Armonizzazione fiscale

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Nell’ambito della Comunità europea, procedimento attraverso cui si rendono affini le discipline normative di determinati tributi comuni agli Stati membri, al fine di eliminare le distorsioni di origine fiscale che ostacolano la libera concorrenza nel mercato unico e di non discriminare merci, persone, servizi e capitali in base alla nazionalità. Armonizzare non vuol dire unificare, ma solo adeguarsi a un tipo comune (presupposto, base imponibile, aliquote) ed eliminare le divergenze più significative.

L’a. delle imposte indirette (ex art. 93 Trattato CE) ha riguardato l’IVA, le accise e l’imposta sui conferimenti. Sull’IVA sono stati fissati i tratti fondamentali del tributo (1967: prima e seconda direttiva), dettate regole uniformi per la determinazione della base imponibile dell’imposta (1977: sesta direttiva) e dal 1° gennaio 1993 (direttiva 92/77) sono state armonizzate le aliquote (di norma risultano non inferiori al 15%; in casi specifici sono state portate al 5%). Per gli scambi interni alla Comunità, inoltre, è stato programmato il passaggio dal regime di tassazione nel paese di destinazione a quello di origine, anche se l’imposta verrà alla fine percepita dallo Stato in cui avviene il consumo del bene (lo Stato di destinazione dovrà recuperare, nei confronti dello Stato d’origine, l’IVA concessa in deduzione all’acquirente).

Le accise sono state armonizzate da una serie di direttive nel 1992 (regime, detenzione, circolazione, controlli, struttura e aliquote). È stato conservato il sistema di prelievo dell’imposta nel paese di consumo del prodotto, prevedendo il collegamento dei depositi fiscali degli Stati membri.

Anche le diverse forme di tassazione dei capitali sono state armonizzate con la direttiva 69/335 (unica imposta sui conferimenti, armonizzata per struttura e aliquote, da applicare nello Stato in cui è situata la direzione effettiva della società; abolizione delle imposte di bollo sui titoli e soppressione di altre imposte similari), che ha indicato anche i presupposti dell’imposta (costituzione di società, trasformazione, aumento di capitale o del patrimonio sociale, trasferimento da paese terzo a Stato membro e fra Stati membri ecc.) e ha proibito l’applicazione alle società di capitali di altre imposte indirette. Le agevolazioni sono state progressivamente ampliate e nel 1985 le operazioni di concentrazione (e di fusione, grazie alla giurisprudenza della Corte di giustizia comunitaria) sono state esentate.

Manca nel Trattato CE un’uguale attenzione alle tematiche relative alle imposte dirette, che d’altronde per alcuni versi non necessitano di armonizzazione né di coordinamento e, conformemente al principio di sussidiarietà, sono regolate autonomamente dagli Stati membri. L’unico riferimento è rinvenibile nell’art. 293, volto a evitare i fenomeni di doppia imposizione. Tuttavia, in considerazione della rilevanza dei tributi diretti per il corretto funzionamento del mercato unico, sono state approvate: la direttiva sulle riorganizzazioni societarie transfrontaliere (90/43, nota come ‘direttiva sulle fusioni’), che stabilisce il principio di neutralità fiscale (fusione, scissione, conferimenti di attivo e scambi di azioni non comportano tassazione delle plusvalenze risultanti dalla differenza tra valori reali e valori fiscali dei beni coinvolti nelle operazioni) e disciplina il conferimento di una stabile organizzazione; la direttiva madre-figlia (90/435), che risolve in ambito comunitario il problema della doppia imposizione internazionale dei dividendi infragruppo; la direttiva 2003/48 in materia di tassazione dei redditi di risparmio sotto forma di interessi, e la direttiva 2003/49, che disciplina il regime fiscale degli interessi e dei canoni (royalties) corrisposti da una società ad altre società o stabili organizzazioni di un medesimo gruppo con sede in Stati membri diversi, sopprimendo l’imposizione alla fonte ed eliminando, in tal modo, la doppia imposizione.

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