IRANICA, Arte

Enciclopedia dell' Arte Antica (1961)

Vedi IRANICA, Arte dell'anno: 1961 - 1995

IRANICA, Arte

K. Trever
V. Masson
K. Trever
V. Lukonin
K. Trever
V. Lukonin
K. Trever
K. V. Trever
V. Masson
V. Lukonin

IRANICA, Arte. − 1. − Periodo preistorico ed elamita. − Le ricerche archeologiche degli ultimi anni hanno permesso di scoprire nel territorio dell'Irān un gran numero di monumenti dell'Età della Pietra (la grotta nella gola di Bīsutūn, le grotte di Khotu e Gari-Kamarband a Masanderane e altre), ma sino ad ora non si sono trovate opere d'arte appatenenti a questo periodo. Quindi la storia dell'arte i. si deve iniziare da un periodo relativamente tardo, da quando cioè nel V-IV millennio a. C. nelle valli formate da piccoli fiumi e ruscelli cominciano ad apparire gruppi stabili di agricoltori e allevatori di bestiame. Questi primi abitanti fabbricavano vasi di argilla di ottima qualità, ornati da pitture vivaci, sicché questa cultura viene spesso chiamata "cultura della ceramica dipinta".

Al V-IV millennio a. C. si possono far risalire numerosi centri di sviluppo di queste culture nel territorio dell'Irān. Uno di questi centri si trovava nella parte centrale dell'Irān, la cui cultura è nota in seguito agli scavi di Tepe Siyalk nei pressi di Kashan. Qui, nel V millennio a. C., veniva prodotto un vasellame di argilla semplicemente ornato di figure geometriche, rombi o triangoli riempiti con un tracciato retiforme, linee a zig-zag, ecc. Il più antico esemplare di scultura dell'Irān è una piccola statua rinvenuta in questo territorio e raffigurante un uomo. La statua è scolpita sul manico d'osso di una falce e le proporzioni anatomiche sono rispettate. Nel IV millennio a. C. (Siyalk II) la pittura vascolare si complica alquanto, appaiono figure di caproni e di uccelli in uno stile lineare e schematico, come parte di un disegno geometrico ritmicamente ripetuto. Questa cultura raggiunge il suo apogeo nella seconda metà del IV millennio a. C. (Siyalk III). La ceramica dipinta di questo periodo si distingue per lo stile vivace e originale. Accanto alla decorazione geometrica, sono molto diffusi i disegni che rappresentano caproni, uccelli, serpenti, cavalli, tori, pantere e figure umane. Talvolta si incontrano scene con moltissimi personaggi, fatto che sta forse a indicare la trattazione di soggetti mitologici. Le figure di animali sono di regola trattate con un disegno a silhouette, il che non impedisce all'artista di raggiungere, in certi casi, una marcata espressività (uccelli in fuga, caproni di montagna con la testa lievemente chinata, ecc.). La cultura del tipo Siyalk III si era diffusa anche nell'Irān nord-orientale (strati inferiori di Tepe Hissar nei pressi di Damghan), ma qui i disegni che rappresentano animali hanno un carattere più ornamentale e schematico.

In modo analogo si è sviluppata, nel V-IV millennio a. C. (scavi di Tepe Giyan nei pressi di Nihawand), la cultura del Luristan (v.). Oltre agli indubbi legami con le culture di Siyalk, nei reperti di Giyan si possono constatare anche influenze meridionali, che ci riportano alle zone del Khuzistan e del Fars.

In queste ultime zone nel V-IV millennio a. C. fiorisce una cultura che si potrebbe fondatamente definire protoelamita. Anche qui, come a Siyalk, la ceramica dipinta, appartenente a varî periodi, è rappresentata da vasi con semplice ornamentazione geometrica, cui si aggiungono in un secondo tempo disegni lineari di animali, di preferenza caproni di montagna (Giovi, Giafarabad nella zona di Disfula). La ceramica dipinta protoelamita raggiunge il suo massimo splendore nel IV millennio a. C. (Susa I, Tell-i Bakun a E di Shiraz).

Nell'elegante vasellame di questo periodo si manifestano con grande espressività gli elementi decorativi dell'arte protoelamita. Gli alti eleganti calici e le coppe sono ornati da una ricca decorazione, i cui motivi geometrici si fondono con le immagini di animali e con le figure umane. Questa pittura si distingue per il suo grande senso del ritmo e della composizione. La tendenza decorativa dell'arte di questo periodo si riflette anche nella trattazione delle figure degli animali. Infatti, le immagini dei caproni, con le corna a spirale, si percepiscono anzitutto non come concrete figure di animali, ma come parte integrante di una ricca composizione ornamentale. Spesso la decorazione geometrica viene considerata un'integrazione dei singoli elementi, costituiti da figure di animali. Alcuni motivi della ceramica dipinta protoelamita possono essere considerati anche simboli aventi un significato magico. Questo simbolismo magico si manifesta in modo rilevante nella trattazione delle figure in terracotta, che rappresentano di solito divinità femminili. In queste piccole sculture il realismo fisico è sostituito da un simbolismo astratto.

L'arte dell'Irān del V-IV millennio a. C. rappresentata, come abbiamo visto, anzitutto da due culture di ceramica dipinta, la centroiranica e la protoelamita, si distingue per una certa originalità in confronto allo stesso tipo di culture della vicina Mesopotamia. Forse, come pensano alcuni studiosi, si può anche parlare di un'influenza degli stili della ceramica dipinta iranica sulla produzione del vasellame mesopotamico.

Già alla fine del IV millennio a. C. comincia a disgregarsi l'uniformità che più o meno caratterizzava lo sviluppo della cultura del territorio iraniano. Sempre più intensamente si vanno sviluppando l'economia e la cultura della zona del Khuzistan, in cui appaiono tracce di un'architettura monumentale, nasce la scrittura e, all'inizio del III millennio a. C., contemporaneamente alla civiltà sumerica, si formano le prime città-stato. Si tratta del primo periodo di sviluppo della cultura elamita propriamente detta. Questa cultura, da una parte, riprende le antiche tradizioni locali, dall'altra, subisce l'influenza sempre più marcata della Mesopotamia. Infatti il sistema della scrittura geroglifica era stato elaborato nell'Elam indipendentemente dall'antica scrittura sumerica. D'altro lato i sigilli cilindrici con magnifiche raffigurazioni realistiche di animali, che si erano largamente diffusi nell'Elam alla fine del IV millennio a. C., rivelano tracce ben definite dell'influsso mesopotamico (v. glittica).

All'inizio del III millennio a. C. osserviamo nell'Elam il fiorire del vasellame dipinto, con ornamentazione bicroma (stile di Susa II o Susa D). Qui, accanto ai motivi geometrici e vegetali, si trovano molte raffigurazioni di caproni, pesci, uccelli, ecc., eseguite ormai senza quella tendenza alla stilizzazione ricercata e al simbolismo astratto, che caratterizza il vasellame dello stile Susa I. Molto espressive due figurette in alabastro appartenenti a questo periodo e che rappresentano un orso che beve e una simmia accovacciata.

Nella seconda metà del III millennio a. C. la influenza mesopotamica sulla cultura dell'Elam cresce notevolmente. I re dell'Elam guerreggiano contro Sumer e Akkad, l'Elam stesso cade temporaneamente sotto il giogo dei bellicosi vicini. Da questo periodo l'arte elamita si può ormai considerare un prodotto di una scuola locale dell'arte mesopotamica. L'Elam tornò a fiorire sotto il governo di Puzur-Inshushinak (XXIII sec. a. C.) in Susa. Questo re, secondo le iscrizioni, eresse templi e statue. Di queste ultime si è conservata la statua della dea Innin, che corrisponde alla babilonese Ishtar (v.). La dea siede sul trono in una pesante veste: l'assoluta immobilità della posa e le proporzioni tozze rivelano il profondo arcaismo di una scultura notevolmente inferiore all'arte sumerica dello stesso periodo. Altri rilievi dell'Elam (un frammento di stele con una divinità, la base di una statua con scene di battaglia) sono eseguiti con grande maestria, ma in pari tempo rivelano una più marcata influenza mesopotamica.

In questo periodo, nell'Elam si diffonde anche la scrittura cuneiforme accadica, che soppianta ben presto la scrittura geroglifica locale.

Alcuni frammenti di stele elamite del primo terzo del II millennio a. C. con l'immagine del re in piedi davanti a una divinità, ripetono la scena della famosa stele babilonese con il codice di Hammurabi. La scultura in bronzo di questo periodo è rappresentata dalla figuretta di un dio, in una lunga veste, e da una statuetta che rappresenta un elamita trasportato da un carro.

Il periodo del massimo splendore dell'arte elamita corrisponde al periodo del massimo rafforzamento dell'indipendenza politica dell'Elam, nei secoli XIII-XII a. C., quando i varî re della dinastia locale riescono a conquistare un vasto territorio, e il più fortunato di essi sottomette Babilonia. La nuova dinastia rivolge quindi cure al progresso culturale. Le iscrizioni in lingua elamita sostituiscono gradualmente nell'uso la scrittura cuneiforme. Emergono in primo piano le divinità elamite, Inshushinak, patrono di Susa, Nakhunte, che corrisponde, forse, al dio babilonese del sole Shamash, e la dea Kiririsha.

Al regno di uno dei membri della nuova dinastia, Untash-Khuban (circa 1265-1245 a. C.), si attribuisce la costruzione della ziqqurat di Choga Zanbil (a S di Disfula). Questa costruzione monumentale, dedicata, evidentemente, a Inshushinak, era di cinque piani e raggiungeva un'altezza di 53 m. A differenza delle ziqqurat mesopotamiche, in cui le tre scalinate conducenti ai piani superiori venivano disposte contro un lato dell'edificio, a Choga Zanbil le tre scalinate partono da tre diversi lati della ziqqurat (v. choga zanbil). Al nome di Untash-Khuban è legata anche una stele in pietra con alcuni rilievi, rappresentanti la famiglia reale, Untash-Khuban davanti alle divinità, dei genî accanto a un albero, genî e coppe con acqua viva.

Grande fu lo splendore dei secoli XIII-XII nella produzione d'arte in metallo e specialmente nella scultura. I a monumentale statua in bronzo di Napir-Asu, moglie di Untash-Khuban, è considerata giustamente uno dei capolavori dell'arte orientale antica. La donna, stante, è rappresentata in atteggiamento pacato, con le mani intrecciate sotto il petto. La veste è ornata da una sottile cesellatura. Tutta la figura esprime forza e calma interiore. Per le sue proporzioni la statua di Napir-Asu occupa una posizione intermedia tra la scultura tozza sumerica e quella più elegante degli Assiri.

Ai secoli XIII-XII a. C. appartengono un rilievo di bronzo con guerrieri in marcia, i cui atteggiamenti sono resi con ripetizione ritmica; una lastra votiva in bronzo raffigurante una cerimonia religiosa e numerosi oggetti rinvenuti nel tempio di Inshushinak a Susa. Tra questi ultimi si notano alcune statuette in bronzo raffiguranti, una, un sumero glabro dalla testa tonda, l'altra, un elamita con la caratteristica pettinatura e la folta barba. Probabilmente è da ravvisarsi un sacerdote nella statuetta d'oro che raffigura un uomo barbuto a torso nudo con un capretto sulle braccia. Questa piccola plastica elamita si distingue per il notevole realismo e la forza espressiva.

Al periodo elamita è legato il sorgere di una serie di rilievi su roccia. In uno di essi, situato a Kurangun, a E di Shiraz, vediamo una processione che si dirige verso una divinità seduta in trono sotto forma di un serpente arrotolato. Una divinità analoga si può vedere anche in un rilievo peggio conservato, di Naqsh-i Rustam. Probabilmente il rilievo di Kurangun appartiene alla seconda metà del II millennio a. C., sebbene alcuni studiosi siano propensi ad attribuirlo alla fine del III millennio.

L'arte elamita dei primi secoli del I millennio a. C. ha lasciato scarse tracce. I rilievi di Susa, rappresentanti una filatrice e teste di guerrieri, sono sotto l'evidente influenza assira. Si distingue per originalità e per una certa vivacità espressa una testa di guerriero in terracotta con la barba e i folti capelli di colore nero. I tardi rilievi elamiti di Malamir sembrano anticipare, con le loro monotone processioni, i famosi rilievi dei palazzi achemènidi.

