NUCLEARI, ARMI

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

NUCLEARI, ARMI

Carlo Avogadro

. Ordigni esplosivi nei quali l'energia è prodotta da reazioni nucleari di scissione (v. bomba atomica, App. II,1, p. 428) o di fusione. Tale energia è comunemente espressa in kiloton (kton) o in megaton (Mton), corrispondenti rispettivamente all'energia sviluppata nell'esplosione di 103 e 106 tonnellate di tritolo (convenzionalmente poste pari a 1012 e 1015 calorie).

Le a. n. di minor energia (ordine dei kton), realizzate per prime da Stati Uniti, URSS, Gran Bretagna, Francia, Cina, sono basate sulla scissione (o con anglicismo, fissione) di nuclei di 235U o di 239Pu: la produzione di energia avviene quindi per gli stessi principi dei reattori nucleari, ma in regime moltiplicante non controllato, con un fattore di moltiplicazione largamente superiore a uno (v. reattore nucleare, App. III, 11, p. 583). La massa superiore a quella critica è ottenuta sparando (con esplosivi convenzionali), una contro l'altra, due masse sottocritiche di Pu (o di U), oppure realizzando un'implosione (effetto d'urto, provocato da detonazione, che si propaga dall'esterno verso l'interno producendo aumento di pressione e di densità) su una sfera di Pu sottocritica per cavità, o per densità iniziale inferiore alla normale.

Dall'esperienza delle due bombe a fissione lanciate sul Giappone nel 1945 e delle altre sperimentali che hanno accompagnato la corsa agli armamenti nucleari, è sufficientemente nota la fenomenologia di queste esplosioni.

La scissione sviluppa grandi quantità di energia in tempo brevissimo e piccolo volume; entro pochi microsecondi i prodotti di fissione e i vari componenti dell'ordigno si trasformano in un globo di gas a temperatura dell'ordine di 106 °C e pressione di centinaia di atmosfere. La luminosità dei gas (inizialmente superiore a quella del sole) diminuisce rapidamente, mentre il globo gassoso si dilata, si raffredda, si trasforma in nube biancastra e s'innalza. La velocità di salita è funzione dell'energia dell'esplosione (per 13 kton, in 30 sec raggiunge 3000 m) e produce un risucchio di terriccio (o di acqua, nel caso di esplosione sul mare) che crea una sorta di gambo e dà alla nube la forma a fungo.

Tra le radiazioni, sono molto nocive (se lo scoppio avviene in aria) quelle neutronica e gamma (raggi gamma di fissione, di decadimento e di cattura) emesse entro il primo minuto: esse costituiscono la cosiddetta radiazione iniziale, cui si attribuisce il 5% dell'energia totale. La dose da esposizione alla radiazione iniziale è molto elevata: in un'esplosione da 13 kton (come quella di Hiroshima) in aria, a 1 km di distanza dal punto di scoppio, essa è di circa 1000 roentgen, cioè più del doppio della dose acuta di 450 r che nel 50% dei casi risulta letale. Le radiazioni emesse dopo il primo minuto, provenendo da una nube ormai salita a quota elevata (tanto maggiore quanto più potente è la bomba), subiscono un'attenuazione tale da non rappresentare pericolo grave.

Mentre la nube si raffredda, parte dei residui radioattivi s'inglobano nel materiale risucchiato dalla superficie. Col placarsi della perturbazione atmosferica locale, dovuta alla rapida ascesa della nube, le particelle più pesanti iniziano la ricaduta: la radioattività proveniente dal materiale di ricaduta è detta radiazione residua e rappresenta circa il 10% dell'energia dell'esplosione.

Le particelle più grosse cadono entro qualche ora e possono contaminare superfici variabili in funzione della quota di scoppio, della natura del terreno e delle condizioni meteo: si può giungere sino a 20.000 km2 e qualche centinaio di km nella direzione sottovento.

Tanto più bassa è la quota di scoppio, tanto maggiore e più estesa è la contaminazione locale (a Hiroshima e Nagasaki la radiazione residua da ricaduta locale dalle due bombe esplose a quota di 560 m non causò lesioni apprezzabili).

