ORIENTALIZZANTE, Arte

Enciclopedia dell' Arte Antica (1996)

Vedi ORIENTALIZZANTE, Arte dell'anno: 1963 - 1996

ORIENTALIZZANTE, Arte (v. vol. V, p. 749)

F. Canciani

Con il termine «orientalizzante» si è soliti indicare il periodo dell'arte greca - ma anche di altre culture artistiche dell'Europa antica, con diverse implicazioni cronologiche - che va dalla fine dell'VIII-inizio del VII alla fine del VII sec. a.C., periodo in cui la tradizione geometrica diviene desueta e si introduce un nuovo repertorio di vegetali, animali, creature fantastiche, desunti dalle arti del Vicino oriente, particolarmente dalla Fenicia, sia direttamente sia tramite Cipro (l'insediamento fenicio di Kition risale alla metà del IX sec.), dagli stati neo-hittiti e aramei della Siria e dell'Anatolia sud-orientale, e dall'Egitto. Ci limiteremo qui a considerare sommariamente il panorama della Grecia e dell'Italia centro-meridionale.

Il termine è ambiguo: in realtà i contatti più intensi con le culture orientali avvengono durante l'età geometrica, a partire dalla metà del IX secolo. Le conseguenze si osservano in particolare a Lefkandi, in Attica, a Creta, a Rodi (assai indicativa la stipe di Atena Ialysìa) e comportano la reintroduzione di materiali preziosi quali l'oro e l'avorio e di raffinate tecniche di lavorazione, quali la filigrana e la granulazione, probabilmente grazie all'immigrazione di artigiani orientali che si stabiliscono su suolo greco. Ne sono esempî, nel IX sec. a.C., gli orecchini da una ricca tomba femminile sulle pendici dell'Areopago e dalla tomba 5 della necropoli di Toumba a Lefkandi; verso l'800 a.C. quelli dalla «Tomba di Iside» di Eleusi; nell'VIII sec. le tenie e le brattee d'oro di destinazione funeraria lavorate su matrice da Atene e da Eleusi. Nell'età orientalizzante le importazioni orientali sono invece in buona parte rimpiazzate dalle imitazioni e derivazioni greche, che ben presto imboccheranno un proprio autonomo cammino.

Cronologia. - I problemi relativi alla cronologia - o meglio, ai punti d'appoggio al fine di stabilirne una per il VII sec. a.C. - sono ancora oggetto di dibattito. Ogni ipotesi cronologica si basa sulla sequenza della ceramica protocorinzia. Il sistema seguito correntemente, seppure con qualche ritocco (J. N. Coldstream), è quello elaborato da H. Payne, che ha le sue basi nelle fondazioni coloniali in occidente secondo la narrazione di Tucidide. Alcuni punti sono particolarmente controversi: la fondazione di Gela nel 69o a.C. e quella di Selinunte, avvenuta nel 628 (Thuc., VI, 4,2) o nel 651 a.C. (Diod. Sic., XIII, 59,4). Entrambe erano particolarmente importanti nel sistema del Payne: a Gela gli arỳballoi ovoidi sostituiscono quelli globulari; a Selinunte - per cui il Payne accettava la cronologia tucididea - il Protocorinzio dà luogo al Corinzio Antico. Il rinvenimento in entrambi i luoghi di materiali anteriori alla cronologia tradizionale ha dato il via a una serie di supposizioni (p.es., di una doppia fondazione).

Un recente tentativo di revisione cronologica (C. W. Neeft) si basa invece su un'analisi molto sottile degli arỳballoi protocorinzî a decorazione subgeometrica, raggruppati in classi, che cronologicamente in parte si sovrappongono. In questo sistema cronologico i punti di riferimento principali sono la tomba 325 di Pithekoussai con il sigillo del faraone Bocchoris, datata verso il 715 a.C., e la fondazione di Taranto nel 706 a.C. (tardi arỳballoi globulari).

