ARISTIDE

Enciclopedia Italiana (1929)

ARISTIDE ('Αριστείδης, Aristīdes)

Gaetano De Sanctis.

Ateniese, figlio di Lisimaco, nacque circa il 540-35 a. C. in Alopece, borgata che fu da Clistene inscritta nella tribù Antiochide. La tradizione celebra la sua povertà. Ma, avendo rivestito l'arcontato, egli deve aver posseduto in origine il censo equestre. Non è dubbio peraltro che più tardi, lungi dal profittare della propria potenza politica per arricchire, forse per effetto delle devastazioni persiane o per l'abbandono in cui dovette lasciare i suoi beni durante l'esilio, s'impoverì, tanto che lo stato dovette provvedere alla spesa dei suoi funerali e venire in aiuto dei suoi discendenti.

A. iniziò la sua vita politica combattendo i tiranni insieme con l'alcmeonide Clistene. Instaurata la libertà, militò nel partito conservatore e si oppose alle tendenze imperialistiche di Milziade e di Temistocle e in particolare al programma navale di Temistocle. Partecipò nel 490 alla battaglia di Maratona, forse come stratego sotto il comando supremo di Milziade, sebbene quello che ci è riferito intorno alla parte che egli vi ebbe non sia che leggenda. Probabilmente col declinare dell'autorità di Milziade, per effetto della spedizione contro Paro, si collega la sua elezione all'arcontato per l'anno 489-88. Negli anni immediatamente successivi, la guerra contro Egina dimostrò la debolezza di Atene per mare e la necessità di rimediarvi. Quando la scoperta di nuove miniere d'argento presso il Laurio ne fornì i mezzi e Temistocle propose che questi si devolvessero alle costruzioni navali, A. si oppose come rappresentante dei conservatori i quali temevano che con lo sviluppo della marina da guerra il dominio effettivo dello stato passasse dalla classe dei proprietarî tra cui si reclutavano le milizie di grave armatura (opliti) al proletariato dei marinai e dei lavoratori. La contesa si decise per mezzo dell'ostracismo e A. dovette prendere la via dell'esilio. È favola che questo ostracismo fosse dovuto alla gelosia popolare per la fama di probità che A. godeva, sebbene non sia dubbio che egli godesse e meritamente tale fama. Esiliato A., Temistocle poté attuare il suo programma navale e Atene si trovò preparata alla lotta per l'esistenza contro la Persia.

L'inizio della spedizione di Serse (480) fu il segnale di una generale amnistia per gli ostracizzati. A., che si era rifugiato in Egina, tornò per prendere parte alle battaglie della patria. La leggenda narra che egli si ricongiunse con gli Ateniesi passando di nascosto attraverso alle linee nemiche nella notte che precedette la battaglia di Salamina e che per primo recò a Temistocle la notizia dell'avvenuto accerchiamento. Certo è che partecipò a quella battaglia e vi si segnalò comandando un contingente di opliti che sbarcò nella piccola isola di Psittalia e riuscì a sopraffare il presidio che vi avevano collocato i Persiani. L'anno seguente (479-78) A. fu nominato stratego e comandò gli opliti ateniesi nella battaglia risolutiva di Platea. Negli anni successivi A. fu uno degli uomini più potenti di Atene insieme con Temistocle, di cui aveva accettata come inevitabile la politica navale e imperialistica, e con Cimone, il giovane figlio di Milziade. Si narra che partecipò con Temistocle alla famosa ambasceria a Sparta diretta a guadagnare tempo perché gli Ateniesi potessero, contro l'opposizione degli Spartani, ricostruire le mura distrutte della loro città. Ma gli aneddoti su questa ricostruzione sono poco fededegni e dell'ambasceria, se veramente vi fu, ignoriamo la causa. È probabile, sebbene non sia del tutto sicuro, che A. comandasse come stratego nel 478-77 il contingente ateniese che partecipò, sotto il comando supremo di Pausania, alla spedizione di Cipro ed all'assedio di Bisanzio. In questa occasione gli alleati ricusarono per la massima parte di sottostare piu oltre all'egemonia spartana ed accettarono invece l'egemonia ateniese. Il fatto ebbe cause complesse, ma vi contribuì senza dubbio il contegno duro e prepotente di Pausania al cui confronto tanto più doveva risaltare la prudenza e moderazione di A., se egli davvero comandava il contingente ateniese. Fu poi A., appunto per la sua fama di probità, incaricato di fissare la somma dei tributi che ciascuno degli alleati doveva versare annualmente nel tesoro della lega. Egli la fissò nella somma complessiva di circa 460 talenti d'argento (circa 3 milioni di franchi oro) e sembra che adempisse con generale soddisfazione il difficile incarico.

