ARKADES

Enciclopedia dell' Arte Antica (1958)

ARKADES

W. Johannowski

La πόλις cretese di questo nome, che veniva collocata in un primo momento a Kasteriotes (Monofatsio, nell'alta valle dell'Anapodiaris), è stata localizzata, in seguito al rinvenimento presso Ini di un decreto di età tardo-ellenistica in onore di alcuni Ierapitnî, sulle pendici sud-occidentali dei monti Lassiti, verso la Mesarà (al confine fra le attuali eparchie di Pediada, Viannos e Monofatsio). Con ciò si accorda, benché le indicazioni delle distanze ci siano pervenute in una redazione corrotta, quello che risulta dalla Tabula Peutingeriana, cioè che A. era sulla strada da Lyttos a Viannos.

Più che una città vera e propria, A. era un gruppo di abitati raccolti in una comunità politica, confinante a NO con Lyttos, ad O con Priansòs (se è giusta la localizzazione a Kastellianà), a SO con Inatos e a SE con Viannos. È assai probabile che i fondatori fossero elementi originarî dell'Arcadia e del Peloponneso venuti a Creta, al più tardi, insieme con gli Achei, e che essi occupassero in origine un'area alquanto più vasta, di cui potrebbe essere un ricordo il nome di Arcadia del territorio dipendente dalla sede vescovile di Gortina. Un elemento più consistente in favore di questa tesi è l'esistenza ad A. del culto di Thelphousa, che manca altrove a Creta. Se prescindiamo da qualche ritrovamento sporadico di materiale subneolitico e minoico nella zona, i centri più antichi, sul Prophitìs Ilias (ad O di Aphratì), ad Erganos, a Panaghià e a Kofinà, risalgono al periodo subminoico e rientrano in tutta quella serie di abitati cretesi fondati in posizioni facilmente difendibili all'epoca dell'invasione dorica sia dai Greci immigrati precedentemente (in questo caso almeno in parte Arcadi), sia dalla popolazione minoica.

Poco sappiamo di A. per l'età storica. Dopo il 260 la troviamo fra le città sottomesse a Gortina; durante la guerra di Lyttos, nel 221, essa abbandona (insieme agli Oreioi) Gortina e Cnosso, per allearsi con i Littî; probabilmente allora essa viene presa e distrutta, ma risorge dopo alcuni anni, per quanto ci è dato sapere, in parte presso Embaros, in parte verso la pianura, fra Ini e Vaciòtes, dove viene trasferito anche il centro politico. Nel Il sec. a. C. avanzato viene dedotta nel territorio una colonia di Ierapitnî, e da allora non ne sappiamo più niente, benché le tracce di vita perdurino per tutta l'età romana. Ad età ellenistica appartengono alcune monete di A. con la testa di Atena. Fra i culti possiamo menzionare, oltre a quello già ricordato di Thelphousa, quelli di Atena Πολίοχος; e di Asklepios.

A. è, grazie soprattutto agli scavi che vi sono stati eseguiti dalla Missione archeologica italiana nel 1924, uno dei centri protoellenici di Creta meglio conosciuti. Avanzi abbastanza notevoli di abitazioni di età geometrica, arcaica e classica sono stati rinvenuti soprattutto ad Erganos e presso Aphrati, sulle pendici E, N e S della collina del Prophitìs Ilias. Sulla vetta del colle è un fortilizio con torri circolari, che sembrerebbe anteriore al periodo ellenistico (nel corso del quale fu distrutto) e torri isolate difendevano alcuni accessi al territorio, soprattutto sul lato verso il mare. Tutte queste costruzioni sono in pietre più o meno grandi unite con argilla, e possono essere quindi datate solo in base ai dati archeologici.

Le necropoli nelle località Erganos, Panaghià e Kofinà, che vanno dal Minoico Recente III C al Protogeometrico A, sono costituite da piccole thòloi e da camere rettangolari con copertura in pietre a falsa vòlta, tutte a deposizione collettiva. Fra la suppellettile abbondano le brocche a staffa, i kàlathoi e le coppe a piede conico. Ad una facies più recente, in cui prevale l'incinerazione, appartengono le tombe sulle pendici occidentali del Prophitìs Ilias. Oltre ai tipi descritti vi troviamo alcune grandi thòloi, di cui la più antica dev'essere rimasta in uso forse dal IX sec. fino verso la metà del VII sec. a. C., e numerose deposizioni singole di cremati. Queste ultime, di cui solo qualcuna sembrerebbe anteriore alla metà dell'VIII sec. a. C., erano costituite da un pìthos di forma tronco-conica, che, capovolto, proteggeva l'ossuario, per lo più a forma di lekàris a pareti verticali. In parte in questo, in parte sopra o accanto ad esso, era la suppellettile, costituita prevalentemente da piccoli vasi.