Pur partendo con uno scarto minimo dalla cronologia tradizionale - anche D. A. Amyx fa iniziare l'Antico Protocorinzio verso il 720 a.C. - il nuovo sistema comprime poco plausibilmente tutto lo sviluppo dal Medio Protocorinzio al Transizionale nel sessantennio 680-620 a.C. Esso ha però il merito di mostrare come in molti casi i rinvenimenti effettuati nelle colonie d'occidente non risalgano al momento più antico delle città. In mancanza di altri dati più sicuri, appare preferibile attenersi alla cronologia del Payne con le correzioni apportatevi dal Coldstream: essa trova una sua conferma in alcuni contesti orientali, databili per precise considerazioni storiche. In particolare la fortezza di Meṣad Ḥašavyahu, presso Ašdod, che sembra essere stata abbandonata dopo la morte del re di Giuda Giosia nel 608 a.C., sconfitto e ucciso a Megiddo dal faraone Necao, ha dato frammenti di ceramica greco-orientale dello «stile delle capre selvatiche» («middle II» secondo la classificazione di R. M. Cook). Un'ulteriore conferma viene dalla distruzione di Smirne a opera del re lidio Aliatte, avvenuta in un anno incerto, ma probabilmente verso il 6oo a.C.: al momento della distruzione la fase antica del Corinzio non aveva ancora concluso il suo ciclo; di certo posteriore alla distruzione è l'attività del ceramografo ateniese Sophilos e della sua bottega, e quella del Pittore di Heidelberg. Anche le vicende del Santuario di Apollo Maleàtas a Epidauro, in cui la presenza di ceramica protocorinzia tarda e transizionale sembra documentare gli stretti rapporti tra Periandro e il tiranno di Epidauro, Prokles, potrebbero confermare la cronologia tradizionale. Allo stato attuale della documentazione sembra ancora preferibile attenersi allo schema elaborato dal Payne.

Ceramica. - Nel VII sec. a.C. continua il processo, iniziato nel corso del Tardo Geometrico, di sempre più marcata differenziazione della produzione dei singoli centri, cui corrisponde sul piano delle istituzioni l'ascesa della pòlis. Da registrare sono classificazioni più raffinate - anche se non definitive - e messe a punto di particolari classi ceramiche. La pertinenza alla produzione protocorinzia della classe di Thapsos, comprendente skỳphoi, crateri, oinochòai, è stata più volte messa in discussione. Cronologicamente essa appartiene al Tardo Geometrico e all'Antico Protocorinzio, prolungandosi nel Medio Protocorinzio, come documenta uno splendido cratere con sfingi da Aigion, nel museo di Patrasso, recentemente pubblicato da N. Kourou. Analisi ad attivazione di neutroni condotte su varî campioni sembrano confermare la pertinenza della classe di Thapsos alla produzione protocorinzia.

Un recente, ingegnoso tentativo di attribuire a Egina il Black and White Style del Protocorinzio Antico Medio (S. P. Morris, 1984) non riesce a convincere. Persuasiva appare invece l'operazione chirurgica, condotta dalla stessa studiosa, che distingue due personalità in stretto contatto tra loro nel complesso delle opere già attribuite al Pittore della Brocca degli Arieti; all'artista si affianca il Pittore dell'Oresteia. Da segnalare anche il singolare cratere del museo di Boston con la rappresentazione di una scena di sacrificio umano, certamente a carattere mitologico (Ifigenia o Polissena?), che può essere attribuito al Pittore di Nesso di New York.

Alla fine del Protocorinzio Antico opera il Pittore di Netos, che introduce allo stile a figure nere; a lui vengono ora attribuite le opere già raggruppate sotto l'etichetta del Pittore della Chimera, che ne costituiscono l'attività giovanile.

Nel complesso panorama della produzione ceramica delle Cicladi, almeno alcune classi possono venire localizzate con una certa probabilità: a Nasso appartengono le anfore del gruppo araldico (Ba della classificazione adottata nella serie Exploration Archéologique de Délos). Nuovi rinvenimenti a Thasos e Neapolis hanno indotto N. Kontoleon ad attribuire i vasi «melî» a Paro, che all'inizio del VII sec. a.C. aveva stabilito una colonia a Thasos; l'attribuzione, benché seducente, non è senza controversia. Di fabbrica cicladica, possibilmente dell'isola di Tino, come suggeriscono i numerosi rinvenimenti nel santuario di Xoburgo, sono i grandi pìthoi decorati a rilievo con scene mitologiche: vanno menzionati almeno due pezzi eccezionali: il pìthos con scene di Ilioupèrsis trovato a Mykonos e quello con Teseo e il Minotauro nel museo di Basilea.