Mentre nella parte sud-occidentale dell'Irān si era formato il regno elamita, con la sua alta cultura, le stirpi che occupavano il resto del paese si andavano evolvendo più lentamente. La loro cultura e la loro arte nel III-II millennio a. C. cominciano a subire una ben definita influenza sia da parte dell'Elam che dalla Mesopotamia. Dalle fonti scritte apprendiamo che in quel tempo le regioni montane dell'Irān occidentale erano abitate da Cassiti, Gutei e Lullubei, che parlavano lingue probabilmente affini all'elamita.

È probabile che la cultura conosciuta attraverso gli scavi di Tepe Giyan presso Nihawand appartenga proprio ai Lullubei. Nel III millennio a. C. era diffusa in questa zona la ceramica dipinta, convenzionalmente stilizzata, in cui predominano le immagini di uccelli e i simboli solari (Giyan IV). Alla fine del III millenmo a. C. una parte delle tribù lullubee si unì sotto il dominio del re Anubanini, al nome del quale sono legati i tre rilievi su roccia di Sari-Pul a occidente di Kermanshah. Il rilievo di maggior valore rappresenta Anubanini in piedi davanti alla dea Innin che conduce a lui i nemici in catene. Lo stile e il soggetto del rilievo appaiono una replica diretta dell'arte mesopotamica. La scritta che accompagna il rilievo è in lingua accadica, ma l'abbigliamento di Anubanini si differenzia da quello tradizionale dei re di Akkad.

I nomi delle tribù che in quel periodo vissero nell'Irān centrale e orientale, ci sono completamente ignoti. Gli scavi di Tepe Hissar, presso Damghan, e di Turang Tepe, presso Asterabad, ci dànno un quadro di notevole originalità della cultura dell'Irān nord-orientale del III-principio Il millennio a. C.: la ceramica dipinta viene sostituita da vasellame nero e grigio di foggia elegante, la lavorazione del metallo raggiunge un alto grado di sviluppo, tanto che molti oggetti si possono considerare vere e proprie opere d'arte. Così gli scettri di rame vengono decorati con rilievi realistici, rappresentanti ora animali, ora intere scene con la partecipazione di figure umane. Si distingue fra gli altri, per il suo elevato livello artistico, un piatto di rame sul cui fondo è scolpito in altorilievo un leone che sbrana un toro.

Appartengono probabilmente alla produzione locale anche i vasi aurei e altri oggetti rinvenuti nel sec. XIX a Turang Tepe e facenti parte del tesoro di Asterabad. Su un vaso di questo tesoro sono scolpite, con grande abilità, delle aquile, mentre le figure umane di un altro vaso sembrano una diretta replica dell'arte sumerica ed elamita. Lavori mirabili sono inoltre due statuette di terracotta trovate a Turang Tepe. Una di esse rappresenta una donna che si sostiene il seno con le mani, l'altra una donna stante con le braccia aperte. Le forme tondeggianti del Corpo femminile, accentuate dalla vita sottile, sono rese con un grande senso del volume.

Nella I metà del I millennio a. C. ha inizio la espansione delle stirpi di lingua iranica (Persiani e Medi). Probabilmente appartiene alle prime stirpi mede la cultura della necropoli B, situata nella regione di Tepe Siyalk, un antico centro di cultura della ceramica dipinta. Nelle ricche tombe della necropoli, appartenenti al principio del I millennio a. C., sono largamente diffusi i vasi con pittura ornamentale. Grandi, vivaci figure di cavalli, caproni, tori, unicorni e uccelli, disposte con maestria in cornici ornamentali di tipo geometrico, caratterizzano quest'ultimo periodo di ripresa della ceramica dipinta dell'antico Irān.

Elementi comuni alla cultura della necropoli di Siyalk possono essere osservati in altri monumenti di questa fase, soprattutto in quelli che si trovano nel territorio del Luristan (v.). Qui alla fine del Il e all'inizio del I millennio a. C. era diffusa una cultura ben nota per i suoi meravigliosi oggetti in metallo, cui è stato dato il nome di "bronzi del Luristan". Si tratta di armi, finimenti, ornamenti vari e suppellettili cultuali. Tutti questi oggetti sono riccamente ornati con figure di animali ed esseri fantastici, spesso fusi in combinazioni bizzarre. Vi sono anche intere scene che rappresentano eroi in lotta con mostri, secondo modelli che risalgono alle antiche tradizioni dell'Elam e della Mesopotamia, e risentono dell'influsso dell'arte assira, con il suo vivace realismo, nella raffigurazione degli animali. Alcune scene sembrano rivelare un certo legame con gli antichi culti delle stirpi iraniche. Tuttavia questi temi e influssi vengono rielaborati in uno stile compiuto e originale. Mentre nell'arte sumerica e in quella assira le figure degli animali e le singole scene possono essere considerate elementi a sé stanti, nei bronzi luristani invece gli stessi animali, oppure parti delle loro figure, rese con una stilizzazione ricercata, appaiono parte integrante del motivo ornamentale.

Nel Kurdistan, regione confinante col Luristan, nei pressi della città di Sakkez, è stato riportato alla luce un gruppo di oggetti che, come i bronzi del Luristan, caratterizzano la complessa evoluzione culturale e artistica nella prima metà del I millennio a. C. Il tesoro di Sakkez può essere diviso in quattro gruppi di oggetti, in base al loro stile. Del primo gruppo fanno parte oggetti di provenienza assira, nel secondo si possono osservare combinazioni di arte assira e scita, il terzo può essere chiaramente definito scita, mentre il quarto presenta caratteri evidenti della locale arte mannea (v. hasanlu). Una tale composizione del tesoro, che appartiene al VII-VI sec. a. C., rispecchia il succedersi di concreti avvenimenti storici e, anzitutto, la vasta penetrazione nell'antico Oriente di tribù scite di lingua iranica. La loro arte con le vivaci e dinamiche raffigurazioni di animali, che le hanno meritato la denominazione di "stile animalistico" (v.), si è chiaramente manifestata negli oggetti facenti parte del tesoro di Sakkez (rivestimenti d'oro di foderi con figure di caproni e cervi, tesi in movimenti impetuosi, una figuretta d'oro rappresentante un caprone, ecc.). Gli oggetti che gli studiosi attribuiscono all'arte mannea sono rappresentati da dischi d'oro e da rivestimenti aurei che raffigurano processioni o scene di caccia, eseguite in uno stile un pò monotono e fiacco.

Tutto questo complesso intrecciarsi di tradizioni locali, di elementi dell'antica arte orientale e di alcuni motivi provenienti dalle lontane steppe, ha costituito la base sulla quale si erge la monumentale e grandiosa arte dell'impero achemènide.

(K. Trever-V. Masson)

2. − Periodo achemènide. − L'arte dell'Irān dei secoli VI-IV a. C. viene chiamata achemènide, dal nome della dinastia che fondò uno dei più grandi stati del mondo antico. In questa arte converge, come in un punto focale, tutto ciò che era stato creato nel corso di millenni dai popoli dell'Asia Anteriore, le cui antiche ed eterogenee tradizioni si fondono organicamente l'una con l'altra. Nella cultura e nell'arte dell'Asia Anteriore il ruolo principale passò ai popoli che facevano parte dello stato achemènide, e quindi, anzitutto, ai popoli iranici. L'Irān achemènide divenne l'erede dello stato dei Medi, il cui potente regno venne improvvisamente distrutto dalla confederazione delle tribù persiane guidate da Kir-Kurush (Giro), della stirpe achemènide. Circa 550 anni prima di Cristo Ciro gettò le basi di uno stato che ha lasciato in retaggio all'umanità palazzi e templi colossali, rilievi su roccia, iscrizioni e strade famose, tombe di re e raffinati ornamenti (v. achemenide, arte).

La storia degli Achemènidi può essere divisa in tre periodi, ai quali corrispondono naturalmente anche tre tappe dello sviluppo della cultura e dell'arte i. di quel tempo. Il primo periodo, in cui venne costituito lo stato achemènide, abbraccia il regno di Ciro II e di suo figlio Cambise (559-522 a. C.). Il secondo periodo è caratterizzato dall'apogeo della potenza achemènide, sotto Dario I e suo figlio Serse (522-464 a. C.). Il terzo periodo è il periodo del graduale indebolimento e quindi della decadenza, sotto il regno dei successori di Serse, periodo che si chiude con la morte di Dario III e l'assoggettamento dell'Irān da parte di Alessandro il Macedone (464-330 a. C.).

Assunto a capo della confederazione delle tribù iraniche, Ciro II seguì la stessa politica degli ultimi re medi. Nel 546 a. C. cadeva, sotto i colpi dell'esercito persiano, la ricca e favolosa Lidia. Nel 539 l'esercito persiano conquistò Babilonia. Quindi l'attenzione di Ciro si volse ai confini orientali del suo regno: lunghe spedizioni sulle rive dell'Āmū-Daryā portarono all'occupazione del Chorezm (v.) e della Battriana; proprio qui, nel corso di una accanita battaglia con una tribù nomade delle steppe centro-asiatiche, perì il fondatore dell'impero achemènide (529 a. C.).

Lo stato fondato da Ciro si estendeva dall'Asia Minore ad occidente, alla Battriana ad oriente, dal Caucaso a N, alla Giudea a S. La possibilità di creare un impero così vasto in un periodo di tempo relativamente breve era dovuta al fatto che nei paesi del Medio Oriente, in seguito allo sviluppo dell'economia schiavistico-mercantile, si avvertiva l'impellente necessità di uno stato con vie commerciali sviluppate e ben organizzate, di uno stato che potesse porre fine alle perpetue discordie e fosse capace di istaurare un ordine stabile. Ma nonostante ciò l'impero fondato da Ciro continuà ad essere un agglomerato di tribù e di popoli diversi.

Il figlio di Ciro, Cambise II (529-521 a. C.), continuà la politica di conquista del padre e intraprese una spedizione in Egitto. In quel tempo nell'Irān un sacerdote medo, di nome Gaumata, facendosi passare per il fratello di Cambise, Bardiya (lo Smerdis delle fonti greche), che Cambise aveva fatto uccidere prima della partenza, per timore di un'insurrezione nel paese da lui abbandonato, sollevò una rivolta.

Della rivolta di Gaumata e degli avvenimenti che ne seguirono siamo informati dalla più grande iscrizione achemènide, più di 500 righe, scolpita nelle tre lingue ufficiali dell'Irān, l'antico persiano, l'elamita e l'accadico, sulla roccia di Bīsutūn (il cui antico nome è Bagastana, "luogo degli dèi"), non lontano dalla moderna Kermanshah. Questa iscrizione fu scolpita per ordine del successore di Cambise, Dario I. La rivolta di Gaumata e tutte le altre che ad essa seguirono nelle diverse province (satrapie) del regno achemènide, diedero luogo a una profonda crisi, legata all'arricchimento della nobiltà e all'asservimento degli altri membri della comunità. Durante il suo breve regno (circa sette mesi), Gaumata, come informa l'iscrizione di Bīsutūn, liberò dai tributi i popoli a lui soggetti, attuò una riforma agraria, il cui significato non è del tutto. chiaro, distrusse alcuni santuarî e proclamò un nuovo culto. In breve, come scrisse Erodoto, "fece molto bene ai suoi sudditi". Nel 522 Gaumata fu ucciso in seguito a una congiura di palazzo, tramata dalle più nobili famiglie persiane. A capo di questa congiura era il rappresentante del ramo cadetto degli Achemènidi, Dario figlio di Istaspe (v. bīsutūn).

