ARGIRO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ARGIRO

Armando Petrucci

Nacque a Bari, negli ultimissimi anni del secolo X o nei primissimi dell'XI, da Melo, ricco e influente cittadino, e da Maralda. Quando la prima rivolta delle città di Puglia, suscitata nel 1009 da Melo contro la dominazione bizantina, fu nel 1011 schiacciata, A. e la madre furono presi come ostaggi in Bari dal catapano Basilio Mesardonita e condotti a Costantinopoli. Lì nonpare che abbiano subito maltrattamenti di sorta nel corso della seconda rivolta pugliese capeggiata da Melo (1017-1018), né dopo la morte di questo, avvenuta a Bamberga, alla corte di Enrico II, il 23 apr. 1020. A., dopo essere stato educato negli ambienti della corte imperiale e avere appreso il greco, tornò in Italia (presumibilmente a Bari) intorno al 1029. Non si ha quindi alcuna notizia di lui sino al 1040, ma gli avvenimenti che lo videro protagonista dopo questa data fanno credere che egli abbia impiegato quel lasso di tempo a ricostituire in Bari la fortuna patrimoniale e il prestigio politico già goduti da Melo. Ciò spiega perché e come, quando fra il 1038 e il 1040 le popolazioni pugliesi, profittando della esiguità delle guamigioni bizantine, ripresero ad agitarsi e quando la guamigione di Ascoli, formata di truppe ausiliarie, si ribellò uccidendo il catapano Niceforo Doceano (gennaio 1040), A. sia subito balzato alla testa del movimento e, giovandosi dell'appoggio sia dei soldati rivoltosi, sia dei cittadini baresi a lui favorevoli, si sia impossessato di Bari con la forza (1040). Pare, però, che subito dopo, di fronte alla decisa repressione iniziata dal nuovo catapano Michele Doceano, prontamente rientrato in Bari, egli abbia riconosciuto l'autorità imperiale, preferendo attendere lo sviluppo degli avvenimenti.

Questi presero subito una brutta piega per i Bizantini, nella Puglia ribellatasi e corsa dai Normanni saldamente stabiliti in Melfi. Le truppe imperiali, nel corso del 1041, furono da costoro disfatte tre volte, nel marzo, nel maggio e nel settembre. Dopo quest'ultiina sconfitta, nella quale lo stesso catapano Boiano, che da poco aveva sostituito il Doceano, fu fatto prigioniero, le maggiori città pugliesi si ribellarono apertamente, compresa Bari ove di nuovo A. prese in pugno la situazione.

All'inizio del 1042, dunque, nella Puglia priva di padrone, due forze si contendevano il potere: i Normanni venuti da Aversa, dietro i quali, ancora incapaci di svolgere una politica indipendente, era Guaimaro di Salemo, e l'aristocrazia indigena delle grandi città pugliesi, che, ricca, colta, potente, si sentiva in grado, forse più che nel 1009 o nel 1015, di aspirare ad una maggiore autonomia. Di questa aristocrazia A. era il principale esponente; egli contava anche sull'appoggio dei Normanni di Troia, stabilitisi in Puglia da più di due decenni, e alieni da contatti con Guaimaro. Facendo leva su queste forze, A. riuscì a farsi nominare in Bari, nel febbraio del 1042, duca e principe d'Italia. Tutti i capi normanni si dichiararono suoi vassalli; il programma apertamente sbandierato era quello di distruggere le ultime vestigia del dominio bizantino in Puglia, anche se A. coltivava forse la speranza di potersi accordare con Bisanzio, ottenendo così il riconoscimento della posizione da lui raggiunta.