Per i vasi greco-orientali di provenienza rodia è stata proposta (C. Kardara, 1963) una classificazione minuziosa, anche se non del tutto convincente. Un gruppo ben distinto sembra provenire da Efeso; altri risultati verranno forse da analisi, in corso o non ancora pubblicate, su campioni di argille di varia provenienza: il ruolo correntemente attribuito a Rodi potrebbe risultarne alquanto ridimensionato.

Vanno almeno menzionati i frequenti rinvenimenti di ceramica dipinta, spesso con temi mitologici e tecnica policroma, effettuati nel corso di recenti scavi in Sicilia (Megara, Siracusa, Lentini, Gela) e Magna Grecia (Policoro), che documentano l'attività di numerose botteghe locali sotto prevalente influenza euboico-cicladica.

Bronzi. - Tra gli oggetti di prestigio dedicati nei grandi santuarî spiccano i grandi calderoni con manici in forma di sirena, decorati con protomi di grifone e di leone e collocati su supporti in lamina di bronzo di forma troncoconica, che sostituiscono i tradizionali tripodi geometrici. Calderoni e sostegni delle medesime botteghe sono stati rinvenuti, in numero minore, in alcune tombe principesche dell'Italia centrale. Le protomi più antiche sono tirate a martello e riempite con una sostanza bituminosa; a esse si affiancano ben presto protomi fuse. Il problema principale è quello della provenienza: non è chiaro, infatti, se siano importazioni orientali o derivazioni greche. Mentre nel caso delle anse a sirena si può agevolmente distinguere tra prodotti importati e derivazioni locali, nel caso delle protomi di grifone non si può ravvisare una cesura così netta. Due elementi sembrano parlare a favore di una storia tutta greca delle protomi di grifone: il fatto che - al contrario delle anse a sirena - non se ne conoscano dal Vicino Oriente, e la presenza di scarti di fusione nell'Heràion di Samo, che documentano l'attività di botteghe in loco. L'esistenza di calderoni con protomi di grifone di fabbrica orientale è documentata però in modo indiretto ma inequivocabile, dall'esemplare rinvenuto nella tomba 79 della necropoli di Salamina di Cipro, in un contesto della seconda metà dell'VIII sec. a.C.: si tratta di un pezzo anomalo, di provenienza certamente locale, in cui le anse a sirena e le protomi di grifone sono prodotte con una singolare inversione della tecnica corrente in quel periodo: le anse sono martellate, le protomi fuse. Come già nel caso delle oreficerie, dovremo anche qui considerare l'ipotesi di artigiani orientali che aprono delle botteghe in Grecia, botteghe che vanno incontro a un processo di rapida ellenizzazione.

Scultura. - I problemi relativi alla plastica del VII sec. a.C., benché vivacemente discussi, restano ancora oggetto di controversia. Essi sono: la continuità tipologica dall'VIII al VII sec., le caratteristiche delle immagini di culto, il sorgere della statuaria monumentale in marmo.

Per una loro corretta impostazione è opportuno tenerli distinti. I tipi principali della statuaria del VII sec. sono essenzialmente tre: la kore, il kouros, la figura femminile seduta.

Nonostante ingegnosi tentativi di ricollegarli al repertorio geometrico tramite la plastica di piccole dimensioni - ma nel caso della figura seduta va registrata una cesura nella documentazione - negando così l'importanza di modelli e stimoli orientali, la proposta di una continuità dal secolo precedente non convince: non c'è una linea diretta che conduca dalle figurine geometriche alla plastica monumentale. Il problema non è soltanto di carattere iconografico, ma anche di salto di qualità. D'altra parte le figurine, impropriamente chiamate «dedaliche», della piccola plastica fittile, devono le loro caratteristiche formali anche all'introduzione della tecnica orientale della matrice; anzi, una matrice orientale duplicata in argilla locale è documentata a Corinto.