Dai tempi di Ciro e Cambise ci sono giunti pochi esemplari dell'arte monumentale, resti architettonici e statue che ornavano i palazzi della prima capitale degli Achemènidi, Pasargade (da Pasargata "campo dei Persi"), non lontana dalla grande via carovaniera che collegava Ecbatana al Golfo Persico. Un tempo Pasargade era formata da piccole case immerse nel verde dei giardini, da lussuosi palazzi reali e da una cittadella (di cui si è conservata solo la base) che era posta a difesa della città. L'entrata principale del palazzo di Ciro, originale propileo, era costituita da un ingresso quadrato, il cui tetto poggiava su quattro colonne di pietra bianca; la soglia era custodita da tori alati dalla testa umana, scolpiti in pietra verde-nera. Il piccolo vestibolo prima della sala del trono era ornato da figure umane con quattro ali, in rilievo. Le pareti dell'apadāna (sala principale del palazzo, da appa dana - "sala dalle colonne") erano di mattone grezzo e poggiavano su fondamenta di pietra massiccia. Gli stipiti delle porte che conducevano nelle sale dei ricevimenti erano talvolta ornati da rilievi, fra cui quello raffigurante tre sacerdoti che conducono un toro al sacrificio. Il tetto della sala principale era sostenuto da otto colonne, disposte su due file, alte circa 13 m, di pietra bianca su basi di pietra nera. Il capitello, anch'esso di pietra nera, era bicefalo (protome di tori alati, caproni, ecc.). Dall'apadāna si dipartivano in tre diverse direzioni portici monumentali, i cui tetti erano sostenuti da otto colonne. Le dimensioni del palazzo, che serviva da abitazione, superavano quattro volte quelle dell'apadāna (77 × 43 m). L'ingresso di questo palazzo era costituito da un portico con venti colonne lignee disposte su due file. La sala principale del palazzo, di m 22 × 25, era ornata da sei file di colonne, cinque per fila, e da vivaci stucchi e pannelli.

I palazzi di Pasargade sono caratterizzati dalla policromia dell'insieme: neri stipiti di porte e nicchie in pareti bianche, bianchi fusti di colonne coronati da capitelli neri, bianchi sedili con intarsi neri, pavimenti bianchi solcati da strisce nere. L'architettura, insieme con la vivace decorazione delle colonne lignee dei portici, gli stucchi policromi, i rilievi intarsiati di bronzo e forse anche d'oro, creavano l'impressione di una grandiosa solennità. Le iscrizioni sulle basi e sui fusti delle colonne, in lingua persiana, elamita e accadica, contengono il nome di Ciro, privo ancora degli altisonanti titoli, di cui si fregerò dopo le prime spedizioni di guerra. È quindi possibile che Pasargade sia stata in gran parte costruita quando Ciro era semplicemente re dell'Anshan, una delle regioni sottomesse ai Medi, e cioè fra il 559-550 a. C. Una di queste iscrizioni, nella quale si legge "Io, Ciro, re achemènide", si trovava un tempo sul rilievo già citato, scolpito su una lastra di pietra calcarea (altezza di circa m 3,5). Il rilievo rappresenta una figura maschile barbuta con quattro ali, che ha sul capo una acconciatura analoga a quelle egizie (disco solare, piume, serpente, ecc.). L'abbigliamento è di tipo elamita, e dello stesso modello sono le gambe. Questo genio alato ricorda molto i "custodi" dei palazzi assiri. Oltre a questo rilievo, a Pasargade si sono conservati dei frammenti di tori androcefali in pietra, resti di rilievi raffigutanti tre sacerdoti, capitelli di colonne. Elementi caratteristici dello stile dei rilievi di quest'epoca sono la crudezza e l'angolosità delle linee, l'intarsio di sottili lamine di metallo (per le sopracciglia, le ciglia, i bordi degli abiti), la rigidità e lo schematismo nel trattamento delle pieghe.

Non lontano da Pasargade si erge la "tomba di Ciro", costruita in blocchi di pietra bianca tenuti insieme da grappe di ferro. Essa si eleva su una collina di trenta metri di altezza, su una piattaforma artificiale con sette gradini. La tomba ha una struttura molto semplice: si tratta di un edificio rettangolare con tetto a due spioventi, simile a un tempio antico dell'Asia Anteriore (della Lidia o della Frigia), elevato, secondo la tradizione babilonese, su una piattaforma a gradini, oppure anche alle comuni case d'abitazione con tetto a due spioventi, caratteristiche delle regioni settentrionali dell'Irān.

L'arte di questo periodo è strettamente legata alla politica dei primi re achemènidi. Dopo aver riunito in un solo stato molti popoli e regioni diverse, i primi re achemènidi, come è noto, si dimostrarono abbastanza tolleranti sia verso le diverse confessioni religiose, sia verso gli usi e costumi di questi paesi. I problemi della unificazione, però, riguardavano in egual misura anche la religione, la cultura, e le varie usanze. Per questo forse incontriamo nell'arte achemènide alcuni elementi propriA dell'arte assira, babilonese, urartea, meda. Alludiamo alle immagini di tori e geni alati, propflA dell'Assiria, delle "piattaforme" artificiali babilonesi, sulle quali sorgevano i palazzi, ai simboli religiosi degli Egiziani, agli elementi dell'arte elamita, rispecchiati nell'abbigliamento delle figure scolpite sui rilievi e, infine, all'influenza architettonica degli edifici lignei delle regioni settentrionali del paese e dei palazzi medi. Nonostante il carattere eterogeneo degli elementi che hanno formato l'arte achemènide, già in questa fase i suoi caratteri specifici, quali il severo ritmo della composizione e principalmente la sua impronta aulica si manifestano in una ben definita tematica. Infatti, sin dall'inizio l'arte ebbe la funzione specifica di glorificare il re, le sue vittorie, i suoi dèi e i suoi cortigiani; ed è per questa ragione che la politica influi così fortemente sull'arte degli Achemènidi e che quindi possiamo parlare di un'"arte achemènide".

Il successore di Cambise, Dario I (521-486), salito al trono durante l'imperversare delle rivolte che scossero tutto il paese, dovette in pratica riconquistare il regno. Nell'iscrizione di Bīsutūn Dario si esprime così su quegli avvenimenti: "Dopo esser divenuto re, ho dato battaglia diciannove volte. Per volontà di Allura Mazdāh ho sconfitto i nemici e ho fatto prigionieri nove re" (iv, 2-7). Soffocate le rivolte, Dario si volse a organizzare il suo vastissimo impero. Il territorio era diviso in satrapie, a capo delle quali erano i satrapi, nominati dal re dei re, vale a dire governatori responsabili dinanzi al re della riscossione delle imposte dalla popolazione locale. Inoltre, in ogni regione venivano nominati degli ispettori, che erano chiamati "occhi e orecchie del re", e che sorvegliavano segretamente l'amministrazione della satrapia. Per necessità commerciali sotto Dario si cominciò a coniare moneta aurea (i "daria") e d'argento. Lo sviluppo del commercio e la necessità di mantenere i rapporti con le province più lontane, costrinsero i re achemènidi a costruire strade, una delle quali "la reale", che andava da Sardi, capitale della Lidia, a Susa, è stata descritta da Erodoto. Dario effettuò probabilmente anche una riforma della scrittura, poiché introdusse la scrittura aramaica, di 22 segni fonetici, per gli usi della cancelleria, al posto della complessa scrittura cuneiforme; certo è che in quel periodo la lingua aramaica era assai diffusa.

Le spedizioni in occidente, le guerre greco-persiane, descritte particolareggiatamente da Erodoto, si conclusero con una dura sconfitta per i Persiani, ma contribuirono in pari tempo a un avvicinamento della cultura iranica a quella greca.

Il monumento principale di questo periodo è la seconda capitale degli Achemènidi, Persepoli, dallo antico nome di Parsa o Parsa-Stakhra, "città dei Persi" (Persèpolis in greco), nella regione del Fars, che colpisce ancora oggi con le sue grandiose rovine. Persepoli fu costruita su una piattaforma artificiale di circa 20 m di altezza e circondata da potenti muraglie, il che la differenzia notevolmente da Pasargade. Il periodo della fondazione di Persepoli è testimoniato da numerose iscrizioni, rinvenute durante gli scavi che durano ormai da più di cento anni. I lavori principali furono eseguiti sotto Dario e Serse, vale a dire nel periodo compreso fra il 518 e il 460 a. C. Alla terrazza sulla quale sono situati i palazzi si accede per mezzo di due scalinate in declivio. La terrazza è divisa in due parti da un muro e su di essa sono disposti i palazzi dei re achemènidi, i templi, le abitazioni, l'harem, il tesoro, ecc. La parte centrale del palazzo era costituita da una sala quadrata con colonne, circondata da tre lati da portici. I palazzi, costruiti da re diversi, sono basati su progetti identici e si differenziano fra loro solo per le dimensioni. Presenta un interesse particolare il palazzo di Serse: esso è costruito su una piccola elevazione artificiale, unita per mezzo di una scalinata alla "piattaforma" principale. La superficie totale del palazzo è di 10.0002, mentre l'altezza della sala principale raggiunge i 20 m. Il tetto della sala del trono è sostenuto da 36 colonne (sei file di sei colonne ciascuna). La sala era circondata da tre lati da portici con 12 colonne ciascuno. I portici erano meno alti della sala e sui loro tetti si aprivano finestre che le davano luce.

Sulla piattaforma, alla quale si accedeva per mezzo delle scalinate di cui sopra, si ergeva il palazzo (a guisa di propilei), sulle cui quattro pareti si è conservata la seguente iscrizione di Serse: "Con l'aiuto di Ahura Mazdah ho innalzato questa porta di tutti i paesi (di tutti i popoli). Molte altre bellissime costruzioni sono state fatte qui, a Parsa. Io le ho costruite e il padre mio. E tutto ciò che è stato costruito ed è divenuto meraviglioso, tutto questo l'abbiamo fatto con l'aiuto di Ahura Mazdāh". Le possenti pareti di questo palazzo erano ornate da enormi figure semistatuarie di tori alati, disposte a due a due verso l'interno e l'esterno del palazzo. Una coppia di tori aveva il capo umano, barbuto e coperto da una tiara. Il tetto di questo edificio era sostenuto da quattro colonne. Questa immagine sincretistica di Shedu, Lamassu, Gavomard e Gopatshah, raffigurati come tori androcefali alati, era egualmente comprensibile ai Babilonesi, ai Lidii, agli Assiri e agli abitanti della Battriana. Il tentativo dei re achemènidi di creare un'unità religiosa e culturale fra i popoli a loro sottomessi è qui particolarmente chiaro. Perciò la grande porta della città del re era stata chiamata "porta di tutti i paesi". Sebbene le figure dei tori alati si differenzino in molti particolari dai "custodi della soglia" dei palazzi assiri, le tradizioni dell'arte assira si manifestano non solo nella loro fisionomia generale, ma anche nei dettagli, quali il modo di raffigurare i capelli e il vello, il muscolo della spalla a forma di loto, ecc. Elementi caratteristici dell'arte dei popoli confinanti sono evidenti anche in altri rilievi scolpiti sulle balaustrate delle scalinate, sugli stipiti delle porte e delle nicchie, sulle pareti delle terrazze, dove sorgono i palazzi. In relazione al luogo dove erano scolpiti, i rilievi raffiguravano o la numerosissima guardia del re dei re o rappresentanti di diversi paesi, recanti a lui tributi e doni, o il re stesso. I fregi che raffigurano le guardie del corpo stupiscono per la loro perfezione tecnica e l'accurata rifinitura dei particolari: le loro figure, nell'uniforme da parata dei Medi, con la lancia in mano e la faretra dietro le spalle o in abbigliamento persiano, si ripetono decine e centinaia di volte. Con lo stesso ritmo è rappresentata la processione degli alti dignitari nei fregi ornanti la scalinata del palazzo di Serse.

Presentano un particolare interesse i fregi che raffigurano abitanti della Siria, di Babilonia, dell'Elam, dell'Armenia, della Battriana, dell'India, in atto di recare doni al re. Ogni gruppo è guidato al re da un alto dignitario, persiano o medo; dietro di lui sfilano gli abitanti dei paesi sottomessi al re, conducendo animali (i Battriani cammelli, gli Armeni cavalli, i Cilici montoni, ecc.), e portando gli oggetti tipici del proprio paese, spade, vesti, vasi d'oro, ecc. È agevole osservare che gli artigiani creatori di questi fregi hanno lavorato in base a canoni rigorosi, che hanno elevato la loro fatica al livello dell'arte. Nell'entrare nella sala del trono, che probabilmente era nella penombra per il grande numero di colonne, camminando lungo le pareti coperte da rilievi che ripetevano con ritmo incessante figure di guerrieri o processioni recanti doni, il visitatore doveva concretamente avvertire la grandezza del re, la saldezza del suo trono, la forza del suo potere; i palazzi dei re achemènidi dovevano schiacciarlo con la loro grandiosità. La processione della guardia reale e degli alti dignitari sembrava non aver mai fine, popoli stranieri portavano doni al re, mentre egli, assiso in trono, o combattente contro orribili mostri, veniva rappresentato come un dio in terra.