Negli anni seguenti non abbiamo su di lui che notizie incerte e contraddittorie. Gli si attribuisce un decreto "dover essere la repubblica comune a tutti e doversi i magistrati eleggere fra tutti gli Ateniesi". Ma questo decreto è evidente invenzione sia per la generalità dei suoi termini sia perché il diritto elettorale attivo spettava a tutti gli Ateniesi già prima di allora, e il diritto elettorale passivo non spettò a tutti gli Ateniesi neppure allora: si pensi che l'arcontato non divenne accessibile alla classe dei zeugiti, cioè dei piccoli proprietarî, se non nel 457-56. Men che mai è ammissibile quel che Aristotele narra, che cioè A. consigliò agli Ateniesi di concentrarsi dai campi nella città per sfruttare l'egemonia e campare a spese dello stato e degli alleati, sicché in tal modo, seguendo i suoi consigli, si sarebbe procacciato da vivere a 20.000 Ateniesi. Qui c'è probabilmente falsificazione consapevole, sebbene non d'Aristotele. All'uomo che fissò l'ammontare dei tributi si ascrisse l'uso o l'abuso che assai più tardi gli Ateniesi fecero del tesoro della lega adoperandolo non più per le spese federali, ma anche per le spese dello stato ateniese, e peggio il largo impiego che pure assai più tardi si fece del denaro dello stato, compreso quello proveniente dai tributi degli alleati, stipendiando cariche ed uffici, per esempio quello di giurato, che prima erano gratuiti. Invece non è improbabile che al cresciuto influsso di A. corrisponda da una parte il declinare della potenza di Temistocle, dall'altra il grandeggiare di quella di Cimone. Temistocle voleva che con una politica più radicalmente democratica si andasse incontro alle esigenze di quella classe che dava ad Atene la potenza navale e l'impero, la classe proletaria da cui si reclutavano i marinai. Voleva inoltre che non solo tra i suoi alleati, ma in tutta la penisola ellenica Atene si mettesse vigorosamente a capo del movimento democratico e ne profittasse per estendere il suo potere eliminando l'autorità di Sparta. La maggioranza, che ancora non era impregnata d'odio per Sparta e non vedeva il pericolo che Sparta avrebbe costituito alla lunga per l'egemonia ateniese, preferiva continuare la guerra contro il barbaro, anche quando ne pareva raggiunto il fine immediato, la liberazione dei Greci dell'Asia Minore e delle isole vicine dal dominio persiano. Solo assai più tardi lo stato ateniese si pose risolutamente per la via additata da Temistocle; per allora Temistocle parve sospetto di medismo e fu prima ostracizzato, poi condannato in contumacia per alto tradimento. Dominava invece Cimone, i cui ideali collimavano a un dipresso con quelli di A., ora che questi aveva accettato la politica d'impero, pur non traendone le estreme conseguenze che voleva trarne Temistocle e che ne trasse poi Pericle. La tradizione ci presenta Cimone quasi un discepolo di A., ed egli fu di fatto assai più vicino idealmente ad A. che a quell'avventuriero geniale che era stato suo padre Milziade. L'amicizia di Cimone con A., che pure aveva avversato certo l'indirizzo di Milziade, datava da quando Aristide in qualità di arconte s'era dovuto occupare dell'eredità lasciata da Milziade e, pure assicurando al tesoro dello stato i 50 talenti della multa a cui il vincitore di Maratona era stato condannato, aveva, salvato il rimanente per Cimone e per la sorella Elpinice.

