OTTONIANA, Arte

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1998)

OTTONIANA, Arte

G. Lorenzoni

L'aggettivo ottoniano deriva dal nome proprio Ottone e si riferisce, storicamente, ai tre re di Germania e imperatori del Sacro romano impero, della dinastia sassone, di nome appunto Ottone. Ottone I il Grande fu re dal 936, imperatore dal 962 e morì nel 973; Ottone II fu re dal 961, insieme con il padre, e imperatore dal 973 al 983, anno della sua morte; Ottone III, nato nel 980, fu nominato re nel 983, quando aveva appena tre anni: tennero la reggenza prima sua madre Teofano, la principessa bizantina divenuta imperatrice (Henrich, 1991), e poi sua nonna Adelaide, vedova di Ottone I; nel 996 egli fu incoronato imperatore e morì giovane nel 1002.In senso stretto, ottoniano dovrebbe essere ciò che è pertinente a questi tre personaggi e perciò per arte o. si dovrebbe intendere la produzione artistica dei tre Ottoni, ma l'aggettivo ottoniano ha avuto e ha un significato più ampio, sia per la cronologia sia per la committenza, che non è stata né solo dei tre Ottoni né unicamente imperiale. Per quanto riguarda la cronologia, si comprende anche il tempo di Enrico II (v.). Morto Ottone III senza lasciare eredi diretti, fu nominato re di Germania nel 1002 Enrico II il Santo, imperatore dal 1014 al 1024, anno della morte. Egli fu l'ultimo regnante della dinastia sassone, alla quale succedette la dinastia di Franconia con Corrado II il Salico (1024-1039) e poi con suo figlio Enrico III (1039-1056). Questi due primi imperatori della dinastia francone o salica vengono citati perché alcuni studiosi estendono il concetto di arte o. fino a comprendere anche la loro produzione. In questa prospettiva, la cronologia comprende il secolo che intercorre tra la metà del 10° e la metà dell'11°: il secolo dunque incentrato proprio in quell'anno Mille che tante discussioni ha suscitato; basti pensare a Focillon (1952) e, per problemi essenzialmente storici, a Duby (1967b).L'arte che si definisce o. nasce, come implica il nome stesso, quale fenomeno di corte, in connessione con il precedente dell'arte carolingia (v.), anch'essa strettamente legata alla corte imperiale. Ma non c'è continuità diretta tra i due momenti storici; con gli Ottoni si ristabilì un'autorità imperiale, insieme romana e carolingia, dopo una lunga parentesi di lotte terribili e di caos socio-politico, nella quale tale autorità era di fatto scomparsa. Con la dinastia sassone ci fu dunque una rinascita del concetto imperiale, ma ciò avvenne in un contesto diverso da quello carolingio, se non altro perché una realtà nuova si stava realizzando nella seconda metà del sec. 10°: la nascita di nazioni anche nell'area del vecchio impero carolingio. È il caso, per es., della Francia con i Capetingi. Perciò l'impero ottoniano non ebbe l'estensione di quello carolingio: fu in qualche misura più tedesco, coerentemente con la dinastia imperante, quella sassone appunto. E nuova fu la prospettiva del rapporto con l'impero bizantino, se non altro grazie al matrimonio tra Ottone II e la principessa Teofano.L'individuazione storico-critica di arte o. risale alla prima metà di questo secolo: ci sono nei primi decenni parecchi riferimenti, talora in connessione con il Carolingio (Gall, 1930), che in qualche modo si sono conclusi con Focillon (1938, trad. it. pp. 34-35), il quale accennava chiaramente all'esistenza di una tradizione architettonica dell'Impero, legata al risorgere di un sistema politico potente, in grado di imporre determinate scelte edilizie. E come esemplificazione di questa architettura o. lo studioso francese citava St. Michael a Hildesheim, seguito, ovviamente non dal punto di vista cronologico, da St. Cyriakus di Gernrode e da costruzioni di Corrado II il Salico. Si tratta ancora di un semplice cenno di carattere quasi manualistico. Ma, per quanto limitato, questo riferimento di Focillon all'architettura o. è chiarificatore rispetto, per es., alle ricerche degli studiosi che avevano già dato un'impronta nuova allo studio del Romanico, nei primi decenni del secolo (Rivoira, 1901-1907; Lasteyrie, 1912; Porter, 1915-1917; Puig i Cadafalch, 1928). Costoro, in verità, non si erano interessati affatto o poco del Romanico o del Preromanico settentrionali. Puig i Cadafalch (1928), tanto per fare un esempio, insistendo sul concetto di premier art roman (Barral i Altet, 1989), elaborò per questa definizione una cronologia che corrisponde quasi perfettamente a quella del periodo ottoniano: dal 950 al 1079-1080 circa. Va subito detto che le ricerche dello studioso catalano riguardano l'ambito appunto della Catalogna, con un ampliamento ai paesi mediterranei. E per quanto riguarda i confini geografici entro cui si diffuse questa prima arte romanica, verso il Nord, Puig i Cadafalch (1928, pp. 138-139) giunse al Reno e alla Mosa verso Colonia, Maastricht e il Belgio. Forse la sua ipotesi di fondo sulla prima arte romanica - e cioè che essa sia stata una sorta di traduzione latina dell'arte dell'Oriente (ivi, p. 154) - lo indusse alla non comprensione storico-critica dell'architettura germanica, esplicitamente esclusa per quanto riguarda le rive del Reno, insieme con altre zone geografiche (ivi, pp. 9-10). È giusto ricordare che uno studioso che non è stato considerato un medievista dedicò un suo corso universitario proprio all'arte o.: Fiocco (1939-1940), seppur in modo ancora generico, affrontò tale tema, prendendo le mosse da Pirenne (1937) per alcune considerazioni sul Medioevo e da Boeckler (1930) per le miniature.Per una definizione più complessa e articolata del concetto di arte o. si deve aspettare il contributo fondamentale di Jantzen (1947), preceduto, per quanto riguarda la storia dell'architettura, da quello di Lehmann (1938). Sia Lehmann sia Jantzen, con autonomia di ricerca e di prospettive storiche, riconoscono l'arte o. come una produzione specificamente germanica, in coerenza con la rinascita imperiale, che, a differenza di quella carolingia, ebbe un carattere specificamente tedesco. La caratterizzazione germanica, poi, non implicava, per l'architettura o., una uniformità di linguaggio: si erano riconosciuti vari gruppi, i cui principali potrebbero essere stati il sassone (per es. Hildesheim, St. Michael), l'imperiale (Magonza, cattedrale, del 1009; Strasburgo, cattedrale, del 1015; Spira, cattedrale; Limburg an der Haardt, abbazia) e il gruppo Colonia-Werden (Colonia, St. Aposteln; Essen-Werden, St. Luzius).Una decina di anni dopo l'importante apporto scientifico di Jantzen, intervenne, sulla storia dell'architettura o., Grodecki (1958). Egli delimitò con chiarezza la cronologia, dal 950 al 1050 ca., e l'area geografica, in un territorio i cui confini erano rappresentati: dalla Boemia e dalla Polonia a E; verso S dalle Alpi, che separano nettamente la Germania dalle province italiane, solo politicamente sottoposte all'impero - separatezza ovviamente culturale, pur con qualche eccezione -; a O erano fuori dai confini ottoniani le Fiandre marittime e la France royale con una parte della Borgogna, mentre la Lorena e i paesi tra la Mosa e il Reno, dipendenti dai vescovadi di Treviri, Magonza e Colonia, non possono essere separati, intorno all'anno Mille, dall'arte o. (Grodecki, 1958, p. 12). La ricostruzione storica dell'architettura o. di Grodecki si basava su ricerche e individuazioni di ordine tipologico e, da questo punto di vista, l'autore portò un nuovo contributo alla storia dell'architettura o., dopo Lehmann e Jantzen. Elaborò inoltre varie distinzioni nell'ambito delle scuole regionali, riconoscendo la principale in quella sassone: dalla cattedrale di Magdeburgo a St. Cyriakus a Gernrode, per finire con il capolavoro di St. Michael a Hildesheim (Grodecki, 1958, p. 310). Egli inoltre distingueva, nell'area geografica suddetta, i vari stili regionali, ciascuno con caratteristiche proprie, dall'architettura mediterranea. Grodecki individuò dunque due grandi gruppi o aree: da una parte l'architettura o., che deriva soprattutto dalla carolingia, anche se ne è un esito originale; dall'altra l'architettura che egli definì mediterranea, a partire dalla Borgogna giurese, nelle Alpi, che affondava le sue radici nell'architettura ravennate precarolingia, alimentata da apporti bizantini; esempi della prima arte romanica meridionale sono le cattedrali di Losanna e di Besançon (ivi, p. 313).Gli anni subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e gli anni Cinquanta sono stati di grande sviluppo della ricerca in generale, anche perché la ricostruzione delle parti distrutte dalla guerra ha comportato talora nuove scoperte archeologiche (Kubach, 1963). Nello stesso decennio è stato pubblicato il volume Karolingische und ottonische Kunst (1957), con contributi nei quali l'aggettivo ottoniano sta sempre a indicare monumenti germanici: per es. una tipologia specifica di struttura parietale in gruppi di costruzioni germaniche di Essen e di Werden (Verbeek, 1957) o di monumenti legati alla corte, come il famoso ambone di Enrico II nella cattedrale di Aquisgrana (Doberer, 1957; Fillitz, 1957).Già si era posto il problema se l'architettura o. fosse da considerarsi una parte del Romanico. Kubach e Verbeek (1951) pubblicarono una bibliografia ragionata sull'architettura preromanica e romanica, cui seguì un aggiornamento (Kubach, 1955). I successivi interventi di Kubach (1963; 1964; 1968; 1972) e di Kubach e Verbeek (1976; 1978) sono prove dell'interpretazione in chiave romanica dell'architettura o. in Germania.Si può dunque giungere a una prima conclusione per quanto riguarda la storia dell'architettura