La tradizione antica era concorde nell'attribuire a Creta, grazie a Dedalo, un ruolo preminente nello sviluppo della statuaria; essa trova una conferma almeno parziale nella figura femminile seduta da Gortina, conservata soltanto nella parte inferiore del corpo, e nel torso di quella di Astritsi (attribuita da C. Davaras a un'altra figura seduta, ma l'ipotesi è controversa), entrambe di dimensioni maggiori del vero, eseguite però non in marmo - che manca nell'isola - ma in calcare. È assente a Creta uno dei tipi canonici, il kouros. Una recente, ingegnosa spiegazione (J. Boardman) richiama l'attenzione sulle affinità che legano i primi kouroi di marmo, trovati nelle Cicladi, e la figurina bronzea 2527 di Delfi, solitamente considerata di fabbrica cretese, tutti contraddistinti dall'uso tipicamente cretese della cintura, e sulla fiorente tradizione metallurgica dell'isola, che rendeva possibile realizzare strumenti adatti a lavorare materiali di particolare durezza.

I primi kouroi, realizzati in marmo insulare, erano forse opera di scultori cretesi insediatisi presso le cave di marmo. Anche la Grecia orientale deve però aver contribuito in modo decisivo allo sviluppo della scultura monumentale in marmo, come testimoniano frammenti di kòrai dall’Heràion di Samo, che devono appartenere a statue contemporanee a quella dedicata a Delo dalla nassia Nikandre.

L'impulso alla creazione della plastica monumentale, e anche alla sua elaborazione tipologica, deve essere venuto dalle culture del Vicino ¡oriente. Un'analisi sistematica mediante computer ha dimostrato come i primi kouroi si avvicinino assai di più alle norme del secondo canone egizio, quello saitico, che costruisce le figure secondo una griglia di ventuno riquadri, dalla pianta dei piedi agli occhi, che non alle proporzioni naturali. La derivazione delle prime figure femminili sedute da modelli della Siria settentrionale è suggerita anche dalla tipologia del seggio, e una conferma indiretta viene forse dalla situazione che si osserva nell'Etruria meridionale.

Quanto alle immagini di culto, esse dovevano essere generalmente di dimensioni alquanto modeste. La revisione cui A. Mallwitz ha sottoposto i resti dell'Heràion di Samo ha l'indubbio merito di liberarci dall'ingombrante fantasma di un'immagine monumentale risalente all'VIII sec. a.C.

Numismatica. - Benché i problemi relativi alla cronologia di serie monetali e alla stessa introduzione della monetazione siano stati recentemente oggetto di controversia, è probabile che le origini della moneta vadano rintracciate ancora nel VII sec. a.C. Contro i tentativi di un radicale abbassamento della cronologia va rammentato che il deposito di fondazione dell'Artemìsion di Efeso, che comprendeva alcune delle più antiche monete di elettro, risale forse ancora alla prima metà del VII sec. a.C., e in ogni caso deve essere anteriore al 626 a.C., anno dell'incursione del cimmerio Lygdamis. Quanto alla proposta di datare l'inizio delle «civette» ateniesi all'età dei Pisistratidi, le prime emissioni trovano i confronti stilistici più convincenti in opere concordemente ascritte all'età di Solone.

Architettura. - Non è questa la sede per enumerare tutti gli edifici del VII sec. a.C. venuti recentemente alla luce; si rinvia per questo alla panoramica offerta da H. Drerup (1969) e, più recentemente, da A. Mazarakis-Aininian (1985). Si ricorderanno però almeno i due templi di Kalapodi (v.), probabilmente sede del Santuario di Artemide Elaphebòlos a Hyampolis (Focide), dedicati verosimilmente ad Artemide e ad Apollo, disposti secondo due assi divergenti. Costruiti in un momento imprecisato del VII sec. a.C. in mattoni crudi su zoccolo di pietra, con tetto probabilmente stramineo, quello a Ν un òikos in antis, quello a S prostilo tetrastilo, erano di dimensioni considerevoli (rispettivamente m 29 x 10 e 21 x 7,9); andarono distrutti all'inizio del VI sec. a.C.

Di grande importanza sono i risultati del riesame critico cui A. Mallwitz ha sottoposto alcuni documenti dell'VIII e VII sec. a.C. A Samo il supposto Heràion I dell'VIII sec. si rivela in realtà come lo strato di fondazione del «secondo» tempio, databile nella prima metà del VII sec.; la peristasi risulta essere un'aggiunta posteriore. Anche l’Heràion di Olimpia appare costruito in un'unica fase edilizia, forse ormai all'inizio del VI sec. a.C. La supposta peristasi del Tempio di Apollo a Eretria scompare: così la prima peristasi accertata sembra essere quella dell’Heràion di Argo.