Del resto qualche anno dopo le guerre persiane noi perdiamo A. di vista. La sua morte è anteriore, forse di cinque o dieci anni anteriore, all'insorgere dei democratici radicali con Efialte e con Pericle contro Cimone (462-61). Che egli vivesse fino al 468-67 è congettura arbitraria degli antichi, i quali favoleggiarono che gli spettatori avessero riferito a lui un verso del dramma di Eschilo I Sette contro Tebe, recitato in quell'anno. Che egli abbia dovuto sostenere prima della sua morte un processo per corruzione è possibile, sebbene neppur questo sia sicuro; ed è anche possibile che, nei suoi ultimi anni, sia stato inviato nei territorî del Ponto Eusino per determinare le relazioni delle città greche sulla costa meridionale di quel mare con Atene e che sia morto colà. Certo è che fu sepolto onorevolmente a spese della città e che si mostrava più tardi la sua tomba al Falero.

A. è uno degli uomini politici il cui ricordo più viveva presso il popolo ateniese. Il soprannome di "giusto" gli è costantemente attribuito dalla tradizione. E tuttavia la mancanza di una vera tradizione storiografica contemporanea fa che di lui si sappia assai poco, e che molte delle vicende che gli si attribuiscono siano contraddittorie. Molti aneddoti, quello per es. dell'armata greca concentrata a Pagase che Temistocle avrebbe macchinato di dare alle fiamme e che A. avrebbe salvata avvertendo il popolo di non autorizzar Temistocle ad attuare il suo segreto divisamento perché utile ma non onesto, sembrano inventati di sana pianta. Non è meraviglia che tra i moderni si dissenta parecchio intorno alle tendenze politiche di A. Il tentativo di analisi della politica di A., che si è fatto di sopra, è fondato essenzialmente sulla tradizione, a cui sembra ipercritico negar fede, della sua rivalità con Temistocle, e su quella, che sembra pure ben fondata, delle sue relazioni con Cimone, come pure sul dato di fatto della parte da lui avuta nel fissare i tributi degli alleati ateniesi. Una politica dunque cauta, attaccata alla tradizione, tenacemente conservatrice in tutto ciò che concerneva gl'interessi della classe possidente, riluttante nel seguire le vie nuove che gli eventi segnavano al popolo ateniese e, per ciò appunto che non prevedeva quegli eventi e poi dovette a malincuore adattarvisi, contraddittoria; sicché Atene non ebbe assicurata la sua vittoria sul nemico della nazione se non quando ebbe ridotto all'impotenza all'interno il "giusto" A. Il quale del resto dovette la sua potenza politica, oltreché al suo provato patriottismo, ad una virtù rara sempre e dovunque, rarissima in quel paese e in quei tempi, la sua esemplare probità.

Le notizie più importanti e fededegne su A. vanno cercate in Erodoto e nella Repubblica degli Ateniesi di Aristotele. La vita di Aristide di Cornelio Nepote è d'importanza minima (R. Winkle, De Cornelio Nepote qui putatur eiusque vita Aristidis, Breslavia 1868, Progr.); quella di Plutarco è messa insieme con materiali di valore assai disuguale (Häbler, Quaestiones Plutarcheae duae; II, De Plutarchi fontibus in vitis Themistoclis et Aristidis, Lipsia 1879, Diss.; W. Fulst, Über die Quellen Plutarchs für das Leben des Aristides, Duderstadt 1885, Progr.).

Bibl.: Hermann-Thumser, Griech. Staatsaltertümer, I, p. 219, n. 4; II, p. 410 (ivi bibliografia più antica); Curtius, Griech. Geschichte, 6ª ed., II, p. 33 segg., 109 segg.; Busolt, Griech. Geschichte, 2ª ed., II, pp. 637 segg., 651 segg.; III, i, pp. 31 segg., 77, 107 segg.; Beloch, Griech. Geschichte, 2ª ed., II, ii, p. 137 segg., e in Hermes, LV (1920), p. 317 segg.; De Sanctis, ΑΤΟΙΣ, 2ª ed., pp. 368 segg., 377 segg., 395 n. 1, e in Riv. di filologia, LII (1924), p. 300 segg.; Rosenberg, Hermes, LIII (1918), p. 308 segg.; Busolt-Swoboda, Griech. Staatskunde, II, p. 888 segg.

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