ARINGA

Enciclopedia Italiana (1929)

ARINGA (fr. hareng; sp. arenque; ted. Hering; ingl. herring)

Decio Vinciguerra

Il nome harengus usato dagli ittiologi prelinneani è evidentemente derivato dalla forma francese. Linneo l'ascrisse al suo genere Clupea col nome di Clupea harengus nel gruppo dei Pesci addominali; il Cuvier la comprese nell'ordine dei Malacotterigi addominali e G. Müller in quello dei Fisostomi. Attualmente è iscritta nel sottordine dei Malacotterigi, famiglia dei Clupeidi.

L'aringa appartiene ad un genere che comprende oltre settanta specie distribuite in tutte le parti del mondo, alcune delle quali si trovano anche in acque dolci, e si distingue dagli altri Clupeidi per non avere la mascella superiore più lunga dell'inferiore, per i denti rudimentali e decidui, il margine dell'addome seghettato, la pinna anale non troppo lunga, con meno di 30 raggi e la dorsale opposta alle ventrali.

Nella Clupea harengus esiste una piastrina di piccoli denti sul vomere, la mandibola è sporgente, le squamme grandi e decidue. Il colore del corpo è azzurro-verdastro nelle parti superiori e argenteo in quelle inferiori, senza macchie nere laterali. Può raggiungere la lunghezza di 30 centimetri.

L'aringa abita le parti settentrionali dell'Atlantico, il mare del Nord e il Baltico e il mare a settentrione dell'Asia. Manca nel Mediterraneo. Nel Giappone si trovano pure aringhe simili alla specie europea o molto affini ad essa.

Le aringhe si trovano in quasi tutte le stagioni in luoghi diversi, il che ha fatto supporre che esse compiano grandi migrazioni che in realtà non si verificano. Esse s'incontrano in grandi masse costituite da individui tutti della stessa età e grandezza, che talora sono tanto numerosi da ritardare la corsa dei battelli. Tengono dietro ai densi sciami di organismi planctonici dei quali si nutrono, e che sono prevalentemente costituiti da un piccolo copepode, il Calanus finmarchicus; mangiano però anche altri crostacei nonché piccoli cefalopodi e pesci.

I banchi di aringhe sono seguiti da numerosi pesci carnivori che ne fanno preda. L'apparizione di questi banchi non avviene regolarmente e gl'intervalli tra l'una e l'altra apparizione sono spesso assai lunghi.

Secondo la località e l'epoca dell'anno, si riconoscono nelle aringhe diverse razze, una delle quali non abbandona mai o quasi mai il mare aperto, ove si riproduce specialmente in autunno e in inverno, mentre l'altra vive più vicina alla costa e si riproduce dal febbraio in poi entro i seni di mare e in acque salmastre. Le uova delle aringhe sono sferiche, hanno da 1 mm. a 1,5 mm. di diametro, sono demerse e agglutinanti; aderiscono fortemente a pietre o ad altri oggetti fissi sul fondo del mare.

La fecondazione delle uova avviene a varie riprese; una femmina può deporre complessivamente circa 30.000 uova; la durata del loro sviluppo è varia secondo la temperatura perché a 14°-19° bastano 6-8 giorni, mentre a 0°-10° ne occorrono ben 47-50 per completare lo sviluppo dell'uovo. Le larve, quando sgusciano, hanno da 5 a 7 millimetri di lunghezza e in circa 3-8 mesi, secondo la temperatura, raggiungono l'abito dell'adulto, ricoprendosi di squamme argentine. Dall'esame dei cerchi di accrescimento delle squamme si è potuto riconoscere che le aringhe mature più piccole hanno da 2 a 4 anni di età, che le più grandi ne hanno da 4 a 8 e che se ne trovano anche di quelle di 16 a 18 anni.

La pesca delle aringhe costituisce una delle più grandi industrie di pesca del mondo. Non rimonta a una data molto antica perché cominciò solo nel sec. XIII in Svezia ove decadde nel XVI, mentre nel frattempo si sviluppava nella Gran Bretagna. Nel sec. XV ne fu concesso il monopolio nelle acque inglesi agli olandesi che ne ricavarono enormi profitti, in ispecie dopo che nel 1398 il pescatore Guglielmo Bökel scoperse ed insegnò ai suoi compatrioti il modo di conservare per lungo tempo le aringhe salate, tanto che si poté dire che la città di Amsterdam era fabbricata sulle ossa delle aringhe. L'alternativa dell'abbondanza della pesca nelle varie regioni è dovuta alla irregolarità nella comparsa delle aringhe. Attualmente essa è molto sviluppata in Scozia, ha ripreso in Olanda e in Svezia; anche in Norvegia ha acquistato una grande importanza.

La pesca delle aringhe d'alto mare è fatta con reti verticali di deriva calate da battelli a vela e più recentemente da piroscafi (drifters), mentre da terra si fa con reti a strascico di grandi dimensioni, con o senza sacco.

Le aringhe sono in parte consumate fresche, ma nella massima parte sono conservate soprattutto salate, o anche affumicate o sott'olio. Il prodotto delle aringhe salate in Europa ascese nel 1911 a più di tre milioni e mezzo di tonnellate, nei quali la sola Scozia figura per circa un milione e mezzo.

Ha anche una certa importanza in Inghilterra la pesca del novellame di aringa, detto white bait, molto apprezzato come cibo, al pari dei nostri bianchetti.

Bibl.: G. Cuvier e A. Valenciennes, Histoire naturelle des poissons, XX, Parigi 1847; J. E. Cunningham, The natural history of the marketable marine fishes of the British Islands, Londra e New York 1896; W. C. Mc. Intosh e A. T. Masterman, The life history of the British marine food-fishes, Londra 1897; F. Heincke, Naturgeschichte des Herings, in Abhandl. d. deutschen Seefischereivereins, I, Berlino 1898; E. Lea, A study of the growth of Herrings, in Publ. Conseil int. expl. mer., Copenaghen, LXI (1911); A. Cligny, Contribution à l'étude biologique du hareng, in Mém. St. aq., Boulogne-sur-mer, I (1914), pp. 31-67; A. Wolleback, Norges Fisher, Cristiania 1924; E. Ehrenbaum, Untersuchungen über den Trawlhering, in Ber. deutsch. Wiss. Kom. Meer, Berlino 1925, pp. 159-180.

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