In questo periodo un altro rilievo fu scolpito sulla roccia di Bīsutūn (v.): esso rappresenta il re Dario e due suoi familiari in atto di calcare il piede sullo sconfitto Gaumata. Davanti a lui stanno, in catene, nove re rivoltosi. Il rilievo segue lo stesso canone dei rilievi di Persepoli; le figure sono state scolpite a parte e quindi sollevate e fissate alla roccia.

Le tombe di Dario e dei suoi successori si trovano nella gola di Naqsh-i Rustam, nei pressi di Persepoli: sono le tombe degli ultimi tre re achemènidi. Un rilievo scolpito sulla roccia raffigura un portico del palazzo con quattro colonne; l'interno della tomba è una camera quadrata, in cui sono disposti i sarcofagi dei re. Sopra l'entrata vi era un rilievo raffigurante il trono (o la lettiga) del re, sorretto da rappresentanti dei varî popoli sottomessi; il re, abbigliato secondo l'uso medo, è raffigurato in piedi davanti a un'ara fiammeggiante.

I palazzi costruiti da Dario e da Serse a Susa differiscono tanto per la pianta quanto per l'ornamentazione da quelli di Persepoli. La loro originalità è condizionata dal carattere dell'architettura locale. In questi palazzi le sale erette su piattaforme artificiali e le abitazioni si raggruppavano attorno ad ampî cortili interni. Nel palazzo di Dario l'ingresso del cortile principale era ornato da un fregio di mattonelle variopinte (blu, gialle, verdi, bianche) raffiguranti le guardie del re. Il lato settentrionale del cortile era occupato da un portico con colonne di legno su basi di pietra. La parete posteriore del cortile era ornata da un fregio con mattonelle raffiguranti mostri alati. Su delle pareti del cortile centrale era collocato un busto di Ahura Mazdah (dio supremo del bene e della luce). Il cortile era inoltre circondato da portici e abitazioni. La sala del trono ricordava quella di Persepoli. Il tetto era sostenuto da 36 colonne, disposte in sei file. Durante gli scavi è stata rinvenuta una tavoletta di terracotta con un'iscrizione dedicata alla costruzione del palazzo di Dario a Susa. Su essa si leggono i nomi dei maestri che costruirono e ornarono il palazzo. Si tratta di orafi e scultori provenienti dalla Media e dall'Egitto, scalpellini di Sardi e della Ionia, costruttori babilonesi, ecc.

Nel terzo periodo nella monumentale arte degli Achemènidi non si introdusse alcun motivo sostanzialmente nuovo. I monumenti si distinguono soltanto per un maggiore schematismo e per l'aumento delle decorazioni. Un esempio tipico è la famosa sala delle cento colonne di Artaserse II in Persepoli: simile nella pianta alle apadāna di Dario e Serse, la sala è notevolmente inferiore ad esse per dimensioni, ma il numero delle colonne aumenta, si restringono i passaggi fra di esse, aumenta lo sfarzo a scapito del senso della misura.

Questo ultimo periodo della storia dell'Irān, caratterizzato da guerre, rivolte, congiure di palazzo, si conclude con la vittoriosa spedizione di Alessandro il Macedone, che distrusse la grande potenza achemènide. È di questo periodo il definitivo trionfo della dottrina del profeta Zoroastro, i cui seguaci consideravano il mondo come un risultato della lotta di due principî, la luce e il bene, personificati dal dio della luce Ahura Mazdāh (il più grande dei saggi), e la tenebra e il male, personificati dal dio delle tenebre Angra-Mainyu (Ahriman). Il testo sacro fondamentale dei seguaci di tale dottrina, l'Avesta, è stato redatto, nelle sue parti più antiche, nell'VIII-VII sec. a. C. nelle regioni orientali dell'Irān e dell'Asia Centrale, dove ha avuto origine evidentemente la stessa dottrina di Zoroastro. Le antiche divinità locali di molti popoli dell'Irān (Mithra, dio del sole, Anāhitā, dea della fecondità, Fravashi, le anime dei morti), furono gradualmente fuse con le divinità zoroastriche.

Dei templi zoroastrici del fuoco, tipici di epoche più tarde, quasi nulla si sa all'epoca degli Achemènidi. Alcuni studiosi ritengono che la "tomba di Ciro" sia stata un tempio (in base ad alcune analogie con i templi della Lidia), ma è molto difficile determinare quali divinità venissero adorate in questo tempio. Alla diffusione della dottrina zoroastrica nel periodo achemènide è legata probabilmente la distruzione dei templi delle divinità locali da parte di Gaumata e di Serse. A giudicare da Erodoto (i, 131) sotto i primi Achemènidi non vi era l'usanza di costruire templi, dedicati ad Ahura Mazdāh o agli dèi del pantheon zoroastrico: "Da loro (i Persiani) non è consentito erigere idoli, costruire templi e altari". Templi dedicati ad Ahura Mazdāh potevano essere, sotto Serse, i propilei da lui fatti costruire, dove il dio Ahura Mazdāh è raffigurato come uomo-toro, e cioè in una forma comprensibile ai molti popoli che abitavano l'impero achemènide. L'edificio costruito nella gola di Naqsh-i Rustam, probabilmente sotto gli ultimi Achemènidi, il cosiddetto "Qaba-i Zardusht", è l'unico tempio, sicuramente del fuoco, a noi noto. Esso veniva adoperato come tempio anche in epoche più tarde, a giudicare dall'iscrizione del re sassanide Shapur I qui trovata nel 1936.

Oltre agli altari raffigurati nei rilievi, ad esempio nella tomba di Dario, all'epoca achemènide appartengono anche gli altari del fuoco (in pietra), che si trovano nei pressi di Pasargade.

Nella glittica del tempo degli Achemènidi, come anche in altre arti, sono molto forti le antiche tradizioni dell'Assiria, della Babilonia, dell'Egitto e della Media. Una forma assai diffusa di impressione era quella ottenuta per mezzo di un cilindro fatto passare su una superficie di argilla o di cera. Un magnifico esemplare è il cilindro di zaffiro (all' Ermitage) rappresentante il trionfo di Dario su un faraone da lui sconfitto: la figura del faraone è in ginocchio e quelle dei nobili egiziani legati l'uno all'altro da una corda, che ricordano il rilievo trionfale della roccia di Bīsutūn (nel sigillo la scena è disposta in più piani), sono eseguite con grande maestria. Nei sigilli si ripeteva spesso anche il soggetto, già noto dai rilievi, del re in lotta con i mostri. Un altro tipo di sigillo assai diffuso era il cosiddetto scarabeoide, greco-persiano, su cui venivano intagliate figure umane, ad esempio la battaglia dei Persiani con gli Sciti, e anche animali, lotte di leoni e tori, ecc. Quest'ultimo soggetto è noto nella scultura monumentale dai rilievi di Persepoli e risale ad epoche antichissime (il piatto di rame di Tepe Hissar, nella regione di Gurgan, appartiene all'inizio del II millennio a. C.).

La toreutica e l'oreficeria dell'epoca achemènide non sono state abbastanza studiate. L'assegnazione di queste opere al periodo achemènide dipende dalla forma, dal soggetto e dallo stile, a noi noto dai resti dell'arte monumentale. Gran parte dei gioielli è stata rinvenuta nell'Asia Centrale, nell'Afghanistan, nella Siberia occidentale, nel Caucaso, nell'Asia Minore e nella Siria.

I gioielli dell'epoca achemènide (braccialetti, collane, ecc.) sono caratterizzati dall'intarsio di gemme colorate e paste vitree. Una bellissima collana d'oro lavorata con questa tecnica, rinvenuta nella Siberia occidentale (all' Ermitage), ha i bordi ornati di mostri con ali e corna. Braccialetti e pettini della stessa fattura sono raffigurati nei rilievi di Persepoli.

Per quanto riguarda il vasellame, tipico del periodo achemènide era il rhytòn, vaso a forma di corno, terminante con una protome o una testa di fiera o di mostro. Un esemplare magnifico è il vaso a testa di ariete, rinvenuto nella Siberia occidentale (all'Ermitage). Molto diffuse erano anche le coppe piatte del tipo delle phiàlai greche, legate probabilmente alla simbologia solare e, per quanto riguarda la decorazione, ai vasi siro-fenici. I vasi del tipo delle anfore greche con scanalature, o di altra forma, venivano spesso decorati con manici raffiguranti fiere. È famoso anche il vaso con l'iscrizione di Dario (Metropolitan Museum). La bravura dei gioiellieri e degli incisori è testimoniata anche da un anello d'oro con iscrizione in aramaico, facente parte del tesoro dell'Āmū-Daryā (Tesoro dell'Oxus), uno degli esemplari più rari e belli di quest'arte. Qui è riprodotta la statua del toro androcefalo, la stessa che ornava la "porta di tutti i paesi" di Serse, con la differenza di essere riportata su una lamina in miniatura (2,25 × 1,7 cm).

Sulle monete dei re achemènidi (che si cominciarono a coniare sotto Dario) era incisa la figura del re con l'arco nella mano sinistra e una lancia o un pugnale nella destra. Le immagini delle monete d'argento, coniate dai satrapi dell'Asia Minore e della Siria, erano assai varie: la figura di un satrapo assiso, abbigliata alla maniera iranica, con l'arco e la freccia, il carro da guerra iranico, un combattimento di fiere, teste di divinità greche e di governatori locali rivela il carattere sincretistico dell'alta cultura di queste regioni.

L'arte achemènide è un'arte cortigiana, dinastica, al servizio di determinate esigenze dello stato. Avendo assimilato molti elementi dell'arte assira, babilonese, lidia, meda, egizia, ecc., quest'arte sincretistica si è formata essenzialmente sotto Ciro (Pasargade), ma ha raggiunto il suo massimo splendore sotto Dario e Serse, epoca in cui si crea uno "stile achemènide", basato su elementi stilistici e tecnici di varî popoli e sulla sintesi di lingue e culture diverse. I contatti dell'Irān con il mondo antico non potevano non rispecchiarsi sulla sua arte. All'arte greca l'arte i. è debitrice forse di una raffigurazione più realistica del mondo animale. La tradizione ci informa che artisti greci lavorarono nell'Irān sin dai tempi di Cambise e che nell'Irān venivano importate opere d'arte greche. L'area di diffusione dell'arte achemènide era molto grande, dalla Siberia alla Battriana, dal Caucaso all'Egitto (cfr. alcune opere di arte achemènide facenti parte del tesoro dell'Āmū-Daryā nell'Asia Centrale e del tesoro di Achalgori nel Caucaso).

Elementi dell'arte achemènide continuano a sussistere nel periodo parthico della storia dell'Irān.

(K. Trever-V. Lukonin)

3. − Periodo parthico. − L'enorme impero di Alessandro, sorto sulle rovine del regno achemènide, si disgregò ben presto dopo la sua morte. Nell'Irān il potere passò ai discendenti di Seleuco, uno dei capitani di Alessandro. Ma anche il regno seleucida non durò a lungo. Verso la metà del sec. III a. C. nell'Asia Anteriore compare una nuova potenza, l'unione delle tribù parthiche, mentre nell'Asia Centrale sorge il cosiddetto regno greco-battriano. Noi conosciamo la storia e la cultura dei Parthi attraverso gli autori greci e romani, i testi siriaci e cinesi e dai pochi documenti parthici (Avroman, Dura-Europos, Nisa).