I residui più leggeri, nel caso di esplosione dell'ordine dei kton, rimangono sospesi nella troposfera per qualche settimana e, trascinati dai venti in quota, possono compiere un giro della Terra verso est senza diffondersi molto nelle direzione nord-sud. Poi, per gravità e per l'azione dilavante delle idrometeore, iniziano la ricaduta, che interessa una ristretta fascia a cavallo della latitudine del punto di scoppio.

L'intensità della radiazione da ricaduta locale o mondiale (troposferica) può costituire pericolo per qualche settimana, ma in ogni caso dura anni a livelli significativi (i periodi di decadimento sono molto lunghi). Il maggior pericolo a lungo termine è dovuto allo stronzio 90 (emettitore β con periodo di dimezzamento di 28 anni), che, se ingerito, si concentra nella ossa, dalle quali si elimina con un periodo biologico di circa 10 anni. Gli effetti patologici dello 90Sr possono essere: anemia, necrosi delle ossa, cancro, leucemia. Come risultato di tutte le esplosioni nucleari nell'atmosfera (quasi 400) è stato rilevato un lieve continuo aumento della percentuale di 90Sr nel suolo, nelle piante e nelle ossa.

L'azione meccanica di un'esplosione nucleare è dovuta alla rapida dilatazione del globo gassoso, che genera un fronte d'urto; questo si sposta sopravanzando il fronte isotermo del globo luminoso. A un secondo dall'esplosione di una bomba da 13 kton in aria, il globo luminoso ha raggiunto il suo massimo diametro di circa 500 m e il fronte d'urto ha già un diametro di 1000 m. A 10 sec, il globo luminoso non è più visibile e il fronte d'urto ha un diametro di 8 km. All'effetto d'urto si associa il 50% dell'energia dell'esplosione: è una percentuale largamente inferiore a quella di un'esplosione convenzionale. Al contrario, la percentuale che (nel caso di esplosione nucleare) si attribuisce alla radiazione termica è del 35%, valore superiore alla frazione che si associa a questo effetto nel caso della detonazione di un esplosivo chimico.

Nell'emissione della radiazione termica, in una prima fase (frazioni di secondo) prevalgono le lunghezza d'onda dell'ultravioletto; nella fase successiva (alcuni secondi) prevalgono le lunghezze d'onda del visibile e dell'infrarosso (a esse sono da imputarsi incendi e ustioni anche a oltre 20 km di distanza). L'effetto combinato, meccanico e termico, a Hiroshima, ha distrutto un'area di 13 km2.

Per quanto riguarda gli effetti sulle persone è difficile attribuire alle tre azioni (meccanica, termica, radioattiva) l'incidenza percentuale dei decessi: entro un raggio di 1 km, ognuno dei tre effetti risulta letale e anche a distanze superiori più cause dì morte si sovrappongono. Nel caso di Hiroshima, in prima approssimazione, si stima che almeno il 50% della mortalità sia da attribuirsi alle ustioni e che almeno il 30% dei morti abbia ricevuto una dose letale da radiazione nucleare iniziale; il rimanente delle perdite è attribuito a lesioni meccaniche (più per azioni indirette, crolli e proiezioni di macerie, che per azione diretta del fronte d'urto). Dei tre effetti, quello da vampa si manifesta con effetti letali alle maggiori distanze (2000 m).

La consapevolezza dei terribili effetti, immediati e remoti, delle a. n. spinse sempre gli uomini di scienza a unirsi per chiedere che esse non venissero impiegate. A queste iniziative, se ne unirono altre di natura politica e miranti a contrastare la loro diffusione, soprattutto quando il monopolio degli Stati Uniti venne meno. Negli ambienti competenti americani, era prevalente convinzione nel 1945 che il divario tecnico e scientifico fosse tale che l'URSS non avrebbe potuto costruire a. n. prima di 10 anni. Fu quindi un colpo per l'opinione pubblica americana la notizia, data dal presidente Truman il 23 settembre 1949, che dall'esame della radioattività dell'atmosfera risultava accertata l'esplosione di una bomba sovietica (a base di Pu). L'esplosione era avvenuta in Siberia il 29 agosto. In conseguenza, su proposta della Commissione per l'Energia Atomica degli SUA (USAEC), dopo contrasti e il parere negativo del Comitato scientifico del congresso (presieduto da Oppenheimer), Truman annunciò il 31 gennaio 1950 di aver dato istruzioni di realizzare l'a. n. a fusione (correntemente detta bomba H, perché si basa su fusione di isotopi dell'idrogeno).