Discusse sono le origini dell'ordine dorico, che devono comunque aver avuto luogo nella prima metà del VII sec. a.C. Se ne possono riconoscere alcune tappe - copertura del tetto mediante tegole, costruzione in pietra - nel predecessore del tempio arcaico di Apollo a Corinto e nel Tempio di Posidone a Isthmia. Probabilmente i primi tetti a tegole erano del tipo a padiglione, a quattro, e poi a tre spioventi. La documentazione archeologica sembra così collimare con un noto passo di Pindaro (Ol., XIII, 21 s.), che attribuiva a Corinto l'invenzione del frontone (o forse dell'ordine dorico?).

Nel terzo quarto del VII sec. a.C., come testimonia il tempio di Thermos, l'ordine dorico doveva essere ormai definito nei suoi elementi essenziali.

Creta. - Come già in età geometrica, l'isola svolge nel VII sec. a.C. un ruolo del tutto particolare, che giustifica una, seppur rapida, trattazione separata. La tradizione minoica non era del tutto spenta, e l'isola costituiva un approdo importante e obbligato per i naviganti che, dalla Siria e dalla Fenicia, veleggiavano verso occidente.

Probabilmente ancora nel corso del IX sec. a.C. vi si sono stabiliti artigiani provenienti dal Vicino oriente - quelli di origine fenicia forse dalla recente colonia di Kition a Cipro - contribuendo con il loro repertorio decorativo alla formazione del peculiare stile ceramico del Protogeometrico B, e introducendo schemi iconografici tipicamente orientali, quali la lotta con il leone. Essi hanno lasciato vistose tracce della loro presenza nel campo delle oreficerie (tomba 2 a thòlos di Khaniale Tekke), dei bronzi (scudi più antichi dalla grotta di Zeus sul Monte Ida), e anche della plastica in pietra (testa di Amnisos).

La loro eredità sarà raccolta dai bronzisti che produrranno, nel corso del VII sec. a.C., varî bronzi dall'Ida e, più tardi, armi riccamente decorate. Stilisticamente affine alle oreficerie ora ricordate è una figurina maschile di bronzo rinvenuta ad Arkades in un contesto di fine VIII sec. a.C. (ma il complesso è ancora inedito).

Tra i rinvenimenti più notevoli del VII sec. a.C. va segnalata una serie di lastre di calcare da Priniàs, decorate mediante incisione con figure di donne e guerrieri. Distribuite dall'editore lungo un arco di tempo notevole, dal 68o al 6oo a.C., e attribuite a varî monumenti funerari, sono state da altri (L. T. Adams) considerate pertinenti alla recinzione di un unico témenos.

Da Arkades proviene anche una serie di pìthoi a rilievo, dispersi tra varî musei e collezioni private, e di armi di bronzo - corazze, elmi, mitre - dalla ricca decorazione figurata, approdate in buona parte nella Collezione Schimmel di New York.

Una classe tipicamente cretese sono le figurine di destinazione votiva ritagliate da una lamina di bronzo. Essa si è arricchita di numerosi esemplari provenienti dal Santuario di Hermes e Afrodite a Kato Symi Viannou, sulle pendici meridionali del Monte Dikte. La serie inizia verso il 7oo a.C., per continuare sino in età classica. Le tipologie sono quelle consuete: animali, cacciatori, portatori di offerte, e una singolare figura appollaiata su un albero, forse lo stesso Hermes, che a Kato Symi era venerato con l'epiclesi di Κεδρίτης.

Il bronzetto di Arkades è stilisticamente affine ai tre sphyrèlata di Dreros: se confronto e cronologia sono esatti, essi apparterrebbero a una fase ancora prededalica, risalendo all'età della fondazione del tempio.

Va segnalata anche la ripresa degli scavi nella grotta di Zeus sul Monte Ida a opera di I. Sakellarakis; tra i primi risultati è uno scudo di bronzo decorato con sfingi e grifoni, il primo di cui si conoscano le circostanze di ritrovamento, uscito probabilmente dalla stessa bottega di uno scudo rinvenuto in una tomba di Arkades, che porta una processione di grifi al pascolo.