o.: in linea di massima la critica tedesca, insieme con quella francese - e in quest'ultima è da porre anche l'americano Conant (1959), che considerò l'architettura nata in Germania sotto la dinastia sassone e poi salica, cioè dal 936 al 1125, come un capitolo degli Earlier Romanesque Styles -, ha riconosciuto l'esistenza, nell'ambito del primo Romanico, di un'architettura o. specifica dei territori tedeschi e di una cronologia documentata tra la metà del 10° e quella dell'11° secolo. Nella storiografia francese degli ultimi anni, per tale periodo, non solo si distingue nettamente tra l'arte fiorita in Francia e l'arte o., ma in questa distinzione non manca chi, seppure con cautela, si pone la domanda se, verso la fine del sec. 10°, non si possa individuare un'arte 'capetingia', quasi in contrappeso all'arte degli Ottoni (Heitz, 1987a, p. 110). Si tenga inoltre presente che questo discorso sulla proposta interpretativa che vuole l'architettura o. come una parte della prima architettura romanica è appunto riferito all'architettura e non può essere ampliato, automaticamente, alla storia della pittura, della scultura e delle arti suntuarie.D'altra parte è da ricordare che agli inizi degli anni Sessanta la storia dell'arte tedesca mirava anche a conferire al termine ottoniano un significato assai limitativo: in un'opera di sintesi, dopo l'intervento di Kubach (1963) sull'architettura, Elbern (1963), per quanto riguarda i paragrafi sulle altre arti, delineava, tutto sommato, un profilo quasi esclusivamente tedesco dell'Ottoniano.Per quanto riguarda la scultura, si può riconsiderare per es. la proposta di Grodecki (1973), che riprendeva una suggestione di Focillon (1931), sul famoso confronto tra l'antependium (v.) di Basilea (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny) e la scultura dell'architrave della parrocchiale di Saint-Genis-des-Fontaines nei Pirenei orientali. Le due opere, che sono contemporanee tra loro, sono segni di due scelte culturali assai diverse: da una parte la strada senza via d'uscita dell'Ottoniano, dall'altra il grande sforzo del rinnovamento plastico che avrebbe portato prima ai portali romanici e poi a quelli gotici (Grodecki, 1973). Ma questa proposta, certamente chiarificatrice in senso ampio, risulta troppo schematica se il confronto tra le due opere viene assunto per catalogare in un certo modo tutte le opere ottoniane da una parte e tutte le opere romaniche dall'altra. Il problema appare molto più complesso.La scultura in marmo o in pietra, parte integrante della struttura architettonica, non si diffuse nell'edilizia o.; mentre è ben documentata la scultura in metallo, come le porte del duomo di Hildesheim e la colonna istoriata di St. Michael conservata nella stessa cattedrale - commissionate dal vescovo Bernoardo di Hildesheim (v.), chiari esempi, da una parte, del classicismo (Panofsky, 1960) nell'arte aulica o. e, dall'altra, dei legami anche con l'arte carolingia (Goldschmidt, 1926; Wesenberg, 1955; Lasko, 1972; Bernward von Hildesheim, 1993) - e come la tipologia del Cristo crocifisso monumentale, che si diffuse in area e in età ottoniane, mentre in età carolingia era piuttosto rara (Elbern, 1962; 1963; Duby, 1967a, trad. it. pp. 104-105): per es. quello c.d. di Gerone, del sec. 10°, nel duomo di Colonia, quello nella chiesa di Düsseldorf-Gerresheim (Renania), quello nella chiesa di Benninghausen (Vestfalia) o quelli lombardi. Per queste e per altre opere di scultura su metallo, come il già citato antependium di Basilea, non è motivo di dibattito la loro caratterizzazione ottoniana, quanto la loro catalogazione, sempre in ambito ottoniano, in una delle scuole dello stesso contesto.Nel campo della pittura monumentale, il riconoscimento di una definizione ottoniana è semplice da un certo punto di vista, assai complesso da un altro. È semplice se si considerano ottoniane solo le pitture di St. Georg di Oberzell nella Reichenau, della Sylvesterkapelle a Goldbach (Baden-Württemberg), sempre lungo le sponde del lago di Costanza, e quelle di St. Andreas di Neuenberg e di St. Peter a Petersberg nei pressi di Fulda, in Assia (Elbern, 1963). Sulla definizione di pittura o. per questi cicli non ci sono problemi. I dibattiti nascono quando si cerca di ampliare il discorso, definendo ottoniani, per es., i cicli lombardi.Già dagli anni della seconda guerra mondiale, de Francovich (1942-1944, pp. 115-116) aveva individuato opere eseguite da artisti che, pur non rinunciando alle proprie tendenze lombardo-italiche, erano sensibili a una sottile e profonda comprensione degli ideali artistici carolingi e ottoniani. Il concetto venne ripreso successivamente dallo stesso de Francovich (1955), che riaffrontò lo studio delle pitture, questa volta non solo lombarde, sotto il generico titolo di