Le reazioni nucleari di fusione, che a parità di massa sviluppano un'energia più che tripla delle reazioni di scissione, erano note da tempo (v. reattore nucleare, App. III, 11, p. 584) ma motivi politici e di bilancio avevano impedito di affrontare le ricerche sulla fusione con mezzi adeguati. Le reazioni di fusione avvengono a temperature dell'ordine di 109 °C (perciò la bomba H è detta termonucleare): ciò è ottenuto fornendo il calore di un'esplosione a scissione che funge da innesco.

Gli effetti di una bomba H sono analoghi a quelli già detti delle bombe a fissione (tenendo conto, con opportune leggi di similitudine, del diverso ordine di grandezza delle energie), ad eccezione della frazione da attribuire alla radiazione nucleare, che nel caso delle H risulta inferiore. Un'altra differenza, imputabile alle energie di queste esplosioni (ordine dei Mton), è che le particelle residue più leggere raggiungono la stratosfera, ove diffondono lentamente in ogni direzione e permangono anni. La ricaduta stratosferica avviene a un tasso del 10% all'anno ed è quindi una lenta continua deposizione su tutta la Terra, con intensità funzione del totale dei residui di tutte le esplosioni, accumulati nella stratosfera.

Gli SUA giunsero alla prima esplosione H il 10 novembre 1952 (nel Pacifico): era una bomba di qualche Mton con innesco a 235U.

Pochi giorni prima della bomba H americana, il 3 ottobre 1952, esplodeva in Australia la prima bomba inglese a Pu. La Gran Bretagna si era impegnata nell'impresa dal 1947 (per decisione del governo Attlee) senza aiuti americani perché la politica del segreto e dell'isolazionismo (instaurata dagli SUA in materia di a. n., dal 1946) aveva praticamente annullato gli accordi di collaborazione di Quebec (1943) e di Hyde Park (1944) tra Roosevelt e Churchill.

Ma l'evento più clamoroso di quegli anni avvenne nell'agosto 1953 con la prima H sovietica, non solo per la sorpresa ma anche perché, dalle analisi dei campioni prelevati in quota, risultò che i sovietici avevano sopravanzato la tecnica americana. L'arma era basata sulla reazione di fusione tra deuterio e trizio (come la bomba degli Stati Uniti), ma il fabbisogno di trizio (di produzione costosa) era stato ridotto ricorrendo a una reazione (n,α) sul 6Li che fornisce trizio. Quindi in un miscuglio deuterio-trizio, quest'ultimo può essere rigenerato in situ con una coltre di 6Li.

L'equilibrio tra le due maggiori potenze veniva ristabilito il 10 marzo 1954 quando gli Stati Uniti fecero esplodere a bassa quota a Bikini una bomba H da 14 Mton basata sullo stesso principio di quella sovietica. La ricaduta di questa bomba causò danni a pescatori giapponesi che navigavano a 150 km e gli abitanti di Rongelap (atollo distante 185 km) risultarono esposti a 175 roentgen. Il fatto sensibilizzò l'opinione pubblica mondiale sui pericoli delle esplosioni nucleari nell'atmosfera.

Come conseguenza degli avvenimenti del 1953 gli Stati Uniti abbandonarono in parte la politica del segreto per quella dell'aiuto controllato nelle applicazioni pacifiche dell'energia nucleare e si giunse, dopo faticose trattative, all'approvazione (ottobre 1956) dello statuto dell'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomia (IAEA), entrata poi in funzione a Vienna nel 1957 (v. nucleare, energia, App. III, 11, p. 279).

Nel 1957 la situazione degli armamenti nucleari veniva nuovamente mutata: nel mese di maggio, alle isole Christmas, esplodeva la prima bomba inglese a fusione, con la particolarità di un innesco a fissione di 239Pu anziché (come è tecnicamente meno difficile) di 235U. E nell'ottobre dello stesso anno, veniva firmato un accordo tra l'URSS e la Cina per una collaborazione che prevedeva la cessione alla Cina di un modello di bomba atomica e delle conoscenze per costruirla.