Nel frattempo a Bisanzio si era deciso di tentare il possibile per ristabilire la situazione italiana; dopo il richiamo di un funzionario incapace, Sinodiano, fu dato il comando delle forze bizantine in Puglia al grande condottiero Giorgio Maniace, già capo dell'esercito imperiale in Sicilia. Costui sbarcò a Taranto nell'aprile del 1042, ma la sua inferiorità numerica gli impedì di affrontare A. e i Normanni. Questi, invece, conquistarono nel luglio Giovinazzo e strinsero d'assedio Trani, mentre a Costantinopoli Maniace era di nuovo caduto in disgrazia e Costantino Monomaco ne aveva deciso il richiamo. Contemporaneamente l'imperatore aveva pensato di guadagnare A. e di accattivarsi di nuovo, attraverso costui, l'aristocrazia pugliese. A questo fine vennero inviati alcuni funzionari in Puglia, che riuscirono a mettersi in contatto con A.; Maniace, intanto, appresa la sua disgrazia, si fece dichiarare imperatore dai suoi soldati e si chiuse in Taranto; l'anno seguente, varcato l'Adriatico, marcerà su Costantinopoli e troverà la morte. A., raggiunto dagli inviati dell'imperatore mentre dirigeva l'assedio di Trani, abbracciò prontamente il nuovo partito che gli era offerto, accettando i titoli di patrizio e "vestis"; immediatamente fece togliere il campo, malgrado le proteste dei Normanni e, ritiratosi in Bari, vi fece riconoscere di nuovo l'autorità imperiale (agosto - settembre 1042). In lui, forse preoccupato per la forza e per le ambizioni crescenti dei Normanni, valse, più che un calcolo di tornaconto personale, la convinzione che l'aristocrazia pugliese avrebbe potuto ottenere l'autonomia economica e politica cui aspirava soltanto se la Puglia fosse rimasta legata all'impero d'Oriente, convinzione cui da allora in poi informò coerentemente tutta la sua attività politica. Naturalmente i Normanni, abbandonati da A., gridarono al tradimento ("par sa folie destruit la victoire" afferma Amato, p. 92); riunitisi in Melfi, elessero a loro capo il conte Guglielmo Braccio di Ferro e, insieme con Guaimaro di Salerno e Rainulfo conte d'Aversa, procedettero alla spartizione dei territori ancora in mano ai Bizanti ni (1042). All'inizio del 1043 Guaimaro prese il titolo di duca di Puglia e di Calabria e si spinse sino su Bari. In questa città A. in quel momento non esercitava alcun potere effettivo, in quanto la somma degli interessi bizantini in Italia era nelle mani di un nuovo catapano, Teodorocano. Questo fatto spiega l'accettazione da parte di A. di un invito a recarsi a Bisanzio rivoltogli nel 1046 da Costantino Monomaco.

A Bisanzio A. acquistò subito un notevole prestigio nell'ambito della corte imperiale; nel 1047, con un gruppo di Latini, contribuì a soffocare la rivolta di Tornichio e fu ammesso a far parte del consiglio. La sua politica, tendente logicamente alla valorizzazione degli interessi italiani dell'impero e alla intesa con la Chiesa di Roma e con l'impero d'occidente, urtò d'altra parte contro la tendenza antiromana del clero costantinopolitano guidato dal patriarca Michele Cerulario. Costui ebbe violenti scontri con A. e gli rifiutò più volte la comunione. Ma A. riuscì a far accettare i suoi programmi e ad ottenere ai primi del 1051 la carica di "μάγιστρος καὶ δοὺξ ᾿Ιταλίας;", investito della quale partì subito per la Puglia sbarcando ad Otranto nel marzo. Entrato in Bari dopo breve contrasto, A. passò decisamente all'azione contro i Normanni. L'assassinio di Drogone conte di Puglia (agosto 1051) e la contemporanea rivolta contro i Normanni di diverse località pugliesi furono con tutta probabilità provocati dall'oro che A. aveva portato con sé da Bisanzio. Immediatamente dopo egli intavolò trattative con Leone IX, invitandolo ad intervenire in Puglia contro i "nuovi Saraceni". Il pontefice tentò da parte sua vanamente di ottenere l'aiuto di Enrico III e, nel corso di un viaggio compiuto nell'estate del 1052 in Baviera, riuscì a riunire soltanto pochi avventurieri germanici con i quali ai primi dei 1053 mosse verso la Puglia, raccogliendo lungo la strada quei conti longobardi dell'Abruzzo e del Molise che accorsero sotto le sue bandiere e cercando di incontrarsi con Argiro. Costui, che risaliva intanto da Bari verso Siponto, nei pressi di questa città veniva raggiunto e battuto dai Normanni ed era costretto a fuggire a Vieste; segui, il 18 giugno del 1053, la disfatta dell'armata pontificia a Civitate e la cattura del pontefice.