preromaniche (così appare nel testo della sua relazione, mentre il programma prevedeva un intervento sulla pittura del periodo ottoniano; non è spiegato il motivo della differenza tra i due titoli, differenza che potrebbe avere anche un significato storico-critico: alla specificazione 'periodo ottoniano' si preferisce l'affermazione di un generico Preromanico). È anche da ricordare che negli anni Cinquanta e Sessanta la storia dell'arte di varia tradizione, riferendosi anche alle pitture del sec. 11°, usava normalmente l'aggettivo romanico (Anthony, 1951; Deschamps, Thibout, 1951; Michel, 1961). Chi si è opposto in modo esplicito a questa tendenza critica è stato Salvini (1956; 19632; 1964; 1973): egli ha inteso distinguere nettamente tra Alto Medioevo (nel caso specifico, Ottoniano) e Romanico, che non è, secondo la sua opinione, la continuazione dell'Ottoniano. Si tratterebbe di due linguaggi diversi, che schematicamente si possono definire l'uno aulico (l'Ottoniano, come il latino), l'altro popolare (il Romanico, come le lingue romanze). E sulla base di queste osservazioni ha considerato ottoniane le pitture di S. Vincenzo a Galliano (prov. Como) e di S. Pietro al Monte presso Civate (prov. Lecco), oltre ad altre; e un simile tentativo venne condotto anche per taluni cicli pittorici francesi, a cominciare da quello famoso di Saint-Savin (dip. Vienne). L'atteggiamento critico di Salvini tende, forse, a uno schematismo eccessivo nella soluzione dei problemi, che appaiono più articolati di quanto lo studioso stesso voglia far credere (Peroni, 1981, p. 566, n. 6).Sempre nell'area lombarda, ma con riferimenti a opere di scultura, si è mosso, con contributi nuovi e specifici su talune opere, anche Peroni (1971; 1974), che ha riconosciuto in alcuni crocifissi lombardi (ovviamente Lombardia in senso ampio: da Pavia a Vercelli) e nella decorazione a stucco del ciborio di S. Ambrogio a Milano (Peroni, 1974; 1989, pp. 778-779; Bertelli, 1981; 1991) caratteri ottoniani e pertanto ne ha anticipato la cronologia. Con una precisazione che vale la pena di sottolineare: dopo aver accennato all'uso circostanziato e convenzionale del termine ottoniano, Peroni (1971, p. 103) insiste sul significato storico dell'aggettivo stesso, aggettivo che non sottintende una qualifica stilistica in senso stretto; egli lo usa in riferimento ad alcune correnti, sempre di ambito aulico, tra fine 10° e inizi 11° secolo. Per quanto riguarda gli stucchi (Verzone, 1941-1942; Peroni, 1974), sono ovviamente da ricordare, oltre a quelli appena citati di S. Ambrogio e di S. Pietro al Monte (cripta, ciborio), quelli della chiesa di S. Maria Maggiore a Lomello (prov. Pavia; Romanini, 1968). Si tratta, per questi ultimi, non solo dell'individuazione di una componente aulica ottoniana, ma anche e soprattutto di riconoscervi insieme un'originalità che tende al 'volgare' romanico: la presenza dunque di un'ambiguità culturale, che viene riconosciuta quale carattere costitutivo nel contesto del linguaggio ottoniano, sempre tra la fine del sec. 10° e i primi decenni dell'11° (Romanini, 1968, pp. 33-34), privilegiando l'aspetto stilistico dell'aggettivo ottoniano.Nella storia del concetto di Ottoniano, nell'ambito della pittura, è da tenere conto di Demus (1968), che ha pubblicato, in una poderosa opera, le pitture murali romaniche, partendo dall'11° secolo. Non tutte le opere considerate, però, sono definite romaniche: così egli accetta il concetto di arte o. a proposito degli affreschi di St. Georg di Oberzell nella Reichenau. Per alcune pitture lombarde, come per quelle di S. Vincenzo a Galliano, parla di richiami diretti dell'arte o. e, dopo un cenno alle pitture nel battistero di Novara e a quelle nella collegiata dei Ss. Pietro e Orso ad Aosta, definisce la decorazione pittorica di S. Pietro al Monte monumento già più romanico (Demus, 1968, trad. it. p. 57).Demus, contrariamente al tentativo di Salvini, rifiuta qualsiasi possibilità di considerare ottoniani alcuni cicli pittorici francesi: lo esclude esplicitamente nell'introduzione della sua opera, nella quale, tra l'altro, afferma che in Francia manca la forma specifica dello stile ottoniano; infatti l'arte francese del periodo intorno al Mille viene chiamata premier art roman (Demus, 1968, trad. it. p. 9). Il discorso sulla scultura e sulla pittura in Francia porta dunque all'esclusione in linea generale della presenza di un linguaggio ottoniano in quella regione. E anche qualche recente piccola scoperta, come i frammenti della chiesa di Notre-Dame-de-la-Basse-Oeuvre di Beauvais (dip. Oise; Chami, 1987), non sposta il problema, non essendo in nessun caso collegabili con gli esempi di pittura ottoniana. Ciò non toglie però che, in un esame meno generico, il problema possa essere riesaminato, non più in funzione di una