I Parthi abitavano da molto tempo (dalla metà circa del I millennio a. C.), una piccola regione sulle rive sudorientali del Caspio. Durante il periodo dell'egemonia seleucida nell'Irān, questa regione faceva parte del loro regno, come satrapia. Ribellatasi ai Seleucidi, i condottieri parthi Arsace e Tiridate riuscirono a ottenere l'autonomia della loro regione, mentre i loro successori, re appartenenti alla stirpe di Arsace, e quindi arsacidi, combattendo continuamente contro i Seleucidi, e quindi contro Roma, allargarono a poco a poco i confini del loro regno, includendovi, nel periodo del massimo splendore, sotto Mitridate II (124-87 a. C.), l'India nord-occidentale, tutto l'Irān, la Mesopotamia e una parte del Caucaso. In tal modo la Parthia divenne una pericolosa rivale di Roma. Tra la Parthia e Roma esisteva una continua lotta per il possesso delle fertili terre della Mesopotamia e dell'Armenia, per le vie di comunicazione che collegavano Roma alla Cina e all'India e passavano per il territorio iranico (la strada carovaniera Ecbatana-Golfo Persico e la "via della seta" Antiochia-Ecbatana-Ecatonpili-Maracanda-Cina) e per le città commerciali. La lotta si protrasse con esito alterno e si accentuò negli anni 113-116 d. C., sotto Traiano. I confini orientali dello stato dei Parthi subivano continue scorrerie dei popoli nomadi, e anche all'interno non tutto era tranquillo. Lo stato dei Parthi comprendeva regioni diversissime per quanto riguarda l'economia, la cultura, la lingua e la religione. Vi erano quindi le regioni della Mesopotamia fortemente ellenizzate, con città sul tipo della pàlis greca, le regioni della Media e dell'Irān centrale, nelle quali la comunità rurale si disgregava, le terre venivano alienate, cresceva il potere e la ricchezza della nobiltà, le regioni a economia schiavistica sviluppata, le regioni orientali, quasi immuni dall'ellenizzazione. Altrettanto eterogenea era la composizione etnica del regno parthico, che comprendeva iraniani, siriaci, greci, arabi, armeni, ecc. Non erano rari quindi i tentativi separatisti di varie regioni, città o piccoli stati, che facevano parte del regno parthico. Nella religione i re parthi, come risulta da varie fonti, erano tolleranti: nel loro regno venivano adorate tanto le vecchie divinità locali quanto gli antichi dèi, importati dai soldati di Alessandro in Asia Minore, nella Mesopotamia, nell'Irān. Nella piccola città di Dura-Europos, in Siria, ad esempio, coesistevano i templi del dio Bēl, degli dèi di Palmira, della dea Atargatis, la sinagoga ebraica, la chiesa cristiana, un mitreo, il tempio di Zeus, ecc.: complessivamente 11 culti. Gli stessi re parthi si proclamavano, a scopo politico, "filoelleni"; alla loro corte si parlava greco e si mettevano in scena tragedie greche.

Questo eterogeneo mondo economico, etnico e religioso influì fortemente sulla cultura parthica. A differenza della cultura iranica dell'epoca achemènide, i Parthi non riuscirono a creare uno stile artistico unitario, anche se sincretistico, come non riuscirono a unificare le religioni e i culti. L'arte parthica si divide quindi in settori che si riferiscono a regioni diverse con diverse tradizioni artistiche: nelle regioni orientali essa era legata all'arte dell'Asia Centrale e, in parte, dell'India, nelle occidentali all'arte babilonese, persiana, nelle settentrionali all'arte delle popolazioni del Caucaso. D'altro canto, tutti i monumenti di questo periodo, in ogni regione, rispecchiano l'influsso delle idee e dei modelli ellenistici, penetrati nell'Irān con le spedizioni di Alessandro e del regno dei Seleucidi. Nelle varie regioni dello stato questo influsso, a seconda delle particolari condizioni storiche, si avvertiva naturalmente, in maggiore o minor grado.

Si usa dividere in due periodi la storia del settore mesopotamico-iranico dell'arte parthica, analogamente alla storia del regno. Il primo periodo (regno dei primi Arsacidi), che dura sino all'inizio dell'èra volgare, è caratterizzato dall'indirizzo politico e culturale filoellenico. Il secondo periodo, che va dall'inizio del I sec. d. C. alla caduta della potenza parthica, è legato a una certa reazione orientale e quindi alla orientalizzazione della cultura. Nell'Irān si diffonde sempre più la dottrina zoroastrica. In questo periodo i re parthi proteggono lo zoroastrismo, tanto che sotto il regno di Vologese I (51-78 d. C.) si compie il tentativo di trasformare lo zoroastrismo in religione di stato. A questo scopo si procede alla codificazione dell'Avesta, che non dà, però, i risultati attesi. In questo periodo si osserva un graduale processo di disfacimento della potenza parthica, che si fraziona in molti regni semindipendenti.

L'arte parthica monumentale è assai poco e male studiata. Attualmente sono state riportate alla luce, totalmente o in parte, soltanto alcune città di questo periodo, la maggior parte delle quali è situata fuori dell'altipiano iranico (Dura-Europos in Siria, Hatra [v.], Uruk, Assur e Ctesifonte in Mesopotamia, Nisa nel Turkmenistan). Nell'Irān si sono conservate le rovine di poche città e di qualche edificio del periodo parthico. Ricordiamo un edificio di Istaldir, caratterizzato da colonne di antico tipo achemènide, coronate di capitelli corinzî; un palazzo a Kangavar, costruito circa 200 anni a. C. su una piattaforma artificiale di tipo achemènide, con un colonnato di ordine dorico; il tempio ellenistico di Nihawand e alcuni altri. Come dimostrano gli scavi, le città parthiche avevano una pianta circolare analoga a quella degli accampamenti militari assiri. Molte città parthiche fondate in questo periodo sono sorte infatti come accampamenti militari (Ctesifonte, costruita contro i Seleucidi; Hatra, avamposto sulla frontiera fra Roma e la Parthia, ecc.) Il materiale da costruzione varia da regione a regione: a occidente vengono adoperati in prevalenza la pietra e il mattone cotto, a oriente il mattone crudo. Così anche la tradizione edilizia locale determina la diversa fisionomia architettonica delle città parthiche. Un tipo di costruzione particolarmente diffuso in questo periodo, specialmente nell'Irān, era l'iwan (v.; costruzione aperta da un lato e coperta con vòlte a botte). Talvolta questi iwān formavano la facciata dell'edificio; la sala da ricevimento poteva essere costituita da un altro iwān centrale, fiancheggiato da costruzioni più basse. Un palazzo di questo tipo era stato costruito a Hatra. Originale in questo palazzo era l'iwān di pietra, ornato con maschere scolpite di tipo ellenistico. Un'architettura di tipo diverso è rappresentata dalla città di Dura-Europos, dove, secondo l'antica tradizione locale, le abitazioni, i templi e i palazzi venivano raggruppati intorno a cortili. Questa città è famosa in tutto il mondo per le mirabili decorazioni delle pareti dei templi e delle case private. Nella decorazione interna degli edifici, in questo periodo, gli affreschi sostituiscono i rilievi dell'epoca achemènide.

A differenza dei rilievi achemènidi, quelli dell'epoca parthica, scolpiti su pietra, sono appiattiti, privi di effetti, con una trattazione lineare, frontale, primitiva. Soggetti principali di questi rilievi sono scene di battaglia equestre, cerimonie di investitura, riti religiosi. Un esempio tipico è il rilievo in onore di Gotarze II, scolpito per celebrare la sua vittoria su Mitridate (figlio del re Vonone, pretendente al trono parthico), nel 49-50 d. C. Gotarze è raffigurato a cavallo, con una Nike alata che lo sovrasta; davanti a lui è Mitridate nell'atto di cadere di cavallo. Il rilievo reca la scritta: "Gotarze, figlio di Giva". Una scena di investitura si vede in un rilievo tornato alla luce nel 1947, appartenente all'ultimo re partho Artabano V (213-226). Il re è rappresentato assiso in trono, nell'atto di conferire un'onorificenza a un satrapo; l'iscrizione di questo rilievo ha una grande importanza storica. Un altro rilievo, scolpito nella roccia di Bīsutūn, rappresenta un re partho dinanzi all'altare del fuoco.

Il palazzo della città parthica Kuh-i Kwagia, sul lago Khamun nel Seistan, è costruito anch'esso con gli iwān, disposti sul lato occidentale e orientale del palazzo. La facciata settentrionale era occupata da un portico con copertura a botte, ornata da colonne e da semicolonne. Una scalinata collegava il portico con la piazza dove si trovava il tempio del fuoco. Molte stanze del palazzo, e soprattutto il portico, erano ornate di affreschi policromi. Tutte le pareti degli edifici, talora anche le vòlte a botte, erano dipinte.

Gli affreschi scoperti a Kuh-i Kwagia portano i segni evidenti dell'influenza dell'arte greca. Talvolta quest'influenza si avverte nell'impiego ornamentale di motivi ellenistici, quali foglie d'alloro e altri, e di immagini di dèi greci (Eros a cavallo), qualche volta in forma di ritratto. Sotto questo aspetto è particolarmente significativo un affresco raffigurante un re e una regina nel portico del palazzo, dove le immagini idealizzate sono sostituite da una trattazione maggiormente realistica dei personaggi. Nella pittura di Kuh-i Kwagia si notano anche elementi dell'arte achemènide (rosette, quattro palme, disposte in diagonale ai lati del disco centrale, ecc.).

Le derivazioni ellenistiche si manifestavano non solo attraverso l'introduzione nell'arte i. di elementi singoli presi a prestito dalla Grecia, ma anche e in massimo grado come influssi ideali. In questo periodo nell'arte dell'Irān si sta compiendo un processo di elaborazione del ritratto realistico, legato a un diverso modo di considerare l'uomo. Se si tratta, ad esempio, del ritratto di un re, questi, sino ad allora raffigurato come una divinità o nell'atto di compiere un rito, o in lotta con un mostro fantastico, o a un ricevimento solenne, diviene adesso un eroe, si trasforma in un intrepido guerriero o in un abile cacciatore nell'atto di inseguire le fiere in groppa a un destriero "in galoppo volante". Così viene rappresentato il re partho nelle pitture parietali delle abitazioni di Dura-Europos, in Siria. Secondo questa stessa concezione, i re venivano così raffigurati anche sulle monete. I più antichi esemplari di monete parthiche erano magnifici ritratti rigorosamente individuali, ispirati a modelli antichi. Questo medesimo processo si nota anche nella statuaria dell'epoca parthica. Sinora sono state rinvenute poche statue: alcune mirabili figure bronzee di alti dignitarî, nel caratteristico abbigliamento "parthico" di questo periodo, in un tempio nei pressi di Malamir (Shami), la testa marmorea della regina di Susa, con la firma dell'artista greco sul diadema, la testa marmorea, con diadema, di un re, alcune piccole statue di bronzo o avorio, trovate in diverse regioni dell'Irān. Alcune magnifiche statue rappresentanti i governatori di Hatra, nonostante una certa astrazione, rivelano una grande perizia ritrattistica. È "ritratto" anche la testa del re in rilievo su un disco d'argento, conservato all'Ermitage. Questo disco serviva probabilmente come medaglione centrale di un piatto d'argento.

La trattazione realistica è propria anche di altri soggetti dell'arte di questo periodo, come la rappresentazione di animali, tanto negli affreschi di Dura-Europos e sulle poche gemme datate provenienti dalle regioni occidentali dell'impero parthico, quanto negli "emblemi" di terracotta rinvenuti a Susa. Eccellenti lavori in arte parthica sono anche i rhytò d'avorio trovati nelle tombe dei re parthi a Nisa, attualmente nel territorio del Turkmenistan. Questi vasi sono ornati all'orlo da figure in rilievo di antichi dèi, in un'originale trattazione locale. L'influenza dell'arte ellenistica è evidente anche nel manico d'osso di un cucchiaio, rinvenuto nel Caucaso settentrionale, che rappresenta una dea ignuda con un bambino fra le braccia (Ermitage).

Per quanto riguarda la gioielleria, la toreutica e la glittica del periodo parthico, si può dire che sino ad ora queste arti sono state poco studiate e il materiale d'altronde è assai scarso. L'arte i. di questo periodo, sorta non solo su radici locali, ma anche assimilando elementi tipici dell'arte dei popoli confinanti (mondo ellenistico-romano, Mesopotamia, Transcaucasia, Sarmazia, Asia Centrale, India, ecc.), è una delle principali componenti di quella notevole fioritura artistica che si avrà nell'Irān all'epoca dei Sassanidi.

(K. Trever-V. Lukonin)

4. − Periodo sassanide. − Verso l'anno 224 d. C. la dinastia parthica degli Arsacidi fu rovesciata in seguito a una rivolta dei latifondisti del Fars. Il capo degli insorti, uno dei principi di Stakhr, Ardashīr della stirpe dei Sasan, diede inizio al regno sassanide, che durò sino all'anno 651.