Secondo una recente ipotesi (I. Beyer) il tempio di Dreros avrebbe avuto un tetto piatto e discenderebbe tipologicamente dalla tradizione dell'architettura minoica. Lo stesso studioso ha pure proposto una nuova ricostruzione del Tempio A di Priniàs, tenendo conto anche di un frammento ancora ignoto al Pernier: al centro della fronte un unico ingresso, e uno zoccolo di ortostati con fregio figurato, di evidente ascendenza orientale. Dagli stessi modelli deriva probabilmente anche il tempio dell'acropoli di Gortina, il cui ingresso era forse fiancheggiato da sfingi.

Più sopra si è accennato alle possibili implicazioni di Creta nella genesi della scultura monumentale. Alla fine del secolo però la straordinaria vitalità che l'isola aveva sino ad allora dimostrato si esaurisce, possibile conseguenza dello scarso sviluppo che vi ha il peculiare istituto della pòlis.

Occidente. - L'Italia centrale e meridionale intrattiene rapporti diretti, oltre che con le città greche, coloniali e della madrepatria, anche con le città della Siria e con quelle della Fenicia e le loro colonie; si viene così elaborando una cultura O. che presenta aspetti originali. Come già in Grecia, anche qui artigiani orientali attivi in loco devono aver svolto un ruolo decisivo. Un esempio ne sono le due statue in trono della «Tomba delle Statue» a Ceri, scoperta nel 1971, databili negli anni centrali della prima metà del VII sec. a.C., che possono di riflesso far luce, per l'analogia dei problemi, sulle origini della scultura monumentale in Grecia. L'artigiano che, verso la metà del VII sec. a.C., ha prodotto, forse a Cerveteri, la situla d'argento di Plikaśna, rinvenuta a Chiusi e conservata a Firenze, ricorda per la commistione di elementi fenici e greci, e per la notevole perizia, la tazza d'argento da Amatunte.

I contatti con la Grecia e il Vicino oriente sono documentati da rinvenimenti quali le sepolture della necropoli di Castel di Decima con le loro ceramiche protocorinzie, le tombe 926 e 928 della necropoli di Pontecagnano (Salerno), con i loro vasi d'argento e di bronzo di provenienza orientale (tra cui la problematica kotỳle d'argento con il suo fregio di pseudogeroglifici). Un'altra tomba di Pontecagnano (4461), di poco più antica, presenta invece una coppia di maschere bronzee per cavallo, che elaborano in modo originale i prometopìdia orientali; una situla del tipo «Kurd» dallo stesso contesto testimonia di contatti estesi anche a settentrione.

La tomba 5 della necropoli di Monte Michele a Veio, scoperta nel 198o e databile nel secondo quarto del VII sec. a.C., presenta un ricco corredo, comprendente anche un flabello di lamina bronzea, un arỳballos protocorinzio subgeometrico e un avorio decorato, forse di fattura orientale.

Sempre a Veio è stata rinvenuta quella che è probabilmente la più antica tomba dipinta oggi nota, la «Tomba delle Anatre», databile nello stesso periodo; essa pone già il problema, così acuto nel secolo successivo, dei rapporti tra pittura parietale e pittura vascolare.

In Etruria il repertorio o. si rivela nella ceramica dipinta con particolare evidenza. All'inizio del VII sec. a.C. si esaurisce la produzione figurativamente più impegnata di Vulci e Tarquinia (notevole il Pittore dei Cavalli Allungati, forse un greco d'occidente). Il centro culturalmente più vivo è ora Cerveteri, in cui artigiani quali il Pittore dell'Eptacordo e il Pittore delle Gru, recentemente individuati, elaborano in modo personale spunti di ascendenza sia greca (Atene, Cicladi) sia orientale. Di particolare rilevanza è l'anfora, conservata a Milano, con la raffigurazione del mito di odisseo e le Sirene, di un'invenzione assolutamente originale, che nulla deve a una tradizione iconografica già costituita.

Nell'ultimo quarto del secolo il primato passa nuovamente a Vulci, dove il Pittore della Sfinge Barbuta stabilisce la tradizione, destinata a durare ancora a lungo, della ceramica etrusco-corinzia, in cui entrano però anche elementi di derivazione greco-orientale grazie all'attività, sempre a Vulci, del Pittore delle Rondini.

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