visione generale né nel campo specifico della pittura murale, ma in singole situazioni particolari, riguardanti alcuni aspetti scultorei: Hamann (1951) per la cattedrale di Sens e Grodecki (1962; 1973, trad. it. pp. 37-39) per Saint-Remi a Reims individuano l'esistenza di capitelli del sec. 11° che non si possono definire romanici: il loro stile infatti non è partecipe delle esperienze romaniche, ma dipende dal passato (Grodecki, 1962, p. 204), da un passato germanico (Grodecki, 1973, trad. it. p. 39), ottoniano (Demouy, 1987).Ma la grande produzione artistica in età ottoniana riguarda soprattutto le arti suntuarie: la miniatura, la scultura in avorio, l'oreficeria in generale.La produzione miniaturistica o. ha avuto, assai spesso, un chiaro carattere politico: l'imperatore appare nella sua massima autorità, anche come sacerdos, dunque sacralizzato (Duby, 1967a, trad. it. p. 16; Dodwell, 1971, pp. 46-47). Non solo codici complessi, ma anche documenti singoli si presentano con un apparato decorativo che li fa apparire straordinari: basti pensare alle due pergamene eseguite per due cerimonie importanti, svoltesi a Roma. Nel 962 Ottone I venne incoronato imperatore a Roma e qui lasciò un prezioso diploma (Roma, Arch. Segreto Vaticano, AA. Arm. LXVIII-XVIII Ottonianum) con la concessione di privilegi: da un punto di vista storico-artistico è da ricordare che si tratta di una pergamena tinta nella porpora e crisografata. Di dieci anni dopo è il diploma su pergamena (Wolfenbüttel, Niedersächsisches Staatsarch., 6 Urk.II; Schramm, Mütherich, 1962; Georgi, 1991; Gussone, 1991; Euw, 1991b), sempre tinta di porpora con lettere d'oro, di Ottone II in occasione del suo matrimonio con la principessa bizantina Teofano, matrimonio che si celebrò a Roma. Il motivo della colorazione purpurea non è indifferente: la porpora, come il porfido che è il 'marmo di porpora', è segno simbolico del potere imperiale bizantino, dopo essere stato romano: diventato poi anche del potere ottoniano. Questi sono documenti della corte ottoniana inviati a Roma, che testimoniano la presenza nella città di opere figurative della corte imperiale. Si tratta cioè di manufatti realizzati altrove e che vengono recapitati a Roma. Invece sono stati attribuiti a maestri lombardi, attivi a Roma, alcuni affreschi collegati con il battistero di Novara e con S. Vincenzo a Galliano: si tratta del ciclo della parete d'ingresso dell'oratorio di S. Andrea al clivus Scauri (Bertelli, 1983, pp. 117-118); per essi più prudentemente Toesca (1972, p. 17) si poneva il problema dei rapporti che l'arte o. ebbe con la Lombardia e anche con Roma.Numerosi erano gli ateliers nei quali si elaboravano modi compositivi originali e sempre di cultura assai raffinata. Si ricordino solo, come campioni emblematici per i problemi che hanno suscitato, la Reichenau - se non altro per il vecchio intervento limitativo di Dodwell e Turner (1965) - e Treviri, centro che ebbe nel Maestro del Registrum Gregorii (v.) il suo esponente più significativo (Nordenfalk, 1950; 1972; 1988). Il Maestro del Registrum Gregorii, forse il più alto esponente della miniatura aulica o., prende il nome dalla miniatura del Registrum Gregorii, con S. Gregorio e uno scriba (Treviri, Stadtbibl., 171a), che si connette a quella con Ottone II in trono (Chantilly, Mus. Condé, 14bis) e con tante altre opere che gli sono state variamente attribuite. È merito di Nordenfalk (1950) averne tratteggiato la personalità di grande artista. Ma questo, che è uno dei più classici miniatori ottoniani aulici, viene considerato dallo stesso Nordenfalk (1950, p. 77) il fondatore dello stile romanico. La differenza tra Ottoniano e Romanico, a questo punto, si fa difficile da mettere in evidenza, seguendo lo schema per es. di Salvini, già ricordato. Questo miniatore inoltre potrebbe essere stato (Nordenfalk, 1950; 1972; 1988) anche attivo come intagliatore di avorio ed essere l'autore della Madonna in avorio di Magonza (Mittelrheinisches Landesmus.; Kahsnitz, 1993a): il che comporta ovviamente altri problemi. Infine un'altra proposta viene suggerita, seppure con molta cautela, dallo stesso Nordenfalk (1972), secondo il quale il Maestro del Registrum Gregorii può essere riconosciuto in quel Iohannes Italus che, secondo alcune fonti, avrebbe dipinto, su commissione di Ottone III, alcune pareti della Cappella Palatina di Carlo Magno ad Aquisgrana. Questa individuazione può collegarsi anche con la proposta, fatta da Nordenfalk (1988) e ripresa da Bertelli (1991), che il Maestro del Registrum Gregorii sia da mettere in rapporto, per quanto riguarda la sua attività giovanile, con la cultura milanese.Sui problemi relativi alla miniatura o. è intervenuta a più riprese Mütherich (1963; 1966; 1986a; 1986b; Grodecki, Mütherich, Taralon, Wormald, 1973). Un punto