La necropoli più recente, che arriva fino alla fine del VII sec. a. C., accanto a quella contemporanea di Cnosso, tuttora praticamente medita, è, fino ad ora, l'unico nucleo importante di tombe tardo-geometriche e orientalizzanti scoperto a Creta e perciò di estrema importanza per la conoscenza di quel periodo. La ceramica proviene, naturalmente, soprattutto da fabbriche locali o di altre località della parte centrale dell'isola. Non mancano tuttavia vasi di importazione, che permettono di datare con maggiore esattezza le singole tombe. Fra questi sono di gran lunga i più numerosi quelli protocorinzî, che appaiono già verso la fine dell'VIII. sec. a. C. e quelli di transizione e del Corinzio Antico. Sono invece isolati una bella oinochòe rodia della metà del VII sec. a. C. e un vaso in fayence egiziana.

Come quella di altri centri dell'interno dell'isola e soprattutto del vicino altopiano dei Lassithi la ceramica di A. conserva delle forme di origine minoica, come, per esempio, la situla con la πότνια ϑηρῶν, e del Protogeometrico A fino al VII sec. a. C. Alcune strane brocche con un secondo collo a testa di animale sul davanti, anch'esse in parte già con ornamenti orientalizzanti, sono lontane derivazioni dalle brocche a staffa. Frequentissimi sono moltre gli aröballoi di tipo cipriota e le oinochòai con occhi apotropaici sul labbro. Nel repertorio decorativo gli elementi caratteristici del Protogeometrico (triangoli a reticolato, cerchi concentrici, ecc.) sopravvivono perfino in alcuni dei vasi più recenti. Mentre nella ceramica contemporanea di Cnosso le figure sono molto rare, le troviamo relativamente spesso in quella di A.; nella prima metà del VII sec. a. C. esse sono spesso in colore bianco sovradipinto, o a semplici contorni talvolta con alcune parti verniciate. Nel secondo venticinquennio fa la sua apparizione, accanto a qualche effimera anticipazione di quella a figure rosse, che troviamo contemporaneamente in qualche pìnax da Gortina, la tecnica a figure nere. La troviamo usata soprattutto su qualche grande vaso forse non locale, ma sicuramente cretese, con fregi di animali, di una categoria che è stata anche esportata (un esemplare proviene da Itaca). Fra i prodotti più notevoli di questo periodo sono, oltre la situla già ricordata, una brocca con una scena a carattere forse mitologico (Teseo e Arianna), e un dìnos fittile con teste di grifi, di una categoria rappresentata ormai a Creta da diversi esemplari, soprattutto dalla stipe di Gortina. Fra i vasi plastici possiamo citare due a forma di civetta e una lekànis tenuta fra le zampe da un leone, molto diverso nello spirito da quelli protocorinzi contemporanei. Dopo la metà del secolo le figure diventano sempre più rare, e scompaiono presto completamente. Fra i motivi ornamentali che sopravvivono sono particolarmente frequenti quello a lunghe foglie erette e la rosetta a petali, mentre fra quelli nuovi ce n'è qualcuno che ricorda i riempitivi caratteristici della ceramica orientalizzante rodia.

Importante è infine il ritrovamento di alcuni bronzi con figurazioni a sbalzo, fra i quali uno scudo del tipo di quelli più recenti dall'antro Ideo, in tombe anteriori alla metà del VII sec. a. C.; in una delle quali era reimpiegato un capitello in poros a fogliame, che è uno dei più antichi capitelli greci arcaici a noi pervenuti.

Bibl.: F. Halbherr, in Am. Journ. Arch., V, 1901, pp. 259 ss., 393 ss.; D. Levi, Arkades, in Annuario Atene, X-XII, 1927-29, p. I ss.; J. Pendlebury, Archaeology of Crete, p. 22. Per la ceramica v. anche: D. Levi, Early Hellenic Pottery of Crete, Princeton 1945.

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