Argo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Argo

Antonio Martina

. Figura della mitologia classica, nella maggior parte delle fonti figlio di Arestore, soprannominato πανόπτης (onniveggente) per il numero degli occhi, variante a seconda delle fonti. È ricordato soprattutto in connessione all'episodio di Io, la figlia di Inaco amata da Giove e da questo mutata in bianca giovenca.

Quanto all'interpretazione del mito si è voluto vedere in A. il simbolo del cielo stellato e in Io quello della luna, e questa interpretazione è ripresa da Benvenuto nel suo commento a Pg XXIX 94-95, dove A. è ricordato da D. per i suoi occhi che sono paragonati a quelli delle ali dei quattro animali (Pg XXIX 92), simboleggianti i Vangeli (cfr. Ezech. 1, 5 e 14; Dan. 7, 2 ss.; Apoc. 4, 6-8) nella processione mistica del Paradiso terrestre: " et quidam volunt quod physice figurat coelum, quod habet in se diversa lumina stellarum: et sic videtur dicere quod animalia ista habebant oculos coelestes et sydereos ".

Successivamente (Pg XXXII 64 ss.) D., volendo significare come egli si sia addormentato vinto dalla dolcezza dell'inno che tutta la gente intonò al rifiorire della pianta, ricorda come li occhi spietati di A. si chiusero al sonno udendo di Siringa (Pg XXXII 65) e dice che se fosse capace, descrivendo come si addormentò A., spiegherebbe come si addormentò lui, come fa un pittore che si serve del modello (come pintor che con essempro pinga, / disegnerei com'io m'addormentai, Pg XXXII 67-68), " quasi dica: legga quella favola chi questo vuole comprendere; però che nullo è, che possa bene fingere, cioè assimigliare con figura l'assonnare " (Ottimo) " Descriverlo " osserva infatti il Porena (commento a Pg XXXII 64-69) " significherebbe avere coscienza e memoria di ciò che allora avviene, e chi si addormenta non ha né l'una né l'altra ". In realtà Ovidio, che D. tiene qui presente (cfr. Met. I 568 ss., in particolare 622-629; 682-694; 698-723) non descrive come A. fu preso dal sonno.

Per illuminare gli elementi biblici di questi canti D. si avvale dunque anche qui di una fonte classica particolarmente suggestiva e a lui cara. Questo fatto risponde alle esigenze della tecnica della rappresentazione dantesca.

Il Porena (Pg XXXII 61, comm. ad 1.) ha avanzato l'ipotesi che qui D. abbia inteso rappresentare con l'immagine del sonno la pace civile, richiamandosi a un passo dell'epistola al cardinale Nicola da Prato (I 9), dove D. rivolge al cardinale la preghiera di ricondurre la tranquillità e la pace a Firenze da sì lungo tempo travagliata (quatenus illam diu exagitatam Florentiam sopore tranquillitatis et paci: irrigare velitis; e cfr. Pg VI 149-151).

Bibl. - G. Di Pino, Presagi di linguaggio paradisiaco nei canti XXVIII e XXIX del Purgatorio, in " Humanitas " XIII (1958) 528.

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