di riferimento può essere il suo intervento al congresso di New York nel 1961 (Mütherich, 1963), nel quale la studiosa ha fatto il punto sull'origine dell'arte o., ma soprattutto della miniatura, anche se non manca un riferimento ad avori, come quello con Ottone II e la moglie Teofano (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny). Un altro problema affrontato da Mütherich è quello relativo alla localizzazione, cioè all'attribuzione a singole scuole o ateliers di opere ottoniane, anche qui non solo di miniature, ma anche di sculture in metallo, come il più volte citato antependium di Basilea.Per quanto riguarda gli avori medievali, dopo il fondamentale studio di Goldschmidt (1918) si sono susseguiti numerosi interventi, con ampia discussione non tanto sulla definizione di Ottoniano, quanto sull'attribuzione delle singole opere a una delle varie scuole, attive in Germania, ma anche in Francia e in Italia: da menzionare i numerosi interventi di Fillitz (1958; 1969; Fillitz, Pippal, 1987).Vi è stato e vi è dunque un interesse scientifico di distinzione in scuole o in ateliers genericamente intesi o di scriptoria per le miniature: una sintesi, limitatamente alla regione compresa tra Reno e Mosa, può essere offerta dal catalogo della mostra del 1972 Rhein und Maas. Kunst und Kultur 800-1400 (1972-1973). Nel capitolo Die Kunst der ottonischen Epoche und des 11. Jahrhunderts, Euw (1972-1973) punta su una qualche omogeneità nella scultura in avorio e una differenziazione più accentuata nelle miniature, e poi di fatto si procede per centri politici: Treviri e il dominio lorenese, Essen e Werden, Colonia e il Reno, Liegi e la Mosa; e sotto ciascuna voce vengono presentate opere di varia tecnica.Forse si può dire che nel caso della mostra del 1972, l'aspetto geografico ha più rilevanza della catalogazione per momenti culturali: è il caso per es. di Liegi e della cultura mosana a proposito dell'origine del grande scultore Renier de Huy (v.). Nell'ambito mosano il fonte battesimale bronzeo di Saint-Barthélemy a Liegi, opera straordinaria per qualità di Renier de Huy, è considerato la prima opera romanica della regione: il suo stile trova precedenti in alcune miniature, come quelle della Bibbia di Stavelot (Londra, BL, Add. Ms 28106-28107), che segnano, soprattutto in alcuni maestri, una rinascita dell'arte o. primitiva sul modello del Maestro del Registrum Gregorii (Euw, 1972-1973); ma poi nella scheda sul fonte battesimale di Renier de Huy (Kötzsche, 1972-1973) prevale sulla qualificazione romanica quella mosana: il capolavoro di Renier de Huy dunque è divenuto giustamente, per la sua perfezione tecnica e artistica eccezionale, il simbolo medesimo dello stile mosano; così come nel paragrafo su Liegi e la Mosa del capitolo sull'arte dell'epoca ottoniana e del sec. 11° è stata collocata, ovviamente, la Bibbia di Stavelot, della fine del 11° secolo. Qui l'indicazione regionale ha in qualche modo il sopravvento sulla definizione culturalmente ampia, per non dire generica, di Ottoniano e di Romanico. Il passaggio dall'uno all'altro perde quasi di significato, rielaborato e superato nell'ambito dell'arte mosana.E a proposito della situazione culturale della Lombardia in età ottoniana, un'osservazione breve va proposta su quanto affermato da Grodecki (1958, p. 12) sull'area a S delle Alpi, politicamente sottomessa all'Impero, ma legata a correnti artistiche proprie. Il discorso di Grodecki va limitato alla storia dell'architettura: la situazione per la pittura, come si è visto, è assai diversa. Ma è diversa anche nel campo della scultura in avorio. Milano, alla fine del sec. 10°, fu un'officina di grande rilievo storico, si potrebbe dire proprio la Milano imperiale degli Ottoni: dalla situla di Gotofredo (Milano, Tesoro del Duomo; Peroni, 1981) alla placca Trivulzio (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Applicata) con Cristo tra la Vergine e s. Maurizio adorato da un Ottone, probabilmente Ottone II insieme con l'imperatrice (se il primo è Ottone II, lei è Teofano con il figlioletto Ottone III; Lasko, 1972, p. 93; Little, 1988). E poi c'è il problema della situla Basilewski, anch'essa di origine milanese (Londra, Vict. and Alb. Mus.; Beckwith, 1964), con un'iscrizione che, per motivi indiretti, porta a concludere per una datazione al 980 su commissione di Ottone II (per una proposta di spostamento cronologico si tenga presente lo studio di Cinotti, 1973, n. 27).La presenza imperiale - per immagini - in Milano, è documentata anche nel ciborio di S. Ambrogio (Peroni, 1974; 1981). Nell'ambito di Milano òttoniana' dell'età dopo il Mille è stata messa in evidenza la figura di Ariberto da Intimiano (v.), arcivescovo di Milano dal 1018 al 1045, come committente di opere d'arte, ovviamente già a partire dal 1007, con