Le fonti principali su cui ci basiamo per ricostruire la storia di questo periodo non sono soltanto le testimonianze scritte (greche, latine, armene e siriache dei secoli IV-VII), le opere letterarie persiane e arabe e gli scritti di Firdusi, ma anche i monumenti artistici e il materiale archeologico. Nella storia dell'arte dell'Irān sassanide si possono distinguere tre periodi. Il primo periodo va dal sorgere del regno sassanide sino al primo terzo del IV sec.; è il periodo della costituzione di uno stato centralizzato di tipo feudale, capace di tener testa a Roma, con cui si trova in lotta continua per il possesso di alcune regioni del Caucaso e delle fortezze dislocate sul confine siriano. Nel 260 il re Shapur I sconfigge i Romani e fa prigioniero l'imperatore Valeriano; consolidato il nuovo impero, egli vuol rendere i posteri partecipi delle sue gesta con cinque giganteschi rilievi su roccia, che raffigurano il suo trionfo su Roma. Shapur descrisse le sue guerre con Roma e la vittoria finale in una grande iscrizione trilingue (pahlavi, persiano e greco), scolpita nel già menzionato tempio del Fars del periodo achemènide, a Qa'ba-i Zardush. In questo periodo i re della nuova dinastia, salita al potere per mezzo di una rivolta, cercano di porre in risalto la superiorità e la saldezza della loro stirpe creando nel Fars monumenti di alto valore tecnico e artistico.

La corte dei re sassanidi era famosa per lo sfarzo e il cerimoniale. A corte avevano un ruolo importante, oltre ai feudatarî, i maghi, sacerdoti zoroastriani. Alla religione di stato (zoroastrismo) si contrappose sotto Shapur I il manicheismo, la dottrina di Mani, che tentava di creare una religione universale attraverso la fusione di elementi dello zoroastrismo, del cristianesimo, dell'induismo e del buddismo. La classe sacerdotale zoroastrica impegnò contro Mani una lotta accanita, che si concluse con la morte di quest'ultimo e con la proibizione della sua dottrina.

Si può avere un'idea delle città del III sec. visitando le rovine della città di Ardashīr-Hurra, "Gloria di Ardashīr", la moderna Fīrūzābād (v.), fondata nel Fars da Ardashīr I (224-241). Queste rovine testimoniano la continuità nell'edilizia di questo periodo, delle antiche tradizioni locali: città a pianta circolare (cfr. la Shiz degli Arsacidi), alte torri nei pressi dei templi, sulle quali si accendeva il fuoco sacro (cfr. le ziqqurat babilonesi), alcuni particolari della decorazione architettonica del palazzo (stipiti delle porte e delle nicchie del tipo achemènide e di derivazione egizia).

Una città di tipo diverso, Giund-i Shapur ("Campo di Shapur"), fu costruita da Shapur I nei pressi della moderna Disfula: essa a pianta rettangolare (come il castrum romano), serviva come campo di lavoro per i prigionieri di guerra romani; divenuta in seguito uno dei centri dell'industria tessile, fu celebre anche per la sua scuola di medicina.

Al III sec. risale il ponte-diga a 28 arcate (lungo 550 m) sul fiume Karun, nella città di Shushtar. Alla sua costruzione parteciparono anche i prigionieri romani.

Il palazzo di Ardashīr I a Fīrūzābād è in pietra ed è costituito da un complesso di edifici con archi su pilastri, cupole e vòlte sernicircolari. Ai lati del profondo iwān d'ingresso vi erano due sale a vòlta; dalla sala centrale, sormontata da una cupola, uno stretto passaggio conduceva, attraverso l'iwān, nel cortile interno circondato da camere a vòlta.

Un palazzo di tipo diverso venne costruito a Bishapur da Shapur I (241-272): la sala del trono è sormontata da una cupola, ha la pianta a croce con 8 bracci di eguale lunghezza, con quattro entrate (iwān), che conducono nei quattro corridoi che circondano la sala stessa. Nelle pareti erano ricavate 64 nicchie con decorazioni a stucco e dipinti (motivi siro-romani, come le foglie di acanto, il meandro, rami ecc.). Alcuni passaggi collegano questa sala con un triplo iwān (a E), le cui pareti sono adorne di stucchi; il pavimento a mosaico riproduce motivi classici adattati allo stile locale. A O della sala principale vi è un grande cortile, il cui pavimento era coperto da un mosaico.

A questo palazzo era annesso un piccolo tempio del fuoco. Si tratta di un edificio quadrangolare in pietra levigata, situato 7 m sotto il livello del mare; su una delle pareti, all'altezza di 14 m, vi sono delle protomi di tori che sostengono il tetto (cfr. i palazzi achemènidi); in ogni parete si apre una porta che conduce nel corridoio. Nell'angolo settentrionale del tempio si trova una piccola sala dove era situato l'altare del fuoco. In questa sala aveva accesso solo il sacerdote.

Questo tipo di tempio, che ripete le forme fondamentali dei sacrari del fuoco nell'Asia Anteriore e Centrale, appartenenti al periodo precedente (cfr. i templi di Kuh-i Kwagia nel Seistan e di Surkh-Kotal, in Battriana), si conserva nell'Irān anche nei secoli successivi.

Di questo periodo si sono conservate anche due costruzioni votive. A Bishapur, due colonne su zoccoli, terminanti con capitelli di ordine corinzio e ricoperte da una lastra; dinanzi ad esse, il piedistallo di una statua di Shapur I e, ai suoi lati, due altari; su una delle colonne, un'iscrizione in palilavi di Shapur I (266). Alla fine del III sec. appartiene una torre votiva o commemorativa (un tempio?) a Paikuli (Kurdistan), con dei busti del re Narsete (293-302) su ognuna delle quattro pareti e con una grande iscrizione in lingua pahlavi.

È tipico dell'architettura di questo periodo il tramandarsi delle antiche tradizioni edilizie locali fuse con elementi tecnici e decorativi siro-romani.

Del periodo sassanide, come anche per i periodi precedenti della storia dell'Irān, è caratteristica la scultura, rappresentata da colossali rilievi scolpiti nella roccia, raffiguranti il re e il suo seguito in diversi momenti solenni della sua vita (incoronazione, divina investitura, battaglie, solenni processioni, il trionfo sul nemico, ecc.). La personalità del re, raffigurato nei monumenti sassanidi, si può identificare dalla forma della corona: ogni re aveva la sua corona, riprodotta con esattezza sulle monete che ne tramandavano anche il nome. Su alcuni rilievi il nome del re è indicato da un'iscrizione.

Tutti i ventiquattro rilievi scolpiti in questo periodo si trovano nel Fars, la patria dei Sassanidi. Il fondatore della nuova dinastia annunzia al mondo la sua vittoria sull'ultimo degli Arsacidi vicino a Fīrūzābād, per mezzo di un originale trittico raffigurante il duello fra Ardashir I a Artabano V, un corpo a corpo fra l'erede Shapur I e un principe parthico e un altro fra un paggio persiano e un guerriero parthico. Questo è il più antico dei rilievi sassanidi e si richiama ancora, per la composizione, lo stile e l'appiattimento delle figure, ai rilievi arsacidi di Mitridate II e di Gotarze II (Bīsutūn).

Della sua fede religiosa Ardashir ha lasciato testimonianza in tre rilievi raffiguranti la scena dell'incoronazione, uno nei pressi della sua capitale Fīrūzābād, l'altro nella gola di Naqsh-i Ragiab, vicino a Istakhr, centro religioso dove venivano incoronati i re sassanidi, e, infine, nella gola di Naqsh-i Rustam, nei pressi di Persepoli, accanto alle tombe degli Achemènidi. A Naqsh-i Rustam, Ardashīr e Ahura Mazdāh sono rappresentati in identico abbigliamento, a cavallo; ai piedi del dio giace lo sconfitto Ahriman personificazione del male, mentre ai piedi del re giace Artabano V, l'ultimo degli Arsacidi. Sia i cavalieri che i cavalli sono qui rappresentati in composizione araldica; a confronto di quelle più antiche, le figure sono più tonde e allungate.

I rilievi di Shapur I hanno un carattere stilisticamente diverso. La scena dell'incoronazione è rappresentata nella gola di Naqsh-i Ragiab: il re è raffigurato a cavallo con principi e alti dignitarî; alla sua vittoria sull'imperatore Valeriano sono dedicati cinque rilievi a Naqsh-i Rustam, Bishapur e Darabghird. Invece delle figure immobili e severe dell'epoca di Ardashīr I, nei rilievi di Shapur I e dei suoi successori vediamo figure più vive, il gioco delle pieghe degli abiti agitati dal vento e dai movimenti del corpo. Fra i rilievi degli altri re di questo periodo si distingue quello di Bahram I a Bishapur per il dinamismo e il senso realistico d'impazienza che traspare dall'atteggiamento e in particolare dal gesto della mano tesa del re.

Un gruppo a parte costituiscono i rilievi di Bahram II, che amava essere rappresentato insieme con la moglie, e talvolta col figlio. Fra i suoi Otto rilievi si distinguono quello di Naqsh-i Rustam, che lo raffigura con la moglie e il figlio, quello di Bishapur, in cui Bahram II è assiso fra alti dignitarî, quelli di Barm-i Dilak, in cui è rappresentato con la moglie. Un grande interesse presenta la scena di caccia di Sar-Mashad, in cui il re appiedato uccide un leone alla presenza della regina e di altri personaggi: questo è l'unico rilievo in cui sia rappresentato il re mentre uccide una belva, soggetto ben noto dalle coppe d'argento.

Un carattere particolare ha il rilievo di Narsete a Naqsh-i Rustam: la corona, simbolo del potere, è data al re dalla dea Anāhitā, il culto della quale evidentemente si era intensificato alla fine del III secolo. Insieme a loro sono rappresentati anche il principe ereditario e due alti dignitari. Meritano attenzione la non proporzionalità delle figure (eccessiva larghezza delle spalle in confronto alla lunghezza delle gambe, ecc.) e il gioco delle pieghe, esagerato e superfluo.

La scultura del sec. III è rappresentata dalla colossale statua di Shapur I a Bishapur (i cui resti sono alti 8 m), all'entrata di una grotta le cui pareti sono preparate per scolpire i rilievi. Come carattere generale questa statua si avvicina alla rappresentazione dello stesso re sul rilievo di Bishapur, dove ai piedi del re a cavallo è raffigurato un romano, forse Valeriano in ginocchio.

Caratteri stilistici particolari dei rilievi del III sec. sono la monumentalità, la simmetria, la stilizzazione dei lineamenti individuali nella rappresentazione delle teste dei re, l'accuratezza con la quale viene reso il movimento, il ricco gioco chiaroscurale e la trattazione delle scene di massa su piani diversi e talvolta unificati, il che rivela l'influenza dell'arte romana.

A questo stesso periodo appartengono i piatti d'argento, per i quali viene adoperata una tecnica assai varia, quale la colata in forme di legno o argilla, la fusione a cera perduta (v. bronzo), la fucinatura, la coniatura e la scultura in metallo, la cesellatura con eliminazione della piattezza, l'incisione per mezzo di un utensile munito di punzoni, la levigatura e la doratura, con conseguente intarsio del niello nell'argento. Le parti alte del rilievo spesso non sono altro che lamine cesellate o fuse separatamente, inserite poi in appositi fori sul fondo, quasi ad imitare l'altorilievo delle sculture su roccia.

Il soggetto principale delle coppe e dei piatti di questo periodo è la caccia, intesa come divertimento; il re viene rappresentato con la corona sul capo e in abbigliamento "da cerimonia", in atto di inseguire nel parco o in una riserva la selvaggina o di colpirla con frecce e spade. Non è da escludere che questo soggetto, come anche i rilievi achemènidi dove il re combatte contro belve e mostri, sia un riflesso di quella dualistica visione del mondo che era alla base delle religioni dei popoli iranici e, in pari tempo, una divinizzazione del re. L'artista esegue con bravura l'opera da lui concepita; le teste dei re meritano un'attenzione particolare per il loro carattere ritrattistico (cfr. le monete), la modellazione minuziosa e l'impassibilità dell'espressione. Sul rovescio di queste coppe talvolta sono scritti, in pahlavi e, in un caso, in sogdiano, i nomi dei proprietari, il peso, ecc. Dalle mani di uno stesso artista sono usciti due piatti: uno rappresenta Shapur I, che, nell'inseguire un cervo, gli è balzato in groppa (British Museum), l'altro, il principe ereditario Bahram I in lotta con cinghiali in una macchia di giunchi. Molto interessante è una coppa che rappresenta un re o un alto dignitario: il piatto, rinvenuto nel Caucaso settentrionale, a Krasnaja Poljana (museo di Sukhumi), raffigura il re in atto di cacciare gli orsi per mezzo di un laccio; lungo il bordo esterno vi è una scritta in pahlavi.