La battaglia di Civitate segnò il tramonto della politica di A. fondata sull'alleanza di Roma e dei due imperi contro i Normanni. A Bisanzio essa permise al patriarca Michele Cerulario di scatenare una violenta campagna contro Roma e contro A., favorita dall'isolamento in cui era il pontefice, rinchiuso a Benevento. A. tentò di bloccarla, inviando (1053) a Bisanzio un suo fiduciario, Giovanni arcivescovo di Trani, incaricato di. ottenere aiuti dall'imperatore, e intervenendo direttamente nella corrispondenza che si era allacciata fra Leone IX da una parte e il patriarca e l'imperatore dall'altra. Egli, con, tutta probabilità, tentò soltanto di appianare le divergenze manifestatesi nel frattempo; ma Michele Cerulario lo accusò di avere addirittura intercettato le sue lettere e falsificato le risposte. Certo è che gli sforzi di A. non approdarono a nulla e che si giunse assai presto all'aperta rottura, anzi allo scisma fra le due Chiese (luglio 1054).

Nel frattempo A. aveva inviato un'ambasceria presso Enrico III (maggio 1054), riprendendo concretamente la politica che era già stata del padre suo e ottenendo dall'imperatore valide promesse d'aiuto. Ma con la salita al trono di Bisanzio di Teodora (novembre 1054), che risentiva molto dell'influenza del Cerulario, A. fu richiamato a Bisanzio. Tornò in Italia solo nel 1057, dopo la morte di Teodora e l'assunzione di Isacco Conmeno, ostile al patriarca. Appena giunto in Puglia, A., con infaticabile costanza, riprese le trattative per un'afleanza antinormanna, trovando il pieno appoggio del nuovo pontefice, Stefano IX, anche lui ben deciso a stroncare la sempre crescente potenza dei nuovi dominatori dell'Italia meridionale, e dell'abbazia imperiale di Farfa, al cui abate Berardo inviò nel 1057 stesso una lettera assai amichevole. Ma anche questa volta gli sforzi di A. caddero nel vuoto. Proprio quando un'ambasceria pontificia guidata da Desiderio abate di Montecassino giunse a Bari e. s'unì ad A., accingendosi a recarsi a Bisanzio per stringere definitivamente l'alleanza politica fra Roma e l'imperatore d'Oriente (marzo 1058), Stefano IX morì e Desiderio tornò bruscamente a Montecassino abbandonando A. a se stesso. A. si recò da solo a Costantinopoli due mesi più tardi e, mentre in Italia il nuovo pontefice, Niccolò II, s'alleava apertamente ai Normanni e ne riconosceva le conquiste, egli veniva sostituito da un nuovo catapano nel governo dei territori ancora bizantini (1061). Pare che A. abbia trascorso gli ultimi anni di vita a Bari; certo è che prima di morire donò seimila bisanzi e la sua veste serica di cerimonia all'abbazia di Farfa, della cui congregazione era membro.

Morì nel 1068, tre anni prima della conquista normanna di Bari.

Fonti e Bibl.: Acta et scripta quae de controversiis Ecclesiae Graecae et Latinae saeculi XI composita extant, a cura di C. Will, Leipzig 1861, pp. 176-177, 205; Syllabus Graecarum membranarum, a cura di F. Trinchera, Neapoli 1865, pp. XXIII, 53-55; Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino, a cura di U. Balzani, II, Roma 1903, in Fonti per la storia d'Italia, n. XXXIV, pp. 202, 203; G. Robinson, History and cartulary of the greek monastery of St. Elias and Anastasius of Carbone, in Orientalia Christiana, XV, 2 (1929), pp. 158-162; Storia de' Normanni di Amato di Montecasino, a cura di V. de Bartholomaeis, Roma 1935, in Fonti per la Storia d'Italia, n. LXXVI, passim (cfr. Indice); G. De Blasiis, La insurrezione pugliese e la conquista normanna, Napoli 1864, I, pp. 141 ss., 209 ss.; II, pp. 3 ss.; J. Gay, L'Italie méridionale et l'empire byzantin, Paris 1904, passim (cfr. Indice); F. Carabellese, L'Apulia e il suo Comune..., Bari 1905, passim (cfr. Indice); F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, I, Paris 1907, passim (cfr. l'Indice); R. Palmarocchi, L'abbazia di Montecassino e la conquista normanna, Roma 1913, pp. 41-42; L. Bréhier, Argyros, in Dictionn. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IV, Paris 1925, coll. 93-95 (contributo di particolare importanza); A. Pertusi, Contributi alla storia dei temi bizantini dell'Italia meridionale, in Atti del 3 Congresso internazionale di studi sull'alto medioevo, Spoleto 1959, pp. 515, 616.

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