È a questo punto che riprendevano le iniziative per la limitazione degli armamenti nucleari; iniziative che erano praticamente state abbandonate dal 1948 col fallimento del piano Baruch (v. bomba atomica, App. II,1, p. 433). Nell'ottobre del 1957 il ministro degli Esteri della Polonia, A. Rapacki, proponeva all'Assemblea Generale dell'ONU che in una zona dell'Europa centrale (comprendente le due Germanie, la Polonia e la Cecoslovacchia) venisse vietato ogni deposito di armi nucleari. Il piano Rapacki, appoggiato dall'URSS, non venne accettato dalle potenze dell'Ovest. Invece una conferenza tecnica tra esperti dell'Est e dell'Ovest, nel 1958, riuscì a concordare un sistema di rilevamento mondiale delle esplosioni nucleari sperimentali (escluse quelle sotterranee inferiori a 5 kton, che non possono essere distinte dai sismi naturali).

Il successo di questa conferenza tecnica consentì d'iniziare a Ginevra nell'ottobre 1958 una conferenza tripartita (Stati Uniti, URSS, Regno Unito) per un trattato sulla cessazione delle esplosioni, dopo che le tre potenze avevano deciso (ognuna unilateralmente) di sospendere le proprie. La conferenza ebbe un buon andamento nel 1959, anno in cui l'URSS denunciò il patto nucleare con la Cina, ma si arenò nel 1960 a causa del disaccordo sui controlli: a dicembre la conferenza fu sospesa.

Intanto la Francia il 13 febbraio 1960 faceva esplodere a Reggan (nel sud dell'Algeria) una bomba al Pu; la Francia si era dichiaratamente impegnata nel campo nucleare militare dal 1956, col governo Mollet.

La conferenza tripartita per la sospensione delle esplosioni riprendeva nella primavera 1961, ma a settembre veniva nuovamente sospesa e la moratoria infranta: prima dall'URSS con esplosioni di grande potenza in aria, poi dagli Stati Uniti con esplosioni sotterranee e in seguito anche atmosferiche. Ma la moratoria delle esplosioni era di nuovo concordata nel novembre 1962 assieme alla ripresa delle trattative tripartite che, rinunciando alla sospensione delle esplosioni sotterranee e ai controlli, consentivano di giungere il 5 agosto 1963 alla firma del trattato di Mosca sull'interdizione degli esperimenti nell'atmosfera, nello spazio cosmico e nell'idrosfera: al trattato di Mosca non aderirono la Francia e la Cina, la quale ultima anzi dichiarò la sua intenzione di realizzare a. n. al più presto. Infatti il 15 ottobre 1965 la Cina faceva esplodere, nel deserto del Sinkiang, la sua bomba a 235U (gl'impianti di arricchimento dell'uranio erano stati iniziati all'epoca della collaborazione con l'URSS).

In seguito all'ingresso della Cina nella classe delle potenze nucleari, ebbero inizio negoziati tra Stati Uniti e URSS per arrestare la proliferazione delle a. n.: nel 1965 si ebbero un progetto americano e uno sovietico, che differivano essenzialmente sui controlli. Le trattative tra le due potenze furono difficili ed ebbero alterne vicende nel 1966 e 1967 (intanto nel gennaio 1966 la Cina faceva esplodere la sua prima H). Finalmente il 24 agosto 1967 fu presentato al "comitato dei 18" (rappresentanti delle 5 nazioni occidentali, 5 dell'Est e 8 non impegnate che dal 1961 si riunivano a Ginevra per il disarmo: la Francia si è ritirata dal 1962) una prima versione di progetto congiunto americano-sovietico.

Dopo numerosi negoziati, che introdussero vari emendamenti, si giunse al testo definitivo del trattato contro la proliferazione delle a. n., avallato dall'Assemblea generale dell'ONU e aperto alla firma nell'estate del 1968 (mentre la Francia faceva esplodere le sue due prime H).