I pavimenti in mosaico di cui si è parlato a proposito del palazzo di Shapur I a Bishapur, derivati evidentemente da modelli pittorici, testimoniano che anche la pittura, in quel periodo, aveva raggiunto nell'Irān un alto grado di sviluppo, a giudicare dalla trattazione ritrattistica delle teste di alcuni personaggi, forse attori, raffigurati nel mosaico, e da alcune figure femminili, in lunghe vesti, seminude o nude del tutto, con fiori e ghirlande nelle mani, probabilmente suonatrici e danzatrici. Questi soggetti e il loro stile rivelano chiaramente l'influenza dell'arte siriaco-romana (v. i mosaici del III sec. a Garni, Armenia). Secondo la tradizione, Mani (III sec.) fu pittore di talento e diede inizio alla pittura miniaturistica.

Fra i monumenti artistici di questo periodo si devono classificare anche i ritratti dei vari re su monete d'oro e d'argento e su pietre cesellate. Questi ritratti in miniatura rivelano una notevole plasticità, la bravura dell'artista nell'iscrivere la composizione in un cerchio, la capacità di riprodurre il volto frontalmente, di tre quarti e di profilo, la finezza della modellazione con il gioco chiaroscurale e, infine, la monumentalità, la capacità di rendere la solennità della testa e dell'espressione del viso, delle pose e dei movimenti delle figure scolpite sul rovescio delle monete. Fra i sigilli dell'epoca prevalgono le ametiste con l'immagine della regina Denak, moglie di Ardashir I, dell'alto dignitario Ruvakan e del re Bahram I.

L'arte del primo periodo, quindi, sviluppatasi nel Fars nel solco delle antiche tradizioni locali, e mirante ad assimilare, oltre ad esse, alcuni elementi dell'arte romana e siriaca, rivela con chiarezza la tendenza a proclamare la grandezza e la saldezza della nuova dinastia e a combinare il monumentale con la minuziosa, raffinata riproduzione del particolare.

Il secondo periodo va dal primo terzo del sec. IV alla fine del V. È questa l'epoca in cui lo stato feudale già formato e consolidato, lottando contro i feudatarî più forti che manifestano tendenze separatiste, comincia a espandersi verso Oriente e Occidente (guerre continue con le popolazioni dell'Asia Centrale, con l'Armenia, l'Albania caucasica, il Caucaso, Bisanzio, ecc.). Questa espansione è legata all'ingrandimento della città, all'intensificarsi dello sfruttamento feudale, che provoca una vigorosa rivolta dei contadini, cui partecipano anche gli artigiani (movimento di Mazdak alla fine del V e all'inizio del VI sec.).

Il palazzo di Sarvistan costruito sotto il regno di Bahram V (420-438), ricorda, nelle linee generali, la pianta del palazzo di Fīrūzābād: un ampio iwān a oriente conduce in una grande sala centrale a cupola che, con il cortile interno annesso, è circondato da edifici ricoperti da cupole o vòlte; gli archi poggiano su basse colonne doppie, le cupole su trombe, ma la costruzione è più complessa di quella di Fīrūzābād. In questo periodo i re sassanidi non risiedono soltanto nel Fars, come avveniva nel III sec.: infatti, oltre al palazzo di Sarvistan, si conoscono altri palazzi e templi. Ad esempio, il palazzo di Damghan (nella regione di Gurgan) era ornato di stucchi, lastre quadrate con la riproduzione ricorrente di tre soggetti (teste di cinghiale, busti di donna e monogrammi su medaglioni) che hanno ormai un carattere molto meno ellenistico degli stucchi di Bishapur.

Molto interessanti sono anche gli stucchi a rilievo dei due palazzi di Kish (Mesopotamia, odierno Iraq), costruiti nel IV o V sec.: ricchissima è la varietà dei motivi ornamentali, per lo più di genere floreale (palme, melegrane, fiori, rosette, ali, busti del re, ecc.).

Un tratto tipico dell'architettura di questo periodo è, da una parte, il perdurare delle tradizioni edilizie e decorative del III sec., dall'altra, l'esaurirsi dei motivi occidentali nella decorazione. Per quanto riguarda i metodi costruttivi, si adotta sempre più largamente il rivestimento a stucco di pareti e colonne. Tale rivestimento permetteva di rivolgere una minore attenzione alle forme architettoniche fondamentali per quanto riguarda la rifinitura, permettendo la semplice lavorazione in macigno, e richiedeva quindi un minor dispendio di energie.

La scultura di questo periodo non ha più un ruolo di primo piano. Si conoscono soltanto quattro rilievi dell'epoca di Shapur II e dei suoi due figli. I re successivi (V sec.) evidentemente non fecero più scolpire le loro colossali immagini, non si sa se per mancanza di mezzi o per loro espressa volontà. Gli artisti del IV sec., nel proseguire sostanzialmente le tradizioni artistiche e tecniche del periodo precedente, eseguono un rilievo più piatto, talvolta con i particolari a intaglio e, seguendo la moda del tempo, variano l'esecuzione della cintura del re, che ora cade molto più in basso rispetto alle raffigurazioni precedenti (vedi più avanti).

I rilievi di Shapur II si trovano nel Fars, mentre i suoi successori valicano ormai le anguste frontiere della loro patria d'origine, e costruiscono i loro palazzi e i loro rilievi più a N nella regione che a quell'epoca era saldamente tenuta dai Sassanidi, sebbene proseguisse la lotta per la Mesopotamia e la Transcaucasia (sec. IV e V).

Uno dei rilievi di Shapur II (309-379) si trova a Bishapur. Il re vi è rappresentato assiso dopo una battaglia, con la spada e la lancia ancora in mano, mentre dietro di lui sono disposti in due file i Persiani che recano le teste dei nemici e conducono i prigionieri. Il suo secondo rilievo si trova nella gola di Naqsh-i Rustam, sacra dai tempi degli Achemènidi; anche qui il re è rappresentato seduto, in atto di appoggiarsi alla spada. Entrambi i rilievi sono fortemente deteriorati dal tempo ed è difficile giudicarne il livello artistico.

A Taq-i Bustan, nel Kirmansah, si sono conservate due grotte del tipo iwān. Nella più piccola si ha un rilievo scolpito sotto il regno di Shapur III (383-388), che si è fatto raffigurare in piedi, accanto al padre, Shapur II; entrambe le figure si appoggiano a una spada, entrambe indossano una veste di nuova foggia, ripresa ai lati e formante una specie di grembiule rotondo. Questi rilievi sono di livello artistico notevolmente inferiore rispetto a quelli del III secolo. Le figure non sono ben proporzionate e la composizione di una cornice di nastri e pieghe, non è delle più riuscite. Un'iscrizione, in lingua pahlavi, ci tramanda il nome e i titoli dei re.

Non lontano da questa grotta si ha un rilievo con la scena dell'investitura di Ardashīr II (379-383): il re è rivolto verso Ahura Mazdāh (v.), da cui riceve una ghirlanda dai lunghi nastri. All'altro lato sta una divinità sovrastata da un nimbo luminoso, con un barsam in mano; ai suoi piedi giace un fiore di loto, il che fa supporre che si tratti di Mitra, abbigliato allo stesso modo di Aliura Mazdāh e considerato, forse, il protettore di Ardashīr II, come Anāhitā lo era del re Narsete. Sotto i piedi del re e di Ahura Mazdāh giace un nemico sconfitto.

La toreutica di questo periodo è rappresentata da due piatti (Ermitage). Su uno di essi è raffigurato con forte movimento Shapur II a caccia, in sella a un cavallo lanciato al galoppo, nell'atto di scagliare, rivolto all'indietro, una freccia contro un leone. Si tratta di una composizione mirabilmente iscritta in un cerchio, che richiama l'attenzione per la completa assenza dei soliti particolari a intaglio (arabeschi del tessuto, incisioni sull'impugnatura della spada, adornamento del cavallo, ecc.). Si deve inoltre rilevare che su questo piatto non vi è quella quantità di nastri che nei rilievi e nelle produzioni toreutiche sbalordisce per la sua abbondanza e le cui estremità fluttuanti di solito avvolgono il re. Ammiano Marcellino (IV secolo) nel descrivere la partenza di Shapur II alla testa del suo esercito, prima dell'assedio alla fortezza di Amida, ha notato "una nube di nastri" che circondava il sovrano. Nello stesso sec. IV Giovanni Crisostomo scriveva che Shapur II aveva "la barba dorata e sembrava uno strano essere fantastico".

Diversa è la scena di caccia che ha luogo nella riserva: il re Firuz (457-484), appiedato, scaglia frecce contro caproni di montagna. Nonostante il carattere statico e convenzionale delle figure (il torso è reso frontalmente, la testa e le gambe di profilo, gli occhi frontalmente) il rilievo è interessante per la monumentalità della rappresentazione e, a differenza del piatto di Shapur II, per la minuziosa riproduzione a intaglio dei particolari. Soltanto in questo piatto possiamo vedere come l'artista ha raffigurato il re cinto della riserva: reti fissate a montanti, dietro le quali si vedono le teste dei cacciatori con lance e le teste dei cani da caccia. Il mantello del re, con aperture ai lati e davanti, è adatto all'equitazione. I sovrani e gli alti dignitarî sassanidi portavano vesti del famoso broccato persiano o di seta arabescata. Parte essenziale dell'abbigliamento del re era una quantità innumerevole di nastri fluttuanti e un pettorale adorno di medaglione, una delle insegne regali, a cominciare dal tempo di Shapur II ("l'apezak, che portano i re", come scrisse nel IV-V sec. lo storico armeno Faust Buzand).

Con il rilievo di Ardashir II a Taq-i Bustan e con il piatto d'argento di Firuz, or ora esaminato, è interessante confrontare un sigillo-gemma di onice (British Museum), sul quale è intagliata la figura del re con lancia e spada davanti al nemico sconfitto; la testa e le gambe sono di profilo, il torso è frontale, la veste è "a grembiule"; i nastri fluttuanti che partono dalla collana e dal medaglione riempiono tutto lo spazio circostante. Il sovrano raffigurato dovrebbe essere Bahram IV (388-399), a giudicare dalla corona, identica a quella incisa sulle sue monete.

In questo periodo è evidente lo scadere della qualità artistica e tecnica delle monete, il che si spiega forse con la maggior diffusione del denaro, provocata dall'ingrandimento delle città e dai rapporti commerciali sia interni che esteri.

Il terzo periodo va dal principio del VI sec. alla fine della dinastia. È il periodo in cui Kavat e Cosroe I (531-579) riescono, appoggiando il movimento di Mazdak, a indebolire i grandi feudatarî separatisti e quindi, dopo aver schiacciato il movimento popolare di Mazdak, a rafforzare il centralismo statale. In questo periodo si rafforzano i legami commerciali con Bisanzio, l'India e la Cina.

Sotto il regno di Cosroe II (590-628) l'Irān raggiunge la massima potenza: la conquista di Gerusalemme nell'anno 614, le vittoriose spedizioni in Egitto, l'assedio di Costantinopoli con l'aiuto degli Avari conferiscono temporaneamente all'Irān il ruolo di potenza mondiale. Ma non si tratta di successi duraturi. Le conquiste di Cosroe II, ottenute mediante lo sfruttamento estremo di tutte le risorse materiali del paese, hanno avuto l'unico effetto di indebolire l'Irān. Dopo la spedizione dell'imperatore Eraclio, che nel 628 arrivà quasi a Ctesifonte, il processo di decadenza dello stato sassanide si intensificò sino a concludersi nel 651, con la conquista dell'Irān da parte degli Arabi.