S. Vincenzo a Galliano (Brenk, 1987; 1988), e accanto a lui quella di Varmondo di Ivrea (Peroni, 1992).Insieme con gli avori scolpiti, spesso inseriti in contesti ornati di pietre, di filigrane, si devono considerare anche tutti quegli oggetti (Lasko, 1972) sacri non solo perché funzionali a cerimonie religiose o legate al culto (cattedre, reliquiari, candelabri, turiboli), ma anche perché legati all'autorità laica, che si considerava sacra. Troni, corone, scettri, spade, manti, bracciali sono elementi sacralizzati che hanno la funzione di essere tipici di talune autorità, con chiari significati simbolici che sono stati approfonditi nei numerosi studi di Schramm (1928; 1939; 1954-1956; Schramm, Mütherich, 1962). La preziosità del materiale usato in un contesto raffinato rappresenta la scelta 'religiosa' di omaggio a Dio e all'autorità laica, che è l'intermediario tra Dio e il popolo. L'atto di omaggio degli imperatori a Cristo - esemplificato dall'avorio di Milano, sopra citato, con le immagini, probabili, di Ottone II e dell'imperatrice Teofano con il figlio Ottone III, con la scritta Otto imperator - è atto di sottomissione, lo stesso che l'imperatore richiede poi ai suoi sudditi (Wixom, 1968; Grodecki, Mütherich, Taralon, Wormald, 1973, p. 271). Ci sono poi le opere di metallo che non sono mobili: l'esempio più tipico e forse anche il più famoso è il citato ambone di Enrico II (Fillitz, 1957; 1993).Questi pochi cenni storici autorizzano, forse, a mettere in evidenza alcune tematiche che hanno interessato, in modo particolare, la critica storica, prescindendo, è ovvio, dalla discussione sulla individuazione delle varie scuole o ateliers dell'ambito ottoniano e sulle attribuzioni delle singole opere agli ateliers medesimi. Queste tematiche possono essere riassunte in tre: il concetto di rinascita ottoniana, il significato del nuovo rapporto con l'impero bizantino, il rapporto tra arte o. e Romanico.Il concetto di rinascita imperiale non comporta necessariamente il concetto di rinascenza dell'arte nel senso di rinascita del classico: Panofsky (1960, trad. it. pp. 72-73), dopo aver ribadito più volte il fatto del riconoscimento di una rinascenza carolingia, ha invece negato che sia esistita una rinascenza ottoniana. E questo perché lo studioso tedesco intende la rinascenza nel significato di rinascita del classico: infatti, dopo aver riconosciuto che nell'ultimo trentennio del sec. 10° ci fu un risorgere dell'arte, tanto che si era parlato di una 'rinascenza ottoniana', rifiuta l'idea che si possa parlare di rinascita dell'Antico, perché l'ispirazione venne dal mondo paleocristiano, bizantino e carolingio: mai dal classico pagano. Ma non ha potuto ovviamente esimersi dal riconoscere che nella citata colonna di Hildesheim del vescovo Bernoardo vi sia un chiaro ed esplicito riferimento all'Antico, nella tipologia delle colonne romane. Dunque per Panofsky non si tratta di rinascenza in senso stretto, ma nel senso ampio di rinascita delle arti nel loro complesso con contributi nuovi. Si potrebbe qui contestare allo studioso di avere avuto un concetto di Antico molto ristretto: perché l'Antico, per lui, è pagano; l'Antico cristiano, cioè il paleocristiano, non è Antico. Il che sarebbe motivo di discussione.E sempre a proposito di rinascenza ottoniana, è forse degno di nota il passaggio che uno studioso ha effettuato nella definizione dei titoli in due suoi interventi, distanziati da poco più di vent'anni. Dodwell (1971) aveva intitolato un capitolo The Ottonian Renaissance; successivamente (Dodwell, 1993, che è non una riedizione del precedente, ma un testo in parte nuovo) il titolo diventa assai meno qualificante; è solo riferimento geografico-cronologico: Painting in Germany and Austria: 900-1100. Questa scelta di Dodwell potrebbe essere la piccola spia di un possibile atteggiamento critico, che privilegerebbe una periodizzazione, definibile per area geografica e cronologica più che per culture figurative: fatto sta che, pur non portando sostanziali novità nel testo del capitolo interessato, rispetto a quello del 1971, Dodwell muta il sistema di riferimento storico e in questa nuova prospettiva il termine Ottonian Renaissance scompare.Panofsky (1960), nel citato intervento sulla rinascenza carolingia e poi su quella, negata, ottoniana, ha ribadito un'opinione che è assai diffusa: l'importanza della componente bizantina nell'arte ottoniana. Anche Mütherich (1963), nell'affrontare il tema delle origini dell'arte o. ha tenuto conto del problema del rapporto con l'arte bizantina, rapporto che spesso è stato incentrato sul fatto che Ottone II sposò la principessa bizantina Teofano.Ma al di là di questo fatto, la metodologia ha imposto confronti il più possibile puntuali: ne hanno trattato in molti, da Boeckler (1949; 1950; 1955), Messerer (1959; 1975), fino ai recenti interventi di questi ultimi anni, per es. nei volumi in occasione del millesimo anniversario della morte dell'imperatrice Teofano (Euw, 1991a; 1991b) o nel catalogo della mostra di Hildesheim (Effenberger, 1993). Un punto di riferimento per questa problematica può essere considerato l'intervento di Messerer (1959): per lo studio sia di sculture di avorio, sia di oreficeria - l'antependium di Basilea -, sia di miniature, l'autore individua e specifica una serie di rapporti con opere bizantine, che in qualche modo diventano fonti per le opere ottoniane.Una più approfondita conoscenza, come si è maturata in quest'ultimo cinquantennio, dell'arte bizantina ha permesso un più particolareggiato approfondimento di ciò che il mondo della corte occidentale conosceva, e in parte anche possedeva, di bizantino (Lafontaine-Dosogne, 1991; Effenberger, 1993), per quanto riguarda le arti suntuarie. Si ha così oggi una conoscenza documentata di quello che può aver significato l'apporto bizantino nell'arte del periodo ottoniano, soprattutto per quanto riguarda le arti suntuarie.Un altro problema non di poco conto è il rapporto tra arte o. e arte romanica, in quanto il periodo ottoniano coincide in parte con le prime manifestazioni dell'arte romanica. Lo studio di tale rapporto ha portato a posizioni critiche diversificate. Schematicamente si potrebbero individuare due filoni interpretativi: da una parte coloro che vedono l'Ottoniano come parte integrante del premier art roman, altri che considerano l'Ottoniano come l'ultima voce dell'Alto Medioevo e pertanto indipendente e autonomo dal Romanico.Come notato in precedenza, il rapporto tra arte o. e Romanico è stato molto dibattuto, ma è possibile addivenire a qualche distinzione in merito. La prima è quella che si deve fare a proposito dell'architettura, prescindendo dalla considerazione degli studiosi dei primi decenni del secolo (Rivoira, 1901-1907; Lasteyrie, 1912; Porter, 1915-1917; Puig i Cadafalch, 1928), che di questo aspetto non si sono interessati nei loro, peraltro importanti, contributi. Il discorso sull'architettura è stato sostanzialmente diverso da quello sulle altre arti. Kubach (1955; 1963; 1964; 1968; 1972; Kubach, Verbeek, 1951; 1976; 1978), per es., è uno dei fautori principali del riconoscimento dell'architettura o., legata alla corte germanica, come una fase del primo Romanico; ma ovviamente un primo Romanico che è ottoniano, cioè tedesco, cioè diverso dal primo Romanico, per es. lombardo.È da dire però che, mentre per le altre arti si è parlato di Ottoniano, anche in opposizione a Romanico (Salvini, 1956; 19632; 1964; 1973), per l'architettura un simile discorso non è stato approfondito; inoltre è anche da ricordare che si è parlato raramente di architettura o. in regioni a S delle Alpi. D'altronde già Grodecki (1958) aveva escluso la presenza di un'architettura o. al di qua delle Alpi e quando Salvini cercò di definire la presenza fuori di Germania di una produzione artistica da definire o., non fece riferimento a opere architettoniche. Rimane il problema dell'architettura o. in Germania: resta la domanda se essa possa considerarsi un primo aspetto del Romanico. Come si è visto attraverso i cenni qui proposti, da una parte c'è la tradizione germanica, soprattutto con Jantzen (1947), che punta sull'originalità tedesca della cultura ottoniana; dall'altra Kubach (1955; 1963; 1964; 1968; 1972; Kubach, Verbeek, 1951; 1976; 1978), pur riconoscendo l'esistenza di architettura o., ha sempre preferito la definizione di prima architettura romanica: non alle soglie del Romanico, come suggeriva Grodecki, ma il premier art roman. Si tratta di una differenza non lieve: il dibattito è ancora aperto, anche se l'orientamento 'romanico' sembra avere la preferenza.Se poi si passa alla pittura - murale e di codici - e alle arti suntuarie, la discriminante tra Ottoniano e Romanico si fa quasi inafferrabile, certamente in qualche caso, ambigua: per es. se il Maestro del Registrum Gregorii è stato considerato uno dei fondatori del Romanico, si pone la questione di cosa si intenda per Romanico. Questa ambiguità è poi ben presente anche quando si affronta il problema del passaggio dall'Ottoniano al Romanico, problema che, in verità, afferisce più all'intelligenza del Romanico che dell'Ottoniano (Ulsere, 1972-1973).La risposta ai quesiti sui rapporti tra Ottoniano e Romanico si misura solo sulle personali convinzioni che ciascuno matura su concetti così plurivalenti, non solo come Ottoniano, ma anche e soprattutto come Romanico, nel quale termine un denominatore comune, strutturale o tipologico, nelle svariate strutture e tipologie che si raccolgono sotto la sua denominazione, non è sempre facile da individuare.

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