Il trattato si compone di un preambolo e di 11 articoli. Il Preambolo, ispirato alla distensione, auspica la cessazione della corsa agli armamenti nucleari e della loro diffusione; auspica, inoltre, l'eliminazione degli arsenali nazionali di a. n. attraverso un trattato di disarmo generale controllato.

Il primo articolo impegna gli stati militarmente nucleari (tali sono definiti quelli che abbiano fatto esplodere un ordigno prima del 1967) a non trasferire ad altri bombe nucleari, o il loro controllo, e a non assistere alcuno in tale materia. Il secondo impegna gli stati militarmente non nucleari a non fabbricare a. n. e a non ricerverne. Il terzo articolo, uno dei più controversi, prevede che gli stati militarmente non nucleari siano sottoposti a controlli (da eseguire in base ad accordi con la IAEA) intesi ad accertare l'adempimento dei loro obblighi: in sostanza, per accertare che i combustibili nucleari destinati ad applicazioni pacifiche non vengano dirottati alla produzione di a. nucleari. Gli articoli 4 e 5 regolano gli usi pacifici dell'energia nucleare, impegnando le parti alla più completa assistenza. L'articolo 6 impegna le parti a negoziare il disarmo nucleare e quello generale, sotto controllo. L'articolo 7 fa salvo il diritto a stipulare trattati di smilitarizzazione nucleare (come il piano Rapacki). Gli ultimi quattro articoli hanno carattere procedurale. L'Italia ha firmato il 29 gennaio 1968 e ratificato il 24 aprile 1975.

Nel maggio 1975 si è svolta a Ginevra una conferenza (prevista dall'articolo 8) per esaminare che le finalità del trattato si stiano realizzando. Hanno partecipato 57 stati che hanno ratificato, 7 firmatari e alcuni paesi osservatori che non aderiscono (Argentina, Brasile, Egitto, Israele, Spagna, Sudafrica). Da parte italiana è stato fatto presente come sia opportuno, onde attenuare i disequilibri insiti nel trattato, che gli stati militarmente nucleari liberalizzino ulteriormente l'accesso agl'impianti, ai combustibili e alle tecnologie, con particolare riguardo all'arricchimento dell'uranio, alla propulsione navale, al ritrattamento dei combustibili irradiati. Ciò perché la clausola di mutua assistenza, prevista dall'articolo 4, ha avuto scarsa applicazione. La conferenza si è conclusa con l'approvazione (senza votazione) di una dichiarazione nel cui preambolo (accogliendo l'osservazione italiana) si formulano raccomandazioni in tema di assistenza tecnica per il trasferimento di tecnologie e la fornitura di apparecchiature e materie prime per le applicazioni pacifiche dell'energia nucleare. La dichiarazione esprime la grande preoccupazione dei non nucleari per lo sviluppo accelerato della corsa agli armamenti e auspica che le grandi potenze realizzino il disarmo nucleare e sospendano immediatamente tutte le esplosioni nucleari sperimentali.

Gli stati aderenti al trattato sono 94, oltre a 15 firmatari che non hanno ancora ratificato. È stato constatato che nonostante gli aderenti siano numericamente la maggioranza, le potenze nucleari e i non aderenti rappresentano ancora la maggioranza del reddito, della popolazione e del territorio del mondo. In particolare tra i non aderenti figurano potenze nucleari come la Francia, la Cina e l'India. Quest'ultima il 18 maggio 1974 ha eseguito nel deserto del Thar (provincia di Radjastan) l'esplosione sotterranea (ufficialmente dichiarata pacifica) di una bomba a scissione di plutonio (15 kton).

Bibl.: B. Goldschmidt, L'aventure atomique, Parigi 1962; S. Glasstone, The effects of the nuclear weapons, Cambridge, Mass., 1964; B. Goldschmidt, Les rivaliteés atomiques, Parigi 1967; E. Bettini, Il trattato contro la proliferazione nucleare, Bologna 1968; Department of Health, Education and Welfare USA, Radiological health data, Washington 1974; Autori vari, La proliferazione delle armi nucleari, Bologna 1975.

TAG

Agenzia internazionale dell'energia

Assemblea generale dell'onu

Prodotti di fissione

Radiazione nucleare

Opinione pubblica