a questa concessione.

Se l'abilità manovriera fu una delle doti che portò A. a grande potenza, una felice politica matrimoniale ed uno spregiudicato agire nei confronti dei beni ecclesiastici furono le altre fonti della sua fortuna. Legatosi alla casa di Canossa, che grande importanza doveva acquisire sotto gli Ottoni, come abbiamo detto sopra, si legò anche alla casa comitale di Bergamo, dando in sposa al conte Giselberto la figlia Anselda; sottolineò i suoi interessi verso la confinante marca d'Ivrea con il matrimonio di un'altra figlia, Ichilda, con Corrado ultimo figlio di Berengario II, reintegrato nella marca avita nel 969. Della disinvoltura che A. ebbe nei confronti dei beni ecclesiastici, ed in particolare di quelli del monastero della Novalesa, è sufficiente testimonianza la lettera già ricordata dall'abate Belgrimo: A. " rapax lupus latens sub imagine candide ovis " dovette ben sapere profittare del privilegio lotariano (" omnes cortes vicosque et cuncta oppida... totamque meliorem coenobii terram abstulit nobis... "), né il ricordato privilegio di Ottone del maggio 972 né la precedente bolla papale del 13 apr. 972, gli impedi di abbandonare un costume che tuttavia non era suo personale ma comune alla grande aristocrazia feudale della sua età.

Una cosa A. non riuscì a fare: porre un suo candidato a capo della comunità della Novalesa alla morte di Belgrimo (973-975). Per due anni attese il monaco Giovanni, ma "nequaquam consecrationem meruit ". Segno che la bolla papale, oltre ad altre circostanze che ci sfuggono, se non servì a tutelare il patrimonio terriero, fu efficace almeno nell'assicurare la piena autonomia della comunità monastica nell'elezione del proprio abate.

Sembra che sia da escludersi l'identificazione del nostro marchese con quefl'Arduino Tarchese che vendette ad Ugo dì Montboissier, gentiluomo di Alvemia, i terreni vicini a Torino sul monte Pirchirano. Ivi Ugo fondò il monastero di S. Michele detto della Chiusa (Sacra di S. Michele). Si tratterebbe d'un suo discendente, forse il figlio od un nipote. La fondazione andrebbe quindi posta non già nel 966, data indicata dal cronista di S. Michele, ma intorno al 999-1002.

Alcuni studiosi suppongono che una terza figlia di A. sia andata sposa a Dadone padre del futuro re d'Italia Arduino. Ma di tale figlia non si ha alcuna notizia.

Oltre a Manfredo, priinogenito, già morto nel iooi, Anselda ed Ichilda, A. ebbe altri due figli: Arduino, già morto nel 1026, Oddone, già morto nel 1005 S. La schiatta degli Arduinici di Torino si spegneva, dopo circa un secolo con Adelaide, discendente di Manfredo, andata sposa ad Oddone di Savoia.

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