Di questo periodo si sono conservati pochi monumenti architettonici: quasi tutto andò distrutto durante l'invasione araba o ricostruito ex novo. Il palazzo fatto costruire da Cosroe I a Ctesifonte, sul Tigri (nell'odierno Iraq), si è fortunatamente conservato, sebbene durante un terremoto nel sec. XIX ne sia crollata l'intera ala destra. Il palazzo, interessantissimo dal punto di vista tecnico, fu probabilmente costruito sul luogo dove sorgeva un palazzo antico. La parte principale è costituita dalla sala del trono, di dimensioni colossali, illuminata da piccole finestre situate nella vòlta e chiuse da vetri colorati. Le ali ai lati dell'arco di entrata (larghezza m 25, altezza m 30, profondità della sala m 43) avevano una facciata priva di finestre e adorna di finte arcate. Ai lati della sala principale si appoggiano edifici più piccoli. La gettata della vòlta sbalordisce per la sua grandiosità e l'alto livello tecnico. È evidente qui il tentativo di fondere gli elementi dell'architettura locale (sala a vòlta, merlature del tetto, ecc.) con quelli dell'architettura romana (facciata del teatro romano).

Dagli edifici confinanti con il palazzo provengono stucchi a rilievo che probabilmente ornavano vòlte e arcate; nei medaglioni sono rappresentati uccelli, un capricorno con nastri e collare e un monogramma sopra due ali; lastre rettangolari con un cinghiale in fuga fra i giuncheti, un orso in zona montuosa, ecc. Resti di stucchi sono stati trovati nell'area del palazzo, ma è molto difficile stabilirne l'ubicazione generale. Le vòlte della sala del trono erano probabilmente ricoperte da mosaici colorati in vetro e il pavimento da lastre di marmo, a giudicare almeno da ciò che è rimasto. È stata formulata l'ipotesi che il mosaico della sala del trono raffigurasse le conquiste di Antiochia sull'Oronte da parte di Cosroe I. In un edificio confinante, che doveva essere adibito a terme, sono stati trovati resti di una vivace pittura parietale con figure in abiti sfarzosi dipinte in oro.

A questo periodo appartengono anche il palazzo di Cosroe II a Darabghird e il palazzo di Cosroe II a Karsl-Shirin (Kurdistan), distrutto nel 628 dall'imperatore Eradio. Quest'ultimo si componeva di un iwān, una sala del trono sormontata da una cupola, numerosissime stanze e alcuni cortili interni. Il tempio del fuoco, che si trovava nelle vicinanze era sovrastato da una cupola e aveva quattro porte che conducevano al corridoio circolare, si rifà sostanzialmente alla tradizione del III secolo (ad esempio Bishapur).

Molto originale è il padiglione di caccia di Taq-i Bustan, a 5 km circa da Kirmanshah; qui, vicino a una sorgente e a uno stagno, si ergono vicini due iwān, uno grande, l'altro piccolo, che hanno la forma di grotte a vòlta, ricavate nella roccia. Probabilmente si doveva costruire un'altra piccola grotta dall'altro lato della principale, ma il progetto rimase incompiuto. Nell'interno della grotta più piccola è scolpito il rilievo che rappresenta Shapur II e Shapur III, di cui si è parlato sopra. La facciata dell'iwān principale è ornata da rilievi rappresentanti uno stilizzato "albero della vita" con grandi, turgide foglie di acanto (cfr. con i rilievi analoghi di Hatra). Sull'arco, ai lati di una mezzaluna, sono poste due figure femminili alate, l'una di fronte all'altra, che sostengono una coppa con bacche o pietre preziose; due divinità locali, del culto zoroastriano, Amartat e Hauvartat, sono qui rappresentate a limitazione della Vittoria romana.

La parete posteriore della grotta è divisa in due parti. Nella parte superiore vi è un rilievo con la scena dell'investitura del re Cosroe II (alcuni studiosi sostengono che si tratti di Firuz) che riceve una ghirlanda, simbolo del potere, da Miura Mazdah. All'altro lato del re è raffigurata la dea Anahita, anch'essa nell'atto di consegnare una ghirlanda al sovrano. Interessante è la figura del re, che supera in altezza gli dèi; l'abbigliamento è diverso rispetto ai rilievi precedenti, un mantello lungo, di tessuto pesante, ricamato in pietre preziose. Anche l'impugnatura della Spada cui si appoggia il re è tempestata di gemme. Ahura Mazdāh è abbigliato nello stesso modo, e in più ha un mantello buttato sulle spalle. Anāhitā indossa una lunga veste a pieghe; sulle spalle ha un manto ornato di pelliccia; nella sinistra regge una brocca da cui scorre acqua (simbolo della fertilità). Nella parte inferiore è un altorilievo che rappresenta un cavaliere; a giudicare dal nimbo, si tratta di un re, che porta l'elmo (la testa è molto deteriorata) e la cotta; nella sinistra tiene uno scudo, mentre solleva la destra armata di lancia. La parte anteriore del cavallo è protetta da una panciera a dischi e sulla groppa è scolpito l'emblema dei re sassanidi. Questo pannello è incorniciato ai lati da pilastri scanalati, con un ricco capitello a motivi floreali. Fra i capitelli vi è un bordo che rappresenta grandi foglie di vite unite da archetti. Qui è raffigurato Cosroe II in aspetto di guerriero pesantemente armato, a cavallo del suo famoso Shabdez. In entrambi i rilievi la caratteristica predominante è data dalla imponenza statuaria delle immagini. Viene sottolineata la pesantezza delle vesti sontuose e delle armature; le figure sono rappresentate frontalmente nella parte superiore, con le gambe di profilo, mentre il cavaliere, di profilo, è girato di tre quarti col torso verso lo spettatore. Queste particolarità non riscontrate nei secoli precedenti, assegnano questi rilievi a un periodo più tardo: inizio VII sec. (Cosroe II salì al trono nel 590).

Sulle pareti laterali della grotta grande sono scolpite a bassorilievo alcune scene della caccia reale: a sinistra il re e altre persone del suo seguito cacciano in barca i cinghiali nel giuncheto, al suono della musica; a destra il re caccia in una riserva: balzano i cervi, e la selvaggina uccisa viene portata via su elefanti e cammelli. Interessante la figura del re sulla parete di destra, dove è raffigurato a cavallo, girato di tre quarti, in atto di entrare nel parco sotto un ombrello. In tutti gli esempi descritti la figura del sovrano sovrasta tutte le altre. Bisogna inoltre sottolineare che la figura del re è riprodotta su uno stesso pannello due, tre volte (nella riserva, alla caccia, nel parco). Le figure degli animali sono disposte su piani diversi che a volte si confondono l'uno con l'altro. Il rilievo in origine era colorato (si sono trovate tracce di colore) e doveva imitare la pittura o addirittura un tappeto. Sono minuziosamente scolpiti gli arabeschi delle vesti del re e degli alti dignitarî; i medaglioni rappresentano Senmurv, il mitico cane-uccello, montoni alati, uccelli acquatici, rosette, quadrifogli, ecc., complessivamente una sessantina di arabeschi.

Gli stessi arabeschi sono intessuti nelle stoffe sassanidi che ci sono pervenute. La produzione tessile in quel periodo aveva acquistato una grande importanza. La seta, il broccato e la lana sassanide si distinguevano per l'alta qualità artistica e tecnica e avevano grande importanza nel commercio internazionale. Le stoffe venivano tessute a Susa, a Shushtara e Giund-Shapur. Quanto alla seta, la materia prima veniva importata dalla Cina e quindi lavorata. I tessuti venivano esportati sia in Occidente che in Oriente. In questo periodo i toreuti riproducevano su metallo i motivi dei tessuti, mentre i cesellatori li riproducevano su sigilli, intagliandone i particolari nell'agata e nel calcedonio, nella corniola e nel diaspro.

Fra l'argenteria di questo periodo è da segnalare, come pezzo unico, una brocca di caratteristica forma sassanide (cesellata dall'interno) con l'immagine del cane-uccello Senmurv in medaglioni, e dell'albero della vita (fra i medaglioni e il coperchio) e i numerosi piatti con, in rilievo, scene di banchetti, di caccia, di lotte fra leoni e tori (antico simbolo dell'equinozio primaverile), uccelli, animali, esseri mitici, ecc., eseguiti togliendo il fondo o cesellando dal rovescio. È interessante un piatto del VI sec. con l'immagine di Cosroe I, assiso su un divano, le cui gambe raffigurano protome di Pegasi, e circondato da quattro suoi capitani; nel segmento inferiore è raffigurato probabilmente suo figlio Ormazd IV a caccia. Ormazd IV (579-590) è raffigurato anche in un piatto recentemente trovato a Ufà, nell'URSS, in cui è riprodotta una scena di caccia con un cane tranquillamente sdraiato in mezzo al tempestoso movimento generale (gli oggetti di cui sopra si trovano all'Ermitage). Anche il successore di Ormazd IV, Cosroe II, è raffigurato in una scena di caccia, su un piatto d'argento (Louvre), fra una grande moltitudine di animali in fuga, oppure feriti o uccisi. Come nei rilievi di Taq-i Bustan, essi sono rappresentati su piani diversi, talvolta intersecantisi. Allo stesso periodo appartengono anche i piatti con l'immagine di Bahram Gura e di Azada a caccia (Ermitage), secondo la leggenda popolare cui si ispirerà tre secoli più tardi Firdusi, e la testa in argento del mitico Senmurv, a tutto tondo, parte culminante di qualche stendardo reale sassanide (v. fig. 256).

È bene notare che la grande quantità di piatti e di coppe d'argento, rinvenuti casualmente nel territorio dell'Unione Sovietica, dove affluirono al tempo del crollo dell'Irān sassanide, come oggetti preziosi da scambiare con pellicce e altre merci, e nell'Irān settentrionale, si spiega evidentemente col fatto che nei laboratori reali tali oggetti venivano prodotti in grande quantità, forse per essere distribuiti in dono ai partecipanti ai banchetti o alle cacce. La stessa destinazione avevano indubbiamente anche le medaglie commemorative d'oro o d'argento, con scene di banchetti sul dritto, e di caccia sul rovescio, che venivano coniate nel sec. IX-X dai regnanti dell'Irān.

Fra le opere della glittica di questo periodo è molto interessante un cristallo di rocca, un cammeo con l'immagine di Cosroe I nella stessa posa che ha nel piatto che si trova all'Ermitage. Questo cammeo orna il fondo di una meravigliosa coppa d'oro con smeraldi e rubini intarsiati (Louvre), che, secondo la tradizione, venne mandato in dono da Harun ar-Rashid a Carlo Magno.

Per quanto riguarda le monete di questo periodo, le immagini non hanno più carattere di ritratto; ci si limita a una rappresentazione convenzionale delle teste, con corone però ben determinate.

L'arte sassanide, che segna la fase conclusiva del processo di svolgimento dell'arte dell'Antico Oriente, crebbe su profonde radici locali; essa si sviluppò principalmente alla corte reale e negli alti strati della società feudale. Dopo aver assimilato molto dell'arte dei popoli legati al regno sassanide sia culturalmente che politicamente, e avendo influito a sua volta sulla cultura dei popoli confinanti e anche di quelli più lontani, l'arte sassanide può essere considerata un ponte che unì il mondo antico al nascente Medioevo.

Gli Arabi, dopo aver conquistato l'Irān, ne hanno assimilato l'architettura, la tecnica e gli elementi basilari dell'arte. Sotto l'egemonia araba, il processo di penetrazione di elementi della cultura sassanide nell'Occidente, si intensifica, poiché alla via di Bisanzio si aggiunge la via araba attraverso l'Africa settentrionale e la Sicilia (cfr. i tessuti bizantini, copti, ecc.).

Gli oggetti d'arte dell'Irān trovano la strada aperta anche verso l'Estremo Oriente, attraverso l'Asia Centrale (cfr. le pitture delle grotte indiane), influendo sull'arte cinese e su quella dei paesi culturalmente dipendenti dalla Cina (cfr. la coppa d'oro del Tesoro Nara trasportata in Giappone, ecc.).

(K. Trever)

Si vedano inoltre le voci relative alle principali città iraniche e: achemènide, arte; elamita, arte; parthica, arte; sassanide, arte.

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(K. V. Trever-V. Masson-V. Lukonin)